La rigenerazione

La rigenerazione è la trasmutazione del sé nell’Uomo Nuovo che annulla i tormenti della materia e si lascia guidare dalle Potenze dell’Intelletto Supremo.

La Tradizione

Iniziazione e rigenerazione sono due processi fondamentali in ogni società di iniziati. L’iniziazione è quel particolare rito di passaggio, che si svolge in un periodo di tempo definito, e che predispone il neofita a poter accedere alla via che lo porta alla conoscenza «suprema»: quello stato di saggezza che, a seconda delle diverse tradizioni esoteriche, appare come «illuminazione» o «piena conoscenza» dell’Uno o del Nous (intelligenza suprema). L’iniziazione è al contempo un rito e un processo che, attraverso una pratica esoterica, porta l’iniziato a raggiungere livelli diversi di perfezionamento. Il risultato del processo iniziatico è una trasmutazione del sé, cioè una trasformazione del pensiero, dello spirito e dell’etica dell’iniziato.
Il processo iniziatico, in senso spirituale ed etico, conduce a quella che la Tradizione indica con il termine «rigenerazione». Essa è l’obiettivo della pratica rituale collettiva e della «meditazione» e dell’impegno esoterico perseguiti individualmente.
L’intero processo esoterico–iniziatico, quindi, si muove verso due fini, correlati l’un l’altro: l’ampliamento della conoscenza e il perfezionamento spirituale e morale. Il cammino iniziatico, secondo la Tradizione Occidentale, si muove su questi due piani paralleli, per cui né solo uno né solo l’altro possono completare la ricerca iniziatica: via etica, via veritativa e via spirituale sono percorsi necessari che debbono essere seguiti contemporaneamente, per cui il perfezionamento etico è possibile solo passando attraverso un perfezionamento spirituale e conoscitivo; e questi ultimi sono possibili solo se si svolge un analogo perfezionamento nel capo morale.
La Massoneria, come società iniziatica fondata su una Tradizione esoterica, persegue tali obiettivi che vengono raggiunti ritualmente in modo comunitario nel Tempio e individualmente nel mondo interiore di ogni massone.
La nozione di rigenerazione, che consideriamo in questa sede, fa parte di una Tradizione che, seguendo Guénon, è primordiale, nel senso che fa parte di un modo di essere dell’uomo e di tutte le collettività umane, sebbene con molte diversità, e che risale ai primordi della storia dell’uomo. La Tradizione, in particolare, a cui facciamo riferimento, però, non è quella ampia di cui parla Guénon, ma una più ristretta a cui vanno fatti risalire il pensiero e la pratica massonici. Tale Tradizione si identifica in un gran numero di opere, tra le quali assumono un ruolo rilevante quelle che sono state attribuite a Ermete Trismegisto (personaggio storico e mitico allo stesso tempo); in tal senso, la Tradizione a cui si fa riferimento è costituita da quelle concezioni che ritroviamo in opere come i diciotto Libri del Corpus Hermeticum (tra cui il più famoso Pimandro), l’Asclepio, i Frammenti di Stobeo, ed altri ancora. In questa Tradizione è centrale la nozione di rigenerazione che è altrettanto fondamentale nella più specifica tradizione Massonica moderna che, in senso istituzionale, si fonda sugli Antichi Doveri (1723). Le sezioni IV, V, e VI di questo testo trattano in modo dettagliato della condotta dei Liberi Muratori che, dopo il loro ingresso nella Istituzione, in base a un processo di perfezionamento interiore devono mostrare un comportamento che è il risultato della loro rigenerazione morale e spirituale; un loro rigenerarsi con il passaggio nei vari gradi Azzurri e in quelli dei diversi Riti.
Uno dei testi fondamentali della Tradizione Esoterica Occidentale che tratta esplicitamente della rigenerazione è il Libro XIII del Corpus Hermeticum (Discorsi di Ermete Trismegisto) a cui faremo riferimento in questa riflessione. La Tradizione, a cui ci affidiamo, è un patrimonio esoterico che ogni Massone deve accogliere nel suo mondo interiore come guida per il lavoro nel Tempio. Il Corpus Hermeticum è parte di questa Tradizione e la sua lettura è fonte di profonde meditazioni.

Discorso di Ermete Trismegisto a suo figlio Tat sulla rigenerazione

Nel Libro XIII, dedicato a questo argomento, come sottolinea A. J. Festugière (La révélation d’Hermès, p. 211), vengono considerati diversi aspetti della rigenerazione che riguardano la concezione e la descrizione di quello che viene chiamato l’«uomo nuovo»; al contempo, viene precisato il modo in cui accedere alla condizione di rigenerazione: la negazione dei dodici vizi attraverso le dieci Potenze o Forze. Come vedremo, si tratta di indicazioni che, sebbene in modi diversi, sono analoghe negli intenti a quelle che ritroviamo nelle sezioni indicate degli Antichi Doveri. Come accade in ogni tradizione iniziatica Ermete Trismegisto, quale Maestro, «rivela» all’iniziato (il figlio Tat) la natura della rigenerazione e il modo per raggiungerla.

La morte dell’uomo nell’Uno

Secondo la tradizione misterica classica la rigenerazione avviene per dono divino e il suo fine è il ricongiungimento con il divino, o in senso gnostico, con il Nous, l’Intelletto Supremo. L’uomo muore a se stesso e rinasce nel Nous e questa rinascita è proprio la rigenerazione. L’Uomo Nuovo, come nel rituale di passaggio al Terzo Grado Azzurro, si allontana da se stesso, dal mondo terreno e materiale, e rinasce rigenerato all’interno del Nous. La rigenerazione è così un processo «sacro» che porta l’uomo a manifestare la sua natura divina. L’uomo possiede una duplice natura, divina ed umana, e lo scopo dell’apprendimento dell’Arte consiste nel rigetto di quella terrena per esaltare quella divina. L’uomo, come afferma Ermete Trismegisto (Corpus Hermeticum , Libro 1, Pimandro) sorge dal Nous e il suo fine è quello di ritornare ad esso; ciò è possibile perché l’uomo partecipa del divino e il ricongiungimento è il risultato di uno sforzo continuo, sotto la guida di un Maestro, che attraverso l’iniziazione gli permette di cominciare il cammino verso la sua «dimora profonda», da dove è venuto e onde andrà. Questo uomo, l’iniziato, muore a se stesso e rinasce nel Nous.

La via della rigenerazione: la dodecade dei tormenti e la decade delle Potenze

Ermete si rivolge a Tat: «libera te stesso dagli irrazionali tormenti della materia» (p.136); ma Tat non comprende queste parole e chiede al suo Maestro-Padre: «Ho dunque in me dei tormenti, padre?» (p.136).

La rigenerazione inizia con la constatazione di essere legati alla materia, di essere tormentati da essa, per questo è necessario allontanarsi perché sia possibile diventare un uomo nuovo, far emergere la propria natura divina e ricongiungersi con il Nous.

Ma l’iniziato, nello stato di apprendista, non sa neppure o non si accorge di quanti legami egli ha con la materia, con il suo corpo e con il mondo sensibile che lo circonda. Allora il Maestro inizia a infondergli l’insegnamento che gli permette di riconoscere quanti tormenti sono presenti nel suo mondo interiore. Dice Ermete a Tat: «Non pochi (tormenti) figlio mio, ma molti e terribili». «Io li ignoro, padre» (p.136), dice Tat.
È proprio da questa ignoranza che inizia il processo di rigenerazione: riconoscere la propria ignoranza sui tormenti che la natura terrena infligge all’uomo è il primo passo per poter accedere, poco alla volta, al ricongiungimento con il Nous.

Il Maestro Ermete, allora, procede a istruire l’iniziato indicandogli dodici tormenti di cui si deve liberare. Nella tradizione buddista questi tormenti fanno parte di quella che il Buddha chiama «la sete dell’esistenza», cioè di quella esistenza che è legata ai bisogni e alle tensioni terrene e, in particolare, al «desiderio di vivere».

Il primo tormento è allora l’ignoranza. Non si tratta di non conoscere dati e nozioni sul mondo, ma di non sapere riconoscere il proprio stato, la propria condizione di uomo terreno, e quindi l’incapacità di indicare quali sono quei limiti che non permettono di compiere il viaggio iniziatico. In senso metaforico si tratta di quel riconoscimento del divino che permette ad Ulisse di ritornare nella sua «dimora».

L’ignorante è colui che non vede, che non riconosce persino di non sapere, e vive in questa misera condizione, proprio come accade a Tat, figlio di Ermete. L’ignoranza è uno stato di inerzia che lega gli uomini alle cose terrene, agli affari quotidiani, ai meri interessi di parte, ai vizi e alle passioni, e non permette in alcun modo di sollevarsi dal mondo per elevarsi verso ciò che è oltre questa condizione. È una ignoranza che piega gli uomini e li riduce nell’oscurità.

Tuttavia, l’iniziato è proprio colui che, attraverso il rito della iniziazione, si rende disponibile in primo luogo a riconoscere la sua ignoranza e a liberarsene: l’ignoranza di essere tormentato dalla materia del suo corpo e del mondo.

Se l’iniziato si apre al riconoscimento della sua ignoranza, allora intravede tutti quegli altri tormenti che imprigionano il suo essere; per Ermete, il Tre Volte Grande, oltre l’ignoranza, essi sono: il dolore, l’incontinenza, il desiderio, l’ingiustizia, la cupidigia, l’inganno, l’invidia, la frode, l’ira, la temerarietà e la malvagità. Questi dodici tormenti, da cui derivano molti altri, sono tali per cui l’uomo è costretto nella «prigione del corpo» ed essi fanno sì che egli soffra continuamente «attraverso i sensi».

La lettura attenta degli Antichi Doveri (che devono essere impressi nell’animo di ogni Massone) ci permette di sottolineare la concordanza di intenti, anche se non alla lettera, tra gli insegnamenti di Ermete Trismegisto e quei principi che sono il fondamento della Massoneria e quindi guida per ogni Massone nel tempio e nel mondo profano. Come si è accennato poco sopra, gli Antichi Doveri, sono dedicati in gran parte proprio alla condotta dell’arte nel lavoro e al comportamento dei Liberi Muratori nel tempio, con i fratelli e nel mondo profano. Anche gli Antichi Doveri , come nelle parole del Corpus Hermeticum, essere iniziati significa annullare i tormenti (vizi e passioni) che derivano dalla nostra natura corporea.

La rigenerazione, quindi, prende avvio dalla negazione dei tormenti, ma ciò può avvenire solo alla luce di una guida che opera, se si vuole dir così, in nome del Nous, di Dio, o, del G.A.D.U., che soprassiede ai lavori rituali.

Tuttavia, si deve aggiungere che, rispetto agli Antichi Doveri, la rigenerazione è possibile, all’interno della Tradizione Ermetica, non solo con una ricerca interiore, una caduta nel proprio mondo, (nel senso indicato dal V.I.T.R.I.O.L), bensì anche con l’ausilio di quelle che sono chiamate potenze o forze che provengono come dono dal divino, ma che si rendono attive solo in un cammino esoterico.
La prima potenza, che permette anche l’espressione delle altre, è proprio l’opposto di ciò che lega l’uomo al mondo della materia: la conoscenza che si oppone all’ignoranza: «la conoscenza di Dio è giunta fino a noi, e come essa è venuta, è stata cacciata l’ignoranza» (p.137), così dice Ermete Trismegisto.

La conoscenza (gnosis), e la conoscenza del divino (diversamente inteso), sono i primi passi verso il raggiungimento della rigenerazione. In base a questa conoscenza è possibile l’espressione delle altre potenze indicate da Ermete Trismegisto: la gioia, la continenza, la fermezza, la giustizia, l’altruismo, la verità, il bene, la vita, la luce.

Si attua così la rigenerazione secondo le parole di Ermete: «Tu conosci ora, o figlio, il modo in cui si attua la rigenerazione. Quando si è avvicinata a noi la decade, figlio mio, si è formata in noi l’essenza intelleggibile, essa scaccia la dodecade (i tormenti) e noi siamo resi divini da questa rigenerazione» (pp.137-138).

La decade, continua Ermete, è la «generatrice dell’anima: vita e luce sono unite, quindi si è generato il numero dell’unità, del soffio vitale» (p.139).

Come si vede la rigenerazione, all’interno del processo ermetico – iniziatico, non è guidata solo da una ricerca interiore, bensì da quelle che Ermete chiama potenze che possiamo considerare come ciò che proviene dal Nous in soccorso all’uomo per guidarlo al ritorno verso di esso, superando la dimensione materiale e sensoriale.

Il lavoro Massonico nel Tempio, alla luce del G.A.D.U., si profila come un percorso iniziatico in cui ha certamente un ruolo centrale la rigenerazione che permette al Massone di lavorare alla gloria del Grande Architetto e per il Bene dell’Umanità.

Ermete conclude sollecitando Tat di restare in silenzio, ascoltando l’inno della rigenerazione; quel silenzio profondo che ci fa sprofondare in noi stessi e ci permette di espanderci verso l’oltre: «Taci dunque, figlio mio, e ascolta adesso l’eulogia ben armonizzata, l’inno della rigenerazione…. Quest’inno non si può insegnare, ma resta nascosto nel silenzio. Così, dunque, figlio mio stando in piedi in un luogo all’aria aperta, guardando verso il vento del sud, quando il sole che tramonta sta per cadere, fai segno di adorazione; ugualmente anche al sorgere del sole, volgendoti verso il vento dell’est. Taci dunque, figlio mio».(p.140)

L’inno della rigenerazione

«Tutta la natura del cosmo porga orecchio all’inno. Apriti,
o terra; si apra a me ogni chiavistello della pioggia; non
vi agitate, o alberi. Sto per cantare il Signore della
creazione, il tutto e l’uno. Apritevi, cieli; fermatevi o
venti. Il cerchio immortale di Dio presti orecchio al mio
discorso: sto per cantare il creatore dell’universo, colui
che ha fissato la terra e ha sospeso il cielo, colui che ha
ordinato all’acqua dolce di uscire dall’oceano e di
diffondersi sulla terra, abitata e disabitata, affinché
fosse a disposizione per il nutrimento e la generazione di
tutti gli uomini, colui che ha ordinato al fuoco di apparire
per prestarsi a ogni attività, sia degli dei, che degli uomini.
Dedichiamo tutti insieme l’elogio a lui, a lui che si libra sopra
i cieli, a lui che è creatore di tutta la natura. Questo è
l’occhio dell’intelletto; accolga l’elogio delle potenze che
sono in me.

