RICHARD WILHELM RICEVE IL TESTO DELL’ I CHING DAL MAESTRO LAO NAI XUANN UNA TRADUZIONE INIZIATICA

di Umberto Capotummino

Richard Wilhelm nel suo diario “ L’Anima della Cina”da lui pubblicato nel 1926 narra le sue esperienze di viaggio in Cina, paese in cui egli visse venticinque anni.
Questo diario di viaggio è la sua unica opera personale, benchè il suo nome sia associato all’I Ching, il Libro dei Mutamenti cinese da lui tradotto sotto la guida del maestro Lao Nai Xuann.

R. Wilhelm racconta che poco prima dello scoppio della guerra mondiale, il generale Zhou – Fu, con il quale intratteneva rapporti culturali nella colonia tedesca di Quingdao, gli propose di incontrare un anziano insegnante cinese che custodiva gli antichi insegnamenti di saggezza confuciana, era il maestro Lao Nai Xuann, da questo incontro iniziatico nacque la traduzione la spiegazione e la consegna del Libro dei Mutamenti a R. Wilhelm . Poco dopo quest’incontro Lao Nai Xuann morì e R. Wilhelm divenne l’araldo in occidente del Libro dei Mutamenti.

“Prima ancora che la tempesta si abbattesse su di noi, feci uno strano sogno. Veniva a farmi visita un uomo anziano dallo sguardo cortese e con la barba bianca. Si chiamava “montagna Lao” e mi propose di iniziarmi ai segreti delle antiche montagne. Mi inchinai dinnanzi a lui e lo ringraziai. A quel punto lui scomparve e io mi svegliai. Quelli erano i giorni in cui l’anziano governatore generale Zhou Fu, con la famiglia del quale avevo stretto rapporti amichevoli, mi fece una proposta. Disse: “Voi europei lavorate alla cultura cinese sempre e solo dall’esterno. Nessuno di voi ne comprende il significato reale e la vera profondità. Questo perché non avete mai a portata di mano gli studiosi cinesi giusti. Perfino i maestri di scuola in pensione, che avete avuto come insegnanti, comprendono solo l’involucro esterno. Non c’è da meravigliarsi che circolino tante idiozie da voi sulla Cina. Cosa ne direbbe se le procurassi un insegnante ben radicato nello spirito cinese che la introducesse alle sue profondità? Così potrebbe tradurre, ma anche scrivere qualcosa di suo affinché nel mondo la Cina non debba più continuare a vergognarsi.” Ovviamente non c’era persona più felice di me. Si scrisse allo studioso. Io preparai nei nostri palazzi un appartamento adatto a lui. Dopo un paio di settimane arrivò con la famiglia. Si chiamava Lao, i suoi antenati provenivano dalla regione del monte Lao, di cui la famiglia aveva mantenuto il nome; assomigliava come una goccia d’acqua all’antico signore che mi aveva fatto visita in sogno. Ci mettemmo subito al lavoro. Traducemmo parecchio, leggemmo molto e grazie alle nostre conversazioni quotidiane mi introdusse ai meandri più profondi della cultura cinese. Il maestro Lao mi propose di tradurre il Libro dei Mutamenti. Non era certo un testo facile, disse, ma tutto sommato nemmeno così incomprensibile come lo si descriveva solitamente. Ormai era un dato di fatto che negli ultimi tempi la vivace tradizione della Cina era sul punto di estinguersi. Lui stesso aveva avuto un insegnante vissuto interamente nell’antica tradizione. I membri della sua famiglia erano parenti stretti dei discendenti di Confucio. Il maestro possedeva un fascio di gambi sacri di millefoglie provenienti dalla tomba di Confucio e conosceva ancora l’arte, ormai quasi sconosciuta perfino in Cina, di preparare un oracolo con l’aiuto di questi gambi. Fu dunque realizzato anche questo libro. Facemmo un buon lavoro. Mi spiegò il testo in cinese, mentre io prendevo appunti. Poi lo tradussi in tedesco per me, quindi senza l’originale ritradussi in cinese il mio testo tedesco ed egli lo confrontò con l’originale per verificare che avessi colto nel segno tutti i punti. Il testo tedesco fu poi messo a punto e discusso in ogni particolare. Lo volli ancora rivedere tre o quattro volte e vi aggiunsi le spiegazioni più importanti. La traduzione dunque cresceva. Ma prima che fosse conclusa, sopraggiunse la guerra ed il mio stimato maestro Lao ritornò con gli altri studiosi nell’interno della Cina. La traduzione dunque rimase incompiuta. Già temevo che l’opera non sarebbe stata portata a termine, quando ricevetti una lettera a sorpresa proprio da lui nella quale mi chiedeva se avessi un appartamento per ospitarlo; voleva fare ritorno a Qingdao e ultimare insieme a me il Libro dei Mutamenti. Ci si può immaginare la gioia che provai quando arrivò veramente e portammo effettivamente a compimento il lavoro. In seguito partii per una vacanza in Germania. L’anziano maestro morì durante la mia assenza, dopo avermi affidato il suo testamento.”
(Richard Wilhelm, L’anima della Cina, a cura di Anna Ruchat, pg. 212-214 Edizioni IBIS Como-Pavia 2005)

Richard Wilhelm con la cravatta tra i saggi cinesi
Richard Wilhelm con la cravatta tra i saggi cinesi

Umberto Capotummino è laureato in Lettere moderne presso l’Università di Palermo dove vive e insegna. E’ pubblicista, da oltre vent’anni studia e interpreta gli aspetti filosofici, esoterici, divinatori del Libro dei Morti degli Antichi Egizi e dell’ I King o Libro dei Mutamenti dell’antica Cina. Autore di numerosi articoli e conferenziere, il suo ultimo libro è intitolato “L’Occhio della Fenice, Sapienza e divinazione dall’antica Cina all’antico Egitto”, edito dalla sua Casa Editrice Sekhem nel 2006.

Io sono Dio?

Sviluppiamo il tema della deificazione dell’uomo.

Nel “simbolo” niceno-costantinopolitano, sintesi di secoli di ispirate speculazioni teologiche, come è ben noto, il Figlio di Dio è detto

generato, non creato, della stessa sostanza del Padre

Ora, nel Vangelo di Giovanni (1,12-13), una delle principali fonti di questo articolo di fede, leggiamo che “a quanti l’hanno accolto” il Figlio di Dio (il Lògos)

ha dato potere di diventare [a loro volta] figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati

Dunque, generato da Dio non è solo l’Unigenito, ma anche tutti coloro che “si riconoscono”, per così dire, in Lui (“a quelli che credono nel suo nome”). In che senso questo potrebbe essere detto?

Altrove, sempre nel Vangelo di Giovanni (3,3), come è noto, Gesù, rivolgendosi a Nicodemo, dice:

«In verità, in verità io ti dico, 
se uno non nasce dall'alto, 
non può vedere il regno di Dio».

Il dialogo prosegue in questo modo (3,4-8):

Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? 
Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». 
Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, 
se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 
Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. 
Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall'alto. 
Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, 
ma non sai da dove viene né dove va: 
così è chiunque è nato dallo Spirito».

Nasce spontanea un’ipotesi. Ma, se crediamo in Gesù Cristo, in quello che Egli ci dice, nella testimonianza della Chiesa (che ha accolto il Vangelo di Giovanni come canonico e proclamato il “credo” niceno-costantinopolitano), vi è almeno un senso della distinzione tra “creazione” e “generazione” (divine), per cui non solo Gesù di Nazareth, ma tutti noi (a condizione che “crediamo” o, forse, soltanto, che lo “riconosciamo”…) saremmo generati (da Dio, dallo Spirito), e non creati (come le cose “materiali”).

Saremmo, cioè, della “stessa sostanza” (o, meglio, “essenza”: “homousìoi“) di Dio. Saremmo Dio stesso.

Come è possibile?

Un suggerimento ci viene da Plotino. Saremmo Dio dimentichi di esserlo e “caduti” nel mondo “reale”, magari perché “ingannati” dallo “specchio” della “materia” (il mitico “specchio di Dioniso”) che ci “frantuma” nell’innumerevole molteplicità delle “apparenti” “creature” che sembriamo.

Le anime degli uomini [...] avendo visto le loro stesse immagini, 
per così dire, nello specchio di Dioniso, balzarono laggiù dalle regioni superiori; 
ma nemmeno esse sono tagliate fuori dal loro principio e dall'intelligenza. 
Esse non discesero insieme con l'intelligenza e tuttavia, 
mentre arrivarono a terra, la loro testa rimane fissa al di sopra del cielo 
[Enneadi, I, 1, 12, 1-5].

Questa duplice natura dell’uomo (una reale, spirituale, e un’apparente, materiale) sembra suggerita anche da un celebre passo di Paolo (1 Corinzi, 15, 47-50):

Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; 
il secondo uomo viene dal cielo. 
Come è l'uomo terreno, così sono quelli di terra; 
e come è l'uomo celeste, così anche i celesti. 
E come eravamo simili all'uomo terreno, così saremo simili all'uomo celeste. 
Vi dico questo, o fratelli: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, 
né ciò che si corrompe può ereditare l'incorruttibilità.

