Dalla periferia al centro

Per prima cosa occorre dire che ci occupiamo qui dell’uomo cosiddetto “normale” che intende procedere all’integrazione della sua personalità.

Ciò premesso, definiamo cosa è “periferia” e cosa è “centro”.

Per comprenderne la differenza, facciamo ricorso al simbolo del cerchio1 stabilendo una serie di corrispondenze:

  • periferia = cerchio = personalità e comportamenti.
  • centro = punto = centralità dell’essere = Io – Sé.
  • cerchio + punto = personalità sulla via dell’integrazione.
  • cerchio + punto + irradiazione = personalità integrata..

Il punto quattro evoca l’immagine del sole che irradia energia, e questo a sua volta rimanda al conseguimento dell’integrazione e dell’individuazione, ampiamente spiegato dallo stesso Assagioli, sia come tecnica operativa sia come segno di conseguimento.

Possiamo definire il cerchio come la periferia dell’essere, in quanto esso è il simbolo del campo di coscienza.

In un individuo che vive l’io quale elemento centrale unificante solo in modo parziale, il campo di coscienza è relativo al livello di integrazione individuale raggiunto.

Esso, per quest’individuo, non è il simbolo della totalità, semmai lo diverrà successivamente.

Nell’uomo involuto questo campo è fatto di senso – percezioni e di reazioni sensoriali, pulsionali, istintuali. In un essere socializzato tutti questi stimoli e le reazioni ad essi conseguenti subiranno la censura del SuperIo freudiano e frazioneranno la personalità nella miriade di subpersonalità ben note agli studiosi di Psicosintesi.

I contorni di questo cerchio sono dapprima vaghi, sfumati e frastagliati e, quando emergerà il punto centrale unificante dell’io, essi si faranno sempre più netti e fissi.

Anche il punto centrale sarà all’inizio tenue e vago, fluttuante tra l’ombra e la luminosità, per fissarsi e acquisire la stabilità del punto centrale saldo e stabile.

A questo punto del processo l’uomo potrà essere finalmente simboleggiato dal sole che irradia i suoi raggi luminosi e creativi intorno, allora la realizzazione del Sé, meta ultima di qualsiasi lavoro psicologico che porta all’integrazione, sarà conseguita.

Abbiamo descritto per simboli l’iter e le sue tappe, che corrispondono all’evoluzione dell’individuo dallo stato di selvaggio allo stato dell’uomo integrato nella pienezza delle sue facoltà e delle sue potenzialità.

Per Assagioli questo passaggio dalla periferia al centro è estremamente importante e fondamentale, né si potrebbe concepire altro fine ed altro scopo psicosintetico se non questo.

La realizzazione del Sé, inoltre, significa la cessazione della molteplicità, degli opposti, del dualismo, la liberazione da quelle stratificazioni che nascondono la vera natura umana.

La Psicosintesi afferma che il Sé, l’autocoscienza, è una realtà interna che può essere sperimentata empiricamente e verificata mediante l’uso di tecniche appropriate. Quest’affermazione fa vedere una meta certa e sicura che consiste nel trasferimento della propria coscienza individuale, limitata qualitativamente e quantitativamente, al livello del Sé: si tratta di riunire il riflesso alla Sorgente, il che equivale al passaggio dalla periferia al centro.

Come fare?

Innanzitutto occorre distinguere la psicosintesi personale dalla psicosintesi transpersonale. La prima porta il soggetto ad una buona armonizzazione interiore ed esteriore, la seconda lo porta dapprima all’esplorazione della zona superiore dell’inconscio ed infine all’esperienza del Sé.

S’inizia con un’esperienza diretta primaria, vale a dire con l’autoconsapevolezza in base alla quale si acquista la coscienza della propria esistenza come essere umano.

Dopo questa esperienza fondamentale si è naturalmente spinti ad investigare la propria natura e costituzione, dopodiché si procede allo studio dei rapporti vitali delsingolo con gli altri esseri umani con una Realtà che va al di là degli individui.

La scala è la seguente: trovare se stessi trovare il Sé trovare gli altri Sé trovare il Sé Unico, la Realtà Suprema.

Questo è uno schema riassuntivo del lavoro che non ha limiti di tempo, che impegna tutta la propria personalità, i propri interessi, che richiede un costante orientamento ed il mantenimento di direzione dell’intento realizzatore.

Trovare se stessi è il primo punto e significa semplicemente prendere coscienza del proprio essere, del proprio Io.

Questo in verità è il primo grosso scoglio, l’uomo infatti s’identifica con i contenuti del proprio campo di coscienza e mai con l’io unificante. La maggior parte degli uomini non possiede un’autocoscienza, ma tende – come è noto – a confonderla con le stimolazioni provenienti dal mondo esterno, con le epidermiche reazioni individuali e con le stimolazioni provenienti dal mondo interno pulsionale ed istintivo, per cui questi individui sono sospinti qua e là dove le sollecitazioni li spingono.

Essi, per lo più, s’identificano con le subpersonalità ed è così che trascorrono la vita intera a correre qua e là credendo di essere ciò che in realtà non sono. È triste, ma ognuno può constatare la veridicità di tale affermazione se si sofferma per un momento a osservarsi.

Allargare il proprio campo di coscienza e iniziare a sviluppare un “io” unificante, è il primo passo per una psicosintesi personale, e a questo scopo non mancano certo le tecniche, gli esercizi e quanto serve allo scopo.

L’utilizzo dei simboli stimola l’affioramento dei contenuti dell’inconscio per conoscerlo e integrarlo nella coscienza, così come aiuta e stimola lo sviluppo transpersonale, quando usati opportunamente: è un lavoro attivo che richiede una certa dose di volontà.

Uguale attitudine attiva si riscontra nella fase d’integrazione e sintesi degli opposti, rafforzamento dell’io tramite lo sviluppo e l’uso della volontà.

Le tecniche usate in questa fase fanno sì che scendano nel campo di coscienza i contenuti del supercosciente in modo tale da equilibrare e sintetizzare le dinamiche emergenti dal lavoro di integrazione.

Questa fase del lavoro psicosintetico fa da ponte verso il secondo punto del nostro schema che è “trovare il Sé”.

Prima però occorre comprendere la differenza esistente tra il supercosciente ed il Sé, il primo essendo un livello dell’inconscio, mentre il secondo uno stato di coscienza superiore e transpersonale.

Uno degli esercizi fondamentali della Psicosintesi, che fa ripercorrere quotidianamente il cammino dalla periferia al centro e lo fa proseguire verso “l’alto”, è l’esercizio di disidentificazione.

Non è un esercizio che si può affrontare con leggerezza, ingannati dalla sua apparente semplicità. Addirittura sarebbe necessario intraprenderlo al termine di un training autogeno il quale, con i suoi esercizi inferiori, porta a quel rilassamento fisico, emotivo e mentale, condizione essenziale perché possa farsi sentire la voce della Realtà.

Allenati dal training autogeno, o comunque in grado di raggiungere il massimo dell’allentamento delle tensioni interne corporee ed emotive, occorre allentare, disidentificarsi, liberarsi dalle tensioni esterne e dalle erronee identificazioni fatte nel corso della nostra vita “in corsa di qua e di là”.

Disidentificarsi dal corpo fisico significa di fatto eliminare le paure e le fobie che si possono riassumere, in pratica, nella paura della morte.

La disidentificazione dalle emozioni porta alla comprensione della natura del nostro io che è una realtà permanente, fermo e saldo di fronte alle mutevoli emozioni e ai sentimenti che passano in continuazione nel campo di coscienza come le ombre del teatro cinese.

La disidentificazione dai contenuti della mente ci porta quella libertà interiore preludio certo della liberazione del nostro essere.

Questa tecnica conduce alla concezione di se stessi come autocoscienza, dopo averci allenato ad osservare le nostre capacità e le nostre insufficienze nel corso del processo di autoanalisi.

Questo lavoro richiede tempo e l’uso della volontà che si rafforza con la pratica.

Abbinata è l’evocazione di qualità particolari aventi anch’esse una funzione trasformatrice quali: la serenità, l’umorismo, la gioia e via dicendo, qualità positive che infondono nell’individuo una notevole carica energetica nel corso del suo cammino dalla periferia al centro.

Un particolare accento va posto sulla meditazione.

Essa ha forme diverse secondo gli effetti che si vogliono ottenere: un allargamento del campo mentale (meditazione riflessiva), un’ispirazione dal superconscio o dal Sé (meditazione ricettiva) o l’esplicazione di un’attività creativa o di irradiazione (meditazione creativa).

Queste tecniche trovano un loro naturale supporto nell’esercizio di disidentificazione.

In Psicosintesi transpersonale si utilizzano i ben noti esercizi del Graal, della Divina Commedia di Dante, ma si possono usare e costruirne altri sulla vita del Buddha, del Cristo, di Osiride e via dicendo.

Inizia a questo punto la psicosintesi transpersonale e cessa la psicosintesi terapeutica.

L’Io – centro del campo di coscienza – è compreso e conosciuto come riflesso del Sé. Il Sé inizia allora ad illuminare con i suoi raggi la personalità che ascende verso il proprio centro, in cui Macrocosmo e Microcosmo si fondono unificandosi.

Bibliografia

  • R. Assagioli: Principi e metodi della Psicosintesi Terapeutica – Edizioni Astrolabio, pag. 162 e segg.
  • R. Assagioli: Lo sviluppo Transpersonale – Edizioni Astrolabio, pag. 26 e segg.
  • R. Assagioli: Principi e metodi della Psicosintesi Terapeutica – Edizioni Astrolabio, pag. 108 e segg.
  • R. Assagioli: L’atto di Volontà – Edizioni Astrolabio, pag. 62 e segg.
  • R. Assagioli: L’atto di Volontà – Edizioni Astrolabio, pag. 162 e segg.
  • R. Assagioli: Principi e metodi della Psicosintesi Terapeutica – Edizioni Astrolabio, pag. 171 e segg.

Francesco Brunelli

Francesco Brunelli (1927 – 1982) è stato un esoterista, martinista, massone e Gran Maestro dell’Ordine Martinista Antico e Tradizionale conosciuto con lo jeronimo di Nebo.
Nato a Fabriano, visse la maggior parte della sua esistenza a Perugia, dove esercitò la professione di medico e dove rappresentò fin da giovane un sicuro e fermo punto di riferimento per i cultori della spiritualità in Italia e all’estero.
Non c’è dubbio che Francesco Brunelli sia stato uno dei massimi esponenti dell’esoterismo italiano della seconda metà del ventesimo secolo.

L’amicizia tra due Anime si colloca un gradino più in alto dell’amicizia tra due Persone

Qual è l’amicizia perfetta fra due esseri umani: quella fra due Persone o quella fra due Anime? La differenza è che le Persone sono ancora condizionate dalla dura scorza dell’Ego, dalle circostanze esteriori (sociali, culturali, economiche), dalla convergenza di interessi specifici; mentre le Anime affini vanno dritte l’una al cuore dell’altra.

Secondo noi, non c’è alcun dubbio che l’amicizia tra Anime sia il livello più alto che l’amicizia può assumere nella vita terrena; essa non bada in alcun modo alle circostanze e alle convenienze e non si impernia attorno a particolari motivi d’interesse; ma è caratterizzata da un’attrazione e da una dedizione totali, ed in essa si ha sovente l’impressione di ritrovare qualcosa che si era già vissuto altrove.

Invero, vi è qualcosa di arcano e quasi di sconvolgente in quella forza misteriosa che ci sospinge irresistibilmente verso un altro essere umano, al di là di qualunque ragionamento e di qualsiasi argomento razionale o suscettibile di essere esaminato e spiegato in termini razionali; qualcosa che fa realmente pensare alla metempsicosi e alla reminiscenza, come se ci fosse dato di ritrovare qualcuno che avevamo già conosciuto prima, anche se, in questa vita, siamo assolutamente certi che non avevamo mai visto quella tale persona.

Quando, poi, una amicizia fra Anime si instaura fra due individui di sesso diverso – evento raro e difficile, e sempre sospeso su un filo di rasoio – noi veramente sentiamo una potenza immensa sprigionare da essa, sentiamo le nostre forze moltiplicarsi inspiegabilmente; ci sembra di trasformarci quasi in creature sovrumane, non per qualche nostro merito speciale, ma proprio in virtù di quella prodigiosa alchimia che si sprigiona dal contatto e dall’incontro profondo tra la nostra anima e quella dell’altra (o dell’altro).

A volte gli psicologi moderni creano parole ed espressioni nuove per indicare contenuti antichi: l’amicizia fra Anime designa, in fondo, qualcosa di molto vicino al concetto di «amicizia spirituale», ben noto ai filosofi e ai teologi medievali (cfr. il nostro precedente articolo «Bellezza, bontà e verità dell’amicizia spirituale nel pensiero di Aelredo di Rievaulx», consultabile sempre sul sito di Arianna Editrice).

Un altro aspetto importante dell’amicizia fra Anime è che essa si configura sempre come un triangolo: perché, accanto ai due individui in essa coinvolti, si staglia la presenza di un Altro, che ne è il supremo garante ed il silenzioso testimone: è da Lui che scaturisce un altissimo concetto della verità, per cui né l’una, né l’altra anima oserebbero mentire, ingannare, barare al gioco della vita in qualunque maniera, come invece avviene, purtroppo, nell’amicizia tra persone.

In un certo senso, l’Altro è sempre presente, e non solo nelle relazioni umane; ma solo nell’amicizia tra anime Egli diviene elemento decisivo, perché solo nell’amicizia tra anime i due contraenti preferirebbero qualunque male, anche la morte, piuttosto che venire meno alla verità che vive in essa e rimangiarsi la sacra promessa di lealtà e fedeltà incondizionate. «Non esiste amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici», ebbe a dire un Maestro che, di queste cose, se ne intendeva.

Scrivono Connie Zweig e Steve Wolf nel libro «Il volto nascosto dell’anima» (titolo originale: «Romancing the Shadow», New York, Ballantine Books, 1997; traduzione italiana di Laura Castoldi ed altri, Milano, Rizzoli Editore, 1997, pp. 232-34):

«In molte culture vengono organizzati rituali per onorare il vincolo unico dell’amicizia. In India ragazzi si sposano due volte: prima, durante la pubertà, si legano a un amico verso il quale si assumono un impegno per la vita e poi, all’età di sedici anni, scelgono una moglie, con cui allacciano un altro legame inscindibile. Grazie a questi riti il ragazzo impara ad avere fiducia nelle relazioni, insegnamento che non dimentica mai. Anche in Germania le cerimonie dell’amicizia richiedono che le due persone, ciascuna delle quali tiene in mano un boccale di vino o birra, si avvicinino fisicamente intrecciando le braccia e vuotino i bicchieri dopo aver formulato una promessa di fratellanza eterna.

Questo tipo di amicizia non è un’amicizia tra Persone, che potrebbe nascere da circostanze comuni come quella in cui vengono a trovarsi i colleghi di lavoro, i componenti di una squadra sportiva o i genitori di bambini in età scolare. Di solito non deriva da una coincidenza degli obiettivi come quelli perseguiti dai membri di un club che mirano ai medesimi risultati o dai membri di una comunità spirituale alla ricerca di una consapevolezza più elevata, i quali condividono il legame dello spirito, che trascende la Persona, ma non il legame più personale dell’anima. In un’amicizia al livello della Persona possiamo essere attratti dagli scudi dell’altro individuo (sesso, denaro, potere) e cercare di accattivarceli per il nostro interesse, di sfruttarli per i nostri fini. Può darsi che rimaniamo imprigionati in determinati ruoli, in cui uno porta l’altro alla dipendenza o ha una posizione di superiorità perché l’altro prova invidia o vergogna; oppure può darsi che le due persone pratichino un’attività insieme, come lo shopping o il basket, senza molta confidenza. In un’amicizia tra Persone i due individui tendono infine a esprimere sentimentalismo, che rappresenta un surrogato, una forma facilmente digeribile delle emozioni più profonde e oscure.

In un’amicizia tra anime accettiamo e riconosciamo invece le nostre nature essenziali. I ruoli sono più fluidi; il rispetto è reciproco; quello che avvertiamo come un legame profondo non si basa tanto sul “fare” quanto sull'”essere”. L’amicizia a livello dell’anima richiede una lealtà che vada al di là dei sentimenti o delle opinioni effimere dell’amico, una lealtà che spera gli obiettivi e le apparenze temporanei. Richiede autenticità o lealtà dell’anima. Richiede infatti di onorare il Terzo dell’amicizia. In cambio offre un posto ove non abbiamo bisogno di nasconderci.

L’amicizia tra anime assume inoltre significati diversi a seconda del contesto. Per due ragazzine che si conoscono durante l’adolescenza, provano un forte interesse reciproco, entrano nella fase del guscio, diventano inseparabili e rimangono amiche fedeli negli anni del college, del matrimonio e della maternità, l’amicizia tra anime sopravvive al passare del tempo. Dura nonostante le circostanze mutevoli e le differenze evolutive. Può darsi che perda di intensità, che rimanga latente per anni o che rappresenti l’unica relazione stabile della vita, un rapporto che dura persino più del matrimonio. Ognuna delle due donne coinvolte ha una testimone alla stria della propria vita. Se è fortunata, ognuna delle due ha un posto dove sentirsi a casa.