Potenze che siete in me, cantate l’uno e il tutto: cantate in
accordo con la mia volontà, voi potenze tutte che siete
in me. Santa conoscenza illuminata da te, per te io canto
lodi alla luce intelligibile e gioisco nella gioia
dell’intelletto. Voi tutte, potenze, cantate con me. Anche
tu canta, continenza. E tu pure, mia giustizia, canta il
giusto per mezzo di me; o verità, canta la verità; tu bene,
canta il bene; o luce e vita, da voi viene l’elogio e
a voi ritorna. Rendo grazie a te, o padre, a te che sei
l’energia delle potenze. Rendo grazie a te, o Dio, potenza
delle mie energie. Il tuo Logos per mezzo mio ti canta
inni di lode. Attraverso me ricevi il tutto mediante
la parola, come sacrificio resoti con parole. Queste cose
gridano le potenze che sono in me: cantano il tutto,
compiono il tuo volere. La tua volontà deriva da te e
su te si riversa. Ricevi da tutti il sacrificio resoti con
parole. Il tutto che è in noi, salvalo, o vita, illuminalo,
o luce, soffio vitale, Dio! L’intelletto è il pastore del
Logos. O portatore del soffio vitale, o demiurgo. Tu sei
Dio. L’uomo che ti appartiene grida questo attraverso il
fuoco, attraverso l’aria, la terra, l’acqua, il soffio,
attraverso tutto ciò che hai creato. Da te ho ricavato
l’eulogia dell’eternità e, come desidero, per tuo volere
ho trovato la pace. Per tuo volere ho visto quest’eulogia pronunciata
» (pp.140-142).

Riferimenti

I numeri di pagina indicati nel testo sono relativi alla edizione italiana citata del Corpus Hermeticum: Discorsi di Ermete Trismegisto.

  • Antichi Doveri – Costituzione- Regolamento dell’Ordine, Grande Oriente d’Italia, Roma, 1994.
  • Corpus Hermeticum, a cura di A.D.Nock, vol.1-4, Les Belles Lettres, Parigi, 1945.
  • Discorsi di Ermete Trismegisto, Boringhieri, Milano,1965.
  • Ermete Trismegisto, Il cratere della sapienza, Semerano, Milano,1962.
  • Ermete Trismegisto, Il Pimandro, Atanòr, Roma, 1984.
  • Evola, J., La tradition hermétique, Éditions Traditionelles, Parigi, 1985.
  • Festugière A. J., La révélation d’Hermès Trismégiste, Les Belles Lettres, Parigi, 1981, Vol.1-4.
  • Fowden, G., The Egyptian Hermes, A Historical Approach to Late Pagan Mind, Cambridge University Press, Cambridge, 1986
  • Guénon, R., Iniziazione e realizzazione spirituale, Luni, Milano,1997
  • Hermetica, The Greek Corpus Hermeticum and the Latin Asclepius, a cura di, Brian P.
  • Copenhaven, Cambridge University Press, Cambridge,1992.
  • Hermeticism and the Renaissance, Intellectual History and the Occult in Early Modern Europe, a cura di I.Merked e A.G.Debus, Folger Books, Washington, 1988.
  • Maier, M., Symbola aureae mensae duodecim nationum, Francoforte,1617.
  • Pernety,D.A.J:, Les Fables égyptiennes et grecques dévoilées et réduites au m^eme principe, Parigi,1786.
  • Présence d’Hermès Trismégiste, in «Cahiers de l’Hermétism», Albin Michel, Parigi, 1988

Sulle origini del simbolismo massonico

Nelle brevi notizie di indole storica sopra le «Costituzioni dell’Anderson» abbiamo veduto come anche prima del 1723 si facesse distinzione nelle corporazioni muratorie tra massoneria operativa e massoneria speculativa. E, se può darsi che il manoscritto del Cooke, che risale al principio del 15°secolo, colla espressione speculativa, intenda significare semplicemente la scienza pratica del muratore, è per altro indubbio che, quando cominciarono ad appartenere alle Logge massoniche numerosi accettati liberi muratori, l’espressione di massoneria speculativa servì a designare l’arte o la scienza della edificazione morale e spirituale, e gli strumenti e le operazioni del lavoro muratorio acquistarono od accentuarono il valore di simbolo degli strumenti e delle operazioni di edificazione interiore. Il manoscritto rinvenuto dal Locke (1696) nella Biblioteca Bodleyana e pubblicato solo nel 1748, e che è attribuito alla mano di Enrico VI di Inghilterra, definisce la Massoneria come «la conoscenza della natura e la comprensione delle forze che sono in essa»; ed enuncia espressamente l’esistenza di un legame tra la Massoneria e la Scuola Italica, perché afferma che Pitagora imparò la Massoneria dall’Egitto e dalla Siria, e da questi paesi i Fenici, gli uomini rossi fiammanti, la portarono in Occidente.

I più antichi manoscritti massonici offrono un curioso miscuglio di elementi biblici e di elementi pitagorici. Accanto a Tubalcain, ad Hiram, alla torre di Babele ed al Tempio di Salomone si trova in essi menzione di Pitagora, e di Euclide; il manoscritto Cooke dice che la Massoneria è la parte principale della Geometria e che fu Euclide, un sottilissimo e savio inventore, che regolò questa arte e le dette il nome di Massoneria. Ne segue tra le altre che la lettera G entro la stella fiammeggiante indica la geometria e non God, come sostengono certi scrittori e poiché la stella a cinque punte (il pentalfa pitagorico, il pentagramma cabalistico) rappresenta l’uomo, è dunque per virtù della conoscenza della Geometria (o Massoneria) che l’uomo diviene illuminato; perciò la stella fiammeggiante, come dice un antico rituale, è il simbolo del Massone risplendente di luce in mezzo alle tenebre. Il manoscritto della Bodleyana, concordando coi più antichi manoscritti massonici, stabilisce dunque il legame tra la Massoneria e la Geometria pitagorica, la cui conoscenza era indispensabile per entrare nella Scuola Italica. E sebbene l’autenticità di questo manoscritto non sia sicurissima, pure è molto probabile, ed in ogni caso il documento merita considerazione perché l’Anderson, che non lo conobbe, fa peraltro nel suo «Libro delle Costituzioni» espressa menzione dei rapporti interceduti tra Enrico VI e la Massoneria; e quindi doveva esservene ricordo anche in qualcheduno degli antichi documenti massonici di cui egli si servì per la compilazione del suo Libro. E delle reminescenze pitagoriche nelle «Old Charges» è traccia anche nel più antico rituale stampato (1724) il quale attribuisce un pregio speciale ai numeri dispari, conforme alla tradizione pitagorica.

Il simbolismo massonico, oltre ad elementi pitagorici e biblici, è però ricco di elementi e deriva-zioni varie e complesse, cristiane, cabalistiche, ermetiche, eleusine, alchemiche ecc. Noi vogliamo qui limitarci al simbolismo che adopera gli strumenti, i materiali e gli atti della edificazione materiale come simboli di quella spirituale. Il Laurie scrive: «oggi i Misteri di Pitagora sono chiamati i Misteri della Massoneria, perché molti dei loro simboli sono derivati dall’arte del costruire, e perché si crede che siano stati inventati da una associazione di architetti che erano ansiosi di preservare tra loro la conoscenza che avevano acquistata». Ed a provare che i Pitagorici per somministrare istruzione a coloro che erano iniziati nella loro Fraternità usavano dei simboli tratti dall’arte del costruire il Laurie adduce quanto scrive Proclo nel suo commento ad Euclide. Veramente il passo citato del Laurie non parla affatto di sim-boli di carattere muratorio, e l’unico passo di Proclo che potrebbe autorizzare l’affermazione del Laurie ci sembra il seguente: «Anche Platone insegna molte e mirabili sentenze sugli Dei per mezzo delle forme matematiche, e la filosofia pitagorica usando di questi veli copre la sacra disciplina delle sentenze divine».

Come si vede si tratta di un assai generico riferimento ad un uso di forme geometriche come simboli filosofici. Ed infatti una lontana relazione può stabilirsi tra la pietra cubica massonica ed il cubo e la piramide che per Platone se non per i pitagorici erano rispettivamente il simbolo della terra e del fuoco. I greci davano, come noi, il nome di piramide ad ogni poliedro ottenuto proiettando da un vertice un poligono piano, ma la piramide per eccellenza era quella a base quadrata come le piramidi di Egitto. I geometri greci la chiamavano così, dice Ammiano perché a guisa del fuoco si estenuava nel vertice. Ma il Revillout ha mostrato che la parola greca pyramis, usata per la prima volta da Erodoto, è una lieve corruzione dell’egiziano piremus che designa l’altezza della piramide. I platonici ed i neopitagorici vi riconobbero la figura schematica del fuoco; l’etimologia classica, indubbiamente errata, ve li indusse forse in parte e forse anche una qualche nozione di alcune denominazioni date in Egitto alla piramide di Cheope ed altre.

La piramide simboleggiò il fuoco ed il cubo la terra ; e nella pietra cubica massonica abbiamo la riunione dei due simboli in un solo. Il fuoco (lo zolfo alchemico), l’elemento spirituale è riunito all’elemento terrestre purificato, alla terra, alla pietra levigata, alchemicamente al sale. Un altro rapporto tra la Massoneria e gli antichi è offerto dalla esplicita ed insistente menzione che gli antichi documenti massonici fanno delle sette scienze liberali; ossia delle scienze del trivio e del quadrivio. Quelle del trivio (grammatica, retorica, dialettica) studiavano il linguaggio, quelle del quadrivio (l’aritmetica, la geometria, l’astronomia, la musica) studiavano il numero. Come è noto non si poteva entrare nella scuola italica senza avere attitudine o conoscenza della geometria; ed il manoscritto Cooke afferma che la geometria è la prima causa di tutte le scienze, cioè delle altre sei. Sopra i rapporti tra Pitagora e la Massoneria molto si è scritto ed i famosi statuti massonici italiani del 1820 fanno risalire la Massoneria al sodalizio pitagorico. Esiste anche un’opera del tedesco Carlo Oppel che ha per titolo «Pitagora e la Massoneria» ma di essa non abbiamo potuto prendere visione; pure crediamo che anche l’Oppel non abbia riscontrato un raffronto specifico tra il simbolismo muratori o ed un analogo simbolismo pitagoreo. Prima del 1717 vi erano in Massoneria soltanto i due gradi di apprendista e compagno.

Questi era il vero massone; simboli del compagno sono il pentalfa pitagorico (stella fiammeggiante), la lettera G iniziale di geometria, la scienza base delle sette scienze di cui i rituali prescrivono lo studio al compagno, come ne aveva il dovere il discepolo della scuola italica. A questo si riducono i rapporti, nell’uso del simbolismo muratorio, tra la Massoneria e la scuola pitagorica. Ma non per la natura del simbolismo, sibbene per quella della conoscenza, l’iniziazione massonica si riattacca a quella della antica scuola italica. Il simbolismo muratorio lo troviamo invece nettamente adoperato nel Vecchio e nel Nuovo Te-stamento. Naturalmente, data la formazione semantica del linguaggio, per cui ogni lingua, indipendentemente dal proposito determinato di individui e di scuole, fa uso della metafora e della stessa metafora, non è il caso di esagerare l’importanza di questo fatto, e di scorgervi per esempio la prova che la Massoneria [nel senso ristretto della parola] esisteva al tempo di Isaia, o che Gesù apparteneva all’Ordine. Espressioni come pietra di fondazione, pietra angolare, le fondamenta, la chiave di volta, le colonne ecc. si prestano così facilmente ad essere usate allegoricamente ad esprimere la edificazione morale e spirituale, che non basta l’uso semplice e sporadico di tali espressioni a provare l’esistenza di un vero e proprio simbolismo muratorio. Così sarebbe eccessivo il pretendere ciò a proposito del filosofo e mago neoplatonico, Massimo di Tiro, il maestro dell’imperatore Giuliano, il quale chiama arte reale e pastorale quella che ha per oggetto la condotta del genere umano; oppure a proposito del Tasso di cui ricordiamo il verso (salvo errore nell’Aminta): «Usi ogni arte regal chi vuole il regno».

E così pure sarebbe eccessivo ritenere che si faccia uso di simbolismo muratori o vero e proprio in quei passi del Vecchio e del Nuovo Testamento dove si parla di edificazione spirituale, e si fa uso delle espressioni: tempio, pietra angolare e consimili. San Paolo nella seconda epistola ai Corinti, paragona i Corinti al tempio (naos, tempio, nave) dell’Iddio vivente. La frase di Matteo che dice: Tu sei Pietro e sopra questa pietra io edificherò la mia chiesa; ed il passo di Matteo 7,24 non hanno in proposito maggiore importanza. Un uso più vicino al simbolismo muratorio si ritrova invece nel passo della prima epistola di San Pietro (2, 8) che dice: «la pietra che gli edificatori hanno riprovata è divenuta il capo dell’angolo, e pietra di incappo e sasso di intoppo»; ed il passo di Isaia (28, 16) sopra la pietra angolare citato da San Pietro (I, 2, 6) e da San Paolo (agli Efesi 2, 19, 22) che fa uso ampio ed esplicito del simbolismo della pietra angolare e del tempio del Signore.

La ragione della denominazione pietra angolare riferita a Gesù ce la dice Origene:« Lapis angularis, è chiamato, vel quia duos parietes e diverso, id est, de circumcisione et praeputio venientes in unam fabricam Ecclesiae jungit; vel quod pacem in se angelis et hominibus fecit». Non traduciamo in omaggio alla religione della foglia di fico oggi dominante. Solo quando tale simbolismo si precisa, si accentua ed acquista un carattere sistematico e l’aspetto di gergo professionale, è il caso di parlare di un vero e proprio simbolismo muratorio. E questo è il caso del simbolismo massonico quando usa i termini: pietra grezza, pietra polita, pietra cubica, tagliatura e squadratura della pietra per la edificazione del tempio di Salomone ecc. Così pure quando l’arte muraria non si limita ad edificare in base alle sole considerazioni di stabilità e di estetica, ma per mezzo delle configurazioni e dei rapporti delle varie parti dell’edificio pensa ad esprimere concetti e sentimenti filosofici e religiosi, allora essa si eleva ad arte muratoria, ed assurge alla dignità dell’esoterismo. Simile carattere deve avere avuto od acquistato in tempi abbastanza remoti presso le corporazioni muratorie tutta la leggenda della costruzione del tempio di Salomone di Gerusalemme. Di fatti già nella Bibbia ed in generale nell’ebraismo Salomone è rinomato per la sua straordinaria sapienza; egli fu il re savio per eccellenza e la sua sapienza è detto avere sorpassato anche quella degli Egizii.