Si legga anche quest’enigmatico passo del Genesi (6.1-4):

Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro delle figlie, 
i figli di Dio [!] videro che le figlie degli uomini erano belle 
e ne presero per mogli a loro scelta. 
Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo, 
perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni».
C'erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo -, 
quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini 
e queste partorivano loro dei figli: 
sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi.

E se le “figlie degli uomini” fossero, in immagine, i nostri corpi (“carne”), destinati a moltiplicarsi come in un gioco di specchi, mentre i “figli di Dio” fossero le nostre anime, scintille dell’unico Padre, destinate a vivificarli? Noi, frutto fecondo di quest’unione, parteciperemmo, come Cristo (e altri “eroi”, semi-dei), tanto della natura divina quanto di quella umana.

Segno di tale nostra duplice condizione (di esseri “divini”, che credono, tuttavia, di essere “creature” materiali, “figli”  e “figlie di uomini”) è, in ultima analisi, la dualità anima-corpo.

L’essere coscienti, in particolare, (l’intendere) suggerisce che non siamo creature, ma alcunché di divino, perché la coscienza non è che l’altra faccia dell’essere (immutabile) secondo la parola di Parmenide di Elea:

tò gar autò noêin estì te kài éinai 
[la stessa cosa è intendere ed essere]
[fr. 3, Diels-Kranz]

D’altra parte appariamo a noi stessi come corpi, non diversamente da come ci appaiono le “cose” dell’universo materiale, il “Creato”.

Il “creare” divino, dunque, non sarebbe altro che il dare forma ai fenomeni, quel poiêin (produrre, ma nel senso di rendere poiòn [quale], conferire qualità all’altrimenti informe “non essere” che chiamiamo “materia” – “nulla” quantistico che prende forma solo perché “vibra”, suggeriscono gli scienziati) che rende Dio il “poeta”, il drammaturgo (e taumaturgo) che mette in scena il “teatro” in cui recitiamo la nostra parte di “umani” (da humus, terra, come se fosse da lì che proveniamo).

Si tratta della “frantumazione” di Dio (dell’essere) nelle sue innumerevoli immagini, scene, il tiqqun di cui parla la qabbalah.

Si tratta di quella creato ex nihilo (creazione dal nulla), reinterpretata misticamente come creatio ex nihilo dei, creazione di qualcosa a partire dal nulla di Dio o per contrazione di Dio, sicché il Creato, come in un gioco di specchi (Maya) conserverebbe in sé la traccia del nulla da cui è tratto, così come le immagini multiple del Principio di cui è semplicemente specchio.

Il “generare” divino, invece, sarebbe l’altra faccia della “caduta” di Dio stesso nelle “vesti” degli innumerevoli viventi (umani e non umani) che popolano l’universo (o forse soprattutto – o anche soltanto – il pianeta Terra), il vero “popolo di Dio”, nel quale Dio può rispecchiarsi (e dal quale può sentirsi tradito, “non rappresentato”, come in molti episodi veterotestamentari) solo perché Dio è questo stesso popolo, in modi più o meno “evidenti” e consapevoli (cfr. i diversi passi veterotestamentari in cui Israele, figura del Cristo che verrà, è chiamato collettivamente “Figlio di Dio” ).

In  questa luce (“Luce da Luce”…) possiamo immaginare il Cristo come colui che in modo più sublime di altri si è ricordato di Chi era (Figlio tutt’uno col Padre) e l’ha testimoniato, invitando i suoi seguaci a partecipare della medesima esperienza.

Nella cd. preghiera sacerdotale ecco, ad esempio, che cosa dice Gesù dell’unità di Se stesso col Padre e dell’unità di tutti i credenti con Lui (e, dunque, per la proprietà transitiva, dell’unità dei credenti col Padre!), proclamazione che sembra sfiorare il “monismo” dell’advaita Vedanta .

Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: 
perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi,
perché il mondo creda che tu mi hai mandato. 
E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, 
perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. 
Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità 
(Gv, 17, 20-23)

Gesù sa bene di essere nato dall’acqua (dal ventre di sua madre, Maria), in quanto singolo, distinto individuo, incarnato, frammento dell’intero, come tutti noi, ma scopre di essere, non meno, nato dallo Spirito (tutt’uno con l’intero). Ci invita a riscoprire in noi stessi questa (ri)nascita, questa generazione “dall’alto”. Ci invita alla riunificazione con la nostra origine (da cui non ci siamo allontanati che “virtualmente”, in immagine): lo zimzum di cui parla, di nuovo, la qabbalah.

Come scrive Plotino, rivolgendosi all’anima:

Tu eri già tutto, ma poiché qualche cosa ti si è aggiunta in più del tutto, 
tu sei diventato minore del tutto per questa aggiunta stessa. 
Tale aggiunta non aveva nulla di positivo 
(infatti che cosa si potrebbe aggiungere a ciò che è tutto?), era interamente negativa. 
Chi diventa qualcuno non è più il tutto, gli aggiunge una negazione. 
E ciò dura finché non si scarti tale negazione. 
Dunque, il tutto ti sarà presente [...] 
Non ha bisogno di venire per essere presente. 
Se non è presente, è perché tu ti sei allontanato da lui. 
Allontanarsi, non significa lasciarlo per andare altrove, 
poiché è lì; ma è voltargli le spalle quando è presente 
[Enneadi, VI, 5, 12, 15]

Un modo che abbiamo per “meditare” su questa nostra duplice natura (di totalità e di frammento) è… mangiare il Cristo.

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. 
Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno 
e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo 
[Gv, 6. 51]

Con scandalo non solo “dei Giudei”, ma anche dei “suoi”, Gesù ci invita a mangiare del suo corpo, nutrendoci (come precisa la cosiddetta “istituzione eucaristica”, che si trova nei vangeli sinottici e in Paolo) di pane e vino. Che rapporto ha la “cena del Signore” con la nostra figliolanza divina?

Il pasto eucaristico sembrerebbe contraddire l’ipotesi, fin qui avanzata, di una nostra diretta discendenza divina e suggerire, piuttosto, che solo “per Cristo, con Cristo e in Cristo” (come recita la preghiera eucaristica, pronunciata durante la messa), nell’unità della sua duplice natura, divina e, soprattutto, umana (il “corpo di Cristo”), possiamo partecipare al divino. Insomma, Cristo sarebbe il mediatore di una “grazia” senza la quale non saremmo alcunché (miserabili, miserande creature). Ma è proprio così?

Il pane e il vino eucaristici, innanzitutto, “frutti della terra”, sono parte del “Creato”. Assumerli ci ricorda che il nostro corpo, che se ne nutre e li assimila, è esso stesso parte del Creato, immagine (frammento) di Dio, non meno di quello di Cristo. Ma se Cristo è Dio nonostante il suo corpo del tutto identico al nostro, allora anche noi possiamo (ricordarci di) esserlo. Partecipare simbolicamente del corpo di un Uomo-Dio è ricordarci che noi stessi, ciascuno di noi, è o può essere un Uomo-Dio (può rinascere dall’alto).

Ma perché ci ricorderemmo del nostro “essere Dio” mangiando proprio “pane e vino“? Perché sono il nostro cibo fondamentale, ciò che dà sostanza al nostro corpo, ossia al peculiare “specchio concavo” in cui Dio (in ultima analisi, la nostra stessa “coscienza”) prende forma in noi.

Secondo la parola di Anassagora di Clazomene, in generale,

tutto è in tutto

Dio è in ogni cosa e ogni cosa è in Dio (come ci ricorda la dottrina della complicatio, explicatio e implicatio di ogni cosa in Dio di Niccolò Cusano). Se così non fosse, fin dall’inizio, come potrebbe, alla fine dei tempi, Dio essere “tutto in tutti” (1 Corinzi, 15, 28)?

Nell’eucaristia, in un’altra prospettiva, il “corpo di Cristo” è la Chiesa, la comunità dei santi, dei viventi e dei “rinati” in Dio. Dunque, mangiandola, noi partecipiamo immediatamente (senza passare per il Creato), sia pure attraverso un simbolo, dell’unità divina smarrita, frantumata (nella coscienza dei singoli).

Per approfondire: Raimon Panikkar, La pienezza dell’uomo. Una cristofania, tr. it. Milano, Jaca Book 1999.

Giorgio Giacometti, nato a Udine nel 1965, si è laureato in Filosofia presso l’Università di Padova nel 1989 con una tesi su Walter Benjamin.

Presso quell’ateneo, dal 1990, ha tenuto diversi seminari, come cultore della materia, ispirati agli studi di Pierre Hadot sulla filosofia antica come esercizio spirituale.

Nel 1996 ha conseguito il dottorato in Filosofia Politica presso l’Università di Pisa con una tesi su Friedrich W. J. Schelling.