Per queste amicizie intramontabili il ricordo della storia vissuta in comune è un fattore chiave. Mnemosine, la dea della memoria, alimenta il rapporto permettendo agli amici di unirsi attraverso il passato quando il legame presente si assottiglia. In quanto madre delle Muse, ama la meditazione, i racconti, le rime e i miti nonché le immagini che danno unità alle narrazioni. Quando gli amici si abbandonano ai ricordi sono meno interessati ai fatti o agli avvenimenti che alla memoria simbolica, al ricordo di momenti vissuti con intensità e carichi di significato. Come la psicoterapia, l’amicizia dà spazio a questo tipo di memoria soggettiva.

Alcuni amici che si incontrano dopo anni hanno l’impressione di riconoscersi l’un l’altro a un livello profondo e inespresso; l’affinità trascende le loro storie personali. Non hanno dunque bisogno di voltarsi indietro e ricordare il passato. Entrano insieme nel presente come se il loro legame non avesse tempo, come se il Terzo fosse esistito prima del loro incontro e incollasse i loro destini l’uno all’altro.

Coloro che sono attratti dall’affinità o che amano incontrare persone simili a se stessi provano una sensazione di risonanza con l’altra persona come se si trattasse di un gemello. Come i greci Castore e Polluce, in alcune tribù africane i gemelli rappresentano l’ideale dell’amicizia. I bambini nati nello stesso giorno sono considerati gemelli che in qualche modo sono stati separati prima della nascita ma che sono uniti da un legame eterno. Gli amici condividono quindi il percorso prima e dopo la vita; i loro destini sono intrecciati. Incarnano il mistero del due in uno.»

L’amicizia fra anime, come dicevamo, è di per se stessa uno degli indizi che sembrano suggerire la realtà di una nostra esistenza anteriore a questa vita presente, perché essa, talvolta, nasce e si sviluppa con ardore così impetuoso, con forza così invincibile, come se ciascuno dei due individui percorresse una strada già nota in precedenza: la strada di casa.

Dove fosse la nostra casa prima di questa vita, nessuno può dirlo, così come nessuno può dire con precisione dove essa sarà, dopo che ce ne saremo andati; ma quel legame indissolubile, che unisce due anime per la vita e per la morte, riesce difficile da spiegare, se si ritiene che tutto ciò che esiste sia qui, ora, sotto i nostri sensi, e che non vi siano né un prima, né un dopo. Invero, così come certi legami tra figli e genitori sembrano suggerire che siano stati i primi a scegliere i secondi, in un altrove che nessuno potrebbe precisare, allo stesso modo certi legami che si stabiliscono nell’amicizia fra anime fanno pensare al ritrovarsi di due anime che si erano già conosciute e che già godevano della reciproca vicinanza come del bene più prezioso.

Nell’amicizia fra anime cade ogni astuzia, ogni competizione, ogni istinto di supremazia, per lasciare il posto al desiderio del bene incondizionato per l’altro: nessun legame umano è ad essa paragonabile, nemmeno quello tra genitori e figli, perché quest’ultimo ha un’origine biologica e sociale, mentre quella si direbbe venuta direttamente dal cielo.

Molti poeti e scrittori antichi ne hanno compresa tutta l’importanza e la magnificenza, e l’hanno celebrata in alcune delle pagine più belle della letteratura di ogni tempo; un esempio per tutti è quello dell’amicizia fra Eurialo e Niso, nell’«Eneide», ove Virgilio tocca un vertice insuperato nella descrizione di tale sublime sentimento, così come neppure Omero aveva saputo fare (se non, forse, nell’ambito dell’amicizia fra uomo e animale, e precisamente nello stupendo episodio del cane Argo, che attende per venti anni il ritorno del suo padrone Ulisse, nell’«Odissea»). La tanto decantata amicizia fra Achille e Patroclo, in confronto, appare sbiadita e indefinibile: infatti noi possiamo intuirla, più che vederla, nei versi dell’«Iliade».

Altri esempi celebri di amicizia fra anime sono quello di Davide e Gionata, nell’ambito dell’Antico Testamento, e quello di Gilgamesh ed Enkidu, in quello della cultura babilonese. È quasi superfluo aggiungere che molti studiosi moderni, sulla scorta della psicanalisi freudiana, non hanno saputo trattenersi dal ravvisare, in ciascuna di tali amicizie leggendarie, le tracce di una forte componente omosessuale, più o meno esplicita; ma, come spesso avviene ai seguaci della dottrina del sospetto, non è detto che le loro sin troppo facili illazioni abbiano colto nel segno.

La verità è che un’amicizia fra anime è talmente rara e preziosa, talmente al di là e al di sopra delle normali amicizie tra persone, che, giudicata dall’esterno, essa può facilmente dare adito a un tale genere di pensieri; ma, spesso, a torto. Il fatto è che colui che sta su di un piano inferiore, non possiede gli strumenti concettuali ed etici per comprendere, e meno che meno per giudicare, ciò che giace ad un livello superiore.

Un esempio banale: per un uomo rozzamente materiale, una donna nuda, distesa mollemente in posa sensuale, non è altro che un richiamo ai più bassi appetiti del corpo; ma per il grande artista, come Tiziano o Giorgione, è il magnifico soggetto di una grande opera d’arte, nella quale il mistero della bellezza viene celebrato in un’aura di sublime poesia. Perciò, bisogna stare attenti a non giudicare secondo le apparenze: perché ciascuno vede secondo la propria capacità visiva, e giudica secondo il proprio metro di evoluzione spirituale.

Concludiamo queste brevi riflessioni affermando che l’amicizia indissolubile fra due anime è una di quelle esperienze eccezionali che possono conferire significato e valore ad una intera esistenza umana.

In essa, infatti, ciascuna delle due parti si sente continuamente sollecitata a dare il meglio di sé, in termini di devozione, gratitudine, lealtà, solidarietà, abnegazione, all’interno di una nobile competizione per non essere mai da meno l’una dell’altra; ed è così rara perché, se è vero – come sosteneva Aristotele – che la vera amicizia è propria solo dei buoni, allora bisogna ammettere che l’amicizia fra anime è propria soltanto delle anime eccellenti: le quali, nel panorama della vita ordinaria, costituiscono notoriamente una merce assai poco frequente.

Francesco Lamendola, laureato in Lettere e Filosofia, insegna in un liceo di Pieve di Soligo, di cui è stato più volte vice-preside. Si è dedicato in passato alla pittura e alla fotografia, con diverse mostre personali e collettive. Ha pubblicato una decina di libri e oltre cento articoli per svariate riviste. Tiene da anni pubbliche conferenze, oltre che per varie Amm. comunali, per Ass. culturali come l’Ateneo di Treviso, l’Ist. per la Storia del Risorgimento; la Soc. “Dante Alighieri”; l'”Alliance Française”; L’Ass. Eco-Filosofica; la Fondazione “Luigi Stefanini”. E’ il presidente della Libera Associazione Musicale “W.A.Mozart” di Santa Lucia di Piave e si è occupato di studi sulla figura e l’opera di J. S. Bach.

Meditazione: arte di vivere

 

MEDITAZIONE

ARTE DI VIVERE

 

 

 Assagioli uovo02

 

 

 

 

 

Introduzione

 

Non smetteremo di esplorare
E alla fine di tutto il nostro andare
ritorneremo al punto di partenza
per conoscerlo per la prima volta

T.S. Elliot

 

 

La parola “Meditazione” può talvolta evocare in noi un sentimento religioso, o una tensione innata verso la ricerca dell’Oltre – spesso oscuramente percepito, indefinibile e intangibile – di qualche cosa che si trova al di là dell’abbagliante invadente presenza che il mondo della materia, o mondo fenomenico, esercita su di noi e sulla nostra vita.

 

Quell’Oltre corrisponde ad uno Spazio interiore specifico, uno spazio vivente di potenzialità e qualità inizialmente sconosciute e inespresse ossia recessive.

 

Questo Spazio ha una collocazione geografica nella sfera della nostra coscienza:

corrisponde a ciò che Gustav Jung ha definito inconscio superiore e Roberto Assagioli ha chiamato inconscio transpersonale o sfera del supercosciente (corrispondente alla zona blu dell’ovoide sopra raffigurato). Il desiderio e l’incontro con la transpersonalità vivente in noi per taluni diventa una vera esigenza, una marcata e pressante necessità, per altri l’incontro può avvenire motivato dalla ricerca di ragioni e risposte possibili agli eventi, interni ed esterni, a cui la vita ci pone di fronte, come un trauma, un avvenimento che riesce a scuotere le basi di certezza sulle quali fondava la nostra vita sino a quel momento e scompagina e disorienta, ponendoci in uno stato di crisi sia essa psichica o relativa allo stile di vita o alla di scala di valori.

 

Come conseguenza, siamo in un certo senso costretti a ridisegnare le priorità di una vita che cambia, come di fronte ad una malattia, e siamo chiamati a rispondere alle nuove necessità a volte dovendo sospendere le azioni consuete che abitualmente compiamo nella nostra vita quotidiana. Oppure l’evento ci obbliga a rinunciare a ciò che fino a quel momento consideravamo fondamentale, cioè un fondamento su cui la nostra vita si basava.

 

La dimensione transpersonale si colloca al di là dell’esperienza fenomenica e non è riservata a pochi, ma è più rispondente ad una dimora di potenzialità latenti da evocare e da realizzare nella nostra vita.

 

La storia dell’uomo è costellata di esseri che in ogni tempo hanno provato quell’insopprimibile tensione verso la ricerca di se stessi, del senso della vita e del suo mistero. In ogni tempo quelle coscienze coraggiose hanno cercato e si sono assunte un impegno, quello di intraprendere un percorso, di cercare un sentiero, a tratti tortuoso e in altri momenti più fluido, al fine di trovare risposte e significato.

Molte dunque le testimonianze di comprensioni profonde, di esperienze di espansione della coscienza che, oltrepassando lo stato di ordinaria percezione e identificazione, rivelano una realtà assai più vera, reale e desiderabile di quella angusta, vissuta entro i confini dell’io ordinario.

 

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La visione psicoenergetica dell’uomo

 

La visione Psicoenergetica dell’uomo

 

psicoenergetica 

Il modello della psicoenergetica ci aiuta a sviluppare una nuova conoscenza scientifica, che consente di unificare i diversi campi finora separati del sapere, in un unico corpo sintetico e multidisciplinare.

L’uomo, inteso come coscienza, è un vasto campo di energie e di forze, suddiviso in “orbite” o livelli che lo compongono, costituenti la sfera della coscienza e in continua interazione tra loro. Energie e forze dunque animano la coscienza.

Un aspetto fondamentale della Psicoenergetica è la struttura della coscienza umana costituita da questi diversi livelli di espressione. Essi sono i piani di manifestazione, le varie “orbite” in cui è suddiviso il campo di coscienza dell’uomo. Li possiamo definire come livello fisico, emotivo, mentale e spirituale.

Il livello fisico è la manifestazione visibile dell’uomo, che percepiamo attraverso i cinque sensi.

Il livello emotivo è il piano sul quale “sentiamo”, dove proviamo la marea di emozioni e sentimenti che ci sono tanto familiari. Esso è considerato un piano “liquido”, soggetto a continui sbalzi e riflussi.

Il livello mentale dell’uomo è la sede della funzione pensiero, intesa come attività mentale concreta, e ha in più la capacità di volgersi verso il livello superiore della mente, quello mentale astratto, per cogliere le intuizioni, le ispirazioni, le idee.

In riferimento al funzionamento della mente ordinaria, noi parliamo di pensiero logico, mente concreta, o funzione pensiero, in rapporto invece a ciò che si apre al livello superiore, parliamo di mente astratta, pensiero analogico, funzione intuitiva.

Le due menti nel loro complesso costituiscono il “piano mentale”, e da un buon funzionamento di questo piano dipende l’andamento della nostra vita.

Abbiamo fin qui parlato dei tre livelli di manifestazione della personalità, quella complessa e multiforme struttura psichica che porta ciascuno di noi a operare nel mondo degli effetti e a procurarci le esperienze più varie. Per personalità si intende quindi la caratteristica energetica risultante dall’integrazione sempre più serrata tra le forze del corpo fisico, quelle del corpo emotivo e quelle del corpo mentale.

Man mano che si sviluppa la volontà, la personalità si integra sempre di più, stabilendo una gerarchia di valori e affermandola all’interno e all’esterno, così da ridurre al minimo i conflitti interiori.

La coscienza può essere vista anche come un campo elettromagnetico, con un suo polo positivo e uno negativo: è quindi un sistema bipolare. Il polo positivo è l’essenza, quello negativo è la sostanza, che diviene forma attraverso la vibrazione emessa.

Che parallelo esiste tra le leggi dell’elettromagnetismo e il funzionamento della coscienza?

La corrente elettrica, percorrendo un conduttore, genera nello spazio circostante un campo magnetico, la cui intensità, in un qualunque punto dello spazio, è direttamente proporzionale all’intensità della corrente che percorre il conduttore e inversamente proporzionale alla distanza del punto stesso dal conduttore. Analogamente l’elemento nucleare dell’uomo, il Sé, genera nello spazio della coscienza un campo magnetico. In fisica per “campo” si intende una porzione di spazio in cui si fa sentire l’effetto di una forza. Anche in Psicoenergetica si parla di campo per indicare un’area particolare dello spazio nella quale l’energia psichica favorisce il ripetersi di eventi. L’uomo è un campo di energie al centro del quale si trova un magnete, o nucleo, che è il Sé transpersonale.

Ecco che appare il livello superiore, che nelle culture e nelle religioni di ogni tempo e di ogni luogo viene definito come aspetto spirituale o divino. Esso è un’area della nostra coscienza, esattamente come le altre appena descritte, ma che di norma non viene percepito in quanto esso vibra a una frequenza maggiore e quindi non è sperimentabile attraverso i cinque sensi ordinari, che sono adatti a rispondere alle vibrazioni del mondo visibile.

Scrive Roberto Assagioli: “La Psicoenergetica ha solide basi scientifiche, poiché deriva dai progressi della fisica moderna e soprattutto dalla scoperta che la materia è energia o, più precisamente, che è uno stato speciale dell’energia. Tale rapporto è stato espresso da Einstein con la famosa equazione e=mc². Questo è un rapporto matematico, cioè basato su di una legge matematica. Ma le leggi matematiche sono razionali, sono di natura mentale, cioè frutto di un pensiero. Perciò l’astronomo Eddington potè affermare, già nel 1932, che “la sostanza del mondo è sostanza mentale”. E il fisico Sir James Jeans ha espresso la stessa cosa in modo ancora più esplicito: “La corrente della conoscenza procede verso una realtà non-meccanica, l’universo comincia ad apparire più simile ad un grande pensiero che a una grande macchina”.

In psicoenergetica, una definizione di Energia che può essere utile come punto di riferimento è la seguente: “È qualcosa di primordiale, che sta alla base di tutte le manifestazioni della vita del mondo, un impulso vitale, qualcosa che muove il mondo, che trasmette le forme, che ispira l’evoluzione; si intende soprattutto il potere costruttore, ma anche purificatore e distruttore dell’eterna trasformazione, questa energia che pervade il tutto può essere anche chiaramente spirito o energia psichica”.

Secondo le culture orientali, l’Energia è un Principio fondamentale dell’universo che pervade tutte le manifestazioni vitali. Nel mondo occidentale, all’inizio del secolo scorso, Einstein mise in evidenza l’identità di sostanza tra materia ed energia secondo la ben nota formula che si può così interpretare: “L’energia contenuta in una porzione di materia è uguale alla sua massa moltiplicata per il quadrato della velocità della luce”.

Si può dire che la materia inerte non esista: ciò che appare statico e immobile è invece un insieme di particelle in rapidissimo movimento; questo ha fatto dire al fisico Planck: “In realtà la materia non esiste e tutto è energia”. In sintesi le scoperte della fisica moderna ci dicono che materia e energia sono la stessa cosa: la realtà essenziale dell’universo è energia; la materia è energia in stato di condensazione; l’energia è materia allo stato radiante.

Possiamo definire quindi l’uomo un campo di energie in manifestazione. Essendo un campo, egli è descrivibile secondo i termini adottati nella descrizione della fisica dei campi; ciò presuppone l’esistenza di un centro, di un nucleo, che alimenta e mantiene in vita il campo stesso, che possiamo definire il Sé.

Quando le energie assumono una forma che si manifesta in una identità ordinariamente percepita e si identifica in modelli di vita costruiti e abituali, parliamo di “forze” e creazione di engrammi, cioè di “schemi di funzionamento” viventi nelle diverse orbite della personalità.