Essa diviene poi proverbiale nella letteratura cristiana, specialmente in quella apocrifa, e nella letteratura araba, e diventa addirittura leggendaria nel medio evo. Tra gli apocrifi della Bibbia un libro intitolato «La sapienza di Salomone», opera di Filone Ebreo o di qualche alessandrino, identifica questa sapienza con Dio e con il Logos e dice che pervade tutte le cose e non è soggetta ad interruzioni nella costanza della sua influenza; in un passo famoso dice che essa attraversa tutte le cose a cagione della sua purezza, e che in tutti i tempi entrando nelle sante anime le fa amiche di Dio e dei profeti. Ed alla sapienza di Salomone si attribuisce di buon’ora il carattere magico; p.e. secondo una assai interessante leggenda cabalistica Salomone ordinò ad un demonio di portare Hiram, re di Tiro, nei sette compartimenti dell’inferno, e questi al suo ritorno rivelò a Salomone tutto quello che vi aveva veduto. E questo carattere gli è attribuito nelle numerosissime opere arabe che si occupano di Salomone; p. e. nelle «Mille e una notte» egli è ricordato come dominatore dei demoni per mezzo del suo anello magico.

Le famose «Clavicole di Salomone» così diffuse nel Medio Evo ed ancor oggi popolari nelle campagne ne fanno il prototipo del mago e del sapiente. Rivestito di questo carattere si ritrova anche nella tradizione muratoria. Il tempio di Salomone è il tempio della saggezza; e non è perciò da stupire se ancor oggi si lavora alla sua edificazione. I più antichi documenti massoni ci si occupano diffusamente della costruzione del tempio di Salomone; e, dato questo suo carattere allegorico, furono bene inspirati quei fratelli che vi si riferirono nel comporre il rituale del terzo grado. Ma per trovare l’allegoria architettonica in senso spirituale, più o meno chiaro ed accentuato, è necessario dai tempi biblici e pitagorici venire a tempi assai più recenti. Il Rossetti, il patriota italiano esule a Londra per motivi politici e religiosi, dedica un intero capitolo del 3° volume della sua opera principale a ricercare l’uso del simbolismo architettonico e muratorio da parte degli scrittori medioevali. Egli ricorda il «De Compendiosa Architectura et Complemento Artis Lullii», e gli scritti di Francesco Colonna, nato poco oltre il principio del quattrocento, il quale annotando il Roman de la Rose lo definisce un trattato di «amore e architettura», dove le due parole vanno intese nel senso convenzionale del linguaggio allegorico. Ed il Rossetti rileva la curiosa identità tra l’espressione dantesca che chiama «cieco carcere» l’inferno e «miro ed angelico tempio» il paradiso, e la frase stereotipa del rituale massonico secondo la quale nelle logge «on bâtit des temples à la vertu, et l’on creuse des cachots pour le vice». Un uso molto più esplicito ed ampio di due elementi essenzialmente muratorii, insieme associati, come simboli della grande opera della palingenesi iniziatica è stato fatto dal Cardinale Niccolò di Cusa. Il Rossetti, che pure è andato a pescare i suoi documenti col lanternino, non ne fa alcuna menzione né ci consta che la cosa sia stata rilevata da altri. Per questa ragione e per l’importanza di questi passi, ne daremo l’esatta traduzione dal testo latino. Il Cusano, tedesco di nascita, nato a Cues presso Treviri nel 1401 e morto nel 1464, fu uomo di immensa erudizione, e fu un ardente seguace della filosofia pitagorica. A lui si inspirò e si conformò in gran parte un altro grande pitagorico, frate Giordano Bruno da Nola. Tra le altre cose pare che il Cusano sia stato il primo tra i moderni a sostenere la teoria eliocentrica, riprendendola appunto da Filolao e dai Pitagorici. I due passi che seguono fanno parte ambedue delle «Excitationum ex Sermonibus» del Cusano ; e vi si fa uso di un simbolismo simultaneamente cabalistico, pitagorico, platonico, cristiano e muratorio. «Poiché il tempio; dice il Cusano, ivi (cioè a Gerusalemme) edificato da Salomone non fu altro, che il luogo per la visione degli dei, il quale il principe dei sacerdoti consultava, dove si tenevano in scritto i responsi dei profeti, dai quali i sacerdoti investigavano le cose occulte». Ed ecco il secondo brano, che segue alla stessa pagina poco dopo: «L’anima zelante, che viene scelta in sposa per il figlio di Dio, il quale abita l’immortalità, ossia la celeste incorruttibilità, affinché sia gloriosa e degna, si conforma in questo mondo alle leggi ed ai costumi dello sposo e si adatta alla trasmigrazione, come vengono levigate le pietre (sicut lapides poliuntur) che devono essere trasportate all’edificio del tempio di Gerusalemme dove è la visione di Dio. Ed affinché tutte le pietre abbiano la debita misura, il maestro discende da Gerusalemme ai rudi monti del deserto, e le forma e poi le taglia per addurle e collocarle nel santo edificio.

Così la sapienza di Dio discende dal cielo nella carne, e sceglie la sposa che lavi col suo sangue, affinché sia sposa, e conosca (di essere) grandemente diletta dallo sposo, che si dette in morte per essa. Ma la sposa zelante chiamata alle nozze dell’agnello, vale a dire del suo sposo immacolato, non può celebrare le nozze se non in Galilea, vale a dire in trasmigrazione. È necessario dunque che si dimentichi del padre, e che esca dalla sua terra e dalla sua famiglia paterna e segua il re che concupisce la sua bellezza: come in questo mondo le spose quanto più sono nobili, a tanto più distanti sposi vengono spesso trasferite». La traduzione, se non è bella, è però fedelissima e permette di pesare il valore ed il senso di tutte le espressioni usate in questo esuberante simbolismo. Sono queste le mistiche nozze del re e della regina, del Sole e della Luna, da cui nasce la pietra filosofale o pietra cubica, che fa parte integrante del dificio santo di Gerusalemme. Il maestro scende da Gerusalemme nel deserto (l’aspro diserto, la diserta piaggia dantesca), trae di tra i ruvidi massi (le pietre gregge) la pietra, la leviga, la purifica, le dà la debita conformazione, la rende atta alla trasmigrazione dal deserto al tempio dove si ha la visione di Dio, la stacca dalla sua terra e dal suo luogo natale e la colloca nel santo edificio.

Così la sapienza discende dalle regioni celesti nella carne (verbum caro factum est), muore alla pura vita incorporea per immedesimarsi alla vita corporea di quella sposa che ha scelto, e che purifica col sangue che sparge per lei, il sangue dell’agnello immacolato, cioè vissuto sino ad allora nelle pure regioni spirituali. Così il re preso di amore per la bellezza di una anima nobile la trasporta tanto più lungi da terra quanto più essa è di nobile natura. Queste nozze del Cusano sono conformi alla dottrina cabalistica per la quale: «Anima plena su-periori conjungitur», ed alla concezione dell’amore platonico secondo il quale vi sono quattro specie di furore divino, e la quarta che è di Venere e di Amore, è la meglio; la quale Venere Urania, dice Platone, non è lasciva manco per ombra. È un argomento questo su cui si sono dette e si dicono un sacco di sciocchezze da coloro che, per essere meno affini di gran lunga agli angeli che non ai porci, non sanno levare il naso dal trogolo in cui si godono rimestare il grifo. E perciò non ragioniamone, ma guardiamo e passiamo. L’identificazione dell’uomo e più specialmente della carne colla terra, e quindi colla pietra, è antichissima. L’etimologia stessa della parola homo, humanus da humus, cui corrisponde in ebraico quella di Adam lo prova; ed il Cardinale di Cusa teneva certo presente il racconto biblico della creazione dell’uomo dal fango. Egli era, come appare anche dai passi riportati, assai eclettico nei simboli che adoperava, e inoltre doveva certo parlare non per semplice erudizione. Cardinali così illuminati fanno onore alla Chiesa cui sono appartenuti, ed è giusto riconoscerlo. Non sappiamo però quanti ne annoveri oggi il Sacro Collegio; e, salvo il debito rispetto, ci pare che da un bel po’ di tempo, nella vigna del Signore, di queste piante si sia perduto sin anco il seme. In compenso, prospera la mala erba di Santo Ignazio. Questo simbolismo muratorio adoperato dal Cusano, che era arcivescovo di Treviri, proprio nel periodo della grande attività delle corporazioni muratori e nella costruzione delle grandi cattedrali di Colonia, Strasburgo ecc. della regione renana, presenta allo storico della Massoneria più di un lato degno di riflessione.

Le corporazioni muratorie erano allora in qualche modo dipendenti da questi alti prelati che le chiamavano al lavoro, e l’associazione dei due concetti di edificazione materiale e spirituale doveva attuarsi naturalmente per la collaborazione degli uni e degli altri. Alcuni simboli, strettamente muratorii, furono pure usati dagli alchimisti. Un manoscritto alchemico della Biblioteca dell’Arsenal contiene questo racconto del viaggio simbolico di un adepto: «Con la protezione dell’Altissimo tetrapentagrammaton, di cui la sovrana bontà mi ha conservato sempre questo prezioso mezzo (milieu) quod tenuere beati, nel mio pellegrinaggio laborioso tra il cielo ed il globo pietroso ho respirato e trovato il mio nutrimento tra i due poli artico ed antartico, nel sommo dei cieli e nella sfera di Saturno, nel cospetto molto benefico di Venere. Grazie alla favorevole introduzione di Mercurio, mi sono visto condotto nel gabinetto del Sole… dove ho riconosciuto che la vera e maestra pietra angolare e cubica è la base ed il vero centro della luce, che esce per se stessa dalle tenebre di questo sasso bianco, di questa unzione che insegna tutte le cose, di questa saggezza celeste che assiste continuamente il trono dell’Altissimo, da cui esce questo olio di gioia, questo balsamo di vita triangolare…».

Il Jacob, da cui riportiamo il passo, non indica il tempo cui appartiene il manoscritto, di modo che si potrebbe forse dubitare della sua antichità; ma un po’ per lo stile ed un po’ per altre ragioni lo si può fare risalire al settecento. Analogia ed identità tra il simbolismo massonico e quello alchemico si riscontrano facilmente nelle opere degli alchimisti. Michele Sendivogio, detto il Cosmopolita, morto ottantenne nel 1646, paragona ad una via reale (via regia) quella seguita dalla santissima arte filosofica o scienza reale. Nel suo «Novum Lumen Chemicum» mette il chicco di grano in relazione colla putrefazione e colla resurrezione ed altrettanto fa l’anonimo Philalete in tutto il XIII capitolo dell’«Introitus apertus ad occlusum Regis Palatium», scritto nel 1645. In queste mirabili opere di antichi iniziati il chicco di grano ha il medesimo valore allegorico che riveste nei misteri egiziani, in quelli eleusini, nella tradizione massonica; e che è racchiuso nel carattere intenzionalmente duplice, ermetico ed eleusino, della parola di passo del secondo grado m∴, conformemente al significato ebraico ed a quello greco della parola, come sulla scorta dell’Hutchinson abbiamo mostrato altrove. Il sangue versato dall’agnello del Cusano è il sangue che viene trasudato dalla pietra cubica. «Beato te, dice il Sendivogio, se tu sai che il sangue dello Zolfo è quella virtù e sincerità intrinseca che converte e congela l’argento vivo (il mercurio) in oro».

Perché, è detto poco dopo, «lo zolfo è più maturo degli altri principi, ed il Mercurio non si coagula se non collo zolfo. Quindi tutta la nostra operazione in questa parte non è se non di sapere fare uscire dai metalli lo zolfo col quale il nostro argento vivo si coagula in oro ed argento nelle viscere della terra: il quale zolfo in questa opera viene tenuto al posto del maschio, e quindi più degno, ed il Mercurio al posto della femmina. Dalla composizione e dall’atto di questi due si generano i Mercurii dei filosofi»; e così si penetra nel chiuso palazzo del re del Filalete, del Cusano e del Sendivogio. La squadra ed il compasso erano simboli usati dagli alchimisti sino dai primi del settecento. In un’opera edita a Francoforte nel 1618 (Joannis Danielis Mylii Tractatus III seu Basilica Philosophica) è rappresentato entro l’uovo filosofale l’ermafrodito ermetico o Rebis.

Una figura umana bicipite (una testa maschile, l’altra femminile) tiene nella destra un compasso, nella sinistra una squadra, sta dritta sopra un dragone, e questo sta sopra un globo terrestre alato, in cui è inscritto un triangolo ed un quadrato. Questo Rebis dice il Filalete è la materia nella prima opera ed è rem ex re bina confectam juxta poenam: Res rebis est bina conjuncta, sed tamen una. Pochi anni dopo la morte del Sendivogio fu pubblicato a Parigi (1660) uno scritto famoso per i seguaci dell’Arte, le «Dodici chiavi della filosofia», composto probabilmente da Basilio Valentino. Al principio di questo libro, scrive il Silberer, si vede una magnifica incisione in rame, di cui è evidente l’affinità col simbolismo massonico. Come complemento al simbolo del sale, rappresenta-to dalla pietra cubica, e collocato proprio a pie’ di pagina, si trova un chiaro accenno alla terra ed alle cose terrestri; la rettificazione del soggetto (l’uomo) trattato nell’arte si effettua difatti attraverso la prova degli elementi terrestri, conformemente ai precetti degli alchimisti, i quali chiamano Vitriol l’inizio dell’opera e danno la forma di una massima alle iniziali di questa parola: «Visita interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem». Poco sotto il centro dell’incisione trovasi il simbolo alchemico del Mercurio con a destra il sole ed a sinistra la luna; e sopra il Mercurio il simbolo dello zolfo, ossia un triangolo equilatero dalla cui base pende una croce. Nell’interno del triangolo una Fenice si solleva dalle fiamme; e sopra il vertice del triangolo sta in piedi Saturno incoronato, colla falce nella destra ed un compasso nella sinistra. Il sale, il mercurio e lo zolfo furono, dopo Paracelso, i tre simboli fondamentali della alchimia. In questa incisione di Basilio Valentino tutto poggia sopra la pietra cubica. Sopra di essa, e sotto l’influsso del sole e della luna si forma il mercurio, che unisce la pietra cubica allo zolfo, entro cui la Fenice risorge dalle fiamme.