Ha insegnato a contratto storia del pensiero politico presso l’Università di Udine e tenuto un laboratorio di didattica della storia presso presso la locale Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento nella Scuola Secondaria (in cui ha svolto anche la funzione di supervisore al tirocinio dei futuri docenti). Attualmentte è docente di filosofia presso il liceo delle scienze applicate attivo presso l’Istituto Scolastico di Istruzione Superiore “A. Malignani” sempre di Udine.

Ha all’attivo diverse pubblicazioni di argomento filosofico e didattico, tra le quali i volumi Ordine e mistero. Ipotesi su Schelling, Padova, Unipress 2000 e Filosofia e amicizia. Il Liside di Platone e dintorni, un esercizio maieutico, Milano, Colonna 2001.
In qualità di vicepresidente della Società Indologica “Luigi Pio Tessitori” e studioso dei rapporti tra filosofia indiana e filosofia greca, ha scritto l’articolo: Plotino e Çankara. Una questione di punti di vista, in “Simplegadi”, Rivista di filosofia orientale e comparta, V, 2000, n. 1, pp. 11-33).
Si è interessato, inoltre, di psichiatria fenomenologica traducendo per Marsilio (Venezia, risp. 1990 e 1994) i libri di Ludwig Binswanger, Delirio. Antropoanalisi e fenomenologia e Il caso Suzanne Urban. Storia di una schizofrenia.

Per quanto riguarda le pratiche filosofiche:

Nel 2005 ha fondato a Udine, con altri filosofi, la Gaia scienza – Laboratorio per le pratiche e la consulenza filosofica.
Dal 2007 al 2011 è stato segretario nazionale e membro del Consiglio Direttivo di Phronesis – Associazione Italiana per la Consulenza Filosofica, di cui è stato anche responsabile per la formazione.
E’ stato anche membro del Comitato Scientifico della IX Conferenza Internazionale sulle Pratiche Filosofiche di Carloforte (Cagliari).

Da diversi anni conduce seminari di pratica filosofica in Friuli, ha aperto a Udine uno studio di consulenza filosofica e offre uno sportello di ascolto presso l’istituto scolastico dove insegna.

Pubblicazioni:

Consulenza filosofica come professione. Aporetica di un’attività complessa, in “Phronesis”, n. 7, anno IV, 2006.
Una professione impossibile?, nel volume AA.VV. Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni, Trapani, Di Girolamo, 2008.
È possibile riaccendere la lanterna di Diogene?, in “Edizione”, Rivista della Sezione del Friuli Venezia Giulia della Società Filosofica Italiana, 2009.
Dall’oralità alla scrittura. Come documentare un’esperienza filosofica? in “Phronesis”, n. 14-15, anno VIII, 2010, pp. 59-70.
Sofia e Psiche. Consulenza filosofica e psicoterapie a confronto (a cura di G. Giacometti), Napoli, Liguori, 2010.
Quando il filosofo esita. Limiti e potenzialità della consulenza filosofica dentro e fuori la scuola, in Paideia. Pratiche filosofiche e pratiche educative, a cura di M. L. Martini, Napoli, Liguori, 2011, pp. 113-132.
Intervista a Oscar Brenifier, in “Phronesis”, n. 16, anno IX, 2011, pp. 47-60.
L’incantesimo di Orfeo. Sulla “feconda inapplicabilità” della consulenza filosofica alla vita, in “Phronesis”, n. 17, anno IX, 2011, pp. 9-39.
Violenza e verità. Politicità inappariscente dell’esercizio filosofico in senso antico, in Sofia e Polis. Pratica filosofica e agire politico, a cura di S. Zampieri, Napoli, Liguori, 2012, pp. 155-191.
Conosci te stesso. Perché non possiamo non dirci platonici quando facciamo filosofia, in Filosofie nella consulenza filosofica, a cura di M. L. Martini, Napoli, Liguori, 2013, pp. 202-243.

Altri saggi e riflessioni si possono trovare pubblicati su questo sito.

Altre pubblicazioni:

Pier Paolo Pasolini, l’iperrealismo del desiderio, in “La cosa vista” n. 10, 1989, pp. 51-55.
Cornelio Fabro interprete di Platone in AA.VV. Per Cornelio Fabro, Udine, La nuova base editrice, 1999.
Il laboratorio filosofico. Per un impiego “normale” del computer nella didattica della filosofia, in “Insegnare filosofia”, n. 2, anno V, feb. 2001, pp. 10-14.

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Sul Timeo di Platone

Forse poche altre opere al mondo hanno destato nella storia della filosofia e della cultura occidentale una così proficua serie di riletture ed interpretazioni, di studi e di analisi quanto il Timeo di Platone.

Pur non potendolo ritenere come il dialogo più importante (ma esiste davvero il più importante?) della produzione platonica, è sicuramente uno tra i più completi per l’ambizioso disegno che si propone di fornire spiegazioni sull’origine del cosmo, della vita, dell’uomo.

Ma Platone sagacemente smorza i termini di tale grandioso progetto di onniscienza, affermando già dall’inizio che si tratta tuttavia di un racconto verosimile, in quanto ciò che in esso viene detto non è tanto la verità quanto piuttosto qualcosa che ad essa è simile e somigliante, basando le sue congetture sull’affinità analogica tra idee, parole e mito.

E’ forse questa una cauta affermazione ribadita allo scopo di mettere in evidenza i limiti della possibilità della conoscenza umana, oppure, è la prudente circospezione dell’iniziato che può far intendere ma non può rivelare la verità esoterica?

Probabilmente non lo potremo mai sapere, ma c’è di fatto che quasi certamente Platone fu iniziato ai misteri già molto prima di seguire Socrate e la sua avventura umana e che lo porterà a far di lui il centro ed il protagonista di tutte le sue opere, addossandosi l’arduo compito di tramandare per iscritto il pensiero del maestro ai posteri.

Edouard Schurè nella sua opera I grandi iniziati pone Platone tra le figure di Ermete Trimegisto, Mosè e Gesù, e non è un caso che il platonismo fece sempre da companatico ai rinascimentali che ripresero la tradizione ermetica. Nell’Accademia platonica fiorentina di Marsilio Ficino, Platone, e soprattutto il Timeo costituiscono rispettivamente l’autore e l’opera più letti e commentati in assoluto; laddove attorno alla sua orbita gravitarono altri astri luminosi come il Corpus Hermeticum, il Pimandro, ed i testi zoroastriani.

Del resto, lo stesso Proclo racconta che Platone ebbe in gioventù maestri come i sacerdoti Pateneit, Ethimane ed Ochlapi ad Eliopoli e che da loro venne edotto alla più profonda conoscenza della tradizione egizia come tra l’altro lo fu anche Mosè; dall’Egitto si recò successivamente a Cirene dove incontrò il pitagorico Archita e da egli apprese la saggezza insita nei Numeri.

Inoltre, che egli riconoscesse una linea di continuità tra il culto egizio e quello ellenico lo afferma nel Timeo dicendo di identificare la dea Neith con quella greca Athena.

Tornando al Timeo, esso si apre con le parole del giovane Crizia che racconta una storia a sua volta udita dal nonno nel giorno delle Apaturie, cioè delle feste in onore di Zeus Phratrios, successivamente dedicate a Dioniso.

E’ la storia di una società perfetta, di un’utopia etica e politica quindi, cui l’antica Atene si era ispirata nei primi anni della sua esistenza e che appartenne ad una civiltà esistita ad Atlantide ed ormai scomparsa in seguito ad un cataclisma verificatosi in seguito alla deviazione dall’orbita di un astro, episodio che forse la mitologia tramandò attraverso l’episodio di Fetonte.

In questa narrazione, che rievoca i fasti ma soprattutto l’armonia sociale di una civiltà scomparsa, vi è trasfusa tra le righe tutta la nostalgia che Platone visse per la sua Atene quando, dopo la breve parentesi della democrazia di Pericle, al tempo della sua eroica resistenza verso Sparta, riuscì a conservare la propria integrità territoriale e la propria indipendenza.

Platone era di nascita aristocratica, e certamente tutte le utopie sociali che egli teorizzò nella Repubblica, ma che cercò anche di realizzare nella pratica, a Siracusa, dove invano tentò di creare il governo dei filosofi, erano volte a garantire una giustizia sociale basata sul merito, garantita dalla saggezza dei suoi custodi, ma anche atta a mantenere il proprio status ai discendenti di stirpe nobiliare, soprattutto dopo aver assistito da giovanissimo alla pericolose turbolenze del governo democratico.

Il pitagorico Timeo, da cui il dialogo trae il suo titolo, continua la narrazione subito dopo Crizia, iniziando a descrivere la genesi dell’universo, della sua sostanza, sostanza vivente ed animata, connessa in ogni sua minima parte e governata da precise leggi imperscrutabili, ribadendo, infine, come tutto ciò che è nato abbia avuto come sua causa il demiurgo che ispirandosi al mondo intellegibile delle Idee trae alla vita la materia inerte.