L’energia, dunque, vive nell’orbita supercosciente della psiche mentre le forme, o forze, sono relative all’orbita della nostra personalità e ai suoi tre livelli: fisico, emotivo e mentale.

La coscienza dell’uomo è vista anche come un modulo di trasformazione dell’energia.

 

 

Monica Bregola

La meditazione e il processo della guarigione

 

 La Meditazione e il processo della Guarigione

 

 

Nella storia collettiva, come in quella individuale,

tutto dipende dallo sviluppo della coscienza.

Questo porta gradualmente

alla liberazione dalla prigionia dell’incoscienza,

e pertanto apporta luce oltre che guarigione.

 

C. G. Jung

 

 

 

Riconoscere la Vita come altro dal corpo fisico, come oltre la sua materialità. Forza rigenerante che lo comprende e lo trascende. Amore vivente e vitale. Realtà intima e cosmica. Sorgente. Inizio e fine. L’Infinito e l’Eterno.

Il termine “guarigione” può indurci nell’errore di considerare questo processo vitale come effetto positivo e risolutivo di uno squilibrio corporeo o di una malattia. Questa parola in realtà include sfere più ampie di significati, di azioni e di conseguente possibilità di armonizzazione dell’individuo e dell’integrazione delle varie parti che lo compongono. Si parla infatti di guarigione del livello emotivo e di quello mentale, oltre che di quello fisico. La moderna medicina osserva e scopre le interazioni fra i vari piani dell’essere umano considerando fra questi anche il livello “transpersonale o spirituale”, ovvero lo spazio nel quale dimorano le nostre più profonde potenzialità, l’area supercosciente non condizionata, non strutturata in forme materiali o schemi mentali. È l’energia vitale, plastica e potenzialmente creativa della nostra coscienza.

Accade talvolta che la malattia, fisica e non, sia la conseguenza di una conflittualità generata dalla “pressione” dell’energia superiore o supercosciente della psiche, fatto che crea uno stato di frizione con la nostra personalità la quale con le sue certezze, le sue sicurezze e il suo modo acquisito automatico e schematico di percepire se stessa, gli altri e la vita, cerca di opporre “resistenza” all’apertura e al cambiamento.

Sul piano psicologico si parla allora di nevrosi noogena (Vicktor Frankl), intendendo con ciò una crisi sana, o esistenziale come comunemente definita. E di esistenza infatti si tratta. Nel senso quanto mai reale, di bisogno di esistere, di conoscersi, di esprimere istanze nuove, percepite vagamente ma sicuramente e a volte con chiarezza e lucidità, di sentire la necessità di cercare il senso della vita e la propria identità.

Abraham Maslow, psicologo e studioso della profonda natura umana, nel secolo scorso ha dedicato la vita e la ricerca alle vette dell’essere e ha descritto come fortemente motivanti quelle istanze che ha chiamato metabisogni, ovvero i bisogni che vanno oltre la scala di quelli la cui soddisfazione è considerata fondamentale per lo sviluppo sano della personalità: sopravvivenza, sicurezza, appartenenza, autostima, autorealizzazione. Ma quali sono questi bisogni? Rispondere alla domanda: “Chi sono io?”. Dare un Senso alla Vita, esprimere una qualità elevata e pura dell’Amore e dell’Armonia, manifestare la tensione verso la Bellezza e il Bene Comune: in altri termini, stiamo parlando dei valori Etici.

Occorre dunque uscire dall’idea restrittiva che l’opera di guarigione riguardi unicamente il processo di risanamento del corpo fisico. La guarigione vista in un’ottica di espansione di significato e di coscienza, vive come Parola e Simbolo, nel mondo delle cause, dei Significati. A tale proposito possiamo considerare la guarigione come un fenomeno complessivo, uno spazio, un insieme che include e comprende cause ed effetti (sintomo).

La meditazione è lo strumento che crea e favorisce un contatto più profondo con noi stessi, stimola l’ascolto di sé e della vita. Ha un potere di raffinamento della coscienza, sensibilizzandola rapidamente e rendendo il nostro essere più vitale, più libero di aprirsi, di esprimersi e di creare.

La meditazione, come strumento che crea ponti, crea contatto “tra” le cause e gli effetti, ci offre l’opportunità di connettere due piani di realtà (l’uno concreto, visibile, percepibile con i sensi fisici, l’altro psichico, non visibile né percepibile dai sensi fisici ma dai loro corrispettivi superiori), e di porli in relazione dinamica e creativa, come in un rapporto d’amore che attrae e connette i due opposti, fondendoli in una unità dinamica che è più della somma delle parti e che favorisce l’elaborazione agiudiziale e non pregiudiziale, svelando ad esempio schemi di pensiero acquisiti e identificazioni restrittive.

Il contributo straordinario della scienza della meditazione, pone in luce il tema della conoscenza della mente. Determinante, nella comprensione di un processo di trasformazione della coscienza nella sua interezza, è la conoscenza dello strumento mente.

Che cos’è la mente?

E perché riveste tutta questa importanza nella nostra vita? Ci viene trasmesso da grandi pensatori e da grandi coscienze che hanno indagato la mente, che tutta la nostra cosiddetta realtà è senza dubbio creata dalla mente.

La mente, innanzitutto, va considerata uno strumento. Questo strumento svolge diverse funzioni, ed è composto da due piani, o orbite. Possiamo immaginare la nostra mente come Giano bifronte, posto su un piano orizzontale, dove un volto guarda verso il cielo e l’altro osserva la terra. Queste due dimensioni corrispondono infatti a due piani di realtà ben precisi:

la terra, come forme, il visibile e percepibile dai sensi, come atti creativi seguiti da una manifestazione;

il cielo della coscienza, come spazio, apparentemente vuoto (ovvero privo di forme) ma pieno di energia, di potenzialità inespresse che possono essere realizzate e rese manifeste. È il mondo delle cause, delle intenzioni, dei significati, del Senso. È il punto di partenza, l’alfa, l’accensione del motore, al quale in un tempo (lineare) successivo seguirà la creazione della nuova forma/esperienza/evento, cioè si produrranno effetti sul piano manifesto. Gli effetti, siano essi esperienze, sintomi di una malattia, relazioni, identificazioni, ecc… sono comunque da considerare come fattori transitori, mutevoli, impermanenti, pertanto trasformabili.

La parola trasformazione non ha a che vedere con la cura, doverosa, degli effetti e della necessità del tempo e dell’ora che essi presentano. È, dapprima, una ricerca vitale delle cause, che per poter essere realizzata richiede una mente aperta, e che per poter essere autentica richiede con gli effetti un “contatto” diretto, sentito, vissuto, non pensato. Allora, nella “presa”, nell’attenzione creativa della coscienza, si crea uno spazio nel quale l’energia della causa antica può rivelarsi e sciogliersi e liberare l’energia intrappolata. È allora che l’Io, quale centro di consapevolezza, può orientare e dirigere l’energia liberata verso una direzione scelta, evolutiva, verso la costruzione di una nuova causa. E di un nuovo tempio.

Attivarsi creativamente di fronte alla malattia: diventare guaritori di se stessi

Spesso la scoperta di una malattia produce un effetto traumatico che crea un vero e proprio “corto circuito” fra i diversi livelli (fisico, emotivo, mentale, spirituale), inibendo la volontà, anche fino a bloccarla del tutto. In altri termini, quando la risposta che l’individuo può dare all’evento malattia è parziale o passiva, nessuna risorsa vitale può attivarsi sul piano interiore. Soprattutto quella tensione dinamica verso l’accettazione e la possibilità di cura e di guarigione. È solo quando tutti i livelli dell’essere collaborano e cooperano al processo di guarigione che le risorse interne si attivano e, con esse, la Vita.

Le nostre cellule ricevono le “impressioni” derivanti dalle nostre emozioni e dalla nostra mente, e i nostri pensieri sono fattori niente affatto secondari o ininfluenti nel nostro processo di guarigione. Essi sono come l’auriga-mente che orienta il galoppo dei cavalli-vitalità, che concordemente si dirigono verso la meta.

La meditazione ci accompagna a sciogliere il corto circuito, e ad elaborare gli eventi prendendo le “giuste distanze” da essi, ma soprattutto aiutandoci ad accogliere la responsabilità vitale e preziosa di poter divenire i protagonisti della nostra guarigione.

Attraverso il contatto e l’ascolto profondo di noi stessi ci permette, per esempio, prima di comprendere bene, poi di accettare l’evento e successivamente di compiere le scelte relative al piano terapeutico che sentiamo essere il migliore per noi.

In tal senso infatti, potremmo dire che la guarigione è un misto di interazioni fra la potente forza di autoguarigione vivente in noi e l’azione congiunta, sinergica e sintonica con il medico o l’équipe che accompagna il paziente.

  • Quando la meditazione è volta a sostenere un processo di guarigione si diventa capaci di contattarsi, di percepirsi, per scegliere il piano terapeutico appropriato ed essere protagonisti della propria guarigione.

Riepilogando, vediamo gli effetti di un approccio di questo tipo ai vari livelli:

  • Ripresa rapida dall’eventuale trauma diagnostico (scioglimento del corto circuito) che produce come effetto il rifluire dell’energia
  • Possibilità di una elaborazione emotiva e di ricerca dei nessi causali della malattia sul piano psicologico (simboli, corrispondenze, engrammi)
  • Attivazione della volontà individuale di compartecipare pienamente e attivamente al processo di guarigione (si osservano a tale proposito, dal punto di vista clinico, una ripresa rapida, la diminuzione significativa di effetti collaterali, la riduzione del decorso post-operatorio, la ripresa più rapida delle attività insieme a presenza di sé, chiarezza mentale, consapevolezza, efficienza, volontà di vivere e possibilità di operare cambiamenti vitali giudicati positivi e auspicabili)
  • Assunzione della piena responsabilità di curarsi e di guarire e di scegliere piano terapeutico ed équipe medica.

Effetti sul piano fisico:

  • Liberazione e aumento di energia
  • Sufficiente disidentificazione dal proprio corpo per permetterci di non identificarci con il “malato” ma di considerare la nostra identità o centralità dell’essere come sana, vitale e viva
  • Possibilità di stabilire un contatto con il sintomo e un dialogo con il sintomo

Effetti sul piano emotivo:

  • Capacità di governare le nostre emozioni
  • Capacità di porre la “giusta distanza” dagli eventi
  • Possibilità di elaborare le esperienze emotive al fine di liberare le nostre energie che a volte restano intrappolate da situazioni relative a traumi, shock o antiche ferite
  • La liberazione delle energie trattenute o cristallizzate permette al “sistema” psiche di far rifluire le energie vitali, il corto circuito viene riassorbito, la mente vede ora con più chiarezza e può dunque svolgere la sua funzione di valutare, discriminare, pensare, riflettere, scegliere, nella chiarezza di visione senz’altro più realistica e con il supporto di un pensiero libero dalla gabbia emotiva. Le emozioni non smettono di esistere, semplicemente scolorandosi non ci travolgono impedendoci di vedere e di riflettere, quindi di pensare.

Effetti sul piano mentale:

  • La mente ora può “riflettere”
  • Sganciato sufficientemente dalle emozioni ora il pensiero può librarsi, può attivarsi e valutare, discernere e scegliere
  • Lucidità mentale
  • La mente ora è libera di spaziare e può essere diretta verso la ricerca dei nessi causali e successivamente approfondire la loro elaborazione. È possibile ora una maggiore concentrazione che chiarifichi il quadro del problema con realismo, seguendo un ordine, una logica e successivamente l’apertura ad una sintesi nuova. L’effetto è la qualità della scelta, più consapevole perché basata sull’ascolto profondo di sé e dei propri bisogni, più chiara perché basata sull’ampiezza della visione. Responsabile perché nata da una più profonda “presenza” o radicamento di se stessi, come protagonisti della propria cura e delle proprie scelte
  • Aumento di consapevolezza e conseguente azione libera
  • Intuizione, come esperienza di chiarezza e visione più ampia, di comprensione simultanea, di apertura.

L’esperienza della guarigione

La “Guarigione”, come abbiamo accennato, non è la cura, ovvero un intervento specifico teso al risanamento, bensì un processo vivente e vitale di “trasformazione” dei contenuti cristallizzati della psiche (engrammi) in energia e dell’energia (come mondo della massima potenzialità e possibilità esistente nella sfera spirituale dell’uomo) in nuove forme, più vere, più belle e consone a ciò che la coscienza può realizzare in un dato momento storico.

Rendere più limpida e luminosa la propria coscienza implica in primo luogo il pieno controllo della conoscenza tramite una retta percezione delle informazioni fornite sia dai sensi fisici che dai sensi psichici. Come dire che la percezione della forma ottenuta tramite i cinque sensi ci offre una rappresentazione del tutto inadeguata della realtà più complessa, della quale la forma non è che il rivestimento esteriore, il guscio. Le informazioni sensoriali non riescono a cogliere “l’anima”, lo spirito della realtà, che restano celati in una dimensione a cui non si può attingere direttamente.

Il processo della guarigione assurge alla funzione di una vera e propria “Opera Creativa”, e all’uomo è chiesto di accendere il Fuoco della Vita in sé e di imparare a creare davvero. Questa può essere definita l’Arte di Vivere.

Nella pratica meditativa impariamo a costruire il canale che connette la sfera superiore con quella inferiore, ora non più separate o sporadicamente in contatto fra loro.

È per mezzo di questo luminoso canale che le energie superiori possono affluire nella sfera inferiore della personalità, e nei suoi tre livelli, ed essendo esse costituite da vibrazioni più elevate e raffinate, intelligenti e portatrici di un proposito da realizzare, quando entrano in contatto con la struttura della personalità e con i suoi contenuti, producono un fenomeno di attivazione.

Iniziamo così a cogliere gli effetti di questo “precipitato” psichico, carico di vitalità e ricco di potenzialità.

Il primo segnale che si interpreta come inizio di un processo di trasformazione è il vissuto della “crisi” (etimologicamente “scelta”). Ovvero per effetto della Luce, il modo consueto di sentire, essere, interpretare la realtà e gli eventi, viene percepito come insoddisfacente o insufficiente, o viene ritenuto ora eccessivamente restrittivo e incapsulante. Ci possiamo sentire soffocati dalle nostre stesse scelte. Le nostre consuete identificazioni, i comportamenti, le reazioni, le relazioni, si rivelano come impoveriti. Oppure possiamo essere sollecitati da eventi che accadono nella nostra vita e che vanno interpretati come effetti di un attivazione interiore verso il cambiamento (principio di sincronicità).

La trasformazione avviene come risposta a leggi precise. Essa si basa su una visione della vita secondo le “orbite” di livello vibratorio diverso. Il passaggio da un livello vibratorio ad un altro più elevato e raffinato è trasformazione.

In teoria, il livello con vibrazione più elevata dovrebbe attrarre verso l’alto i contenuti a vibrazione più bassa. Pertanto si tratta di fare un doppio lavoro:

  • Purificare e raffinare i livelli più densi
  • Rinforzare e nutrire i livelli più elevati

Così diviene possibile la trasformazione delle energie.

Relativamente al processo di guarigione, l’afflusso di energie vitali supercoscienti impatta sui nuclei cristallizzati di energie (forze, engrammi) e aiuta a porre in Luce le cause, che sono i fattori determinanti la malattia.

Dapprima la Luce accende, illumina, porta a galla ricordi, memorie emotive, quelle impressioni cioè che hanno creato lo squilibrio sul piano anche cellulare e che sono spesso inconsce. Oppure l’opportunità offerta può essere quella di poter finalmente sradicare definitivamente le cause dello squilibrio.

I contenuti che emergono hanno la necessità di essere “accolti” e custoditi in uno “spazio” qualificato, il cuore, in assenza di giudizio o pregiudizio, nell’accettazione graduale e progressiva dei vissuti che emergono. Il fine di questa fase è “diventare consapevoli”.

Ecco dunque che la seconda energia qualificata, l’Amore, penetra nel campo. Ad essa il compito di tessere lo spazio e nutrirlo di qualità specifiche di guarigione. “Solo l’Amore guarisce”, ci viene detto.

La Fede, la certezza assoluta nella Scintilla Divina che anima l’uomo e che per amore e con amore lo ha creato, lo accompagna così a guarire, accettando, includendo con benevolenza ogni contenuto, amando. Non è necessario avere una fede religiosa, o un credo. Il processo è del tutto sperimentabile e realizzabile in modo laico, purché siamo dotati di volontà e disponibilità, con la mente aperta e con amorevolezza.

Sarà l’Amore a sciogliere gradualmente i vecchi detriti, le distorsioni. L’Io che ha imparato ad osservare, grazie all’afflusso di Luce, e diventa consapevole, in soluzione d’Amore quale vera forza trasformante, contiene come un vaso alchemico, e ci può ora accompagnare ad attraversare le fasi di destrutturazione di vecchie forme e liberazione di energie.

In questa fase del processo incontriamo il perdono, il perdonarsi e il perdonare.