Sta in sommo Saturno che tiene in mano la falce del tempo ed il compasso dell’eternità. La proprietà del Mercurio (l’argento vivo mobile come il pensiero) di fissarsi e di amalgamarsi coll’oro (il sole) e coll’argento (la luna) ne fa un simbolo alchemico preciso ed efficace, perché come abbiamo cercato di esporre altrove la grande opera si attua mediante l’amalgama, l’assimilazione della coscienza individuale in quella non differenziata. Il Rosacroce Joachim Frigerius nel suo «Summum bonum» (Oppenhemii 1629) parla continuamente del lapis dei filosofi e dice che «la pietra spirituale è Cristo che riempie tutte le cose, e quindi noi siamo le membra della pietra spirituale e conseguentemente siamo delle pietre viventi, tratte da questa pietra universale. Perciò non soltanto a Pietro ma ad ogni uomo cristiano compete il nome di Cephas». Ed il grande filosofo rosacroce Robert De Fluctibus (Fludd) attribuisce l’invenzione della musica a TubalCain, ben noto in Massoneria, mentre il Borrichius pone la culla dell’alchimia nell’officina di TubalCain. Ricordiamo poi che Elias Ashmole, rosacroce, alchimista, ed autorevole massone, pubblicò il suo Fasciculus Chemicus sotto lo pseudonimo di Jacques Hasolle nel 1650, ed il «Theatrum Chemicum Britannicum» a Londra nel 1652.

Egli era stato iniziato in Massoneria nel 1646. Ed infine ricordiamo che un vecchio libro avente per titolo: L’Adepte moderne, ou le vrai secret des FrancsMaçon, Londres 1747, non si occupa affatto di massoni, ma solo della trasmutazione dei metalli. Ma sui rapporti tra alchimia e massoneria avremo occasione di tornare e per il momento rimandiamo il lettore alle opere del Wirth, del Höhler, del Silbèrer, del Katsch e dello Tschoudy. Un tempio che ricorda quello massonico viene sommariamente descritto da Giordano Bruno nel De Monade, Numero et Figura nel capitoletto intitolato Urbs Cabalistica e che principia coi seguenti versi: Descripsit seclum, tetradis sub lege propheta, cui Domus est Quator laterum; Templumque quaternis cornibus adsurgens. Quadruplo ordine adesse columnas ad Quator coeli plagas,… (Opera latina – Napoli 1884 – Vol. I, Pars II, pag. 385). E così pure sotto molti rispetti ricorda quello massonico e quello di Salomone il tempio della Città del Sole di Tommaso Campanella; ed il grande sacrificio che vi si compie e di cui Campanella fa la descrizione non è altro che la figurazione della suprema iniziazione. Il filosofo italiano scrisse verso il 1602, nel carcere, questo viaggio all’ideale città del sole che egli vagheggiava. Circa venti anni più tardi un grande filosofo inglese, Francesco Bacone, poco prima di morire, scriveva la nuova Atlantide, dove in modo consimile egli immagina di pervenire dopo un grande viaggio nella lontana isola di Ben Salem dove una umanità vive secondo un regime sociale e civile dall’autore esaltato. Come abbiamo accennato nel breve studio sopra le Costituzioni dell’Anderson, comparso in un numero precedente della Rassegna, varii autorevoli scrittori massonici fanno risalire ai rosacroce pel tramite della Nuova Atlantis di Bacone il nuovo spirito universale ed asettario impresso all’Ordine dai riformatori del 1717. Certo il grande rinascimento scientifico e filosofico del settecento, di cui Bacone fu magna pars, doveva esercitare una qualche ripercussione anche nel seno della Massoneria speculativa.

Il severo spirito scientifico di Bacone e l’ampia visione umanistica che informa la Nuova Atlantide, la filosofia socratica propugnata nel Pantheisticon e nelle Letters to Serena del Toland, cui facevano capo i più eletti ingegni dell’Inghilterra (1720) e lo spirito libero con cui il Dupuy nel suo «Traitez concernent l’Histoire de France – 1651» trattò della storia e della condanna dei templari, dovevano certo promuovere la idea di una nuova società umanitaria in luogo dell’antica Massoneria cristiana ed anche suggerire l’adozione di simboli tratti dal paganesimo e dall’ ebraismo. Ma oltre a questo legame ideale, vi sono altre cose più determinate in comune alla Massoneria ed alla Nuova Atlantide di Bacone. Gli abitanti dell’isola di Bensalem «grazie alla loro solitaria situazione, ed alle leggi del segreto verso i viaggiatori ed alle rare ammissioni di stranieri, conoscono bene la maggior parte del mondo abitabile, e sono essi stessi non conosciuti». Questa era esattamente la situazione dei Rosacroce, e in generale di ogni società segreta seria. Nel regno di Bensalem esiste una Società della casa di Salamon, composta di uomini savi, la quale casa o collegio costituisce l’occhio diritto (the very eye) del reame.

Il governatore della casa degli stranieri, fornendo delle spiegazioni agli avventurosi viaggiatori, così si esprime in proposito: «Circa 1900 anni or sono regnò in quest’isola un re, la cui memoria più che tutte le altre onoriamo; non in modo superstizioso ma come un istrumento divino benché uomo mortale. Il suo nome era Solamone, e noi lo stimiamo come il legislatore della nostra nazione… Tra gli atti eccellenti di questo re uno ebbe sopra tutti preminenza. Fu l’erezione e la istituzione di un ordine, o società, che noi chiamiamo Casa di Salomone, la più nobile fondazione, pensiamo, che sia mai stata sopra la terra, e la lanterna di questo regno. Essa è dedicata allo studio delle opere e delle creature di Dio. Alcuni pensano che essa porta il nome del fondatore alquanto corrotto, perché dovrebbe essere la casa di Salomone; ma i documenti lo scrivono come è detto.

Ed io penso che sia così denominata dal re degli Ebrei, che è famoso presso di voi e non è straniero per noi, perché abbiamo alcune delle sue opere che voi avete perduto: precisamente la Storia Naturale che egli scrisse di tutte le piante, dal cedro del Libano al muschio che cresce dai muri, e di tutte le cose che hanno vita e moto. Questo mi fa pensare che il nostro re, trovandosi a simbolizzare (ossia a concordare) in molte cose con quel re degli Ebrei (che visse molti anni prima di lui) lo onorò col titolo di quella fondazione. Ed io sono tanto più indotto ad essere di questa opinione perché nelle antiche memorie trovo che questo ordine o società talvolta è chiamato Casa di Salomone e qualche volta il Collegio dei Lavori dei sei giorni, per mezzo di che mi persuado che il nostro eccellente re aveva imparato dagli Ebrei che Iddio aveva creato il mondo e tutto quello che vi è dentro nello spazio di sei giorni; e perciò egli istituì quella casa per scoprire la vera natura delle cose (di modo che Dio potesse avere la maggior gloria nella loro fabbricazione e gli uomini il maggior frutto nel loro uso), e le diede anche il secondo nome».

Ed infine Bacone fa dire personalmente al «padre della casa di Salomone»: «lo scopo della nostra fondazione è la conoscenza delle cause e dei movimenti segreti delle cose; e l’allargamento dei limiti dell’impero umano, per effettuare tutte le cose possibili». Lo scopo attribuito da Bacone alla sua casa di Salomone è lo stesso, anche nella espressione adoperata, con lo scopo e la definizione della Massoneria data dal manoscritto della Bodleyana. Notevole è pure la asserzione della esistenza di una sapienza arcana di Salomone nota solo ai fratelli del Collegio di Salomone, ed il perseguito allargamento dei limiti della potenza umana per effettuare tutte le cose possibili. Questi sono gli elementi essenziali per misurare quale legame spirituale leghi la Massoneria, attraverso l’opera dei riformatori massonici di due secoli or sono, alle idee di Francesco Bacone ed alla sapienza della misteriosa fratellanza dei rosacroce.

Arturo Reghini

Una questione relativa alle origini della Massoneria

La spiegazione classica – accettata da tutti – delle origini della Massoneria la fa storicamente derivare dalle associazioni dei costruttori medievali. Queste ultime avrebbero fin dall’inizio contenuto anche dei non-operativi. Agli inizi del settecento i non-operativi sarebbero divenuti la maggioranza dando così alla Massoneria i caratteri speculativi che da allora in poi ha sempre avuto.

Fino a poco tempo fa questo modo di vedere le cose non mi sembrava discutibile. Tuttavia recentemente, per ragioni che non è qui il caso di evocare, sono stato portato a occuparmi dei periodi storici che vanno sotto il nome di Umanesimo e Rinascimento. Non ho potuto così fare a meno di notare un fenomeno che presenta analogie sorprendenti con quello massonico.

Dunque, a partire dal settecento, un sacco di signori pieni di interessi esoterici ma che non avrebbero toccato mattoni e calcina neanche con la punta della loro canna da passeggio si fanno all’improvviso un punto d’onore di potersi chiamare “muratori”: strano fenomeno, che viene spiegato come ho detto prima.

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Mysteria Latomorum

Uno studio sullo scisma massonico del 1717

e su alcuni aspetti generali di quell’istituzione

 

 

   Intorno all’Istituzione massonica,1 alla sua storia ed al suo vero significato esistono non soltanto molte incomprensioni ma anche assurde costruzioni affabulatorie, difficili da scalfire presentandosi quasi sempre come il negativo coagulo di personali idiosincrasie, alimentate, del resto, da un’informazione che, quand’anche provenga da ambienti ad essa interni, non brilla per conoscenza, chiarezza ed obiettività. Questo detto, non si vuole però affermare che la materia sia facile e che le confusioni lamentate non siano prive di una qualche umana giustificazione. La difficoltà maggiore, quella concernente la natura profonda di quest’organizzazione, sta nel disagio dell’uomo d’oggi a confrontarsi, in termini che non siano meramente sentimentali, con realtà che affondano le proprie radici nel mondo pre-moderno. Non a caso, sono correnti le espressioni quali quella di <<sentimento religioso>>, che ben le riassume con il ricondurre tutta la materia ad una questione d’ordine morale e psicologico. Riuscire a disfarsi di queste abitudini mentali è almeno difficile, poiché pesa su esse tutta l’inerzia di una formazione, che impedisce anche d’accorgersi di trovarsi di fronte ad un problema. Il problema sta dunque tutto nella comprensione della vera natura degli antichi mestieri;2 riguardo ai quali è necessario sbarazzarsi delle opinioni preconcette determinate da un “senso comune”, il quale, lungi dall’essere il frutto principale dell’innocenza è il risultato di qualche secolo di una specifica formazione culturale ed essa si riassume nei contenuti dell’istruzione contemporanea. Il mestiere, che qui ci riguarda, è quello del costruttore, inteso nella sua accezione più elevata ossia quello di colui che progetta e segue nel suo edificarsi un’opera di rilevante importanza. Quest’uomo, un architetto, non era una persona colta nell’accezione attuale anche se alcune delle conoscenze professionali, che gli erano necessarie, debbano essere inserite nella storia della tecnologia mentre altre – le più importanti e caratterizzanti – sono oggi ignote. Non era nemmeno un operaio anche se certe abilità manuali gli appartenevano avendole apprese nell’iter formativo iniziato col giovanile apprendistato; spesso poi, egli aveva anche un ruolo imprenditoriale, essendo titolare di quella che noi chiameremmo una “ditta”. La cosa però fondamentale e che lo differenziava dai moderni, omonimi epigoni è che, il suo patrimonio culturale e tutto il suo agire erano posti in una prospettiva radicalmente diversa e tale da ribaltare ciò che noi intendiamo per lavoro.

Intanto, quello che faceva e delle cui implicazioni egli era, per la sua formazione tradizionale, perfettamente cosciente, corrispondeva ad una simbolica imitazione della Creazione e quindi l’opera, che, sotto la sua direzione, andava a prendere forma, era, volutamente, un’immagine del cosmo. Pertanto, ogni parte di essa stava in relazione analogica con livelli ontologici d’ordine superiore essendo, di questi, una rappresentazione sensibile; nello stesso modo, anche tutto il cosmo era letto ed interpretato. Inoltre, per la stretta aderenza tra l’intima natura personale ed il lavoro esercitato, caratteristica di tutte le arti antiche, l’atto proprio estrinsecava le potenzialità dell’uomo, proprio come <<il saper costruire [sta] al costruire … e l’oggetto cavato dalla materia ed elaborato compiutamente sta alla materia grezza ed allo [stesso] oggetto non ancora finito>>.3 In questo senso ovvero nel passaggio dalla potenza all’atto di ciò che era latente, in tale reminiscenza dunque, che rende simile il pensante al pensato e, all’interno di una specifica forma iniziatica, si compiva la realizzazione spirituale dell’artista. Tale azione personale e soprattutto interiore è, sempre, un compito fondamentale ed ineliminabile ma, nelle iniziazioni di mestiere, qual è, appunto, il caso massonico, assume un ruolo di prevalenza il lavoro collettivo e da esso discende la necessità di una struttura corrispondente. Quest’entità operativa era la Loggia:4 la quale, per essere costituita e poter trasmettere il fiat lux iniziatico, necessita, ancor oggi, della presenza di almeno sette maestri.5

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I perchè si e i perchè no dell’iniziazione massonica femminile

Relazione tenuta da Valter Bencini il 02 ottobre 2010 al Circolo di cultura Esoterica “Fausto Nitti”

Relatori alla tavola rotonda:

  • Luisa Ceravolo
  • Claudio Bonvecchio
  • Roberta Bianchi
  • Luciano D’Alessandro
  • Valter Bencini
  • Spartaco Mennini

Ha introdotto i lavori Mario Bernabò Silorata

 


I PERCHE’ SI E I PERCHE’ NO DELL’INIZIAZIONE MASSONICA FEMMINILE

RINGRAZIAMENTI E PREMESSA

Vorrei ringraziare gli organizzatori dell’incontro per l’invito ricevuto, il mio Gm Luigi Pruneti per la stima e l’onore di cui mi ha investito per sostituire la sorella Anna Giacomini, a cui va il mio affettuoso pensiero in questo momento. Sostituire una donna dallo spessore culturale e della levatura di Anna, direttrice di Officinae, che ho conosciuto personalmente, non sarà facile. Con rispettosa umiltà ci provo. Infine un sentito ringraziamento a Vittorio Vanni e a Mauro Biglino per il materiale fornitomi ed il supporto amichevole e fraterno, datomi nella preparazione di questo mio lavoro.