Nella migliore tradizione pitagorica, anche Platone attribuisce massima importanza ai numeri; il mondo viene infatti creato dal demiurgo secondo precise regole di proporzione, l’anima umana risulta divisa in sette parti, in cui il settenario rivela il significato arcano di potenza e perfezione della vita, come lo era per i pitagorici e come riporta fedelmente anche Cornelio Agrippa ne: La filosofia occulta: la virtù di questo numero interviene altresì nella generazione dell’uomo e serve a comporlo, a farlo concepire, a partorirlo, a nutrirlo, a farlo vivere…

Il tempo è stato creato assieme al mondo, essendovi prima una eternità atemporale, ed è legato ai moti degli astri, del sole, della luna, che regolano i giorni e le stagioni con i loro moti.

Ma Platone sembra anticipare anche un’idea che ebbe grande seguito negli anni a venire, soprattutto nel Rinascimento, ovvero delle influenze degli astri sulla vita degli uomini. E’ un’idea che viene fuori da coordinate logiche che trovano una loro piena spiegazione all’interno del mito.

Infatti, se la creazione demiurgica procede per gradi, affidando agli dei minori la generazione degli uomini, se l’universo intero costituisce un unico Essere vivente, tutto ciò che in esso è contenuto è intimamente connesso e ciò che in esso è superiore determina il modo e l’esistenza di ciò che è inferiore.

E tuttavia non è una concezione che venne accettata interamente e che diede adito a differenti interpretazioni.

Così dice infatti Dante: lo cielo i vostri movimenti inizia; non dico tutti, ma posto ch’i’l dica, lume v’he dato a bene e a malizia, e libero voler: che, se fatica nelle prime battaglie col cielo dura, poi vince tutto, se ben si notrica. (Purgatorio, canto 16, vv. 73-78).

Intendendo con questo spiegare come le sole inclinazioni dell’anima umana possono essere in parte dovute alle influenze astrali ma che comunque, è sempre la volontà a vincere, in ultima analisi, è il nostro volere ed il nostro coraggio a dare sempre il corso determinante alla nostra vita e soltanto con noi stessi dobbiamo prendercela quando la nostra vita non è come vorremmo che fosse. Ma non indugerò ulteriormente su quest’argomento che è vastissimo e merita una trattazione adeguata che in questo contesto è fuori luogo dare.

Riprendendo la lettura del Timeo ci accorgiamo, inoltre, come esso segni un punto fondamentale nell’elaborazione del pensiero platonico, a volte, cadendo anche in palese contraddizione con quanto era stato detto in dialoghi precedenti.

Platone qui afferma infatti che l’anima è generata ma imperitura mentre nella Repubblica e nel Fedone l’aveva concepita come mai nata, ossia eterna. La sua incarnazione non è più vista come una sorta di prigionia del corpo materiale, secondo l’influenza orfica, ma quasi una necessità, una determinazione divina che predispone un corpo per ogni anima e che attraverso la reminiscenza può acquisire la sua vera dimensione, tornando alla contemplazione della stabile verità rappresentata dalle Idee archetipe.

Nel Timeo davvero confluiscono le idee dominanti della filosofia greca; l’eredità del pitagorismo gli ispirò l’armonia delle proporzioni matematiche e l’idea della molteplicità insita nell’Unità, della metempsicosi necessaria all’evoluzione dell’anima, mentre il pensiero degli ionici, ed ancor più quello di Empedocle, gli donarono il principio dei quattro elementi primordiali (acqua, aria, fuoco, terra) che costituiscono tutti i corpi esistenti ed i cui movimenti producono le sensazioni. La stessa vista prende atto dal fuoco visuale che risiede all’interno dell’occhio e che vede gli oggetti mediante l’incontro dell’effluvio igneo, o luce, che irradia dai corpi esterni confermando così che il simile conosce il simile e che la visione non è altro che il risultato dell’incontro fra elementi simili ed affini.

Tuttavia, il vero principio delle cose non è da ricercare semplicemente nei singoli elementi, come lo era per gli ionici. Né esso scaturisce completamente dalla loro sinergia.

Vi è un terzo ordine di cose che lega il modello, l’Idea alla sua immagine terrena, che coniuga l’eternità al divenire, la stabilità al mutamento apparente, la generazione di ciò che seguendo il proprio cielo vitale, nasce, cresce e si riproduce. E’ un ricettacolo che contiene il cosmo intero ma che con esso non si identifica, esprimendo tuttavia la potenzialità degli elementi e permettendone la vita. Platone chiama quest’elemento, quasi una nutrice, e la identifica a volte con la kora altre volte con il termine dinamis, ad indicarne la capacità adattiva di accogliere, nello spazio e nel tempo, qualunque contenuto senza cambiare essa stessa natura.

Ma non bisogna commettere l’errore di identificarla con la nozione di materia o di spazio dei fisici, quanto è piuttosto meno fuorviante concepire questa natura che riceve i corpi come un presupposto necessario dal punto di vista logico e dialettico.

Così anche per quanto riguarda il tempo, ad esempio, si avverte nel Timeo la prima e piena formulazione della sua problematicità. Come e molto di più che nel pensiero di Parmenide e di Eraclito, il problema della mutabilità di ciò che vive, il suo rapporto con una dimensione vasta, stabile ed imperitura, assurgono ad una spiegazione meno conflittuale, pienamente consapevole della sua natura e che trova piena espressione nella versione così rarefatta ed enigmatica del mito, delle sue figure appena accennate, di ciò che viene detto e rivelato ma, soprattutto, di ciò che non è detto, ma volutamente occultato.

Riprendendo un’affermazione già fatta nel Cratilo, Platone rinuncia a denominare le cose, gli oggetti, in quanto essi, a causa della loro variabilità e corruttibilità, cambiano, non sono mai uguali a se stessi nel tempo, laddove nei nomi vi è insito il desiderio umano di fissare una volta per tutte una realtà che travalica i limiti del sensibile. Ma è un artificio dialettico, un’aporia volutamente sollevata da Platone allo scopo di sottolineare l’antitesi esistente tra Realtà e Divenire. Che differenza può esserci mai, infatti, in un ripetersi eterno, uguale, incondizionato delle forme quando al di là di esse esiste un’unica, immutabile Essenza che tuttavia partecipa in loro della sua stessa natura? Umbra profunda sumus, come dirà Giordano Bruno, siamo solo ombre profonde della Realtà…

Il problema che ha affascinato ed irretito tanti secoli di filosofia occidentale è contenuto in nuce nel Timeo, ovvero: come può la diversità formale essere mai ritenuta come autentico cambiamento? A secondo del pensiero e delle epoche, la percezione del cambiamento è stata avvertita come prova del continuo divenire, oltre il quale non è possibile accedere, o, al contrario, come artificio ingegnoso che cela una realtà metafisica stabile e duratura.

In entrambi i casi, ogni nostra conoscenza può soltanto umilmente riconoscere i propri limiti, oppure rivestire i panni del racconto verosimile, approssimativo al vero, dell’indottrinamento dato attraverso le figure del mito, verità questa che l’iniziato Platone, più del filosofo, aveva ben compreso.

Tecla Squillaci

Nata a Catania, Italia,il 6/11/1967, laureata in filosofia teoretica, laureanda in giurisprudenza, dopo alcuni anni di giornalismo a tempo pieno dal 1996 è insegnante di lettere.Collabora con diverse pubblicazioni sia online che cartacee di filosofia, diritto e letteratura. Segnalata ed insignita di diversi riconoscimenti e premi in i letterari in Italia ed all’estero.

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L’Iniziato

L’INIZIATO

  

Ai Maestri

e ai compagni sul Sentiero

  

 

I     La Notte oscura………………………………………………………pag. 3

II    L’Alchimia interiore……………………………………………….….……7

III   L’Aspirazione……………………………………………………………….12

IV   L’Amore che irrompe..………………………………………………….17

V     La scoperta del Sentiero…………………………………………..….23

VI    Il Servizio ……………..………………………………………………….…28

VII   Il Risveglio…..………………………………………………………..……33

VIII Il Pensiero creatore…………………………………………………..….38

IX    Il Senso e l’Ordine……………………………………………………..…43

X      L’Unità…………….…..………………….……….……………………..…48

XI    Le Nuove Comunità……………………………………………….….…53

XII   La Visione………………………………………………….………………..58

 

 

Il testo intende descrivere in un linguaggio lirico e con metafore trasparenti tappe e aspetti del Sentiero evolutivo della Conoscenza e dell’Amore che a volte si susseguono, a volte si intersecano o si sovrappongono.

Il Pellegrino attraversa situazioni interiori e passaggi diversi: le tenebre dell’ignoranza e dell’attaccamento alla forma (I, La Notte oscura); la conoscenza e il perfezionamento di sé (II,  L’Alchimia interiore); il sorgere dell’aspirazione spirituale (III, L’Aspirazione); la rivelazione dell’Altro da sè e dell’Amore (IV, L’Amore che irrompe); la volontà determinata di intraprendere il Sentiero che conduce alla Casa del Padre (V, La scoperta del Sentiero); la scelta di servire l’Umanità (VI, Il Servizio);  il risveglio delle qualità dell’Anima (VII, Il Risveglio); il dominio del Pensiero (VIII, Il Pensiero creatore); il riconoscimento dell’Ordine del Tutto (IX, Il Senso e l’Ordine); la consapevolezza dell’Uno in cui “viviamo e siamo” (X  L’Unità); l’ideazione e costituzione di Gruppi umani ispirati agli Archetipi divini (XI, Le Nuove Comunità); la percezione del Superiore (XII, La Visione)

 

 

 

 

I  

La Notte oscura

  

 

Velato di fango il Pellegrino

dall’umida Terra grida il suo Essere

attendendo risposte mute.