I sogni, messaggeri di vita nuova, annunciano un’alba ancora di là da venire, da manifestare con nuove e più consone forme. Ma già esistente. Le nuove forme, il cambiamento concreto, ancora necessita di tempo. Ma le nuove cause, come matrici, già sono in moto, vitali, belle, vere. Esse “precipiteranno” nel mondo fisico avvolgendosi dapprima dell’energia dei nostri pensieri nuovi, che daranno loro una prima “forma”, anche se non ancora visibile. Poi si nutriranno dei sentimenti più elevati e corrispondenti alla qualità dei pensieri, atti a nutrire e vivificare, affinché le forme possano animarsi di vita, spessore. Solo successivamente potremo osservare il tradursi di tutto ciò in un fatto concreto, come nuova identità, pensiero, azione, comportamento.

Si è creata una risonanza fra la vibrazione del punto più elevato della coscienza e le vibrazioni dei corpi inferiori che hanno iniziato, rispondendovi, ad accordarsi ad essa. Le vibrazioni dei corpi inferiori perciò, su sollecitazione superiore, mutano, raffinandosi, elevandosi. Questa è l’opera di trasformazione che può portare ad una vera guarigione.

Molte cose, molti eventi interni ed esterni appaiono e caratterizzano la nostra vita in questo periodo così denso e intenso.

Se la vibrazione precedente sulla quale si erano costituiti engrammi e quindi identificazioni, stili di vita e comportamenti corrispondenti, aveva attratto a sé gli eventi, le esperienze, le relazioni corrispondenti, ora per effetto della legge di repulsione, che respinge da sé tutto ciò che non è più consonante, osserviamo il distacco, l’allontanamento, la fine di ciò che caratterizzava il “prima” e la nostra pregressa identità.

È una fase di “vuoto”, di transizione da un ordine precedente ad un nuovo e più vitale ordine interno.

La nostra scala di valori, in questa fase, subisce importanti modifiche, e allo stesso modo, come naturale conseguenza, nuove scelte e opportunità si affacciano per effetto di una mutazione interna che sempre tocca la nostra identità. È un vuoto apparente quello che affiora, corrisponde in realtà all’apertura di uno spazio del tutto nuovo, è la percezione inconsueta dell’assenza di forme che può generare un senso di disorientamento.

Lo sguardo è fiducioso e fermo sul futuro e poggia sicuro sulle fondamenta nuove. L’orizzonte, ponte fra cielo e terra, è carico di promesse, di nuovo senso, di opportunità, di nuove scelte possibili.

Ecco apparire nel campo la Volontà (Padre). Essa si traduce in volontà di significato, volontà di imprimere alle energie liberate una nuova e più creativa direzione, volontà di aderire ad un progetto verso il quale ci sentiamo chiamati; volontà di autorealizzazione, volontà di bene, volontà di trascendere i confini limitati e angusti del nostro io personale a favore di un tutto più ampio che ci comprende e ci trascende.

È la volontà di rinnovamento delle piccole e grandi cose presenti nella nostra vita.

La guarigione è l’atto sacro e sublime di ricostituzione della relazione con la Vita.

Nostro compito è eliminare gli ostacoli che impediscono lo scorrere dell’amore e la scoperta che Vita è Amore nello stato di Luce.

Monica Bregola

La psicosintesi

La Psicosintesi

 

 Assagioli uovo02

 

L’essere umano è una locanda

ogni mattina arriva qualcuno di nuovo.

Rumi

Accade talvolta che a far scattare la molla della crisi sia proprio questa sorta di inevitabilità ripetitiva, come una condanna, spesso vissuta come una prigionia che nasce dalle nostre stesse scelte. Ma queste scelte, attraverso cui abbiamo costruito la nostra vita, erano davvero “nostre?”. Oppure la difficoltà è scatenata da un evento grave come una malattia. Spesso all’apice di una crisi giunge il momento in cui l’opportunità che ci viene offerta è quella di interrogarci, di andare a fondo nella duplice ricerca di dare un senso a ciò che accade in noi e cercare di intonarci e di renderci risonanti nei confronti di ciò che nella profondità dell’essere ha vita, di dare forma a qualcosa di nuovo che percepiamo, seppure indefinito, ma che in realtà è profondamente vero e vitale.

Nasce così un’esigenza, un imperativo etico, un desiderio esistenziale: cercare, svelare, scoprire, dar voce e forma a questo qualcosa di nuovo: dare Vita alla Vita.

La domanda che si affaccia allora alla nostra mente è: “Chi sono io veramente?”

È curiosa la rapidità con cui ci identifichiamo ora con questo ora con quell’elemento interno che ha caratteristiche sue proprie, che si colora di pensieri, di emozioni, modi di vedere se stesso e il mondo.

Le varie parti chiedono e lottano per avere spazio e voce nel campo della nostra coscienza ed essa viene occupata via via – e spesso invasa – da tali personaggi senza che ve ne sia consapevolezza né possibilità di saggio governo. Questi elementi interni sono stati definiti da Assagioli, padre della psicosintesi – che nel secolo scorso ha delineato il modello di sviluppo dell’uomo sano alla ricerca di identità, senso e interezza – subpersonalità ed egli le descrive come: “Insieme di sentimenti, atteggiamenti, rapporti e comportamenti diversi, risultanti dalla combinazione di fenomeni emotivi e mentali, che mettono in moto la realizzazione dei loro scopi al di fuori della nostra coscienza, e indipendentemente da, e perfino contro, la nostra volontà. Alcune corrispondono ai vari ruoli o funzioni che dobbiamo svolgere nella vita. In pratica agiscono come esseri differenti con caratteristiche diverse e anche opposte, tuttavia è possibile coordinarle in una unità superiore. Bisogna riconoscerle, non identificarcisi; il secondo compito è quello di utilizzarle opportunamente, il terzo di modificarle e plasmarle”.

Se ascoltiamo e osserviamo con attenzione questo fluttuare di elementi possiamo scoprire, o meglio, risvegliare in noi “il centro”, l’esperienza profonda dell’Io, ciò che permane al di là delle mutevoli correnti, variazioni interne e degli elementi contrastanti della psiche ai quali spesso è difficoltoso sottrarsi. Nasce l’osservatore. L’Io che osserva se stesso.

Il principio attivo permanente, vera sostanza del nostro essere, il vero Io o Sé di cui l’io quale si manifesta nella coscienza ordinaria è un riflesso proiettato nello spazio e nel tempo. Unico e universale insieme: universale in quanto spirito, in quanto possibilità di infinita effusione col Tutto, unico nella sua essenziale e insopprimibile centralità.

Questo Io va interpretato come un Centro permanente di consapevolezza, di pura energia, il vero Sé dell’uomo, la sua reale Identità. L’Io è Realtà.

Ognuno di noi può e deve fare, del materiale vivente della sua personalità, non importa se argilla, marmo o oro, un oggetto di bellezza, attraverso cui possa manifestarsi adeguatamente il suo Sé transpersonale.” (Roberto Assagioli)

Mentre in primo piano, dunque, viviamo secondo i cliché, le scelte imposte dallo status, quelle imposte dalla propria autoimmagine, dai ruoli sociali, ecc… sullo sfondo appare, delicata ma possibile, la Bellezza, appena percepita, l’ampiezza di un respiro che assapora un nuovo spazio, la leggerezza che nasce dall’imparare l’arte di vivere attraverso una profonda conoscenza di sé e la gioiosa possibilità di assunzione della responsabilità della propria vita.

Gradualmente ecco l’inversione: i contenuti presenti in primo piano scivolano sullo sfondo, mentre in primo piano appaiono alla luce di una nuova e più chiara consapevolezza le potenzialità che affiorano ormai con forza. Progressivamente assistiamo alla trasformazione di noi stessi, della nostra identità, della nostra vita, attraverso scelte più consone e intonate con ciò che siamo, risonanti armoniosamente a ciò che si offre al nostro sguardo e al nostro cuore: la Vita.

Creare, dunque, la capacità di osare vivere, osare scegliere per fare di ogni giorno un’Opera d’Arte

Adattamento sociale o Creatività Esistenziale?

La Creatività trasmuta la coscienza dell’uomo

dagli abissi alle alture luminose dell’Infinito.

Agni Yoga

Le persone creative hanno un pensiero avventuroso

con innovative idee e nuovi concetti

             che rielaborano e rinnovano forme ed assunti capi-saldi del pensiero logico.”

(Rilke)

L’abilità a dare risposte vitali, innovative, libere da basi condizionanti ristrette, l’affermazione di una visione della vita che trascende ciò che è effimero, transitorio e relativo, e la conseguente azione che ne deriva può essere descritta come Creatività.

I valori e i modelli di vita, il passato, le esperienze e gli eventi, hanno condizionato la capacità soggettiva a dare quasi esclusivamente risposte automatiche alle sfide e agli eventi della vita.

Nascita e morte ad esempio possono essere momenti della vita vissuti in modo soggettivamente molto diverso e una visione univoca non è valida per tutte le culture. Parliamo qui di un processo di condizionamento al quale nessuno può sottrarsi. Seppure necessario nelle varie fasi di sviluppo della vita – quando l’essere umano deve incontrare e adattarsi all’ambiente familiare in cui impara progressivamente a orientarsi, a tessere relazioni, a vivere, per poi passare all’ambiente sociale, al contesto culturale e storico del suo tempo nel quale si trova a fare esperienza – spesso queste “condizioni” plasmatrici della coscienza vengono assorbite e riprodotte in automatico, senza che un intervento interno le possa rivedere, ridefinire e ridisegnare da un “centro”.

È possibile definire l’azione creativa?

Potremmo dire che la creatività è un impulso a “rendere nuove tutte le cose”, a far nascere in ogni attimo pensieri nuovi, azioni nuove, parole vive. È sottrarsi alla consuetudine dei gesti, dei gusti, dei modi di pensare stereotipati, della visione della vita che abbiamo introiettato e mai più rimessa in discussione. È uscire dal sonno del nostro quotidiano ripetitivo esistere.

In genere l’uomo vive orientando le proprie scelte di vita secondo codici prestabiliti, o valori condizionati. Krishnamurti direbbe che non vive una vita “presente” a se stesso, ma una vita già nata nel passato, e che affonda le sue radici nel passato, mettendo in moto il già conosciuto, “riproducendo” cioè modelli passati. Riprodurre situazioni già sperimentate, attivando schemi di comportamento e di pensiero, è l’opposto di una azione creativa. In uno stato di coscienza ordinario la vita consta di una serie di reazioni meccaniche determinate da un condizionamento, non esiste quindi una capacità di guidare e di orientare le scelte grazie ad uno stato di effettiva consapevolezza.

L’idea fondamentale è che a questo livello siamo come “addormentati”. Viviamo sognando, ipnotizzati, come automi. Possiamo dire che a questo livello ciò che siamo in grado di fare è “riprodurre”, non “creare”. Lo psicologo Charles Tart ha suggerito la definizione di “trance consensuale” per descrivere lo stato di coscienza ordinario; trance sta a indicare uno stato di induzione suggestiva collettiva che paralizza la volontà intesa come libero arbitrio; consensuale perché il suo valore è comunemente condiviso dagli altri esseri umani.

Il sistema dei valori

Chi concepisce la propria vita come un compito,

prima o poi è destinato ed incontrare il Committente.

Possiamo considerare un “valore” come la ragione per la quale ogni essere umano decide che vale la pena vivere. Un valore rappresenta un motivo, un senso, uno scopo. Ma la scala di valori, seppure soggettiva, è influenzata da mille fattori condizionanti. Dal sistema di valori dello spazio-famiglia nel quale l’individuo si trova a nascere, al sistema di valori sociali nel quale entra a far parte fin dalla prima infanzia, a quelli culturali e religiosi appartenenti al popolo e alla nazione in cui vive, fino a quelli storici che caratterizzano l’epoca nella quale compie l’esperienza della vita.

Di norma, questi valori vengono assorbiti passivamente, senza cioè che sia possibile discriminare e verificare, senza potere operare scelte libere dal condizionamento, in modo consapevole e in autonomia.

Questo scenario tuttavia per alcuni individui è destinato, ad un certo punto della vita, a divenire insoddisfacente, e questo comporta momenti di crisi di vario genere. Possono infatti intervenire esperienze profonde, a volte traumatiche e dolorose, destinate però a mutare il corso degli eventi, a cambiare il corso che abbiamo dato alla nostra esistenza sino a quel momento. Ciò crea scompiglio, disorientamento, a volte angoscia e ribaltamento dell’ordine sino ad allora vissuto. È proprio in questi frangenti, faticosi ed emozionalmente impegnativi da gestire, che la possibilità di ricerca di un senso nuovo può affacciarsi nell’esistenza, la quale a questo punto è destinata a mutare.

La meditazione come scienza e come arte di vivere, ci aiuta a cercare e a scoprire le nuove risorse presenti potenzialmente in noi. Esse generalmente sono sconosciute a noi stessi, e spesso le persone affermano, dopo essere uscite da una esperienza di vita toccante, che non immaginavano quanta forza fosse presente in loro, che la loro vita si è gradualmente trasformata, che la loro stessa percezione della vita è mutata e che la loro stessa identità, trasformandosi a livello profondo, ha permesso una autentica nuova nascita a se stessi, agli altri esseri e alla vita.

La ricerca di questi valori, che potremmo definire della coscienza o etici, pone in luce una rinnovata visione della vita, che si esprime innanzi tutto sul piano interiore, e inizia con il precipitare di nuove “matrici” che solo successivamente assumeranno una forma definita in pensieri, sentimenti, scelte, azioni e comportamenti corrispondenti.

I nuovi valori sono infatti racchiusi, come semi luminosi, nel bocciolo della rosa del nostro Io che fiorisce, nel Graal dello spazio del cuore, in quel luogo di preziosità e mistero in noi.

I valori possono perciò mutare, anche profondamente e conseguentemente i modelli di vita che costruiremo per realizzarli. Se i valori sono le ragioni fondanti del nostro essere qui, i modelli corrispondono alle forme che le suddette ragioni assumono per potersi realizzare.

 

Monica Bregola

L’Io – L’Eroe

Sebbene possa sfuggire come il nucleo centrale della coscienza, quale l’Io si rivela, possa essere un archetipo, non appartenendo in realtà alle istanze dell’inconscio, ma del conscio, dobbiamo pensare che l’Io in quanto tale, già secondo la psicanalisi freudiana, emerge dall’inconscio per costituirsi come il punto di riferimento di tutta la vita cosciente. Esso quindi è l’archetipo cosciente originato dall’inconscio collettivo: è il metallo vile che si distingue sì dalla materia indifferenziata, ma pur sempre vile. Il suo fondamento è la prima materia che fornisce la possibilità della trasformazione dell’Io-piombo in Io-oro. La trasformazione dell’Io è un processo complesso e che rappresenta bene nel suo contrasto con l’Ombra la storia di ciascun individuo che con un atto eroico modella la sua personalità contro i “mostri” che appartengono alla sfera inconscia e che vengono combattuti e rigettati nell’abisso.

Se il bambino secondo Melanine Klein si ritrova in un mondo indifferenziato, fuso con la dimensione materna, successivamente alla nascita, l’ambiente e la stessa ereditarietà portano l’Io a emergere dal grande mare dell’inconsapevolezza. Attraverso una serie di scelte che vengono operate in favore o contro qualcosa, di battaglie vinte o perdute, di “tentazioni” a cui si ha ceduto o a cui si ha resistito, l’Io trova la sua costituzione e la sua dimensione. Tutta la storia dell’Io è una storia di battaglie nel tentativo, come centro di tutta la personalità, di conciliare le istanze più diverse: da una parte quelle degli istinti e dall’altra quelle imposte dall’ambiente. Come è naturale, ciò che viene sconfitto dall’Io torna nel mare in cui l’Io stesso ha le sue radici, e non muore, ma continua la sua vita al di sotto della soglia della coscienza, per mostrarsi all’Io come l’Ombra, il nemico da sconfiggere.

Leggi tutto “L’Io – L’Eroe”

antonio capriglia

L’anima e l’animus

 Anima è la controparte sessuale dell’Io, l’archetipo anima-animus si realizza come anima nell’uomo e animus nella donna. Questo introduce il principio fondamentale che la psiche è androgina e che la consapevolezza di quest’androginia psichica è un passo fondamentale per arrivare alla Grande Opera, cioè la coincidentia oppositorum. L’androgino è infatti il simbolo che rappresenta la metafora esoterica della necessità dell’essere umano di ricostituire l’unità della sua personalità scissa, che è un nuovo elemento di progressione nell’individuazione (cioè quel processo che porta alla non divisione), il termine psicologico a cui gli alchimisti preferivano la parola “conoscenza aurea”. Leggi tutto “L’anima e l’animus”

I sette specchi esseni

I SETTE SPECCHI ESSENI

di Gregg Braden

tratto dalla trascrizione della videoconferenza “Camminare tra i mondi”

Gli antichi Esseni forse identificarono meglio di chiunque altro il ruolo dei rapporti umani, riuscendo a dividerli in 7 categorie: 7 misteri corrispondenti ai vari tipi di rapporto che ciascun essere umano avrebbe esperimentato nel corso della sua vita di relazione. Gli Esseni li hanno definiti “specchi” e ci fanno ricordare che in ogni momento della nostra vita la nostra realtà interiore ci viene rispecchiata dalle azioni, dalle scelte e dal linguaggio di coloro che ci circondano.