Per il tema di questa serata mi avvarrò, oltre che della mia conoscenza teorica, dell’esperienza personale, avendo io passato 18 anni dei miei 20 anni di Massoneria in Obbedienze dall’impronta maschile. Iniziato nel 1990 nel Goi ho seguito Di Bernardo nella scissione e nella costituzione della GLRI, esperienze importanti che non rinnego, che hanno aumentato il mio bagaglio di conoscenza, così come non posso che dichiararmi pienamente felice e realizzato nella scelta di appartenenza alla GLDI, una Comunione, come ben sapete, a carattere misto. Qualcuno potrebbe dire a mo’ di battuta che mi manca solo la Massoneria Femminile e la mia sorella e amica Roberta Bianchi, con la quale collaboro nel Cenacolo Salomone, associazione culturale da me fondata e condotta insieme a fratelli e sorelle di 4 Obbedienze diverse, mi dice a volte, scherzando, che, qualora decidessi di operarmi, potrebbe farmi una proposta per considerare, tra le varie opportunità la sua Famiglia Massonica a carattere esclusivamente femminile. Ho declinato naturalmente l’invito, ma quello che pare semplicemente uno scherzo, in realtà poi trova riscontri in realtà sempre più complesse, inimmaginabili anni fa.

Il Grande Oriente di Francia, che conta 50.000 adepti, ha infatti deciso di ammettere recentemente al suo interno membri di sesso femminile, Da circa un decennio ormai i membri del Grande Oriente di Francia discutevano se ammettere le donne nell’associazione. Lo scorso 8 aprile la Camera Suprema di Giustizia Massonica, convocata dal Gran Maestro Lambicchi ha emesso la «sentenza» sostenendo che non vi era nei regolamenti alcun espresso divieto che impediva alle donne di far parte dell’associazione. Nell’ultimo anno, poi, un gruppo di logge ribelli ha clandestinamente «iniziato»alla massoneria transalpina ben sei donne. Il vero casus belli, però è stato rappresentato dal fatto che il 21 gennaio scorso, la transessuale Olivia Chaumont è stata proclamata «sorella» della federazione massonica [1] – Iniziata come uomo, il suo percorso psicobiologico l’ha portata alla scelta di essere donna a tutti gli effetti. Ed il Gran Maestro non ha che potuto che concludere: “questa è la sua casa”.

Non credo che il fatto che il Grande Oriente di Francia operi, nella sua stragrande maggioranza delle Logge, senza aprire i lavori sulla Bibbia, come fanno invece le nostre Famiglie, qui rappresentate, sia fondamentale per liquidare facilmente l’accaduto come un fatto illegittimo di una Obbedienza irregolare. Un caso Umano come questo potrebbe benissimo capitare in ognuna delle Comunioni Maschili o Femminili presenti in Italia. E allora come verrebbe risolto? Con l’umana lungimiranza Francese o con una fredda scelta di convenienza politica?

RAGIONI SOCIALI O TRADIZIONALI?

Direi che le ragioni dell’esclusione delle donne all’iniziazione femminile sono state trattate spesso con sufficienza e superficialità, concentrandosi spesso sugli aspetti sociologici, morali, umanistici come nel caso di Marie Deraismes, di “diritto umano”, che pure era una donna. Le sue istanze egualitarie sulla donna, sono lodevoli sul piano delle concezioni attinenti all’evoluzione sociale ma c’è una mancanza di una conoscenza approfondita delle motivazioni esoteriche sul tema della esclusione massonica.

Il triste fatto è che non solo gli oppositori come La Deraismes, ma anche chi queste regole le propugnava e le attuava, non ha saputo fornire almeno per lunghi periodi una spiegazione logica di questa  esclusione.

Come è pensabile che una Massoneria “regolare” che pratica tolleranza ed eguaglianza, non ammetta le donne tra le sue fila e che tale divieto sia persino un Landmark (letteralmente traccia nella terra, confine)?

Gli Old Charges recitano al cap.3 quando si parla delle Logge.

“Le persone ammesse come membri di una Loggia devono essere buoni e sinceri, nati liberi e di età matura, non schiavi, non donne, non uomini immorali o scandalosi , ma di buona reputazione”. [2]

Fino al 1858 né Anderson, né nessun altro, spiegava e codificava però il perché di tale esclusione; in qualche modo la possiamo intuire noi e ricavarla esaminando le condizioni sociali della donna in quell’epoca. La donna inglese del 1700 era, piaccia o no, in una posizione subordinata all’uomo, quasi assimilabile in qualche misura all’altro termine che compare nel capitolo “schiavi”. Dunque esclusivamente un motivo sociale, in quanto le donne erano sempre dipendenti da un uomo, fosse il marito, il padre, lo zio od un fratello tanto da non poter disporre liberamente neppure di diritti banali come quello ereditario, per non parlare poi del diritto di voto..

Nel 1858 finalmente il Mackey invece affermò che l’esclusione poteva rifarsi ad un costume operativo precedente, rifacendosi finalmente all’unico parametro effettivo, quello della validità iniziatica e della tradizione esoterica. Vedremo però quanto questa affermazione potrà essere smentita da alcuni documenti incontestabili.

Non mi riferisco al caso di Elizabeth Aldworth [3], irlandese, che comunque, a mio avviso fa testo come una sentenza della giurisprudenza, anche se viene presentato da chi nega l’iniziabilità delle donne, come fatto occasionale e non rilevante. La storia ci dice che la ragazza avrebbe assistito di nascosto a una funzione massonica nella casa del padre nella prima metà del secolo XVIII. Quando fu scoperta, gli adepti si riunirono e decisero di cooptarla all’interno della loggia. Mi riferisco piuttosto a costumi della Massoneria Operativa che sono stati volutamente nascosti, distorti e probabilmente in alcuni casi casi distrutti.

Da parte di molti studiosi, soprattutto anglosassoni ([4],[5]) e francesi [6], sull’opera dei quali mi baserò, sono state perciò avanzate varie riserve sul rispetto del patrimonio spirituale ed iniziatico dell’antica Massoneria nella formazione della Gran Loggia di Londra e nelle “Costituzioni” di Anderson.

Sappiamo che Desaguliers e Anderson, pastore anglicano, operarono ad un riassetto dell’Ordine e ad una codificazione per scritto di quanto fino a quel momento fosse affidato alla Tradizione Orale ma, in questa operazione, gli antichi usi e rituali della massoneria operativa risultarono profondamente trasformati tanto da nascondere le origini cattoliche , e probabilmente, come effetto collaterale, si perse anche traccia dell’ammissione delle donne nella Massoneria Operativa.

Le ricerche dei Fratelli C.E.Stretton e T. Carr, citate da Vanni[7],provarono quanto segue:

James Anderson, che era Cappellano di Loggia, nel 1714 inizia delle Conversazioni sulla Massoneria con dei gentiluomini, e li riceve in Loggia, rifiutando però l’accesso a dei Massoni Operativi. Tra questi gentiluomini:

G. Payne, futuro GM, il pastore di origine ugonotta J.T. Desaguliers, A. Sayer, il Duca di Montagu, che succederà a Payne come GM, Johnson un medico che prendeva onorari per l’esame fisico dei profani, Entick e Stuart, un avvocato.

E’ da notarsi che i Cappellani nella Massoneria Operativa officiavano su richiesta, su questioni puramente religiose e appartenevano alle Logge solo esternamente. A essi non si richiedeva altro che una promessa di discrezione e non c’erano motivi di comunicargli i segreti del mestiere e le parole di passo. Solo più tardi si crearono le Logge di Jakin in cui si istruivano i Cappellani che non potevano comunque superare il 2° Grado.

Non essendo Maestro non poteva ricevere Massoni e fondare una Loggia. Le attività ambigue di Anderson attirarono l’attenzone degli Operativi. Alcuni di loro gli chiesero la parola di passo che avrebbe permesso loro di frequentare i lavori della sua Loggia “alla taverna dell’Oca” ma Anderson la rifiutò. A quel punto Anderson e gli altri 7 irregolari fondarono la Lodge of Antiquity, che fondò altre Logge ovviamente irregolari come la prima. Sir C. Wren il grande architetto inglese, autore della grandiosa cattedrale di San Paolo, che nel 1716 era Gran Maestro annuale dell’Antichissima e Onorabile confraternita dei Liberi Muratori, si rifiutò di riconoscere la Lodge of antiquity e la loro discendenza.

Oltre a queste irregolarità iniziatiche gli Operativi contestarono ad Anderson le seguenti alterazioni della Massoneria Primitiva:

  1. Aver ridotto a due gli antichi gradi operativi che erano 7
  2. Di aver iniziato un’Apprendista senza il noviziato di sette anni, minimo 5,passandolo poi al grado di Compagno un mese dopo
  3. Di aver rimosso i due Sorveglianti della Loggia scegliendo altri senza le caratteristiche dovute
  4. Di aver cambiato l’orientamento della Loggia e di aver messo il Venerabile all’Oriente mentre la tradizione Operativa lo metteva all’Occidente
  5. Di avere introdotto nel 1730 il grado di Maestro Massone con il rituale della morte di Hiram, che gli operativi non conoscevano per niente ed ai loro occhi appariva come rituale negromantico.
  6. Di aver introdotto il grado di ex-venerabile , di cui non si vedeva l’utilità eche poteva mettere in dubbio l’autorità del 1° Sorvegliante

Stretton afferma che questi avvenimenti furono registrati nella Guild Minute Book of Lodge Saint Paul, detenuti negli scantinati della loro sede sociale, e tali archivi erano accessibili solo ai detentori del VII grado della Massoneria Operativa.

Dice in proposito G. Ponte (in Rivista di Studi Tradizionali, Torino): « In realtà, un esame approfondito dei fatti ha condotto a togliere valore alle famose “Costituzioni” di Anderson del 1723, che alterarono gli antichi “Old Charges” della Massoneria operativa. D’altra parte, avverte in varie occasioni René Guénon, non si trattò soltanto del “prodotto della fantasia di un individuo senza mandato”: l’innovazione a cui si dava vita comportava anche una frode su vasta scala, con la distruzione dei documenti che avrebbero offerto la prova della alterazioni volute, e persino, a quanto pare, con l’incendio doloso degli archivi della Loggia di San Paolo”[8].

Come curiosità c’è da segnalare che lo sconcerto provato dalle numerose Logge operative rimaste, fu tale che per molti anni non accettarono tra i propri membri neofiti il cui cognome fosse Anderson.

Così come il ritrovamento negli anni del Poema Regius, del manoscritto Cooke, Plot, Gran Loggia 1, Tew , Sloane, Roberts,Spencer. hanno contribuito a togliere qualche velo su cosa potesse essere la Massoneria Operativa, altrettanto valore possono avere questi documenti relativamente all’Iniziazione Femminile.:

In Francia il “Livre des Metiers” di Etienne Boileau (1268) prevedeva l’accesso alle donne nelle Corporazioni Artigiane e la loro elevazione al grado di Maestro, anche in mestieri manuali tradizionalmente maschili.

Gli statuti della Gilda dei Carpentieri di Norwich (1375) sono indirizzati “ai Fratelli ed alle Sorelle”.

Lo statuto della Loggia di York (1693) riporta che “Colui e Colei che deve essere fatto Massone pone le mani sul Libro (la Bibbia) ed allora le istruzioni sono date”.

E’ evidente che l’ammissione delle donne nella Massoneria Corporativa rispettava la necessità economica di trasmettere in linea familiare il patrimonio d’impresa. Sicuramente una iniziazione non operativa se si eccettua la corporazione francese che prevedeva anche questo tipo di adesione. Personalmente non mi meraviglio; durante la mia esperienza nella GLRI spesso mi veniva ripetuto un bellissimo insegnamento “Charity begins at home” (la benevolenza inizia in casa propria) e credo la frase si sposi benissimo con il comportamento tenuto dai Fratelli operativi, che era improntato al salvataggio del patrimonio legato al lavoro di un fratello deceduto, ove in linea di successione non ci fossero figli maschi. Certamente posso concludere al riguardo di queste origini, che non esistono motivi storici o tradizionali che impediscano l’iniziazione massonica alle donne. E’ solo con l’avvento della Massoneria Moderna, caratterizzata da dolose elisioni ed innovazioni che viene impedita alle donne l’iniziazione.

RICONOSCIMENTI E CAMBIAMENTO DELLE PROSPETTIVE MASSONICHE

Le Regole internazionali per il riconoscimento, adottate anche dalla Glri d’Italia, non sono di epoca lontanissima. La UGLE le pubblica nel 1929, le tre grandi logge britanniche nel 1938 e le Gran Logge degli Stati Uniti nel 1952.

Al punto 4 si legge: che “la gran loggia o le singole logge siano costituite esclusivamente da uomini e che la gran loggia non abbia rapporti massonici di alcun genere con Logge Miste o Corpi che ammettono donne” [9]

Perché queste norme ed in particolare questa si snodano in un periodo che va dal 1929 al 1952? A mio avviso è indubbio che l’ascesa delle donne alla parificazione con gli uomini era ormai inarrestabile, per trovare poi concreta attuazione con il femminismo degli anni 70/80.

Il panorama massonico internazionale ricco di intrecci, di legami con realtà federativa impone a mio modesto avviso una revisione dei concetti di riconoscimento che non possono essere più mantenuti se non in maniera obsoleta e con una fedeltà, non dico acritica ma quantomeno discutibile alla UGLE e facendo finta di non vedere realtà presenti e esistenti, che a volte riguardano l’elemento femminile, e a volte le scelte che intercorrono nei riconoscimenti e nei rapporti d’amicizia tra le Obbedienze a caratterizzazione maschile. .

Ci sono situazioni che definire borderline è il minimo. L’Inghilterra riconosce le Grandi Logge degli stati Uniti , che a loro volta sono in amicizia, promuovono e proteggono l’”Order of the eastern star” costituito nel 1850.