Nel cielo di ghiaccio invoca,

sfidando la sfinge dell’inflessibile Silenzio

e l’enigma dell’ineludibile Sentiero.

Immani Draghi infernali

dal profondo dell’interiore assaltano l’Ideale

corrompendo ogni intento

e disgregando ogni fragile agire.

 

L’Accidia paralizza in viscidi tentacoli

la Volontà di Bene

che eterna opera luminosa nel Piano.

L’Amore è inerte,

serrato come una preda

nelle fauci dell’Indifferenza.

Amaro e Noia inesorabilmente

catturano la vita

 nella tagliola dell’immobilità

dilaniando lo spirito.

Perfidi Geni del Male di vivere

smantellano di senso il futuro

e il buio ignoto dell’Oltre atterrisce il cuore.

 

Nella oscura ignoranza

della caverna della coscienza

ove si proiettano fievolmente

indistinte ombre distorte, 

l’Uomo geme in catene

ignaro della Realtà che è Fuori

creando nella mente sagome umbratili

e tetri mondi irreali.

Irrigidito nella sclerosi delle vecchie forme

e rinchiuso nell’angusta dimora

della fatale successione degli eventi,

non ne scorge il senso occulto

che origina dalla Giustizia assoluta

del Mondo delle Cause.

 

Nella coscienza ancora offuscata

ogni tensione al Superiore degrada

in velleità di divagazione dal quotidiano,

in fuga dall’impegno del reale,

in desiderio illusorio di elevazione

della personalità separativa.

Rabbia e desolazione gravano l’animo

e la vita si manifesta

come furioso campo di vana competizione

o arido deserto disanimato di funesto abbandono.

 

La vile Menzogna su di sé 

vieta la Porta che svela il Vero

provando con triste evidenza 

quanto è duro a morire

l’infido ossuto nucleo dell’ego,

origine di ogni disarmonia.

 

Ingannevole esteriore benevolenza

e affettata superficiale simpatia

sviliscono l’incontro delle anime.

Incontri, rapporti, abbracci

degradano in triste farsa sleale

che violano la sacra Fratellanza

e inquinano l’Amore.

 

Coltri di gelo ricoprono il Cuore

e l’affinità del sentire, l’unicità delle origini,

la comunanza della propria essenza umana,

l’universale destino di dolore e di Luce

vengono rinnegati con arroganza.

 

Il pensiero separato dal cuore

persegue l’utile, il piacere e il potere

operando in superficie

e arrestandosi sul piano dell’apparenza

ove operano i fratelli dell’ombra

il cui destino è la sconfitta.

 

In una lunga funerea teoria

i giorni si susseguono uguali, opachi di vita

e l’agire è indirizzato a povere mete

o ad illusori traguardi.

La vuota retorica del sentimento

usurpa indebitamente il diritto

della Verità sovrabbondante del Cuore.

 

Inabile ad amare e alieno a se stesso,

 il Viandante si nutre di illusorie lusinghe,

godendo delle vane esaltazioni di un attimo,

o sprofonda nella triste passività dell’Indifferenza

che spegne crudamente ogni affidamento

spezzando i sottili legami interiori.

Aridità e Disamore

piantano con ferocia grigi stendardi

sul cranio desolato e nel petto inaridito

e con artigli dilanianti 

inabissano l’Anima bambina

in orridi di  angoscia.

 

Indegnità e Colpa invadono il Pellegrino

oscurando sensibilità umana

e violando la Gioia,

divino inalienabile patrimonio dell’anima.

L’Intuizione si spegne nel dubbio

che non dà credito a se stessa,

vietando la percezione del Superiore.

Privo dell’orizzonte di Gloria

che sente come destino spettante per nascita,

l’uomo rimane vittima

 dell’Idra dei vizi dalle nove teste mortifere,

eternamente recise

ed eternamente rinascenti.

 

Nel  fondo dei ciechi carceri dell’apparenza

l’avere soffoca l’Essere

e l’ingannevole Forma

vittoriosa innalza il suo vessillo di nebbie

sulla sommità della gracile mente mutevole.

Il diamante dell’Essenza è perso

nelle irreali volute di Maya

che ottundono i sensi interiori

offuscando ogni Visione del Reale.

 

Il mondo è vuoto agli occhi del Viandante

ed egli non conosce compagni di viaggio

che aspirano alla sua stessa Meta.

Il dolore scava le sue tane illusorie

e la voce del Sé è inaudibile,

sommersa dal frastuono dell’ego.

Le eterne  Domande del Pensatore

rimangono ancora una volta insolute.

L’impotenza ruggisce nell’interiore,

illusioni e delusioni si rincorrono

e il Fine supremo rapido si dissolve 

nel vuoto di Notti dolorose.

 

L’Anima langue, vinta dall’Entropia, 

invano ricercando la Fonte del Reale.

 

 

 

II

L’Alchimia  interiore

 

Come uno schiavo affranto al mulino

gira ciecamente la ruota di pietra

il Pellegrino rivive senza fine

emozioni, desideri, passioni,

automatismi, paure, risentimenti,

rinchiuso nel recinto dei condizionamenti

che riproducono impulsi e programmi

della mente prigioniera della ripetitività.

 

Come un solitario colonizzatore,

inizia ad esplorare il continente sconosciuto di se stesso

per comprendere e sanare il suo dolore

superando l’imbarazzo, il terrore

e l’abisso del disorientamento

in cerca di possibilità a lungo occultate.

 

Come un avido cercatore di tesori,

offuscato da nubi di emotività e attaccamenti,

ricerca infine l’oro dell’Amore puro,

quintessenza trasformatrice,

alito divino di Comunione

che abbraccia, evolve

ed illumina azioni e sentimenti.

 

Nella tempestosa ricerca dentro  se stesso,

comprende che l’essere precede il fare

e con tenace amorevolezza

filtra luce nelle cantine della coscienza

affinché il suo muoversi nel mondo

rifletta l’essere, perfezionato nell’amore.

Impara a piantare il proprio dolore

nel campo della Pazienza e della Compassione

raccogliendone frutti di nuova Coscienza.

 

Polarizzandosi nella mente,

conosce, domina e infine muta se stesso

educandosi con abile maieutica.

Forgia con perizia raffinati strumenti

che elevino la materia allo Spirito

e irradino lo Spirito nella materia.

Umilmente ricerca fuori e dentro di sè   

dati di verità, duri e veritieri,

che diradino false illusioni di crescita

e insidiosi fantasmi di fumo

generati dalle trame dell’ego.

 

Comprende che potrà avanzare

solo dopo aver fissato negli occhi

l’indomito Guardiano della soglia

senza tremare né fuggire né dissimulare

né evadere né schermirsi né ripararsi

né mentire né negare né patteggiare.

Sa che se non trionferà  

ogni avanzare sarà un inganno della mente.

 

Evoca consapevolmente antiche memorie:

tendenze latenti, istinti incontrollati,

vizi non domati, vane passioni,

viltà e debolezze dello spirito

si affacciano minacciosi alla coscienza

e la battaglia s’accende.

Come un temerario Cavaliere,

sfida la fiera minacciosa della verità su di sé

rilevando con limpida fermezza  

disonorevoli azioni e gretti pensieri,

sedimentati in funerei tumuli di Orgoglio.

 

Espone il volto di se stesso a lungo celato

alla luce della Verità infine accolta

fissandola sereno e intrepido.

Si allinea interiormente al superiore

e si riflette nel Sé, modello dell’anima,

mirando alla Trasmutazione.

Al contempo guarda al Cielo

con nuovi occhi fondi di interrogativi,

indagini, voti, domande, invocazioni.

 

Nell’incessante solitario travaglio

al crogiuolo alchemico interiore

non c’è posto alcuno

per la facile condiscendenza

né per le illusioni su se stessi:

perché la Luce penetri nel profondo

l’osservazione di atti e moventi

è ininterrotta, analitica, spietata

ma sprigiona pace e sensi luminosi.

 

L’altro diventa specchio

e anche il temuto giudizio altrui

è ora ben ricercato,

e trasmutato in dono di comprensione,

coscienza di lucide immagini di sé,

filtro di nuove interiorizzazioni,

metodo di analisi e perfezione.

 

Crolla il mondo di finzione

in cui l’Uomo ha creduto di vivere, muovere ed essere

e cade ogni logora maschera

di apparente premura e amichevole socialità

richiesta dalla scena nel Teatro della profanità.