* * *

Il primo specchio esseno, dei rapporti umani, è quello della nostra presenza nel momento presente.

Il mistero del primo specchio è incentrato su cosa noi inviamo nel momento presente, alle persone che ci stanno accanto.

Quando ci troviamo circondati da individui e modelli di rapporto di comportamento in cui domina l’aspetto della rabbia o della paura, lo specchio funziona in entrambi i sensi, potrebbe invece trattarsi di gioia, estasi e felicità, ciò che vediamo nel primo specchio è l’immagine di quello che noi siamo nel presente. Chi ci è vicino ce lo rimanda, rispecchiandoci.

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Il secondo specchio esseno, dei rapporti umani, ha una qualità simile alla precedente ma è un po’ più sottile. Anziché riflettere ciò che siamo, ci rimanda ciò che noi giudichiamo nel momento presente.

Se siete circondati da persone, i cui modelli di comportamento vi provocano frustrazione o scatenano la vostra rabbia o astio e se percepite che quei modelli non sono vostri in quel momento, allora chiedetevi: Mi stanno mostrando me stesso nel presente? Se potete onestamente rispondervi con un no c’è una buona probabilità che vi stiano invece mostrando ciò che voi giudicate nel momento presente. La rabbia, l’astio o la gioia che voi state giudicando.

Pensiamo a quando varie persone impersonano gli stessi modelli per voi esprimendo rabbia ed astio. Vi è mai capitato di essere irritati o ansiosi di arrivare da qualche parte e di salire in macchina rendendovi conto che avete fatto continuamente delle scelte sbagliate: in banca avete scelto la fila più lenta, avete sbagliato la rampa di accesso nel raccordo stradale, e ora mentre guidate vi ritrovate dietro a macchine che vanno a 50 Km all’ora in una strada dove si potrebbe andare a 100? Può darsi che quelle persone vi stiano riflettendo ciò che siete in quel momento.

Spesso il mistero del primo specchio rappresenta esattamente ciò che sta succedendo A volte siamo in presenza di persone che ci rimandano come siamo in quel momento e altre volte non è così. Allora la gente dice che gli specchi non funzionano.

Invece funzionano! Se abbiamo la saggezza di comprendere cosa ci stanno dicendo.

Alcuni anni fa ho avuto la rarissima possibilità di vedere entrare nella mia vita tre persone diverse durante lo stesso mese. Avrebbe dovuto essere un segno premonitore abbastanza chiaro per me! Quando tre nuovi rapporti umani, diversi fra loro, si presentano durante lo stesso mese, è come una bandierina che dice: “ Qui sta per accadere qualcosa! Credeteci!

Uno era un potenziale rapporto amoroso.

Un altro era un potenziale rapporto d’affari.

Il terzo era un misto di amicizia e di lavoro.

Fu ciascuna di quelle tre persone a venire da me, ognuno di loro mi aveva cercato. Questo avrebbe dovuto essere il secondo segno.

Il rapporto amoroso riguardava una persona con cui avevo lavorato; avevamo passato molto tempo insieme scoprendo vari interessi comuni e stare con lei aveva senso per me. Non era tanto una potente attrazione magnetica, quanto la cosa giusta da fare.

Il secondo rapporto, quello d’affari, era molto interessante. Ero occupatissimo a svolgere seminari a tempo pieno in quel momento e una persona, un uomo, venne da me offrendosi di curare gli aspetti logistici del mio lavoro, il che mi avrebbe permesso di fare altre cose, che mi premevano di più, mentre lui avrebbe potuto svolgere compiti che gli riuscivano facili. Sembrava una buona idea.

Il terzo rapporto era di amicizia e quasi di affari e riguardava un bravissimo falegname che si offrì di prendersi cura della mia casa nel Nuovo Messico Settentrionale durante l’autunno successivo quando avrei condotto un gruppo in Egitto.

In effetti avevo già cominciato a cercare qualcuno che abitasse nella mia proprietà, quindi anche quella mi sembrò una cosa giusta da fare.

L’uomo mi disse che gli sarebbe piaciuto stare da me in cambio di servizi di falegnameria e di custodia della casa.

Tutto mi accadde quasi contemporaneamente in un periodo della mia vita in cui ero veramente molto impegnato.

Io decisi di farlo e in quello stesso mese ciascuno delle tre persone che erano entrate nella mia vita, ognuna di loro cominciò a farmi impazzire. Mi facevano veramente imbestialire. C’era un modello che mi si era presentato varie volte nella mia vita. Quando le cose mi rendevano furioso, io usavo la logica e mi dicevo: “Beh, sei solo stanco, hai viaggiato molto, sei sotto pressione, in questo momento, prenditi un’altra settimana di tempo forse due, per vedere come vanno le cose.” Quindi partivo – e l’ho fatto anche con quelle persone. Facevo un viaggio, tornavo una decina di giorni dopo e tutto era come prima, e allora ripartivo.

Avevo una routine a quell’epoca. Facevo un viaggio, tornavo all’aeroporto di Albuquerque, mi fermavo al bancomat per prelevare dei contanti, andavo a prendere i miei animali dal veterinario che li aveva in custodia, tiravo fuori l’auto dal parcheggio, facevo il pieno e guidavo per quattro ore fino a casa nel Nuovo Messico del Nord.

Durante quello specifico viaggio iniziai la solita routine e non andai molto lontano perché, arrivato al Bancomat dell’aeroporto di Albuquerque, alle 5 di pomeriggio, mi vidi recapitare il messaggio che sul mio conto non c’era più niente.

Sapevo che si trattava di un errore e che il conto era ben fornito, perché mi era appena stato concesso un permesso di costruzione per un’attività da realizzare sulla mia proprietà ed avevo molti soldi a disposizione per questo. Quindi decisi che avrei verificato tutto il lunedì mattina successivo.

Guidai fino a casa e il lunedì mattina, puntualmente chiamai la banca dove mi dissero che non solo non c’era denaro sul conto ma che avevo anche 71 assegni scoperti e che per ciascun assegno c’era una penale da pagare.

Poi mi chiesero quando sarei potuto passare in banca a discutere la situazione.

Ci andai immediatamente

Uno di quegli assegni era all’ordine del mio caro amico Jerry Home e questo è il modo in cui ci siamo conosciuti.

Andai in banca e chiesi cos’era successo. Mi risposero che c’era stato un prelievo per mezzo di un bonifico telegrafico, che non era stato autorizzato da me, nonostante la banca avesse creduto il contrario e che tutto il denaro era stato prelevato fino all’ultimo centesimo. Quindi gli assegni che avevo già emesso erano scoperti e mi erano stati addebitati.

Quando qualcosa del genere accade non c’è nessun senso nel razionalizzare. Non si può farci niente.

Siccome non avevo neanche i soldi per fare benzina e per riprendere i miei animali dal veterinario, fui costretto a cercare di rendermi conto pienamente di cosa mi stava succedendo. Ricordo di aver pensato: “Santo cielo! Qui sta succedendo qualcosa di grosso”. Avevo appena terminato di svolgere una serie di seminari nel Nord Ovest del Pacifico durati circa un mese e gli organizzatori di quei programmi mi stavano dando mille ragioni per cui non c’erano ancora fondi per pagarmi. Nel frattempo l’uomo che viveva nella mia proprietà in cambio di lavori di falegnameria – questo è un argomento veramente molto delicato per me – diciamo che aveva scelto uno stile di vita che non solo non corrispondeva a quello della nostra proprietà, ma era anche illegale nello Stato del Nuovo Messico ed io gli avevo chiesto di cambiare stile di vita.

Quindi tutte quelle cose mi accadevano contemporaneamente ed io mi sono detto: “Ebbene, se è vero che gli specchi funzionano, ovviamente me ne vengono presentati alcuni in questo momento. Cosa mi stanno dicendo?” Sono così andato a fare una passeggiata – non avevo molta scelta quel giorno – in una bellissima strada che da casa nostra si inoltra per circa quattro miglia fino alle gole del Rio Grande ed è un meraviglioso santuario naturale. Lungo quella strada c’è un’enorme montagna, chiamata il “Pick”.

Gli indiani raccontano un sacco di storie su quella montagna sacra che segna la fine dei loro terreni di caccia. Avevo immaginato dei libri e condotto interi seminari su quella strada e poi ero andato a casa e li avevo trascritti al computer.

Mi chiesi nuovamente: “Se gli specchi funzionano, che aspetto di me stanno riflettendo queste persone?” Sapevo che avrei dovuto trovare un filo conduttore comune. Quindi cominciai ad analizzare cosa rappresentava per me ciascuno di quei rapporti. Analizzai molte possibilità e quando ebbi finito sapevo che ciascun rapporto era collegato ad elementi di onesta, integrità e fiducia. Quindi mi sono detto: “Se questo specchio è vero, se queste persone stanno riflettendo tali modelli di comportamento, mi stanno forse mostrando che in qualche modo io manco di onestà, di integrità o di fiducia?”

Ed ancora prima che io formulassi quella frase ero certo che non fosse così, perché quelle erano proprio le qualità che applicavo nel mio lavoro. Esattamente quelle. Allo stesso tempo ebbi un’illuminazione, così potente e sottile che mi fece realizzare questo: Gli specchi non mi stavano mostrando – come avevo pensato – un riflesso di ciò che io ero nel momento presente, mi stavano invece proponendo un’immagine più sottile: lo specchio di ciò che io giudicavo in quel momento, lo specchio di come giudicavo, proprio in quel momento. Solo questo.

Avevo in me una fortissima carica su l’onestà, integrità e fiducia. Era una carica tale che non ero disposto a permettere che esistesse in altre persone. Quando avete una carica emotiva su qualcosa, che cosa vi promette? Promette che la incontrerete nella vita. Io avevo quella carica.

Ciascuna delle tre persone che erano entrate nella mia vita – ora lo so – era un potente ed abile maestro che impeccabilmente ha retto uno specchio davanti a me riflettendo le mie cariche più potenti. Il processo fu relativamente breve, anche se sarebbe potuto durare per anni. Forse era stato davvero così, forse quegli specchi mi erano già stati mostrati per molto tempo a dei livelli tanto sottili che non li avevo riconosciuti. Poi erano divenuti sempre meno impercettibili, fino a che successe qualcosa che non avevo potuto ignorare.

In quel momento della mia vita mi fu mostrato quello specchio, in quel momento avevo davanti a me il secondo mistero dei rapporti umani ciò che giudichiamo nel momento presente.

A proposito dell’uomo che si era offerto di organizzare i miei seminari, l’attimo in cui ci eravamo conosciuti a casa di un comune amico in California del Nord, era successo qualcosa di interessante. Non ci eravamo ancora incontrati di persona. Avevamo solo parlato per telefono e appena lo vidi gli posi una domanda che faccio raramente: “Qual è la sua data di nascita?” Rispose “28 giugno 1954”. Ed io ne fui molto stupito perché era anche la mia! Lo stesso giorno, mese e anno!

Anch’io come tutti quelli del segno del Cancro vivo in un mondo fatto di sentimenti, sono un doppio segno del Cancro e questo significa il doppio di sentimenti, inoltre ho 5 o 6 pianeti nella dodicesima casa, tutti nel segno del Cancro, quindi il mio mondo è un mondo di sentimenti. Il mio sentiero di vita è stato quello di conciliare il sentimento con il mondo accademico e scientifico attraverso il lavoro nelle imprese e nelle università. Ho guardato in faccia quell’uomo e gli ho detto che, sicuramente anche lui, aveva avuto le stesse esperienze. Un altro uomo del Cancro! Che fantastica persona con cui entrare in affari! Lui allora mi guardò direttamente negli occhi e mi disse qualcosa di cui non tenni conto perché stavo usando la logica. “Ah, io sono il suo gemello negativo” mi rispose. Io non ascoltati, perché la logica mi diceva “Sta solo scherzando”, però provavo una strana sensazione qui, anche con l’uomo che si trasferì nella mia proprietà per prendersene cura in cambio di ospitalità provai una certa sensazione ma non ci feci attenzione, perché la mia logica diceva: non lo conosci nemmeno, perché lo giudichi?

Anche nel rapporto amoroso provai una certa sensazione e la mia logica mi disse: Beh, quella sensazione ti viene dall’ultima volta in cui hai sofferto, quindi dai una possibilità a questo nuovo rapporto!

La ragione per cui vi racconto queste storie è che in ciascuna di esse provai una sensazione immediata e che ciascuna mi procurò più di una lezione, come ho detto anche ad altri che hanno trovato questi esempi molto stimolanti. Era una lezione di cui non mi importava in quel momento.

Durante la settimana in cui io riconobbi il modello del giudizio e cioè che ciascuna di quelle persone era un maestro nel rispecchiarmi le cose che giudicavo, ogni altro rapporto che esisteva in virtù del giudizio critico, iniziò a scomparire dalla mia vita. E’ un effetto a catena. Ve lo dico perché so che funziona proprio così. Se vivete un certo modello in un area della vostra vita, esso rispunta anche altrove e una volta che viene guarito ed appianato, anche in una sola aerea, guarisce dappertutto, simultaneamente, perché la nostra natura è oleografica. La consapevolezza funziona così: si riflette su moltissimi livelli diversi.

Il rapporto con l’uomo che si era offerto di entrare in affari con me non funzionò affatto, anche se io sentivo di avergli dato ampie opportunità.

In effetti però funzionò bene perché mi offrì uno specchio, anche se non sapevo cosa mi stava mostrando. Quindi un bel giorno chiamai quell’uomo al telefono e gli dissi: “Non intendo più lavorare con te”. La conversazione in realtà fu un po’ più elaborata, ma non voglio dilungarmi troppo. Riagganciai il ricevitore e nel farlo mi resi conto di aver appena disdetto tutti i miei programmi, tutte le mie fonti di reddito e per i 6 mesi successivi. Era un sabato pomeriggio e passai tutto il resto del giorno e la domenica a riflettere sul da farsi. La domenica sera trovai sulla segreteria telefonica il messaggio di una donna che non conoscevo che aveva sentito parlare dei miei seminari da amici comuni e che mi chiedeva di richiamarla.

Mi disse che era interessata a sponsorizzarmi e a creare programmi per me in tutto il paese se accettavo di collaborare con lei. La prima cosa che le chiesi fu: “Qual è la sua data di nascita?” Lei disse “28 giugno 1954”. E’ una storia vera! La mia prima reazione fu di chiudere la comunicazione ma non riuscii a farlo e le raccontai tutta la storia. Lei mi chiese se intendevo dare una possibilità alla sua proposta. Questa volta feci attenzione a cosa sentivo e c’era qualcosa di diverso, perciò dissi di sì.

Oggi quella donna è coordinatrice di seminari, svolge laboratori per conto suo ed ha scritto molti libri. Si chiama Joan Carrol Cornak, se la conoscete.

Io non ho permesso al primo rapporto di inquinare il secondo perché sono riuscito ad aver fiducia in ciò che sentivo e a capire il significato della sensazione che provavo e si è realizzato fra noi un rapporto molto forte. Ed è stato attraverso quella persona che ho incontrato Melissa.

Riassumendo, è interessante come funzionano queste cose, attraverso il secondo specchio del giudizio critico, mi è stato mostrato quali erano le mie più grosse cariche. Non tanto cosa io ero, quanto ciò che io giudicavo nel momento presente ed ho imparato una grande lezione sul discernimento e sulla fiducia.

E’ stata una lezione relativamente poco gravosa in paragone di ciò che è venuto immediatamente dopo, perché ho cominciato ad avere a che fare con creditori, contratti ecc. E attraverso il mio potere di discernimento, ho evitato seri problemi potenziali. Quindi vi invito a passare in rivista le vostre vite, le persone che vi sono più care, perché sono quelle che fanno da calamita, siano esse relazioni amorose oppure rapporti di famiglia – questi ultimi non ci è dato di sceglierceli. Osservate le caratteristiche che le persone usano nel premere i vostri bottoni e chiedetevi: “Mi stanno mostrando me stesso nel momento?” Se la risposta onesta è “No”. Allora chiedetevi questo: “Mi stanno mostrando ciò che io giudico nel momento?” La risposta potrebbe sorprendervi.

* * *

Il terzo specchio esseno dei rapporti umani è uno degli specchi più facili da riconoscere, perché lo percepiamo ogni volta che ci troviamo alla presenza di un’altra persona, quando la guardiamo negli occhi, e in quel momento accade qualcosa di magico. Alla presenza di questa persona, che forse non conosciamo nemmeno, sentiamo come una scossa elettrica, forse anche la pelle d’oca sulla nuca o sulle braccia. Che cosa è appena successo, in quell’attimo?