Ci sono intrecci che definire da rompicapo è il solo termine che mi viene in mente. Faccio un esempio che ho visto coi miei occhi e non per criticare il Goi, perché quella che descriverò è stata pratica comune per molte Famiglie, ma per dimostrare a quali complicazioni infondate porti talvolta il concetto di riconoscimento. Nel 1998 due mie fratelli della GLRI, entrambi maestri, sono stati reiniziati nel Goi. Non commento questo pratica di non riconoscere valida l’Iniziazione di altre Obbedienze, se non con un triste senso di non fratellanza e forse una non ben nascosta volontà di umiliare o presunzione di ritenersi depositari dell’unica tradizione massonica realmente valida, mancando in quel caso ogni presupposto tradizionale per ritenere nulla l’iniziazione in GLRI. Allo stesso modo posso dire che, personalmente, non ho mai ritenuto irregolari i fratelli del GOI, soltanto perché l’Inghilterra da un giorno all’altro aveva deciso di riconoscere l’Obbedienza in cui tra l’altro ero approdato, per una mia personalissima scelta di seguire Di Bernardo. In ogni caso se quei due fratelli avessero avuto soldi, conoscenza delle lingue e voglia di viaggiare, prima di dimettersi dalla GLRI potevano affiliarsi in una Loggia Inglese, poi in un paese riconosciuto dall’Inghilterra come l’Olanda. Il Grande Oriente dei Paesi Bassi riconosce il GOI e non la GLRI ergo i due fratelli Italiani, come Olandesi, potevano tranquillamente entrare con una semplice affiliazione con il loro grado nel Grande Oriente d’Italia. I riconoscimenti si legano realmente ad un concetto di regolarità, oppure siamo di fronte ad una gigantesca messinscena in cui conta soltanto la convenienza e la geopolitica massonica? Se le donne entrassero nelle varie famiglie Massoniche a impronta maschile, non è che verrebbero messi in serio imbarazzo proprio quegli elementi di potere e di frammentazione che non avrebbero più senso di esistere? Sicuramente per Uomini e donne di buona volontà,non ci sarebbero più ostacoli infatti ad una Massoneria Italiana finalmente riunita e perciò in grado di essere credibile e incisiva nel tessuto sociale Italiano.

Scrive R. Ambelain “A forza di distribuire dei certificati di regolarità o di rifiutarli la Gran Loggia Unita d’Inghilterra, derivata dalla Gran Loggia di Londra e di Westminster, che era inizialmente la Gran Loggia di Londra ha finito di far credere che solo lei sia regolare” [10]

Un tema così delicato come quello di oggi pomeriggio richiede per tutti noi di essere uomini liberi, ovviamente da me il termino uomo è qui inteso nell’accezione più vasta di “esseri umani”. Liberi davvero, di non accettare verità preconfezionate, di cercare ognuno nel proprio cuore la propria verità, senza dogmi, senza preconcetti, senza verità imposte ma soltanto col cuore puro e la mente aperta a 360° che è quanto chiede da sempre l’Istituzione a chi aspira a diventar massone. Il mondo odierno attraverso il web, se non bastassero i libri, consente la possibilità di studiare, di documentarsi; non c’è che da avere voglia e cercare. In 20 anni di Massoneria ho capito poche cose ma uno di questi concetti che credo di aver compreso è che l’unico riconoscimento che conta, l’unica regolarità che è realmente importante è quella del Cuore: ovvero la generosità, la lealtà, l’altruismo, l’amore… con il cuore posso riconoscere un vero fratello od una vera sorella, il resto sono discorsi che non possono minimamente incidere sulla levigatura della mia pietra.

Certi segnali indicano comunque che qualcosa si sta modificando nella Gran Loggia Unita di Inghilterra. Piccoli segnali ma importanti.

Esistono attualmente associazioni iniziatiche femminili che si basano sulla tessitura e l’Order of Woman Freemasons, che conta più di 300 Logge, e pur non essendo riconosciute dalla UGLE sono molto stimate.

Nel 2008 il Word Award destinato per il miglior lavoro massonico di un massone non appartenente alla Ugle, non è andato ad un esponente di una Obbedienza riconosciuta ma a Karen Kidd, una donna appartenente all’Onorevole Ordine della Massoneria Mista Americana, Shemesh Lodge n.13, Seattle, che ha presentato una tavola dal titolo “Io sono regolare”.

LOGGE D’ADOZIONE

Non desidero dilungarmi da un punto di vista storico proprio su questa modalità di appartenenza femminile alla massoneria, né esaminando la sua nascita e neppure la sua Evoluzione, compresa quella Italiana. Mi limiterò ad esporre valutazioni psicologiche e a dire che per me non ha nulla a che vedere con l’iniziazione femminile.. Pare ai miei occhi una necessità più sociale e familiare e comunque subalterna all’uomo, compiuta “obtorto collo”, al di là dell’epoca in cui si sviluppa,piuttosto che una derivazione da una convinzione iniziatica. [11] C’è una falsa magnanimità una superiorità in chi concede, di chi tollera, di chi regala generosamente. Ovviamente, specie nell’antico, non si inizia mai la donna nubile, sola, libera, senza padrini e protettori. I rituali d’adozione insistono sulle virtù femminili. Ma quali sono questi doveri, queste presunte virtù, si chiede il Vanni: la fedeltà coniugale, i propri doveri di madre e di moglie, casalinga o squisita padrona di casa? Quindi la virtù consisterebbe nell’adorante sottomissione, nell’obbedienza, qualità prescritte anche ai bambini e agli schiavi. Ma esiste ancora oggi questa virtù femminile, per la quale gli uomini dovrebbero cadere in ginocchio offrendo fiori, cioccolatini e stipendi?… o forse, non vogliamo prendere consapevolezza entrambi di quanto sia si diversa la nostra natura in senso biologico ma uguale in fatto di debolezze, di seduzioni interessate, d’inganni…situazioni che sono spesso fonte di dolore,umiliazioni, a volte tragedie e di cui ahimè, aggiungo io si popolano gli studi degli psicoterapeuti..

Vorrei a questo punto andare ancora più indietro nel tempo perché l’Iniziazione non è fatto esclusivamente massonico, e fare un excursus di elementi Tradizionali al fine di inquadrare correttamente valori archetipici e Iniziatici del femminile.

LA GRANDE MADRE

I primi graffiti preistorici furono scoperti alla fine del xix secolo e se ne negò all’inizio l’autenticità accusando ingiustamente uno degli scopritori il De Sautola di averli falsificati. La società darwinista non poteva accettare che ci fossero manifestazioni artistiche in uomini vicini alla rozzezza antropoide. Oltre ai dipinti famosi con le scene di caccia, l’altra raffigurazione numerosa ed abituale è la Venere Steatopigica (dai grandi glutei). Alcuni esemplari riproducono anche un foro.

E’ una donna obesa e sfiancata dalle maternità, grandi seni cadenti e addome enorme. In taluni esemplari ha un corno, simbolo di fertilità in mano (I corni venivano usati come contenitori di vivande – Cornucopia dell’abbondanza).

Ma perché il genere umano sceglie come prima divinità archetipica una entità femminile come questa:

  • Meraviglia per l’allattamento. Nutrizione
  • Meraviglia per il parto, non collegato, secondo alcuni antropologi, dai primitivi all’atto sessuale ma visto come evento quasi magico.
  • Osservazione della natura e coincidenza tra le fasi lunari (ciclo, parto) e le prime forme di agricoltura primitiva.
  • Uomo cacciatore aveva vita aspra, violenta, materiale. Alle donne era affidata la mediazione tra materia e spirito.
  • Emerge anche un primo concetto di eguaglianza sociale come parimenti l’eguaglianza dei figli di fronte all’amore materno
  • Madre vista anche come distributrice di generosità. E’ infatti produttrice di semi e frutti che offre generosa al mondo. E’ il mito che poi è stato trasposto in Gea o Maia la terra.

SIMBOLOGIA DEL SOLE E DELLA LUNA

Nel mito successivo di Dioniso il sole che nasce ad Oriente (ex Oriente Lux) porta un fuoco che può essere domato solo nella brezza della sera, nel crepuscolo che porta la notte e la luna, nelle acque, così tipiche del femminile e delle grandi dee. Non vi è opposizione tra principio solare e lunare, ma complementarietà.

Nella simbologia del sole e della luna, simbolo rispettivamente del maschile e femminile, questi astri sono sottoposti nelle nostre Logge alla stella fiammeggiante, il Rebis alchemico, simbolo di una congiunzione che di viene più altamente complementare ed ermafrodita. Nell’astrologia esoterica[12] il domicilio notturno del sole è nel regno delle madri, nel grembo e nelle acque dell’utero quando il feto pur nella sua androgenicità ha ancora gli attributi potenziali di ambo i sessi, che come vedremo in realtà sono dimostrabili anche da evidenze scientifiche. Il domicilio diurno della luna è al centro stesso dell’ astro solare. L’essere umano colma questa nostalgia infinita dell’Uomo Luna e della Donna sole nella via lunisolare dell’iniziazione. Nei rituali del Grande Oriente d’Italia fa presente il Vanni che si legge “essendo la nostra iniziazione solare, le donne non possono essere ammesse ai nostri misteri”. Non è una Tradizione antica ma risalente al 1969. Il Vanni stesso ha interpellato I Flli Drake e Renato Caporali, allora nella Commissione Rituali, che gli hanno confermato che la frase relativa all’iniziazione solare , era stata “inserita”, rispetto al fisiologico ripristino della consegna dei guanti per la compagna, al fine di dare una motivazione plausibile all’esclusione.

TANTRISMO

Nell’iniziazione Tantrica, legata alla società matriarcale degli Harappei (2000 ac)[13], la donna era estremamente più generosa di noi. Non ci precludeva all’iniziazione ma ci faceva salire e lo fa, ancora oggi, per chi pratica il tantra, fine alle soglie superiori della conoscenza col Divino. Attraverso il Maithuna, la grande unione, uomo e donna nella posizione in cui la donna è seduta sopra l’uomo, lo sguardo uno nell’altro, le spine dorsali entrambe erette, l’energia dell’uomo viene spostata dal 5° chakra, la gola,centro energetico della comunicazione a cui arriverebbe con le sue sole forze, a quello del 6° dell’intuizione (il terzo occhio un chakra che l’uomo senza l’amore difficilmente raggiungerebbe) e da lì progrediscono singolarmente verso il settimo, posto alla sommità della testa (il contatto col divino).

Una curiosa analogia visto che per molti l’iniziazione Massonica è acquisire o aumentare l’intuizione, cioè aprire il terzo occhio, guardare le cose in maniera diversa. Solo che nel tantra, il cui significato letterale è via per ampliare la coscienza, il risveglio è dato dalla donna.

EBRAISMO E CABBALA

Siamo in un mondo che sta indubbiamente cambiando a velocità supersonica. Viviamo in una epoca particolare dove l’uomo deve fare i conti con una società, per scelte medico-economiche sta mettendo sempre più in dubbio il suo ruolo di maschio. In America da anni, cioè dal post-vietnam si sta affermando una figura di “maschio tenero”[14] poco in contatto con la sua forza, demonizzata dalla società che la equipara ad aggressività. Piano piano questa figura si è diffusa anche in Europa.

L’osservazione stessa della normale e naturale fisiologia ci porta inevitabilmente a considerare quanto scarso sia l’apporto maschile nella trasmissione della più importante delle Iniziazioni, quella che sta alla base di tutte le successive: l’Iniziazione alla vita.

Eppure c’è anche chi fa sottili distinguo che comunque conducono sempre alla solita conclusione l’esclusione della donna dalla via massonica: ovvero che la donna potrebbe essere al limite iniziata ma non essere in grado di trasmettere. Le evidenze scientifiche dicono ben altro.

L’apporto del maschio è oggi facilmente sostituibile con tecniche divenute ormai di relativamente semplice applicazione, mentre l’apporto della femmina non è altrettanto facilmente surrogabile: il forno alchemico in cui avvengono la fusione e poi tutto il successivo processo della trasmutazione, con il finale trapasso dal buio alla luce, è esclusivamente femminile.

Noi tutti sappiamo di essere figli di una prima ed unica Femmina mitocondriale – una Madre primordiale – necessaria perché il maschio non è in grado di trasmettere elementi cellulari fondamentali per la vita: i mitocondri appunto, batteri mutati che si sono adattati a vivere all’interno delle nostre cellule e che “respirano” per noi, rendendo possibile la vita stessa.

Già solo questo sarebbe sufficiente per sostenere che, abbandonata una visione magica, la Donna è la detentrice prima del diritto e del potere di trasferire l’Iniziazione.

Eva, Chawwàh”, è letteralmente “colei che da la vita”,poi possiede alcune caratteristiche fondamentali: secondo Genesi 3,6 è lei a comprendere che il frutto dell’albero della conoscenza “è buono da mangiare… piacevole agli occhi… e desiderabile perché rende sapienti”; Eva cioè possiede, prima ancora di Adamo, tre attributi: facoltà di discernere, capacità di godere della bellezza estetica e desiderio di conoscenza.

Mi domando:”ma non sono forse gli attributi che anche nelle Obbedienze maschili si cercano nell’Uomo di desiderio, cioè in colui che dovrebbe essere candidato all’iniziazione?”

E la stessa tradizione Cabbalista riconosce nella Shekinà (presenza di Dio, simboleggiata dalla luce lunare), la personificazione della sposa capace di bellezza (tiferet), amore (besed) e conoscenza (da’at), stabilendo così una successione di anelli associativi che uniscono: Donna → Luce → Bellezza → Amore → Conoscenza.

Inoltre, contrariamente a ciò che spesso si pensa e afferma, l’ebraicità che viene trasmessa con l’atto del concepimento e della nascita, non è un concetto razziale: per essere ebrei infatti è sufficiente avere una madre ebrea; il padre non conta. Eppure non si può certo dire che l’Ebraismo non sia la religione dei patriarchi.

Dunque non la purezza della razza o del sangue fanno l’ebreo ma l’essere stato concepito e l’avere avviato la propria Iniziazione alla vita in un “forno alchemico”, cioè in un “utero” ebreo.
La madre, e solo la madre, trasmette l’essenza dell’ebraismo: perché essa nutre, conserva, protegge, educa, fa crescere… in una parola fa “respirare” l’ebraicità sin dai primi momenti della vita: il feto vive e respira del sangue della madre, ne avverte le emozioni, i sussulti, ne ascolta la voce, la sente parlare, ridere e piangere, e attraverso queste sensazioni, trasmesse con l’immediatezza irripetibile di una “Iniziazione fisiologica”, si costruisce l’ebraicità.[15]. Ciò che pare essere la credenza o l’intuizione di una religione, trova oggi riscontro negli studi più moderni sul periodo prenatale (Bowlby, Winnicott, Rispoli) [16]

La donna quindi risulta sicuramente essere detentrice della capacità e del potere di Iniziare, di trasmettere cioè un’essenza unica.