Non è gradita all’Alto

la fratellanza pavida che misura ogni cosa,

usa blandizie e piaggerie

e teme pusillanime la sua stessa ombra.

 

L’esteriore affettata cortesia,

qualità di formali corti e cortigiani,

e di vili e tiepide comparse della vita,

cede il passo all’ardire della chiara autenticità,

della comunicazione di cuore

e della sincerità amorevole. 

Il Pellegrino comprende intimamente

che amare davvero è anche dire a sé e ad altri

verità aspre e forti che diradino nebbie illusorie

sollevate da timorose fragilità

o dal dispotismo protervo

del piccolo ego borioso

che si presenta come amichevole compagno.

 

Nel Laboratorio della coscienza

l’Alchimista dello spirito

assiduo si dedica al Lavoro.

Distilla nell’alambicco degli eventi 

impulsi e sentimenti, realizzazioni e sconfitte, 

esaltazioni e turbamenti, aspirazioni e rinnegamenti,

tensioni dello spirito e qualità della coscienza

ricavandone fragranti essenze di saggezza.

 

Riconosce che il piccolo demiurgo terrestre

creatore di rabbia e di dolore

colma il Pianeta di fumo asfissiante

che soffoca la Vita di ogni regno di natura.

Umiltà e amore per il vero

lo muovono a indagare vigilmente

motivazioni e pensieri reconditi

che  inducono i suoi atti

poiché qualsiasi impulso, tendenza,

moto e manifestazione del Cosmo

ha la sua applicazione nell’Eternità.

 

Intende che l’Uomo è essere di transizione

e focalizzando il Pensiero 

modella duttilmente come cera

qualità, energie e carattere

mutando in oro il piombo della sua natura.

Ricerca la formula della transumanazione

rigenerando le cellule con irradiazioni di luce.

 

Stremato dalle antiche dure lotte con l’ego,

abbandona le infinite ricerche della mente esausta

e cede alla serena Verità

che tutto contempla nell’amorevole equità,

riconoscendosi per Quello che è.

 

Cielo e Terra si incontrano infine

fondendosi in armonia.

 

 

 

III

L’Aspirazione

 

 

Tra corrosione interiore 

e subitanee brevi rivelazioni di Luce

il Pellegrino ricerca il Vero

con anime compagne ancora ignote

ma già unite nel Cammino segreto.

L’Inquietudine sferzante

divinamente agita la coscienza

che inconsapevole anela all’Assoluto.

La sacra Nostalgia dell’Origine

e l’anelito al Ritorno alla Casa del Padre

inseriscono sottilmente una nota accorata

 nell’apparente banalità del quotidiano.

 

Nella Terra di Mezzo dell’Eterna Ricerca

il Viandante ora sprofonda in bui dirupi di morte

dove l’anima sembra perdersi per sempre

ora valica alti passi rocciosi

che sfiorano il cielo.

Ora passa per strette gole di angoscia

ora attraversa campi dagli illimitati Orizzonti

ove risuona e si esprime la Vita più ampia.

 

Talvolta sprazzi di immagini folgoranti

 fanno trasalire la sua anima lacerata

additando supreme Sfere e inaccessibili Realtà.

Talvolta squarci di Fuoco

irrompono nell’Intelletto

fulgidi di gloriose utopie  

ma l’Ideale, offuscato da lividi fumi,

ancora non può accecare di Luce

la dura mente imprendibile.

 

Lentamente il Pellegrino comprende che l’uomo porta in sé

luce di salvezza e tenebre di dannazione.

Sa che non può forzare la complessità del ritmo

del pendolo dello spirito

ma che l’offerta ardente del cuore dedicato

può rettificare e accelerare le sue oscillazioni.

Sintonizzato sull’onda dell’Amore,

si impregna di materia e di esperienza,

e rimeditandole le riproduce sublimate nello spirito.

Redime entro la coscienza le forme distorte

e ne innalza la vibrazione

adeguandole divinamente all’Archetipo.

Interroga, invoca, chiede, prega,

ricerca, indaga, studia, medita,

si umilia e si esalta, perdona, spera, ama.

 

Come un antico Muratore

edifica con quotidiano sacro lavoro

l’incrollabile Cattedrale della coscienza

che nessuna violenza umana potrà devastare

né alcuna calamità terrena demolire.

Fili d’argento lo collegano nell’interiore

al Maestro e ai Fratelli  costruttori.

 

Il desiderio si sublima in Aspirazione

e Umiltà e Abnegazione

oscurano nel nascondimento

ogni esibizione e vanagloria.

Nel timore di perdere la via,

che pure a gran voce indica altrui,

Misura e Temperanza, ancelle dell’Anima,

disciplinano con rigore

impeti e ignavie, eccessi e noncuranze,

durezze ed indolenze, abusi e mancanze.

 

Il Pellegrino lascia andare l’imbarazzo

e il dubbio su di sé

e proclama la bontà fondamentale,

forte e luminosa come un cavallo

che può essere impiegato nella vita.

Cavalcando il ‘cavallo del vento’ della dimenticanza di sé

decide con un atto puro e forte

di  dedicarsi all’Umanità.

Percepisce la comunione con il mondo

e l’aiuto che può rendere

mutando nel profondo ciò che è

e donando il suo nuovo essere. 

Ogni uomo  diventa un compagno del Viaggio

che conduce alla Rivelazione dell’Infinito

ove  le cose sono in mutua relazione,

si attirano reciprocamente

riflettendosi nell’oceano  della connettività.

 

Riconosce che la realizzazione del modello divino

dà bellezza all’azione

e conduce lo spirito al suo destino.

Sperimenta con fiducia che l’impulso creativo

in sintonia con il Fuoco

raggiunge fulmineamente il suo obiettivo

poiché  magnetizzato dalla Volontà superiore.

L’energia ignea dell’esaltazione spirituale

impregna la vita di sentimenti rarefatti e sublimi

saturando l’anima di sottili emanazioni.

 

Assimila l’Insegnamento del Cuore

poiché  l’elisir del suo calice è sempre disponibile

e non  vi è  altra essenza

capace di sostituirne il potere. 

Intuisce che la salvezza dell’umanità

 non sta in esteriori potenze separate e disanimate

ma nel Cuore, forza motrice centrale

che conduce all’origine del moto

al di là della divisione delle parti.

 

Avendo intravisto la Meta gloriosa di ogni elemento

evita ogni principio di collera e di separazione

e  diviene sempre più benevolo.

Evoca il Potere del Cuore

nei dettagli concreti del quotidiano

e nelle sfere più alte del Pensiero

e lo addestra all’efficacia del Bene

poiché non c’è forza malvagia che possa batterlo.

Compone ciò che è scomposto,

 armonizza i contrasti, equilibra gli scompensi,

diventa potenza motrice

della sua stessa evoluzione

e del Pianeta che gli è affidato.

L’Umanità e la Terra gli stanno a cuore 

più della sua stessa vita.

 

L’aspirazione chiara e forte

lanciata come una freccia

dall’Arciere della Volontà

e il cuore ardente

capace di incenerire tutte le scorie

producono mutamenti ed evoluzioni

di sostanze e qualità, fatti e sentimenti

 attirando dallo spazio vibrazioni di pura Forza.

 

Nel tabernacolo del cuore

il Dolore si stempera allora in Redenzione,

la rabbia si dissolve in opere d’amore,

l’ignavia evolve in Potere operoso,

l’ostilità si diluisce in Tenerezza,

l’irruenza muta in Delicatezza,

il peccato si sublima in Purezza,

la dissimulazione si raffina in Sincerità

lo scontento trasmuta in Gratitudine.

Le sue parole e i suoi silenzi sono vibranti,

l’agire fresco e vitale trasferisce saggezza

e connette con il cuore.

 

L’Uomo risvegliato

che aspira ad accendere la Bellezza in ogni cosa

inizia gioiosamente a immaginare

di poter essere degno

di servire la grande Gerarchia della Luce.

 

 

 

IV  

L’Amore che irrompe

 

Dopo amari struggimenti,

quando nell’interiore tutto è compiuto

e l’anima vigile è in attesa,

l’Amore irrompe smagliante,

foriero di esaltanti rivoluzioni.

Sabota congegni e circuiti

azionati da chiusa disperazione,

muta antiche mappe a lungo seguite nel tempo

che l’anima ciecamente ripercorre.

 

Sorprende il cieco  viandante

che  ancora ansima sull’erta arida di irti sassi  

ove la vetta è invisibile.

Espansione e contrazione, attaccamento e libertà,

sicurezza ed ignoto, Paura e Amore,

servitù e libertà, moto e stasi

si affrontano allora nel solco della Coscienza.

 

Dopo  lunghe prove ineludibili

il Pellegrino infine  intravede

che cicli e cicli di tetra umanità

macinando tempi e popoli, miti ed eventi

celano la  Matrice del Reale.

Diventa allora Costruttore di ponti

fra il Mondo superiore delle Idee divine

e la sua esternazione salvifica

sulla Terra del Bene inespresso.