Attraverso la saggezza del terzo specchio ci viene chiesto di ammettere la possibilità che, nella nostra innocenza, noi rinunciamo a delle grosse parti di noi stessi, per poter sopravvivere alle esperienze della vita. Possono venir perse, senza che noi ce ne rendiamo conto, o forse le perdiamo consapevolmente o ancora ci vengono portate via da coloro che hanno un potere su di noi.

Talvolta quando ci troviamo in presenza di un individuo che incarna proprio le cose che abbiamo perduto e che stiamo cercando, per poter ritrovare la nostra interezza, i nostri corpi esprimono una risposta fisiologica per mezzo della quale realizziamo di nutrire un’attrazione magnetica verso quella persona.

Se vi trovate in presenza di qualcuno e, per qualche motivo inspiegabile, sentite l’esigenza di passare del tempo con quella persona, ponetevi una domanda: che cosa ha questa persona che io ho perduto, ho ceduto, o mi è stato portato via? La risposta potrebbe sorprendervi molto perché in realtà riconoscerete questa sensazione di familiarità, quasi verso chiunque incontriate. Cioè vedrete delle parti di voi stessi in tutti. Questo è il terzo mistero dei rapporti umani.

Nel 1992, stavo svolgendo una serie di seminari molto simili a questo in un bellissimo posto che, a quell’epoca, era una pensione ed un centro per ritiri spirituali.

Avevamo affittato l’intera struttura, incluso la grande sala al pian terreno, dove ogni sera guardavamo i nostri video. Una sera stavamo guardando uno stupefacente video con Richard Holden che presentava una conferenza alle Nazioni Unite durante una sessione speciale di argomento archeologico incentrato su ciò che, secondo lui, era stato trovato su Marte nel 1976 dal progetto della sonda Viking. Era buio, la porta si aprì ed entrarono due persone che chiesero una stanza e, naturalmente, la pensione era tutta occupata da noi.

Videro ciò che stavamo guardando e lo trovarono molto interessante, perciò chiesero di restare con noi ed io acconsentii. Alla fine della proiezione, quando si riaccesero le luci, guardai le due nuove arrivate, che erano due viaggiatrici e notai che stranamente una di loro aveva un aspetto molto familiare. Non l’avevo mai incontrata prima e tuttavia sentivo un senso di familiarità. Vi è mai successa la stessa cosa, magari in un aeroporto, in una stazione, in un centro acquisti? Anche le drogherie sono ottimi posti, perché lì nessuno ci pensa né ha aspettative di sorta.

All’improvviso, anche se non stai cercando di incontrare gente o di procurarti qualcosa consciamente, qualcuno viene verso di te e tu percepisci questa persona che ti passa davanti e dici: “Santo cielo che cosa è stato?” Forse i nostri occhi si incontrano e per una frazione di secondo avviene una piccola magia, scocca una scintilla di riconoscimento reciproco.

Nella nostra società questo comportamento non è bene accetto, perciò spesso troviamo il modo di distaccarcene. Se siamo per strada faremo qualcosa come mandare indietro i capelli, o come fissare una gomma da masticare appiccicata sul selciato o qualunque altra cosa che interrompa quel contatto.

Che cosa succede in quel momento? Cosa succede quando guardate così qualcuno e sentite quel senso di familiarità?

Ad un certo punto della mia vita ho lavorato con un gruppo di ingegneri e uno di loro provava sensazioni simili molte volte al giorno. Di regola gli accadeva con le donne. Ad esempio usciva dall’ufficio per pranzo oppure per riscuotere lo stipendio in banca o per fare qualche commissione il venerdì pomeriggio. Poi tornava, si sedeva immobile alla scrivania. Allora io gli chiedevo se c’era qualcosa che non andava e lui mi rispondeva: “Non riesco a lavorare, mi sono innamorato durante la pausa-pranzo.” Il mio collega si innamorava varie volte al giorno. Questo gli rendeva la vita un inferno.

Questo è il modo in cui gli specchi si presentano a noi e questa è la ragione per cui vi racconto delle storie vere. Gli succedeva così spesso che noi colleghi avevamo perfino dato un nome a quell’effetto, lo chiamavamo Effetto Schiaffo. Lui usciva per pranzare e poi tornava e diceva sono stato schiaffeggiato 5 volte. Voleva dire che si era innamorato 5 volte. Riprendevamo il lavoro e intanto lui faceva cose diverse come chiamare la banca dove aveva incassato l’assegno per chiedere chi era la terza impiegata da sinistra, poi le telefonava e la invitava a prendere un caffè. Lei rispondeva di sì e mentre prendevano il caffè, lui osservava la cameriera e sentiva che se ne stava innamorando. Succedeva continuamente ed era un vero problema per lui perché aveva una moglie e due bei bambini a cui voleva molto bene. Quello che vi ho narrato era un caso estremo ma ve l’ho mostrato come esempio perché è molto appropriato.

Cosa succede nel momento in cui proviamo quella sensazioni?

Ebbene sto per raccontarvi ciò che è accaduto a me… Quella famosa sera, le luci si accesero, le donne erano lì sedute e quando guardai negli occhi una di loro ebbi la sensazione che accadesse qualcosa di magico. Lei ed io continuavamo a parlare anche dopo che tutti erano andati a dormire. Allora le chiesi se le andava di fare una passeggiata e lei acconsentì. La cittadina era così piccola che per attraversarla bastava un minuto. C’erano un museo, un ufficio postale, una gelateria e si era visto tutto.

La donna ed io abbiamo percorso quel tragitto molte volte quella sera e poi alla fine ci siamo augurati la buona notte, senza che io le avessi chiesto come si chiamava, perché pensavo che la cosa sarebbe finita lì.

Alla fine del seminario sarei dovuto rientrare nel nuovo Messico […]. Il mattino in cui dovevo partire […]. Mentre guidavo mi fermai ad un semaforo, alzai lo sguardo e all’angolo vidi proprio la donna che avevo conosciuto la sera prima. Lo vedete questa storia alla fine ha la sua coerenza. Lei mi vide e venne verso la mia macchina per salutarmi, intanto il semaforo era diventato verde e la gente aveva cominciato a suonare il clacson. Allora le chiesi se aveva già pranzato e lei mi disse di no, quindi la invitai a salire in macchina. Andammo a comprare le ultime cose per il gatto e poi ci recammo in un delizioso piccolo caffè quasi fuori città dove ci sedemmo a parlare.

E parlammo, parlammo, parlammo… Restammo lì tutta la mattina. La gente che era venuta a far colazione se ne andò e il caffè diventò molto tranquillo, poi arrivarono i clienti dell’ora di pranzo, poi anche loro se ne andarono e ci fu di nuovo molta quiete. La donna doveva ripartire per la costa Orientale ed io per il Nuovo Messico. Alla fine ci dicemmo: “Beh, visto che dobbiamo partire sarà meglio muoverci.” Lei mi accompagnò alla macchina, le diedi un bacio d’addio sulla guancia e… ancora oggi non so quale sia il suo nome.

Mentre la guardavo allontanarsi mi successe questo: sentii una grande tristezza dentro di me perché iniziavo già a sentire la sua mancanza. La osservai partire a bordo della sua auto e vidi le luci posteriori sparire lungo la strada. Dieci anni fa se mi fosse successa una cosa simile avrei detto che mi ero innamorato e avrei fatto qualcosa di molto romantico, come saltare in macchina per inseguirla, fermarla sull’autostrada e dirle cosa provavo per lei. Sapevo che mi stava succedendo qualcosa ma sapevo anche che non si trattava di questo. Rimasi seduto in macchina e all’improvviso cominciarono a scendermi sul viso delle grosse lacrime. Ricordo di aver pensato: Santo Cielo, questa deve essere una lezione veramente potente!

Prima c’era stata quella sensazione di familiarità, ora c’era tristezza perché la donna stava partendo.

Mi limitai a chiudere gli occhi ed a pormi una domanda come faccio spesso, dicendo: ”Padre chiedo che mi venga data la saggezza necessaria per comprendere la sensazione che prova il mio corpo.”

Quando si fa una domanda come quella di solito ci si aspetta una risposta, invece io ottenni un’altra domanda; mi stavano facendo lavorare! La domanda era semplice! “Che cos’ha questa donna che ti manca?” Io non avevo pensato al “cosa” sapevo solo che mi mancava!

Cominciai a riflettere su tutto ciò di cui avevamo parlato e ciò che avevamo condiviso la sera prima e al caffè e capii che quello che mi mancava veramente era la sua innocenza, la sua capacità di stupirsi delle cose. Era qualcosa di molto importante per me in quel momento della mia vita, perché ero passato attraverso il mondo accademico, il viaggio sacro nell’accademia e avevo trascorso molto tempo nel mondo aziendale.

Tutto questo ha un costo, lo sapete anche voi. Cioè nel ricordare e nello sviluppare la conoscenza noi perdiamo l’innocenza.

[…]

Così quando capii che cosa mi mancava di quella donna, seppi che non me ne ero innamorato e che lei in poche ore era stata capace di reggere davanti a me lo specchio di una grande parte di me stesso che avevo perduto per ottenere ciò che mi ero prefisso di avere nella mia vita..

Credo che l’abbiamo fatto tutti in una certa misura. Tutti abbiamo ceduto consciamente delle grosse parti di noi stessi oppure le abbiamo perse senza neanche accorgercene, o ci sono state portate via da coloro che hanno avuto potere su di noi. E tutto questo l’abbiamo fatto per sopravvivere.

Forse oggi più che mai in questa fase dell’umanità e della storia geologica, noi chiediamo a noi stessi di riportare a casa quelle parti di ognuno di noi per poterci conoscere nella nostra interezza e per avere l’esperienza di vita che scegliamo.

Quella fu un’esperienza fantastica per me. Sapevo che quella donna mi aveva mostrato il terzo specchio esseno dei rapporti umani: quello che abbiamo perso, ceduto o che ci è stato portato via.

La verità di quest’esperienza è che se siamo veramente sinceri gli uni con gli altri, veri gli uni con gli altri, possiamo vedere e sentire una porzione di noi stessi, semplicemente guardando negli occhi quasi tutte le persone che incontriamo.

Possiamo cioè provare la sensazione del riconoscimento, della familiarità. Vi invito a percepire in voi questa sensazione. Fatelo in luogo pubblico, non importa se è in una stazione, in un aereoporto, o dal fruttivendolo, perché la gente in quei luoghi non si aspetta quel tipo di esperienza.

Quando qualcuno entra nel vostro campo di consapevolezza e sentite quella sensazione, iniziate una conversazione su qualunque argomento, se vi succede come spesso accade, nella sezione della frutta, parlate di frutta e dite: “Hmm! Che buon profumo! Che bell’uva! Che belle banane!”. Non importa che cosa dite. Iniziate una conversazione e, mentre i vostri interlocutori parlano, ponetevi mentalmente questa domanda: “Cosa vedo in questa persona che io ho perso, ho ceduto o che mi è stato preso?” La risposta vi sorprenderà, ve l’assicuro.

* * *

Il quarto specchio esseno dei rapporti umani è una qualità un po’ diversa. Spesso nel corso degli anni ci accade di adottare dei modelli di comportamento che poi diventano tanto importanti da farci riorganizzare il resto della nostra vita per accoglierli.

Sovente tali comportamenti sono compulsivi, creano dipendenza. Il Quarto mistero dei rapporti umani, ci permette di osservare noi stessi in uno stato di dipendenza e compulsione. Attraverso la dipendenza e la compulsione, noi rinunciamo lentamente proprio alle cose a cui teniamo di più. Cioè mentre le cediamo, poco a poco vediamo noi stessi lasciare le cose che più amiamo. Ad esempio, quando parliamo di dipendenza e compulsione, molte persone pensano all’alcol e alla nicotina che sono certamente capaci di creare tali stati.

Ma ci sono altri modelli di comportamento più sottili come l’esercizio di controllo in ambiente aziendale o in famiglia o come la dipendenza dal sesso, dal possedere o generare denaro e abbondanza, anche questi sono esempi di compulsione e dipendenza.

Quando una persona incarna un simile modello di comportamento, può star certa che il modello, che pur è bello di per sé, si è creato lentamente nel tempo. Poco a poco, noi rinunciamo alle cose che ci sono più care. Se riorganizziamo le nostre vite per far posto al modello dell’alcolismo o all’abuso di sostanze forse stiamo rinunciando a porzioni della nostra vita rappresentate dalle persone che amiamo, dalla famiglia, dal lavoro, dalla nostra stessa sopravvivenza.

Il tratto positivo di questo modello è che può essere riconosciuto ad ogni stadio, senza bisogno di arrivare agli estremi perdendo tutto. Possiamo riconoscerlo, guarirlo, e ritrovare la nostra interezza ad ogni stadio.

Alcuni anni fa ho condotto, nel Sud-Ovest del Paese, un seminario composto da 40 uomini, tutti uomini – che diede ottimi risultati. Alcuni dei partecipanti erano dei cowboys, dei ragazzi che non si sarebbero tolti il cappello e gli stivali per nessun motivo al mondo.

Mi dissero: “Posso abbracciare un uomo in questa stanza, ma non lo farò mai là fuori”. Per loro fu molto importante ricevere questa piccola informazione sul quarto specchio, perché erano tutti sposati, volevano bene alle loro mogli ed erano tutti continuamente attratti da altre donne al lavoro, o in ufficio e non capivano il perché.

Questo è uno specchio potente che si applica anche al mondo aziendale ed io l’ho fatto.

Ero manager nel settore delle telecomunicazioni, dirigevo due dipartimenti separati e collegati dove c’erano degli impiegati che credevano di essere innamorati gli uni degli altri. Di per sé non era un problema, anche se causava grossi sprechi di tempo: pause pranzo molto lunghe, un sacco di gomme forate, molti bambini ammalati, nonni deceduti…

Io sospettavo che si trattasse proprio di questo. E’ da notare che il valore di questi principi sta nel fatto che li possiamo applicare nella vita di ogni giorno. Infatti invitai due degli impiegati – entrambi felicemente sposati – nella stanza delle riunioni e in tutto rispetto della loro privacy, chiesi loro di guardarsi negli occhi e di condividere che cos’era che li attraeva.

Diedi quasi un respiro di sollievo, quando i due si resero conto che in realtà non erano innamorati, che non dovevano rischiare di rinunciare alle loro beneamate famiglie e che in realtà ciascuno vedeva nell’altro delle ampie parti di sé, che aveva perso.

Che specchio potente!

Un altro esempio: nel 1998 quando lavoravo per il programma Star… a Sud di Denver, alcuni alti ufficiali del Pentagono ci fecero visita per revisionare il programma. Ciascun dipartimento designò un delegato ed io, non so come, finii per essere scelto.

Dopo la riunione ebbi l’opportunità d’incontrare personalmente alcuni degli ufficiali e di partecipare ad una conversazione, proprio prima di cena, durante la quale una persona del gruppo si rivolse ad un membro dell’équipe, che aveva raggiunto il rango di Corporate American e che rientrava tra i capi del personale. La domanda era: “Come ha fatto a raggiungere questa posizione? Cosa è dovuto succedere nella sua vita affinché lei arrivasse a ricoprire un posto di potere e di controllo così prestigioso?”

L’uomo rispose, molto consapevolmente, guardandoci tutti negli occhi e dicendo: “Per arrivare dove sono oggi, ogni volta che sono salito di un gradino ho dovuto rinunciare ad una parte di me stesso”. Poi aggiunse: “Ben presto capii che avevo rinunciato a tutto ciò che mi era caro: i miei amici, la mia famiglia (mia moglie ed io siamo divorziati, i miei figli ed io non ci parliamo nemmeno più). Per me valeva la pena farlo perché lo scopo della mia vita era di esercitare questo potere e controllo”. Quindi l’uomo ne era consapevole ed io mi stupii della sua sincerità.

So che noi tendiamo a far compromessi, cedendo in cambio parti di noi stessi per riuscire a sopravvivere.

Quindi, quando vi scoprite fortemente, magneticamente attratti, verso altre persone, forse senza riuscire a dare un senso a ciò, forse anche quando siete attratti da una persona dello stesso sesso e cercate di etichettare quell’esperienza, come è capitato a molti miei clienti in anni recenti, a quel punto potreste pensare: “Sono una donna e mi piace stare accanto agli uomini, o viceversa: Sono un uomo e mi piace stare accanto alle donne.”

Pensate a come è strano! Siamo essenzialmente delle anime asessuate, non siamo né maschi né femmine, finchè non entriamo nel corpo fisico, Poi, arrivando nel mondo della polarità, dobbiamo scegliere un genere o l’altro e nello scegliere, rinunciamo automaticamente a quello che abbiamo escluso.

Siccome io sono un maschio sono arrivato in questo mondo scegliendo di polarizzarmi in un corpo maschile, nonostante la mia anima sia asessuata, cioè maschile e femminile insieme, quindi ho messo la mia parte femminile in secondo piano. Le donne invece mettono in secondo piano la loro parte maschile. Ecco perché può accadere di sentirsi inspiegabilmente attratti verso qualcuno che ha una polarità opposta alla nostra.