In Massoneria ciò che non è possibile in termini di naturale fisiologia viene riguadagnato – deve esserlo necessariamente in termini di razionalità: la Donna dovrebbe godere, in questo ambito, di ovvie e dovute condizioni paritetiche. La detentrice per diritto naturale della capacità di Iniziare alla vita non può essere privata della possibilità di trasmettere altre Iniziazioni che sono razionalmente definite, comprese e condivise. La Gran Loggia d’Italia ha fatto suo questo concetto fin dal lontano 1955 .

Sgombrata l’obiezione della trasmissibilità iniziatica ecco che le Obbedienze Miste però potrebbero essere mette sotto accusa per un altro aspetto: la promiscuità!

Si dice infatti che in tutte le specie di animali caratterizzate da un dimorfismo sessuale netto, la convivenza di individui appartenenti ai due sessi è spesso motivo di contrasti e rivalità, … stimola il desiderio dell’autoaffermazione, ma anche l’attrazione sessuale ecc… E’ vero: la compresenza dei due sessi è una causa potenziale di caos, di disordine.

Ma la risposta a questa obiezione presenta varie possibili alternative: innanzitutto la presa di coscienza dell’esistenza di un rischio ne determina più facilmente il controllo; in secondo luogo la ritualità massonica è in grado di assorbire motivi di tensione potenzialmente ben più gravi in quanto, fondata su una solida visione antropologica, è capace di accogliere in sé e di ricondurre ad una situazione di ordine anche gli elementi incontrollabili che appartengono all’intima struttura umana. [17]

PSICOLOGIA, TAO, ED ALCUNI ELEMENTI SULLA SESSUALITA’

Nell’inconscio collettivo l’intuizione è femminile e si oppone all’eccesso di razionalità maschile. L’uomo nel corso dei millenni ha costruito dolorosamente uno iato che separa la coscienza razionale dalla coscienza intuitiva naturale dell’animalità da cui deriva.[18] Jung, fratello della Loggia “Modestia cum Libertate” di Rito Scozzese Rettificato all’oriente di Zurigo, in “L’io e l’inconscio” parla di Anima, la parte femminile dell’inconscio maschile, e Animus,il maschile di quello femminile [19]. Potreste obiettarmi che è solo un modello, che funziona bene magari, ma soltanto un modello utile per la terapia. Idem per il simbolo taoista dello Ying e dello Yang, principi femminile e maschile, che hanno nel massimo della loro estrinsecazione caratteristica un punto che ricorda il sesso opposto. C’è il problema però che la scienza dice che in noi residuano vestigia atrofiche dell’altro sesso, tagliate fuori, da uno sviluppo che poi si differenzierà per il sesso a noi corrispondente. Problema facilmente liquidabile? Beh se fossero atrofiche non ci sarebbe neppure da perderci tempo, specie per coloro che vogliono negare la presenza dell’elemento femminile all’interno del proprio corpo. Solo che le conquiste recenti della fisiologia in ambito di sessualità paiono portarci in altra direzione.

Nell’uomo nella prostata, esiste l’utricolo definito come una Piccola formazione tubulare a fondo cieco,che si apre nell’uretra in corrispondenza del collicolo seminale. È una struttura rudimentale che costituisce, nel maschio, l’omologo dell’utero e della vagina, di cui ha la stessa derivazione embriologica. La prostata opportunamente stimolata è in grado di produrre nell’uomo orgasmi di tipo implosivo, molto simili a quelli femminili. Non è dissimile la situazione del discusso punto g, situato a 5cm di distanza dell’apertura nella parete anteriore della vagina, residuo delle ghiandole parauretrali prostatiche di Skene.[20] Ricerche scientifiche alla mano 1 donna su 3 che ha un orgasmo del punto g, prova un orgasmo eiaculatorio di tipo maschile (1980 Ladas ,Whipple, Perry, 1990 Darling,1997 Cabello), Si sa come le correnti di pensiero possano influenzare la ricerca scientifica anche più seria. Le ipotesi di Kinsey e Master & Johnson, in periodo di autodeterminazione della donna e di femminismo, non potevano che trovare il consenso delle donne stesse, puntando esclusivamente sull’orgasmo clitorideo, che non necessariamente pretendeva la presenza dell’uomo. 20 anni in cui la ricerca ha evitato una realtà che era sotto gli occhi di tutti e che oggi non può essere più negata attraverso gli esami elettromiografici che dimostrano la diversità dei due orgasmi (Perry 1984) e attraverso gli studi del 2002 dell’italiano Jannini che trova nell’eiaculato femminile la 5-fosfodiesterasi, sostanza cruciale per l’eccitazione maschile. Non solo modelli psicologici ma addirittura esistenza e funzione attiva in noi di parti del sesso opposto. Ovviamente una parte della scienza è ancora miope e nega. Organi amministrativi e sanitari di un asl bloccarono una ricerca condotta nel 1986 in una divisione di ostetricia e ginecologia su 30 puerpere di un ospedale italiano, con motivazioni da Santa Inquisizione, definendola “un attentato alla sacralità e intoccabilità dell’essere madre” come se la presenza del piacere orgasmico durante il parto per la stimolazione della testa del feto sul punto g, infrangesse l’immagine atavica che pretende di associare al parto il dolore”. [21] Se ci fossero dubbi, quindi non solo nella nostra psiche possiamo avere caratteristiche del sesso opposto da contattare e che rappresentano una indubbia ricchezza e risorsa di fronte a situazioni della vita che a volte richiedono contemporaneamente forza e tenerezza, ma anche dobbiamo fare i conti con delle realtà del nostro corpo che personalmente, ai miei pazienti, indico non come punti erotici ma iniziatici in quanto ci aprono, più che a capire l’altro, a sentire cosa prova. E tutto questo è in linea con i concetti esoterici Kremmerziani, evidenti nel celebre assioma:”Se vuoi capire un cavallo devi essere un cavallo” .

CONCLUSIONI

Ogni Comunione esprime con toni lievemente diversi, più o meno il seguente concetto:”che può nell’interesse dell’antica fratellanza, fare nuove norme o modificarne delle vecchie”; Anderson aggiungeva “purché siano mantenuti scrupolosamente gli Antichi Landmarks”. In questa relazione ho cercato di dimostrare, tramite autori anglosassoni che hanno dato lustro alla Quator Coronati, che questi Landmarks, non sono mai stati precisati da Anderson e sicuramente è verosimile che non sarebbero mai stati rivelati da lui, anche potendo, perché volutamente elisi od occultati. Abbiamo altresì visto che, pur non essendo la consuetudine, l’iniziazione alle donne era concessa. Nei prossimi anni a venire , d’accordo o no, la richiesta d’Iniziazione femminile in ogni Massoneria sarà sempre più presente . Se verrà accolta sarà bene che avvenga nel rispetto di parametri esoterici, che sono presenti e reali, piuttosto che per delle motivazioni etico sociali, che sarebbero l’ennesima forma degenerativa della Tradizione Massonica. Siamo indietro anche rispetto alla Chiesa, che spesso citiamo ad esempio di arretratezza. Al concilio di Trento svoltosi tra il 1545 ed il 1563 si attribuisce la concessione dell’anima alle donne, ma già nel sinodo di Macon del 585 d.c il tema era stato affrontato. Questo in realtà avvenne; a quel sinodo partecipò anche il vescovo dì Tours, il futuro san Gregorio, il quale, al libro ottavo della sua Historia Francorum, ci lasciò la descrizione dei lavori. In una pausa un Vescovo pose ai fratelli un quiz filologico: il termine latino Homo, può essere allargato nel senso di persona umana , comprendente entrambi i sessi o è da intendersi nel senso ristretto di vir di maschio? Negli stati uniti si ripropone oggi il solito problema e non si dice più il termine Chairman, a meno che non si voglia passare per maschilisti, ma Chairperson.
Gli altri Vescovi lo rinviarono alla traduzione Latina della Genesi, secondo cui Dio Creò l’essere umano (homo) come maschio e femmina. E allora il tema di questo pomeriggio dovrebbe essere se è iniziabile non la donna ma l’essere Umano! Noi Massoni a volte siamo spesso a lamentarci che nella società non siamo abbastanza credibili. Vogliamo parlare della Pace e siamo divisi in almeno 4 grandi famiglie, qui rappresentate, ma oltre 100 comunioni sparse nel territorio italiano. Parliamo di tolleranza ed uguaglianza e teniamo le donne fuori dalle nostre logge, siamo propugnatori della libertà ma i neri americani per seguire la via Massonica hanno costituito le Logge Prince Hall. Abbiamo paura della diversità che è invece sempre fonte di arricchimento e miglioramento individuale. Uguaglianza sociale e diversità sessuale, sono forse problemi all’Iniziazione? Non possiamo estendere il concetto di diversità in senso più ampio al singolo, visto che ognuno di noi è unico nella sua irripetibilità, nella sua diversificazione del prossimo, in poche parole nella sua diversità dall’altro. Allora quale è il concetto che impedisce ad una persona “diversa” di essere iniziata? Vogliamo fare peccato di presunzione, dimostrando di conoscere le caratteristiche dell’animo umano e sostituirci al GADU, di fronte al quale bianchi e neri, gialli e rossi, uomini e donne siamo tutti uguali? Ancora una volta, emerge di nuovo la stessa domanda “ Iniziamo l’uomo, la donna, o l’essere umano?”.

Vorrei concludere con le parole di Giorgio Gaber, tratte dal monologo “secondo me la donna”, che dopo aver introdotto i motivi di uguaglianza sul piano sociale, così si esprime sulla diversità: Si secondo me la donna e l’uomo sono destinati a rimanere assolutamente differenti e, contrariamente a molti io credo che sia necessario mantenere certe differenze se non addirittura esaltarle queste differenze perché è proprio da questo scontro incontro tra un uomo ed una donna che si muove l’universo intero. All’universo non gliene importa niente dei popoli e delle nazioni, l’universo sa soltanto che senza due corpi differenti e due pensieri differenti non c’è futuro”[22]



[1] Corriere della sera –Tortora F. 10 Aprile 2010. “Svolta in Francia. Donne nella Massoneria”.

[2] Gran Loggia Regolare d’Italia – Statuti e regolamenti 2003

[3] Ritorto R. Tavole Massoniche

[4] Jones B.E.– Guida e Compendio per Liberi Muratori

[5] Gould R.F– The History of Freemasonry

[6] Ambelain R. – La Franc-Maconerie oubliè

[7] Vanni V. Esoterismo e rivoluzione – scritto inedito

[8] Guénon R Studi sulla Massoneria

[9] Gran Loggia Regolare d’Italia – Statuti e regolamenti 2003

[10] Ambelain R. – La Franc-Maconerie oubliè

[11] Vanni V. – L’iniziazione femminile – metamorfosi e trascendenza

[12] Vanni V. – L’iniziazione femminile – metamorfosi e trascendenza

[13] Zadra E&M. Tantra la via dell’estasi sessuale

[14] Bly R. Per diventare uomini

[15] Biglino M. Tavola Architettonica “Mixité: fisiologia e razionalità dell’Iniziazione”

[16] Rispoli L. Esperienze basilari del sé

[17] Biglino M. Tavola Architettonica “Mixité: fisiologia e razionalità dell’Iniziazione”

[18] Jung K.J. L’uomo e i suoi simboli

[19] Jung K.J. L’io e l’inconscio

[20] Zadra E&M Il punto G Una guida tantrica al mistero della sessualità femminile

[21] Pollina S. L’orgasmo durante il parto – ricerca condotta presso la divisione di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Civile di Fidenza 1986 in www.ginecologo.it/parto.

[22] Gaber G. Monologo “Secondo me la donna” dallo spettacolo “un’Idiozia conquistata a fatica”.

Il Rituale di Apprendista Ammesso secondo il Rituale Italico


di Akira

Premessa: le ragioni di un nuovo Rituale massonico

Il Rituale Italico è, come ogni Rituale massonico, martinista o ermetico, uno strumento.

Questo assunto non deve apparire, carissimi Fratelli, limitativo o riduttivo.

Al contrario, deve indurci a riflettere su quanto siamo davvero consapevoli di quel che facciamo lavorando alla gloria del Grande Architetto dell’Universo.

La ripetizione di parole, gesti, segni e toccamenti, cerimonie di iniziazione, passaggio ed elevazione è molto più di uno psicodramma interpretato con maggiore o minore abilità dai Liberi Muratori riuniti in Loggia.

Il Rituale è, pertanto, davvero uno strumento: è lo strumento per eccellenza di cui l’iniziato consapevole dispone, è il mezzo che rende operante il Simbolo; la pratica corretta e costante del Rituale sprigiona infatti un’energia benevola e benefica, l’eggregore, che avvolge la Loggia creando la vera alchimia, il balsamum perfectum.

La forza di questa energia è poi amplificata nel corso delle cerimonie: in particolare il Terzo Grado può risvegliare nell’iniziato la Seconda Vista, e la Catena d’Unione insegnargli a servirsi, seppure in modo inconsapevole al principio, del Terzo Occhio che ha infine aperto.

Se dunque il rituale è uno strumento, si impone una precisazione: affinché si crei nel Tempio un eggregore benefico, il Rituale utilizzato dev’essere orientato a tal fine.

Un Rituale massonico, ogni Rituale, non è neutrale: può avere un sottofondo razionalista, moraleggiante, mistico e finanche operativo.

Lavorare secondo un Rituale piuttosto che un altro, è dunque per ogni Loggia una scelta dirimente, poiché la pratica incide su quella che sarà l’impostazione e dunque la cifra con la quale essa sarà connotata.

Queste premesse sono d’obbligo, poiché sono alla base della scelta fatta dalla nostra Loggia Stanislas de Guaita n. 23 di Roma di lavorare con un Rituale, denominato Italico, schiettamente operativo e composto facendo ricorso alle opere più ispirate dei Maestri Passati che la Tradizione occidentale ci ha lasciato, ed a testi sacri che hanno sfidato i secoli.

Il Rituale italico segue un filo rosso ben preciso: ricorre esplicitamente alla Tradizione romana, pitagorica ed italica, ricollegandosi tuttavia alla sapienza ed alla cosmogonia egizia, da cui, ad avviso di chi scrive e soprattutto di iniziati del calibro di Plutarco, promanano i nuclei fondanti di tutti i culti.

La scelta di invocare il genius loci di Roma, ovvero Giano, e di rendere centrali i Misteri collegati al nome segreto dell’Urbe, autentica parola di potenza, non è casuale.