 

Sente che il cuore degli uomini

pulsa amore e crudeltà

ma  sa che la pura Coscienza

sottilmente filtrerà l’Indifferenza,

sottile veleno del Mondo,

che si nutre di alibi e ambiguità.

Il Testimone interiore ne svela le maschere

di rispettoso riserbo, di presunta impotenza,

di male intesa cortese discrezione,

di appello a sottili invisibili relazioni

che esimono dall’impegno amorevole

dell’incontro e della prossimità.

 

Amici e antagonisti ne riflettono inesorabilmente

 la meschinità delle  dissimulazioni,

la povertà di spirito della noncuranza,

la codardia del negare, dell’ignorare,

la viltà delle omissioni nel dire, nell’agire, nel partecipare.

Emergono alla luce della verità

gli alibi di serena distante equanimità;

si disfano al soffio insistente della coscienza

come brandelli di stoffa consunta

le maschere di  imperturbabile sorriso

che celano l’aridità della Noncuranza.

 

Ma quando l’Amore irrompe

in  comunità e gruppi umani

si dileguano al contatto con il Fuoco del Cuore

tiepide ignave viltà

e si impone dominatore l’Amore,

dialogante, benigno, fidante, veritiero,

paziente, umile, sensibile, aperto, ardente.

Amabilità, Gentilezza, Altruismo, Veridicità

si manifestano come segni di Forza e Ispirazione.

Si disgregano infine i grumi di coriacea ordinaria falsità,   

i pretesti di equilibrato superiore discernimento,

la presunzione della giustezza del silenzio

che soppiantano vilmente la chiarezza dell’incontro,

dissimulando la freddezza timorosa del cuore.

Si sciolgono le cattedrali di ghiaccio

innalzate dal Disamore, figlio della Paura,

e ciascuno consegna con fiducia all’altro

le chiavi del proprio cuore.

 

Con cura assidua il Pellegrino cura

che la Fiamma sia alta e intensa tanto da illuminare i cuori,

ardente e ardita tanto da scegliere la Verità,

forte e pura tanto da incenerire ogni residuo di ego,

immensa tanto da abbracciare l’Umanità.

L’Intento riconduce all’Intero

e rende possibile la persistenza nell’unione.

 

Relazioni negligenti e distanti

ora,  governate dall’Amore,

maturano in intimo interesse,

in ascolto del profondo

in partecipazione dell’anima,

in colloqui chiari e flessibili.

Riguardo per il sentire altrui

e cura della comunicazione

mutano repliche vaghe, evasive, incongrue

in riscontri vigili, attenti, diretti.

 

Si impone la virtù forte della Coerenza

senza la quale ogni sviluppo è mistificazione

e il linguaggio  diviene sacro strumento

perfettamente aderente all’interiore.

I pensieri fluiscono  leggeri

e coincidono con l’azione;

il dire diventa fare

e il fare si tramuta in opera d’amore.

Sincerità e Veridicità accelerano fasi e processi  

in  un’alta perpetua amicizia.

Il Dialogo diventa trama preziosa

di rapporti sottili e intreccio di anime amorose.

 

I rapporti si chiarificano

nella Libertà della mente, nella lucidità del vero,

nell’incontro di fidato abbandono

privo di opachi infingimenti nati dal timore.

L’agire meditato, ma diretto e coraggioso,

sostituisce la cecità del reagire irriflessivo

nella saggia serenità della Ragione

e nel limpido ascolto del Cuore.

 

Non più copioni tristemente ripetitivi

di malsani, incongrui o vieti rapporti

nè desolati vagabondaggi

del cuore e dell’intelletto.

Non più vani poveri legami 

del vuoto cuore immaturo

mossi dall’oscura compulsività del bisogno

né sodalizi nati dall’arido determinato opportunismo

di una ristretta Ragione.

 

L’Incontro d’anima  

governato dal fulgido Ideale lungimirante

si innalza come una quercia magnifica

che ha radici nel profondo spessore

della scelta dell’interiore

e i rami estesi negli ariosi liberi spazi

del Superiore.   

Speculari sensibilità gemelle

che si attraggono riflettendosi armonicamente

nei percorsi e nell’unità di Proposito

infine risaltano evidenti

al di là delle forme dell’apparenza

e vengono all’istante riconosciute.

Unanimi nel pensare e nel sentire

si accompagnano intense

in segreti percorsi interiori

ricercando la quiete attiva e luminosa del Centro.

 

Affinità elettive delle anime

che si cercano trepide

per similarità di evoluzione

si affiancano  ardenti nel divino Lavoro

vibrando concordi con il Piano.

Il Cuore canta nell’interiore,

l’Amore è gioiosamente affermato,

vissuto con chiara coerenza

e protratto senza fine con soave fervore.

 

Umorismo e leggerezza zampillano festosi

impregnando gli attimi dei colori della Gioia.

I sensi si risvegliano all’intensità

cantando in tutte le fibre del corpo

e si affidano fiduciosi

alle genuine esperienze del sentire.

Alti pensieri sorgono dall’Essenza

 intrecciandosi luminosi  nella mente.

 

Il respiro e il sentire si accordano ritmici,

parole di unità sgorgano lievi

in forme e sintassi armoniose.

Occhi sereni si specchiano

affidandosi reciproci,

freschi chiari sorrisi fioriscono all’unisono

incontrandosi nell’essenza.

Nella coscienza irradiata dall’Amore

ogni amicizia, vicenda o esperienza

trasmuta in frammento di insegnamento

e in incontro di anime;

ogni evento, prova o avventura 

sublima in nuova capacità e sedimento di Saggezza. 

 

Il Pellegrino vede ora  con gli occhi del cuore;

ode il fragore del mondo con la comprensione del cuore;

ricorda il passato mediante il cuore;

penetra il Futuro con la visione del cuore.

Avanza per le strade insanguinate della Terra

educando, insegnando, elevando.

Sente nell’intimo che l’Amore creativo

è stimolo che amplia la coscienza

infiamma il cuore ed è capace di sacrificio.

 

L’Empatia scalda i cuori,

l’Energia li anima e ravviva,

l’Entusiasmo li innalza all’Ideale.

 

 

 La scoperta del Sentiero

 

Nell’andirivieni della coscienza

ancora una volta il Pellegrino

rinnega il più alto se stesso,

inghiottito nella palude del mondo della forma

e sepolto nella fossa del dubbio

ove annerisce ogni Visione;

ancora una volta si rivela a se stesso

come sacro Microcosmo evolvente

in un Macrocosmo pure evolvente.

Nella più ampia coscienza

lentamente percepisce  il Tutto

con la parte del tutto che riconosce in sé.

 

Il Sentiero si rivela all’improvviso,

unico per  le anime pronte,

dopo estenuanti vagabondaggi.

E’ chiamato ad esso

chi conosce le difficoltà della Via e non riuncia,

chi non intende più tornare al mondo ‘di prima’

chi sa che la Letizia è un conseguimento della Saggezza,

chi intravede che le istruzioni per il Sentiero

sono le più ardue ma conducono alla Pienezza.

 

Il Viandante libera allora la sua anima di Guerriero:

veste l’argentea corazza della purezza terrena,

imbraccia le invincibili armi lucenti

della Grazia e dei doni celesti,

indossa l’elmo dell’eroica Virtù.

Nell’estrema lotta che purifica

la sua spada è il Cuore indifeso,

le sue frecce il Perdono e la Compassione.

Dagli abissi della coscienza più profonda

si innalza maestosa sull’oceano dell’emotività

l’intrepida onda della Forza

della stabilità della Mente.

Batte l’aspro scoglio annerito della personalità

tornando a infrangersi più e più volte

per farne pietra levigata come specchio lucente

in cui possa un giorno riflettersi

l’inconosciuto volto del Sé.

 

Nella vita quotidiana il Pellegrino

non indugia in oscuri recessi della psiche

e rifugge dalla stasi, inganno di Maya,

vivendo nella potenzialità dell’eterno presente.

Fra le cose di ogni giorno cerca

il filo della grandezza

poiché ha intravisto che ogni moto creativo

sgorga dalla Realtà causale.

Il Tempo diventa successione

di attimi consapevoli di eternità

e nel castello interiore dell’anima

penetra a fiotti  la luce della coscienza,

mai prima cosi intensa.

Sviluppa l’Empatia per i regni di natura,

segno  rilevatore  della crescita della Coscienza

e matrice di ogni Civiltà.

Smaschera come impostori sconfitta e successo

riconoscendo come unico

dramma la disfatta dell’anima

e come  unica epopea  la gloriosa rivelazione dell’Uno.

 

Avanza con i compagni

calpestando antichi mostri interiori

che si nutrono di energia e volontà,

per secoli potentemente rinascenti

e  ora agonizzanti nella Luce.

Consapevole dell’incompiutezza di una sola esistenza,

aspira ad assimilare il supremo

delle esperienze sul Pianeta

per poterne donare il succo di saggezza 

nei successivi soggiorni sulla Terra.

 

Per comprendere la legge ed il ritmo segreti

della Manifestazione,

sorvola il deserto dell’Ignoranza,

elevandosi come aquila che mira allo zenit

verso l’astro luminoso della Conoscenza.