Alcuni mesi fa ho svolto un seminario dove alcuni mi hanno chiesto: “Cosa significa quando si è attratti dalla stessa polarità?”

Io credo che lo specchio funzioni. E’ uno specchio potente che non ha bisogno di etichette. E’ solo uno specchio. Ecco l’esempio di un caso su cui ho lavorato.

Cosa succede se siete un maschio – spiritualmente asessuato – ma che, scegliendo di diventare un maschio in questo mondo, ha fatto in partenza una rinuncia della femminilità, al 50% dell’esperienza. Cosa succede se all’inizio della vostra vita di maschio vivete delle situazioni in cui vi viene sottratta la vostra mascolinità?

Nel caso in questione si trattava di abuso. Hai rinunciato al tuo femminile per essere qui, e una volta che sei qui, ti viene portato via il tuo maschile! Cosa ti resta? Niente. Allora che cosa fai? Cerchi di rinforzare ciò con cui ti identifichi meglio in quel momento della tua vita.

Se sei venuto al mondo come maschio e ti è stata portata via la mascolinità, cercherai di rinforzare la condizione maschile, che ti è vicina nel tempo, e forse cercherai la compagnia di un maschio, come accadeva all’uomo di questa storia, che si sentiva confuso e non sapeva spiegarsi perché lo faceva.

Quando cominciò a capire il funzionamento dello specchio, il perché gli divenne estremamente chiaro e dopo alcuni mesi non aveva più quell’orientamento. Se l’avesse avuto sarebbe andato bene lo stesso perché, finché non ci mettiamo sopra delle etichette, stiamo semplicemente parlando di modelli di energia.

Non è interessante come funziona?

Cerchiamo di rafforzare ciò che abbiamo perso o ceduto o che ci è stato portato via.

Vi invito a porre attenzione alla vostra vita e al tipo di persone verso cui vi sentite fortemente attratti e a chiedervi che cosa possiedono di voi che è stato perso o ceduto o preso.

Pensiamo ai rapporti amorosi, quante volte avete sentito parlare di coppie che si formano a causa di questa carica e poi la carica scompare e i due si rendono conto di non essere più innamorati?

In realtà forse il loro amore li ha serviti così bene, cioè sono riusciti a tal punto a guarire in sé stessi ciò che hanno visto nell’altro, che non sentono nessuna carica e cominciano ad incarnare l’interezza. Da quel momento in poi entrambi possono scegliere di continuare il rapporto sulla base di principi completamente diversi, basati sul fatto che ciascuno semplicemente riesce a godere della compagnia dell’altro.

* * *

Nella mia opinione questo modello di rapporti umani, il quinto specchio esseno, è forse il più potente in assoluto, perché credo ci permetta di vedere meglio e più profondamente degli altri la ragione per cui abbiamo vissuto la nostra vita in un dato modo. Esso rappresenta lo specchio che ci mostra i nostri genitori nel corso della nostra interazione con loro.

Attraverso questo specchio ci viene chiesto di ammettere la possibilità che le azioni dei nostri genitori verso di noi riflettano le nostre credenze e aspettative nei confronti di quello che potrebbe configurarsi come il più sacro rapporto che ci sia dato di conoscere sulla Terra e cioè il rapporto fra noi e la nostra Madre e il nostro Padre Celeste, vale a dire con l’aspetto maschile e femminile del nostro creatore, in qualunque modo lo concepiamo.

E’ attraverso il rapporto con i nostri genitori, che essi ci mostrano le nostre aspettative e credenze verso il rapporto divino. Per esempio se ci troviamo a vivere un rapporto con genitori da cui ci sentiamo continuamente giudicati o per i quali anche fare del nostro meglio non è mai abbastanza, è altamente probabile che quel rapporto rifletta la seguente verità: siamo noi che crediamo, dentro di noi, di non essere all’altezza e che forse non abbiamo realizzato quello che ci si aspettava da noi attraverso la nostra percezione di noi stessi fino al Creatore.

Questo è uno specchio potente e molto impalpabile, che, forse più di altri, ci può svelare perché abbiamo vissuto le nostre vite in un determinato modo.

Tale specchio ha avuto un impatto incredibile nella mia vita. Un impatto ricco di implicazioni. Condividerò con voi una frase che poi studieremo da moltissime angolature, discutendo questo specchio in dettaglio, perché la frase è molto ricca di significati. Prima però vi faccio notare che esistono ben pochi assoluti, che ci sono sempre delle eccezioni e che l’argomento che stiamo per affrontare va visto come una ricerca di modelli generali.

Se, mentre vi parlo, sentite una voce interiore che dice: “Non è assolutamente così!” è possibile che abbiate appena contatto un’informazione molto potente nella vostra storia personale e che vi venga chiesto ora di decidere se questo è il momento opportuno per prenderne coscienza. Se la risposta è “si”, vuol dire che avete gli strumenti per farlo, se è “no”, voi avete sentito quali sono questi strumenti.

Quindi, se mentre vi parlo provate un’emozione, oppure se la vostra temperatura corporea sale un po’, o se il battito del vostro cuore aumenta, o se sentite un formicolio alle dita (è un po’ come quando si è innamorati), forse vi sta succedendo ciò che vi ho appena preannunciato.

Una risposta di questo tipo si realizza solo quando vi viene mostrato qualcosa di così profondo che in passato avete scelto di allontanarvene. Quindi la cosa da tener presente riguardo questo specchio è la seguente: a prescindere dalle caratteristiche che avete condiviso, pur senza giudicare, senza pensare al giusto e allo sbagliato, visto che stiamo lavorando sullo specchio della polarità che presenta solo segni positivi o negativi, c’è una buona probabilità che le parole che usate per descrivere i vostri genitori come li vedete oggi, da adulti, abbiano pochissimo a che fare con le persone di questa terra che voi chiamate mamma e papà.

E’ molto probabile che le parole che usate per descrivere i vostri genitori terrestri, vi servano a descrivere uno specchio che i vostri genitori hanno retto impeccabilmente dinanzi a voi, per darvi una visione del rapporto più sacro che è dato conoscere sulla Terra. E’ anche molto probabile che il modo in cui percepite i vostri genitori sulla Terra, rappresenti lo specchio delle vostre aspettative verso il rapporto che intrattenete con la Madre e il Padre celesti.

Lo ripeto: c’è una buona probabilità che il modo in cui vedete o come descrivete i vostri genitori, le parole che usate, siano quelle che descrivono le aspettative che avete sul rapporto con la vostra madre e il vostro padre divino.

L’argomento può essere inquadrato da molte angolazioni. E lo faremo dettagliatamente fra poco per mezzo di un piccolo esercizio. Vi chiedo: è possibile che i vostri genitori, nell’invitarvi inconsciamente o consciamente in questo mondo, si siano assunti una responsabilità sottintesa di cui la nostra cultura si è dimenticata? Secondo la quale la madre e il padre terrestri, che ci mettono al mondo e si prendono cura di noi sarebbero dei surrogati, cioè l’approssimazione più vicina all’aspetto materno e paterno del nostro creatore Divino?

Noi sappiamo che in realtà il Creatore non ha un’identità sessuale, non è né una madre, né un padre, bensì per così dire “una forza” in mancanza di una parola migliore in inglese.

Vi chiedo ancora: “E’ possibile che i vostri genitori vi abbiano amato così tanto e forse a dei livelli di cui non sono stati e non sono essi stessi coscienti, da riuscire a reggere impeccabilmente davanti a voi uno specchio capace di mostrarvi, come voi concepite il rapporto non tanto con loro, ma con il vostro padre divino e la vostra madre divina?

E’ possibile che le volte in cui avete percepito la rabbia dei vostri genitori verso di voi in realtà abbiate percepito quella che credevate essere la rabbia del vostro Creatore verso di voi?

E’ possibile, infine che, quando i vostri genitori sono orgogliosi di voi, vi danno l’incoraggiamento che vi fa sentir bene, voi in realtà stiate sentendo qualcosa che proviene dal vostro creatore?

E’ possibile?”

Se è vero che gli specchi funzionano, io credo che questo sia precisamente ciò che accade. Credo che ci sia una buona probabilità che gli esseri umani siano capaci di amare a livelli così taciti e profondi da riuscire a scambiarsi questi specchi con grande precisione e credo anche che i nostri genitori hanno fatto proprio questo per noi.

Con ciò non voglio sottintendere alcuna scusante per i loro comportamenti. Vi chiedo semplicemente di ammettere la possibilità che in effetti il rapporto con i vostri genitori o con chi vi ha allevato, nel caso siate stati adottati o abbiate vissuto in un orfanotrofio, vi abbia permesso di vedere uno specchio, nel quale siete riusciti a percepire le vostre credenze e aspettative su come credete che il vostro Creatore vi concepisca e su come voi lo concepite.

Cosa provate pensando alla possibilità che i vostri genitori vi abbiano mostrato questo specchio? Ha un senso per voi?

Proviamo a fare un esercizio. Vi invito a chiudere gli occhi e a fare un respiro profondo alla maniera dello Yoga, spingendo fuori il ventre durante l’inspirazione, in modo da far scendere bene il diaframma. Fate una breve pausa, poi espirate contraendo leggermente i muscoli del ventre.

Ora vi chiedo di rivolgere a voi stessi il seguente invito: “Io acconsento a sentire. Io mi permetto di sentire.” Ripetete mentalmente: ”Io acconsento a sentire, Io mi permetto di sentire”. Datevi anche il permesso di ricordare, dicendovi: “Acconsento a ricordare” ripetetevi mentalmente: “Io ricordo, io acconsento a ricordare”

A questo punto vi pongo una domanda: “Se qualcuno venisse da voi e vi dicesse che vi resta un solo minuto sulla Terra, trascorso il quale non sarete più presenti qui né potrete più comunicare con coloro che amate e che, durante quel minuto voi potreste dire qualunque cosa ai vostri genitori terrestri, cosa direste?”

Che parole scegliereste? Vi invito a condividere con me le parole che usereste durante quel minuto.

“Noi siamo uno”

“Sii felice”

“Ci vediamo presto”

“Ti voglio bene”

Va bene, ora se qualcuno venisse da voi e vi dicesse che vi resta un minuto da vivere in questo mondo in compagnia di coloro che amate e che in quel minuto voi potreste udire la voce di vostra madre o di vostro padre, dirvi qualunque cosa, che cosa vorreste sentirvi dire da vostro padre o da vostra madre? Vi invito a condividere con me quelle parole.

Cosa vi piacerebbe di più sentirvi dire?

Tenete gli occhi chiusi inspirate profondamente ed ascoltate. In quel minuto voi potreste udire qualunque frase.

Mi rivolgerò agli uomini per primi: Signori se voi poteste udire una qualunque frase rivolta a voi dal vostro Creatore, lo udireste dire: “Figlio mio sono orgoglioso di te, figlio mio, ti voglio bene, hai agito bene. Grazie, figlio mio”.

Ed ora alle donne: Signore, se voi poteste udire queste parole: “Figlia mia grazie! Hai agito bene! Figlia mia, torna a casa!” Cosa provate nell’udire queste parole? Riuscite a percepire una sensazione nel vostro corpo? Perché? In fondo sono solo parole. E’ possibile che abbiamo trascorso la maggior parte della nostra vita credendo di cercare amore rispetto e approvazione dai nostri genitori terrestri, in quanto essi sono la cosa più vicina alla nostra madre e al nostro padre divini?

La realtà è questa. Nel profondo noi abbiamo sempre saputo che in realtà cercavamo l’approvazione del nostro Creatore, cercavamo il suo amore e il suo rispetto. E’ possibile?

Se è così avete appena ricevuto una grossa quantità di informazioni sul perché avete vissuto la vostra vita in un determinato modo e su come l’avete vissuta.

[…]

I rapporti umani ci offrono la possibilità di guarire il rapporto con i nostri surrogati terrestri e nel fare questo noi saniamo anche il rapporto con la controparte divina. Il tutto funziona anche all’inverso, nel guarire il rapporto con la controparte divina deve per forza sanarsi anche il rapporto con i genitori terrestri. Tutto questo non significa che, in quanto figli, siete responsabili delle malattie dei vostri genitori o delle loro scelte di vita.

Loro hanno semplicemente accettato, ad un determinato livello di consapevolezza di reggere dinanzi a voi lo specchio che riflette le vostre aspettative ed hanno scelto come proporvi quello specchio durante la loro vita.

Una volta che i genitori sono sollevati dal peso dello specchio sorge la seguente domanda: “Si ricordano della loro vera natura?” Esiste una parete della loro consapevolezza che fa dire loro: “Finalmente mio figlio ha compreso il messaggio, ora posso vivere la mia vita”. Oppure rimangono tanto invischiati nel loro sistema di credenze da credere di essere quelle malattie?

Questo è proprio il punto cruciale su cui noi stiamo lavorando tutti insieme per sanare noi stessi e per ricordare quelle possibilità. Non vi sembra che ciò abbia un senso? Si tratta di uno specchio impercettibile. Vi ricordate che all’inizio di questa sessione ho detto che gli specchi diventano sempre più impalpabili col nostro evolverci e che dobbiamo affrontare quelli più ovvii prima di poter vedere i più sottili.

Siccome si tratta di specchi, il bello è che funzionano in entrambi i sensi. E questo è importante, perché non ci limitiamo di certo ad esaminare i casi negativi, infatti anche quando percepiamo i nostri genitori come esseri affettuosi, saggi, vulnerabili, forti, onesti e tolleranti, riceviamo il riflesso delle nostre credenze sul tipo di rapporto che abbiamo col Creatore, cioè percepiamo il nostro Creatore e noi stessi alla presenza di quella forza creativa.

Quindi la riflessione che vi offro rappresenta una possibilità che è in sé sottile e potente che provoca tutta una serie di implicazioni lungo l’arco di un’esistenza.

Se ciò ha un senso per voi, bene. Se non lo ha vi invito ad archiviare mentalmente queste informazioni e, se in futuro dovesse verificarsi uno sgretolamento del vostro sistema di credenze, allora potrete andare a cercare questa cartella e lavorando su questo specchio, avrete un potente strumento a vostra disposizione. Lo specchio della madre e del padre, il vostro Creatore.

* * *

Il sesto specchio esseno dei rapporti umani ha un nome abbastanza infausto, infatti gli antichi lo chiamarono: l’Oscura notte dell’anima.

Ma lo specchio in sé non è necessariamente altrettanto sinistro del suo nome. Attraverso un’oscura notte dell’anima, ci viene ricordato che la vita tende verso l’equilibrio, che la natura tende verso l’equilibrio e che ci vuole un essere estremamente magistrale per bilanciare quell’equilibrio.

Nel momento in cui affrontiamo le più grandi sfide della vita possiamo star certi che esse divengono possibili solo dopo che abbiamo accumulato tutti gli strumenti che ci servono per superarle con grazia e con facilità, perché è quello il solo modo per superarle.

Fino a che non abbiamo fatto nostri quegli strumenti non ci troveremo mai nelle situazioni che ci richiedono di dimostrare determinati livelli di abilità. Quindi, da questa prospettiva, le sfide più alte della vita, quelle imposteci dai rapporti umani e forse anche dalla nostra stessa sopravvivenza, possono essere percepite come delle grandi opportunità a nostra disposizione, per saggiare la nostra abilità, anziché come dei test da superare o fallire.

E’ proprio attraverso lo specchio della notte oscura dell’anima che vediamo noi stessi nudi, forse per la prima volta, senza l’emozione, il sentimento ed il pensiero, senza tutte le architetture che ci siamo creati intorno per proteggerci.

Attraverso questo specchio possiamo anche provare a noi stessi che il processo vitale è degno di fiducia ed anche che possiamo aver fiducia in noi stessi mentre viviamo.

La notte oscura dell’anima rappresenta per noi l’opportunità di perdere tutto ciò che ci è sempre stato caro nella vita e di vedere noi stessi alla presenza e nella nudità di quel niente.

E proprio mentre ci arrampichiamo fuori dall’abisso di ciò che abbiamo perso e percepiamo noi stessi in una nuova luce, che esprimiamo i nostri più alti livelli di maestria.

Gli antichi parlavano molto chiaramente della notte oscura dell’anima.

Quando lavoravo nella Bayer Area venne come paziente un giovane ingegnere, che aveva moglie e due figlie che amava molto. Lavorava nel settore del software, dove la domanda era talmente alta che ben presto l’uomo cominciò a viaggiare molto.

Dapprima forniva consulenze tecniche, poi iniziò a prender parte a delle fiere commerciali ed a trascorrere sempre meno tempo con la famiglia.