La Tradizione italica, infatti, rappresenta quella prisca sapientia ingiustamente dimenticata o peggio volutamente rimossa, ed alla quale il Maestro Kremmerz ha fatto volentieri ricorso in ambito magico, ed i Fratelli Reghini ed Armentano in ambito massonico.

Alla loro opera ci rifacciamo espressamente, convinti che sia questa la via da percorrere per formare Liberi Muratori consapevoli delle radici operative di un’iniziazione che è sì di mestiere, ma che contiene in sé l’ultima scintilla delle Vie misteriche dell’Occidente, scintilla che altrimenti rischia di smarrire per sempre.

Richiamerò alcuni passaggi rilevanti delle cerimonie di consacrazione del tempio, di apertura e chiusura dei lavori in primo grado, nonché dell’iniziazione, per dare forza a quanto ho scritto, e per mostrarvi quanto incide l’orientamento dato ad un Rituale sulla vita e sull’evoluzione di una Loggia massonica.

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Gli Strumenti dell’Apprendista Ammesso e la Regola pitagorica

Le presenti note sono rivolte agli Apprendisti delle Logge che lavorano col Rituale Italico, per fornire alcune prime indicazioni operative sulla base degli strumenti dell’Apprendista (Regolo da 24 pollici, Maglietto e Scalpello) e delle norme della Regola pitagorica.

Lo Scalpello

“Lo Scalpello indica i vantaggi dell’istruzione, che può renderci degni di una società regolarmente organizzata”.

C’è un antico equivoco in Massoneria per cui si tende a credere che il lavoro del Libero Muratore sia unicamente speculativo, ed in ultima analisi “filosofico”. Il metodo praticato nelle Logge ha invece la precipua funzione di insegnare a ragionare con la propria testa, senza fare dei pensieri il nostro fine e senza timori reverenziali verso chicchessia: ecco perché “al profano è invece preclusa ogni strada di consapevolezza superiore, dovendo accontentarsi di decifrare la realtà coi consueti strumenti della ragione speculativa e dell’intelletto[1]”. Dice il Maestro Pitagora “Non lasciarti ingannare senza riflettere dalle parole e dalle azioni del tuo prossimo”: ovviamente, vale anche per le sue massime!

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La Tavola di tracciamento nel Primo Grado: un piano di lavoro

di Purusha e Nemo

Carissimi Fratelli,

queste brevi note intendono soffermare la vostra attenzione su alcuni elementi della Tavola di Tracciamento, in modo da dare spunto ai ricercatori più capaci di noi verso ulteriori riflessioni. La Tavola di Tracciamento è il principale mezzo meditativo sul quale concentrare l’attenzione in Loggia, è il Mandala che fissa la possibilità di discernere tra intuizione e razionalità. Riteniamo inoltre che, al pari di altri mandala, la Tavola contenga in sé sia uno strumento di meditazione che l’indicazione di un percorso verso i più elevati stati di coscienza.

L’Arte Regia insegna infatti un processo di trasmutazione che conduce l’iniziato dalla condizione individuale a quella ‘impersonale’ di realizzazione della ‘Grande Opera’, ossia di Reintegrazione nella Volontà Divina e nelle proprie Potenze e Virtù creaturali. Il percorso comincia dall’Opera al Nero, opera lunga e faticosa che non finisce mai, nella quale si fa macerare la Materia grezza ovvero la Pietra grezza, e che corrisponde al grado di Apprendista Ammesso.

  1. Solve.

Lasciatemi dapprima richiamare la vostra attenzione sulla forma della Loggia, che è un parallelepipedo, lungo dall’Est all’Ovest, largo dal Nord al Sud, profondo dalla superficie della terra al centro, ed alto fino ai Cieli. La ragione per cui una Loggia di Massoni è descritta di queste vaste dimensioni è dimostrare l’universalità nella scienza[1]. Per i Massoni vale dunque il detto antico Homo sVm et nihil hVmanVm a me alienVm pVto[2]: la Massoneria è universale perché universale è il suo oggetto, ossia la Vera Scienza o Gnosi.

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Sull’apprendistato libero-muratorio

In realtà, questa che per lo più è definita come una fase, per molti di noi si protrae per tutta l’esistenza: per quanto possiamo impegnarci, la nostra vita è scandita dalla quarta dimensione, quella temporale. Purtroppo, se paragonata al tutto, la durata della vita umana è inferiore ad un battito di ciglia nell’eternità (1): sta a noi non sprecare quella briciola di tempo a nostra disposizione.apprendistato libero muratorio
L’apprendimento qui dibattuto non si identifica certo con quello nozionistico classico: la strada verso la verità suprema, come quella verso Dio, non è di certo preclusa ai più semplici.
Giova ripetere che ciascuno possiede la ragione in egual misura e la capacità dell’ingegno – è dimostrato – non è certamente proporzionale alla quantità e qualità dell’erudizione assimilata con lo studio. Si possono raggiungere le vette delle arti solamente se si possiede la capacità di trasmettere agli altri, con la maggior immediatezza possibile, le proprie emozioni ed i propri pensieri. Spesso un’erudizione troppo spinta genera un distacco dalla realtà delle cose, conseguendo quindi alla totale ignoranza sulle cose care ai più (2). In tale ottica, credo che l’apprendistato debba essere rivolto a sé stessi in quanto uomini.
Numerose sono le norme ed i simboli che richiamano a questa prima fase. Tutto volto all’introspezione, nella ricerca dell’unica “verità” possibile all’interno del successivo, sterminato cosmo del dubbio, dove il nostro impegno non è probabilmente sufficiente alla scoperta di altro.
La verità di cui parlo è la più vicina, quella a portata dell’intelletto, che ci rende parte del “tutto” imperscrutabile. La nostra vera essenza è quindi l’unica verità assoluta in un mondo relativistico, unica verità che possiamo in qualche modo svelare dal dubbio, solitamente generato dai nostri stessi limiti.
Comunque poter rispondere alla prima delle tre domande fondamentali, ovvero “chi siamo?” non è affatto cosa da poco: solamente per questo varrebbe la pena di vivere.
In questo contesto, la scienza potrebbe rivelarsi utile, seppur per adesso le risposte forniteci sono confinate alla sfera materiale, mi riferisco in particolare alla teoria (3) evoluzionistica.

Il primo gradino: il silenzio
La pratica del silenzio è la base per ogni processo meditativo-riflessivo, e quindi obbligarsi al silenzio risulta essere il primo passo verso l’apprendimento e l’esercizio dell’ascolto.
il silenzioAscoltare il mondo, l’ambiente che ci circonda acuisce la capacità di concentrazione; imparare ad ascoltare – invece di udire solamente – ci permetterà in futuro di percepire i segnali, sino a quel momento ignorati, della ragione innata, della nostra coscienza profonda.
Il segreto sta nel saper ascoltare il rumore di fondo dell’essenza universale, ciò che ci lega al tutto, di cui facciamo inconsciamente parte. L’energia è il segreto della vita e della materia, tutto si determina nello scorrere dell’energia, i nostri stessi pensieri scaturiscono dai collegamenti sinaptici che, chimicamente controllati, regolano la nostra attività cerebrale. Dalla scienza sappiamo che il nostro cervello ha capacità molto superiori a quelle che ci è dato intendere, dalla sua formazione sovraintende al funzionamento del nostro essere materiale, immagazzinando ogni singola sensazione percepita al nostro interno ed esterno. Seppur inconsapevolmente, possediamo un bagaglio conoscitivo di gran lunga superiore a quello che possiamo immaginare.
Per questi motivi ciò che era stato filosoficamente intuito fin dai tempi più remoti, è pienamente compatibile con le più moderne ricerche scientifiche (4). Ritornando ai vantaggi del “silenzio”, dobbiamo ricordare l’utilità di riflettere prima di parlare; la presa di posizione immediata, così come l’espressione di un giudizio predeterminato, ci conducono spesso all’errore. Ascoltare quello che la ragione innata ci sussurra risulterà molto proficuo, soprattutto nella successiva presa di coscienza.

Imparare a riconoscere quello che riteniamo giusto e vero nel nostro profondo eliminerà poi il disagio, consapevole o meno, connesso alla propria coscienza.
Ecco come possiamo concretizzare l’astratto, ritrovare la pietra filosofale celata: la scintilla divina può così in parte essere identificata nelle tenebre del dubbio. Un dubbio sicuramente produttivo, in quanto la limitatezza umana non è in grado di trasformare il caos del “tutto” in armonia; di conseguenza averne consapevolezza è già una gran dote. Come accennato, l’unica chiave, o verità assoluta, si trova nel bagliore divino: solo scovandola potremo riportare l’ordine al nostro interno. Da ciò consegue come la sola armonia a nostra portata sia quella del nostro essere interiore. La chiave di volta del nostro tempio è riconducibile alla più profonda essenza dell’«Io», scoprirla significa giungere alla pace con sé stessi. Il metodo per giungere alla grande verità può variare singolarmente, quindi non ci resta che dare regole generali la cui applicazione può condurre più vicino allo scopo.

Ciò che apprendiamo durante la nostra istruzione, dalla scuola sino all’università, si è sempre rivelato poco utile verso tali obiettivi. Seppur vasto, l’apprendimento scolastico-nozionistico non conduce alla saggezza, ma solo all’erudizione. I segreti che qui tentiamo di capire, non sono trasmissibili. In questo senso non si vuole controvertire, o minare alle basi, la struttura primaria della nostra società, ovvero il sistema dell’istruzione; si deve però constatare che esso si rivela del tutto inefficiente nella determinazione dell’idea profonda della nostra esistenza. Per rispondere a questo tipo di domande è necessario percorrere una strada alternativa che contempli un maggior sforzo nella conoscenza di sé, alimentando la consapevolezza delle personali capacità interiori, proprie di ciascun individuo.

Il secondo gradino: l’eliminazione del vizio e del pregiudizio

L’eliminazione del vizio intellettuale, o pregiudizio, è fondamentale nel cammino che conduce alla saggezza. L’uomo rincorre spesso obiettivi futili che, spingendolo ad estenuanti deviazioni, gli fanno perdere di vista lo scopo primario: denaro, potere, vizio, fanno perdere l’orientamento alla nostra bussola interiore. Le strade si moltiplicano e, come in un labirinto, la méta resta celata dietro uno degli innumerevoli angoli. Il tempo scorre inesorabile e, mentre giungiamo velocemente al termine della nostra esistenza, cominciamo ad avvertire il forte disagio prodotto dall’assenza, dal vuoto, dall’inutilità degli sforzi lungamente protratti.
Ricchezza e potenza, accumulate nell’arco della vita, non sono più sufficienti; da un momento all’altro possono esserci tolte e, aperti gli occhi di fronte alla fine, non ne intravediamo più alcuna utilità mentre i beni accumulati non procurano più alcun conforto alla nostra solitudine.

Al fine di evitare una tale misera conclusione della nostra esistenza, dobbiamo scovare un compagno nel nostro Io: la nostra essenza potrà guidarci lungo la vita e, infine, ci renderà consapevoli e capaci nell’affrontare l’ignoto. Serenità, sicurezza ed amore ci accompagneranno rendendoci un po’ meno soli: trovando il legame armonico con il tutto ci sentiremo parte di esso.
Silenzio e libertà di giudizio si traducono poi in una nuova visione del tutto: attraverso lo sviluppo dell’empatia, ovvero della capacità di vedere la questione anche dal punto di vista altrui che poi altro non è che la chiave per la vera comprensione, ci abituiamo ad accrescere l’attitudine a dedicare la nostra attenzione per pensieri, costumi, sentimenti e bisogni fondamentali dell’altro, mettendo da parte i nostri. Questa – forse – è la ricetta per giungere all’armonia e debellare definitivamente i futili contrasti che dividono gli uomini in base a luogo di nascita e cultura: l’umanità, ovvero quell’insieme di qualità che ci rendono dissimili dalle altre creature viventi, potrà in tal senso sbocciare inebriando l’ambiente del piacevole profumo della concordia e della pace.

Il terzo gradino: seguire la retta via

In geometria, la distanza minore fra due punti è rappresentata dal segmento passante dai punti stessi; da ciò voglio ricavare il terzo elemento necessario nel cammino iniziatico; seguire sempre la retta via, che oltre ad essere simbolicamente quella più breve per raggiungere la méta dal punto di partenza, sottintende la qualità della virtù, della rettitudine.
Durante l’apprendistato quindi si richiede una stretta osservanza, scevra da distrazioni, delle norme e dei principi di virtù. Solo successivamente, dopo aver conquistato la piena padronanza di sé, sarà possibile deviare senza il timore di smarrirla per sempre. La piena coscienza di ciò che siamo, nella fermezza del nostro obiettivo, ci permetterà comunque e dovunque di scorgere il nostro cammino, distinguendo il vero dal falso, il “giusto” dall’erroneo, facendo di noi degli esseri illuminati.
In conclusione, la fase di apprendistato nella Libera Muratoria si riassume in un’analogia: “la pietra grezza deve essere sgrossata, prima di poter esser levigata”.
Questa che è una delle più note massime massoniche che allegoricamente paragonano ogni uomo ad una pietra che, una volta sgrossata e levigata, può insieme a tutti gli altri esseri umani esser utilizzata per la costruzione del tempio, ovvero di una società in piena armonia.

Gianmichele Galassi
Da Secreta Magazine n.8 – 2010

NOTE

1) Bellissimo e delucidativo, in questo senso, il racconto “Micromegas” di Voltaire.

2) Descartes diceva che leggere i testi antichi era un po’ come viaggiare ma se troppo si viaggiava si rischiava di ritrovarsi stranieri nel proprio Paese.

3) E’ bene in questo caso puntualizzare il significato del termine “teoria” che nel senso comune può significare “opinione personale o modo di pensare” ma l’accezione propria, ovvero quella scientifica, sta ad indicare una formulazione sistemica, logica pienamente dimostrata e non ancora falsata da nessuna evidenza empirico-teorica.

4) Al giorno d’oggi, affrontando qualsiasi argomento, seppur propendendo per il lato filosofico, non dobbiamo trascurare l’apporto delle altre scienze, altrimenti potremmo cadere in valutazioni facilmente controvertibili L’impegno primario si traduce quindi in una visione d’insieme più vasta possibile, compatibilmente con le nostre capacità E su questo argomento, gli ultimi studi sugli individui “savant” confermano in toto la teoria sulle nostre effettive capacità mentali.

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