Le poche volte che restava a casa provava una sensazione di estraneità. C’era poco di cui parlare nel fine settimana. Non sapeva cosa facevano le figlie a scuola e la comunicazione fra lui e la moglie languiva. A un certo punto il suo ufficio assunse una donna di Los Angeles, sua coetanea, anch’essa ingegnere, e i due cominciarono ad essere inviati in missione insieme. Non passò molto tempo che l’uomo cominciò a credere di essere innamorato della donna e lei di lui. Ad un certo punto la donna chiede di tornare a Los Angeles ed anche lui chiese il trasferimento da San Francisco, ottenendo un incarico proprio a Los Angeles. Il suo ufficio era molto dispiaciuto che se ne andasse ed i suoi amici pensavano che fosse impazzito. La sua famiglia soffriva molto. Lui pensò: “Mi dispiace di aver ferito questa gente, ma io vado ad iniziare la mia nuova vita” e si trasferì a Los Angeles.

Un bel giorno, dopo tre settimane, la donna tornò a casa e gli disse: “Sai il nostro rapporto non è quel che credevo e vorrei che finisse qui”.

L’uomo era sconvolto. Che paura universale si era risvegliata in lui? Era il fatto che lei gli avesse chiesto di andarsene che l’aveva distrutto.

Cominciò ad avere scarsi risultati sul lavoro. Fu mantenuto in servizio per il periodo di prova e, siccome non migliorava, alla fine gli fu chiesto di dimettersi. Si ritrovò in una città estranea, senza amici, senza gruppo di sostegno, senza stipendio né lavoro e persino sulla lista nera di altre ditte dello stesso settore.

Non aveva un luogo in cui tornare, perché aveva rinunciato a tutte le cose che gli erano state care. Il suo ufficio non lo rivoleva, la sua famiglia ed i suoi amici non erano disponibili.

Venne da me e mi disse: “Cosa diavolo mi sta succedendo? Come faccio a riprendermi la mia famiglia?”

Io molto sinceramente gli risposi: “Congratulazioni!, perché il solo modo in cui qualcosa del genere è potuto succedere nella sua vita è grazie al fatto che lei ha raggiunto il suo più alto livello di maestria.”

Quando un essere umano conquista l’ultimo tassello di abilità, la creazione si apre dinanzi a lui che diviene libero di esprime tale maestria in qualunque cosa abbia creato nella vita.

Quando la vita è più dura, quando ci vengono poste delle sfide più alte nel campo della salute, dei rapporti umani o della sopravvivenza è perché noi stessi ci siamo creati quelle situazioni solo dopo aver accumulato tutti gli strumenti necessari a tirarcene fuori con grazia.

Qualunque madre lo sa. Non ve l’ha mai detto vostra madre che Dio non vi da mai più problemi di quanti non riusciate a sopportarne?

L’ho visto succedere mille volte: questioni di salute, malattie potenzialmente letali, implosioni emotive. So con certezza che nella vita noi tendiamo verso l’equilibrio e che ci vuole un grosso sforzo per riuscire a sconvolgere quell’equilibrio e siccome siamo tutti dei maestri, sappiamo bene come farlo.

In quanto maestri noi abbiamo appreso come creare forte disequilibrio nelle nostre vite in modo da favorire il manifestarsi dello slancio che ci serve per dimostrare il grado di abilità da noi raggiunto. Ci viene offerta così un’opportunità rispetto alla quale non abbiamo nessun punto di riferimento, nessuno a cui chiedere o da cui andare. Non avendo mai avuto prima quella data esperienza, tutto ciò su cui possiamo contare è noi stessi ed è a quel punto che ci viene chiesto di rivolgerci verso i livelli più profondi del nostro essere.

* * *

Dalla prospettiva degli antichi, il settimo mistero dei rapporti umani o settimo specchio esseno era il più sottile e, per alcuni versi, anche il più difficile. E’ lo specchio che ci chiede di ammettere la possibilità che ciascuna esperienza di vita, a prescindere dai suoi risultati, è di per sé perfetta e naturale. A parte il fatto che si riesca o meno a raggiungere gli alti traguardi che sono stati stabiliti per noi da altri, siamo invitati a guardare i nostri successi nella vita senza paragonarli a niente. Senza usare riferimenti esterni di nessun genere.

Il solo modo in cui riusciamo a vederci sotto la luce del successo o del fallimento è quando misuriamo i nostri risultati, facendo uso di un metro esterno. A quel punto sorge la seguente domanda: “A quale modello ci stiamo rifacendo per misurare i nostri risultati? Quale metro usiamo?”

Nella prospettiva di questo specchio ci viene chiesto di ammettere la possibilità che ogni aspetto della nostra vita personale – qualsiasi aspetto – sia perfetto così com’è. Dalla forma e peso del nostro corpo ai nostri risultati in ambito accademico, aziendale o sportivo. Ci renderemo conto insieme che, in effetti, questo è vero e che un risultato può essere sottoposto a giudizio solo quando viene paragonato ad un riferimento esterno.

Siamo quindi invitati a permettere a noi stessi di essere il solo punto di riferimento per i risultati che raggiungiamo. Gli antichi consideravano l’ultimo specchio come il più impercettibile e per illustrarvelo vi racconterò un paio di storie.

Verso la fine del mio periodo aziendale condividevo l’ufficio con una collega, perché lo spazio di lavoro a disposizione era limitato. Avevamo mansioni molto diverse. Siccome non c’era competizione fra noi, parlavamo e pranzavamo insieme spesso, diventando ottimi amici.

Un giorno, tornato in ufficio dopo la pausa pranzo, la vidi sbiancare e sedersi mentre ascoltava i suoi messaggi in segreteria.

Le chiesi cosa fosse successo e lei mi raccontò una storia che io sto per raccontare anche a voi al fine di illustrare il settimo specchio esseno.

La mia collega aveva un’amica, sua coetanea, madre di una ragazza che si era diplomata un paio di anni prima. Era una bellissima ragazza, piena di talento, molto sportiva, brava a scuola, dotata di ottime capacità artistiche che aveva deciso, d’accordo con i genitori, di fare la modella dopo il diploma.

Dopo aver svolto alcuni ottimi servizi da modella ed aver frequentato una scuola specializzata di New York aveva completato un’altra serie di incarichi e stava avviandosi verso una carriera di successo.

Finiti quei primi servizi le agenzie cominciarono a dirle che per quel tipo di lavoro avrebbe dovuto cambiare un po’ il suo aspetto. Inizialmente le suggerirono di intervenire su cose semplici come il giro vita e la misura del seno, che venne aumentata per mezzo di un intervento chirurgico. I suoi genitori erano d’accordo perché sapevano che la professione lo richiedeva. Non passò molto tempo che le agenzie cominciarono ad esigere forme più estreme di cambiamento. Per esempio, quando la ragazza sorrideva aveva una sovraocclusione – che era pur gradevole da vedere – e le fu detto che una modella non poteva permetterselo e le chiesero di farsi operare.

Lei obbedì, le sue mascelle vennero rotte e ricomposte. Immobilizzate con strumenti metallici, ma, onestamente, io ho visto foto di prima e dopo l’intervento, c’era ben poca differenza.

Mentre le mascelle erano immobilizzate, la ragazza dovette limitare la sua dieta e dimagrì molto, il che di solito è desiderabile per una modella.

In seguito alla perdita di peso le sue costole inferiori cominciarono ad essere più visibili. La gente del suo ambiente disse alla ragazza che non era un problema, si poteva risolvere tutto chirurgicamente. Infatti la ragazza si sottopose ad un intervento in cui le vennero asportate le costole fluttuanti inferiori. E a quel punto cominciò a succederle qualcosa.

Forse sapete già che il peso corporeo attraversa delle fasi. Io stesso sono stato un podista a livello agonistico per molti anni e c’erano periodi in cui potevo mangiare qualunque cosa senza riuscire ad aumentare di peso, mentre in altri periodi bastava semplicemente pensare al cibo per ingrassare. E’ come se il corpo entrasse in una sua fase. Può capitare di smettere di mangiare per un po’, mantenendo lo stesso peso costante o persino ingrassare, oppure cominciare a perdere peso. Poi, decidere di smettere e l’organismo invece continua a dimagrire, anche se si mangia normalmente.

Questo è proprio ciò che accadde alla ragazza. Era entrata in una fase inarrestabile di dimagrimento e la telefonata che la mia collega aveva ricevuto quella mattina era della madre della giovane che, dall’ospedale le aveva comunicato la morte della figlia in seguito a complicazioni derivanti da malnutrizione.

La giovane donna era stata portata all’ospedale perché il suo corpo non riusciva ad adattarsi a quel peso.

La domanda che mi posi fu questa: “Perché questo è successo? Qual è la ragione?”

Ancora un’altra storia.

Alcuni mesi fa Melissa ed io ci siamo messi in viaggio. Per partire da casa nostra bisogna prendere in tutti i modi l’aereo ad Albuquerque ed usando certe compagnie aeree, di cui non faccio il nome, bisogna passare per Dallas prima di poter andare da qualunque parte. Quindi quando andavo a Toronto, dovevo volare fino a Dallas per arrivare a destinazione o a Kansas City per arrivare a Dallas. Se siete stati all’aereoporto di Dallas sapete che è enorme e che c’è una rete tranviaria – teoricamente, quando funziona – per portare i passeggeri da un terminal all’altro e, se funziona, è un ottima rete. Normalmente succede questo: si arriva all’uscita No. 6 e si deve andare all’uscita 44 che è distante mezzo miglio.

Quel giorno eravamo in attesa dei tram ai piedi di una lunga scala mobile e davanti a noi c’era una coppia di anziani. Una donna e un uomo, apparentemente duro di udito. I due erano impegnati in un fitto dialogo in cui esprimevano giudizi sulla gente. Sembrava essere la loro attività abituale, tanto erano a loro agio nel farlo. Mano a mano che arrivava qualcuno dicevano: “Toh! Guarda quello come è vestito!” oppure “Guarda quella lì, hai visto che orecchini?” A un tratto, con la coda dell’occhio, ho visto scendere dalla scala mobile una donna molto grassa. Una volta avevo un cliente che pesava 200 chili e so che quella donna poteva pesare sui 180 chili. La donna reggeva una valigia vecchio stile, di linoleum con fibbie di metallo; c’erano più di 40 gradi a Dallas quel giorno e sicuramente la donna doveva avere un buon motivo per essersi messa in viaggio con quel caldo, viaggiando in quei sedili scomodi per lei con le caviglie gonfie e trascinandosi dietro quella brutta valigia.

Venne a mettersi proprio accanto a noi e la coppia continuò a fare i suoi commenti come prima e, siccome l’uomo era duro di orecchi, noi tutti sentimmo quando disse alla moglie: “Guarda quella donna, non è terribile? Perché non fa qualcosa per sé stessa? Si dovrebbe vergognare di farsi vedere in giro in quello stato!”

Era una rara opportunità, io ero qui, la coppia era qui e la donna grassa era lì. Ed io credo che tacitamente lei acconsentì a lasciarsi guardare negli occhi da me, perché mi guardò direttamente in volto. Anch’io la guardai direttamente negli occhi e lei non disse una parola, ma so che aveva udito tutto ciò che era stato detto.

Stette zitta e mentre aspettavamo il tram i suoi occhi si riempirono di lacrime. Divenne rossa in viso ed era chiaro che stava tenendo duro per non piangere. Quel commento l’aveva ferita. Salimmo sul tram. La coppia si mise accanto a me e scambiammo quattro chiacchiere. Erano persone per bene, non avevano intenti malevoli. Avevano solo quell’abitudine inconscia a criticare. In quel momento seppi che avevamo avuto tutti una rara opportunità. La donna aveva avuto l’opportunità di sentirsi giudicare; la coppia aveva avuto l’opportunità di giudicare qualcuno ed io avevo avuto l’opportunità di esserne testimone.

Entrambe le storie illustrano il settimo mistero esseno dei rapporti umani, il mistero del ricercare la perfezione nell’imperfezione della vita. La giovane donna che aveva perso la vita, con quali standard si misurava? L’avevano fatta sentire imperfetta e l’avevano costretta a cambiare il corpo che le era stato dato in questa vita. Che metro aveva usato?

Quanto alla coppia che aveva percepito la donna come grassa e a me, che la descrivo come tale a voi adesso, fino a che non paragonate la vostra esperienza di vita ad un referente esterno, come potete non essere perfetti?

Ciò che vi raccomando è questo: siate consapevoli del modello a cui vi rifate per misurare i vostri risultati.

Che metro usate nella vita?

In base a che cosa distinguete fra la vostra riuscita ed il vostro fallimento?

Mettiamola così: io potrei darvi un foglio con una lista di criteri e dirvi di parlarmi delle vostre abilità sportive, delle vostre abilità accademiche, comunicative o amorose. Chiedere: Siete dei bravi amanti? E’ sempre una buona domanda. Non vi concederei più di 15 secondi per darmi una risposta, perché, a prescindere da cosa risponderete, se vi siete descritti come esseri meno che perfetti, a che cosa vi siete paragonati? Come fate a dire che state facendo qualcosa di non perfetto a meno che non facciate riferimento a qualcosa che sta al di fuori di voi stessi?

Ne parlavamo proprio ieri quando sono andato nella sala proiezioni per vedere la registrazione di questo video che i tecnici erano riluttanti a mostrarmela perché c’era la sensazione che avrei potuto essere critico verso me stesso. Se io incarno questo specchio, se io vi do il meglio di me nel momento presente, il risultato è perfetto, fino a quando non mi paragono a qualcun altro. E’ perfetto, è il meglio che può essere in questo momento.

Questo per gli Esseni è il nodo più delicato, perché siamo così pronti a giudicare noi stessi. Siamo noi i nostri critici più agguerriti

Quindi vi invito ad esaminare la vostra vita ed a individuare le aree in cui sentite di non essere felici di voi stessi. Questo può accadere soltanto se non avete fatto del vostro meglio oppure se avete fatto del vostro meglio e vi siete paragonati a qualcun altro. Che metro usate? Nella nostra cultura, che metro usiamo?

Noi veniamo paragonati a quest’uomo (ndr: indica l’ immagine di Gesù). Sapete che cosa ha detto quest’uomo quando era qui?

Disse: “Voi pensate che le cose che sto facendo io siano fantastiche, allora aspettate di vedere quello che sarete capaci di fare voi fra 2000 anni.” Sto parafrasando un po’. Disse anche: “Non mettetemi su di un piedistallo, voi siete molto, molto più bravi di me se realizzate il potere che c’è in voi, il potere del pensiero, del sentimento e dell’emozione e di ciò che farete con esso.”

Questo è il settimo specchio esseno dei rapporti umani, lo specchio della perfezione.

Questi sette specchi dei rapporti umani sono potenti, ci forniscono delle profonde intuizioni sul perché abbiamo vissuto la nostra vita in un certo modo e abbiamo avuto determinati rapporti umani.

Gli Esseni ci ricordano che ciascuno di noi passerà attraverso ogni specchio durante la propria vita, che ne siamo coscienti o no. Spesso ci muoveremo in molti specchi simultaneamente perché siamo maestri e lo diventiamo sempre di più in questa vita.

Nel passare attraverso gli specchi, noi procediamo attraverso la nostra vita, forse senza nemmeno renderci conto del perché facciamo queste cose. Sarebbe bello se ogni mattina si accendesse una bella luce al neon che ci dicesse: “Oggi, dopo aver fatto colazione, dopo che i tuoi familiari sono usciti, puoi cominciare il tuo lavoro sull’oscura notte dell’anima.”

La vita non funziona così. Siamo invitati a conoscere noi stessi in presenza di altri, attraverso i nostri rapporti umani e quando quei rapporti sono sanati, noi diventiamo il beneficio di quella guarigione e lo portiamo in noi nel sogno ad occhi aperti della vita, camminando tra i due mondi del cielo e della terra.

* * *

Affrontare la morte insieme

Trascrizione del discorso tenuto a Venezia il 18/6/99 da Frank Ostaseski, fondatore nel 1987 dello Zen Hospice Project. Tratto dal libro “Fare Amicizia con la Morte”

Alcuni anni fa, mentre nel nostro hospice stavo girando su un fianco un paziente per lavargli la schiena, lui mi disse, voltando il viso sopra la spalla: “Sai, non ho mai pensato che fosse così”. lo sono molto sincero con gli altri e così gli ho chiesto: “Come pensavi che fosse?” e lui mi rispose: “Non ci avevo mai pensato”. In quel momento capii che questa comprensione per lui rappresentava una sofferenza maggiore del cancro in fase terminale che aveva al polmone. La morte lo aveva afferrato di sorpresa. Per ciascuno di noi c’è un angolo molto scuro nella nostra mente. E lì, proprio in quell’angolo, c’è una voce che ci dice: “Un giorno morirò”.

Il modo in cui diamo ascolto o respingiamo questa voce determina come vivremo le nostre vite. A volte la voce ci parla molto chiaramente, ad esempio quando a stento sfuggiamo a una disgrazia o quando muore qualcuno che conoscevamo. Invecchiando i capelli si diradano e diventano grigi e le nostre pance più molli ed è allora che la voce si fa sentire con più frequenza. Man mano che la morte si accumula nella nostra vita, la voce ci parla più spesso. Quando muore qualcuno che amiamo allora ci urla; ci fa sapere che la nostra vita non sarà mai più la stessa, ma che è stata alterata per sempre.

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