Allineandosi e meditando

partecipa al Progetto per la Terra

precipitando il Proposito Divino

in un’armonia di forme organizzate e coerenti.

Invoca:  Che il Bene abiti il Mondo!

 

Il Pellegrino sa che è arduo scalare l’Infinito

gravidi di carichi e attaccamenti

e che il Sentiero richiede grazia e leggerezza.

Dissolve pertanto al Sole dell’Ideale

scelte incongrue di pensiero e di vita,

di carattere e di abitudine,

di azioni e relazioni, di fragilità e passioni

che come antica dura neve ingrigita

ostacolano ancora la via. 

Non lo dilaniano più Rimpianto e Rimorso,

antichi giudici della sua antica esistenza.

Guarda al Passato come ad un Maestro,

percorre il Futuro che infine si apre alla vista

con il nuovo Gruppo dei Pari

uniti da sottili legami d’amore.

 

Congruità e Coerenza,

fiorite all’interno dopo assidua vigilanza,

intervengono a preservare la candida interezza del Sé

rendendo limpida la visione

del sacro unico Sentiero.

La Virtù si impone

e le scelte di vita, gli amori e le opere

servono fervidamente e vigilmente il Piano.

Ascende allora in armoniosa integrità

e con amoroso impeto

per gli stretti tornanti del Monte

sospinto dal potere della Fiamma

poiché è la qualità magnetica del cuore

che conduce al Grande Servizio, alla Sintesi

e alla Comunione con la Gerarchia.

 

Sperimenta che l’Evoluzione è una cordata

ove il maggiore sostiene il minore

e ove l’avanzare di ciascuno è il progresso di tutti.

Ad ogni passo si aprono

orizzonti diversi e più elevati,

e valichi, e viste, e paesaggi straordinari  

che mutano atti, pensieri, visioni.

Percorre il sacro Cammino agendo nell’Innocuità,

che tutto ama, riscatta e libera.

 

Sa che ogni viandante terreno,

pur con le sue colpe, è munito di una torcia

ed egli  opera per accrescere quella luce.

Accoglie ogni diverso e lo diventa egli stesso nel cuore

per meglio comprenderlo.

Come una stella, dona amore e conoscenza

poiché  si riceve solo quando tutto si è dato.

La Mente illuminata domina dal centro,

sovrana imperatrice della coscienza,

l’Amore pronto si allinea irradiando benefico.

 

Amorosamente venera la Verità,

ad ogni costo e anche contro se stesso:

l’antepone al suo interesse, ai suoi amori,

al suo stesso benessere.

Come un ardito funambolo

oscillando tra coraggio e sconforto

procede in Bellezza e con cautela

sulla corda tesa sull’abisso.

Impara a leggere i segni dei tempi

e a proiettare il Proposito nel Futuro

con crescente intensità focalizzata.

 

Dopo lungo intrepido lavoro nell’interiore

risposte, riscontri, interventi

diventano pronti e amorevoli;

la diffidenza si dissolve nell’abbraccio fidato,

l’ostinazione si apre alla Comprensione,

la separazione all’Inclusione,

lo sguardo esterno alla Contemplazione.

La rigidità si allenta in fraterna cedevolezza,

l’orgoglio sceglie l’Umiltà dell’incontro,

il sentimentalismo evolve in Sentimento alto e forte,

la competizione cede alla Condivisione.

L’impulso del pronto reagire

si muta in Azione dettata dall’Intelligenza del Cuore,

dottrine e dogmi si sublimano in Insegnamento,

l’istruzione si eleva in Educazione,

la Cecità si sana in Visione.

 

Alla sommità del monte

al Pellegrino lietamente si svela

che l’essenza di ogni cosa è il Supremo

ed egli intravede luminoso all’orizzonte della mente

il Tempio dell’Uomo Nuovo.

 

  

VI

Il Servizio

 

Nei luoghi ordinari dell’esistenza insana  

ove imperano malignamente  

vili omissioni e infami negligenze,

di sorpresa l’alto aspetto del Dovere,

anteponendosi al diritto,

gli si para davanti con fermezza,

come l’unico degno agire

che dia credito all’esistere.

 

La Coerenza si impone

sull’immatura inquieta volubilità

del sentire, fare,  pensare.

L’ottusità del misero orgoglio,

tristemente asservito al piccolo sé,

che non sa riconoscere

prossime evidenti incongruità

di vita e di rapporti

trasmuta nel sorriso del donatore

che legge l’interiore,

apre il cuore allo svelamento del Vero

e sente nell’intimo l’Unità.

La coscienza elevata

si apre libera al luminoso Servizio

che fonde le coscienze.

 

Divenuto Servitore del Mondo,

pur sentendosi impotente,

tende l’orecchio

al grido dell’Umanità implorante.

Sente come un macigno sul cuore

l’immenso dolore del mondo,

e si dona interamente.

 

E’ uomo d’amore, privo di appartenenza,

è magnete che attrae i cuori

sostenendo ideali e propositi

della nuova Civiltà umana.

Pensa all’universale, agisce nel particolare;

dedizione e gratuità diventano abiti usuali

e pronti comportamenti dell’Anima.

Usa il suo limitato Tempo umano

come opportunità di illimitata ricchezza divina.

L’avere coincide con il Dare senza fine

poiché non esiste ristagno nel Cosmo

e perde chi si ostina a conservare.

 

Comprende d’impulso

che i suoi vani beni terreni sono per il Mondo

e che la libertà dalla materia

reca bellezza, sottili compensi superiori

e inattese letizia e gloria del cuore.

Maturato nel dolore e nell’amore,

impara a donare anche la cura che non ha ricevuto,

l’amicizia che è stata violata

l’ascolto che non ha ottenuto

 il riconoscimento che gli è stato rifiutato.

 

Rovescia la propria fragilità

in forza attrattiva e sicurezza d’azione

e opera nel campo come nucleo irradiante.

Porta con sé il talismano della Buona Volontà

che magnetizza l’essenza di luce della sua natura.

Diviene  Energia che muove la Rete

poiché chi è ben orientato è la Via

e connette con l’Intero.

 

Nel Servire umilmente si innalza,

nell’Opera impersonale si illumina.

Aspira ad essere strumento del Superiore

e afferma: ‘Nulla origina da me

ma ogni cosa può avvenire attraverso di me’.

Diventa Gioia dare aiuto in modo nascosto,

benedire il Mondo e soccorrere ignoto.

 

Apprende che la ragione, radice di separazione,

può diventare origine di unione

se si agisce nel segno della Fratellanza.

Nel Gruppo dei fratelli ritrovati

porta presenza della mente e vicinanza del cuore,

condivisione dell’Opera e tensione all’Intento.

Con essi impara ad agire nell’Amore impersonale

e a non disperdere i frutti del lavoro

in  vane dispute della personalità.

 

Pensiero e azione

simili a risoluti laser incandescenti

mirano concordi al seme del Proposito

come alla fulgida stella polare

custodendolo con fermezza

e ad esso orientando ogni azione

per il Servizio alla Terra.

La chiara luce della Ragione

e l’ardore incontenibile del Cuore

si intessono in una trama preziosa 

di Sintesi di Luce.

 

Si struttura nella mente con fermezza adamantina

la Volontà di amare. 

La sacra Cura per i viventi

si manifesta all’animo ardente

come invincibile antidoto 

alla millenaria insensata incosciente crudeltà

che assoggetta uomini, vite ed eventi.

Nella sanguinaria Terra di Caino 

la Fratellanza innalza le sue insegne.

 

Nella tensione ad un Servizio alto e ampio

l’assenza vile figlia dell’ego

si trasfigura in Presenza che salva.

La libertà si sublima in Obbedienza,

l’opaco egoismo in Offerta.

L’abile vacua dialettica si arrende alla Verità,

il vano disperso interloquire

si concentra nel ritiro della mente,

il vagabondaggio dei pensieri guizzanti

si arresta stabile nella contemplazione del Fulcro.

L’ombra dell’inquietudine si dissolve

nella lieta e verace novella

del Mondo d’Amore che verrà.

 

L’eternità trionfa sull’effimero,

e il Pellegrino regola la propria vita

scegliendo semplicità e sobrietà

per rendersi libero per un più esteso Servizio.

Tempo e Denaro diventano tesori da condividere,

la separazione svanisce nell’Uno.

Ogni moto del vivere

scaturisce dalla chiara Fonte dell’Etica vivente

che nobilita atti e aspirazioni

e la Cura ai più vince l’interesse di ciascuno.

 

Divenuto Curatore della Bellezza terrestre

lavora per preservare i beni del Creato

poiché non si possono distruggere

le accumulazioni maturate nel cosmo

attendendo spensierati

nuove energie immeritate.

Non tende più ad afferrare e a  trattenere

e sceglie di vivere con poco e in pienezza. 

Il Sentimento per i regni di natura divampa fervido   

ed ogni creatura è fratello.

 

L’intelligenza superiore impara lentamente

a manifestare  la Saggezza della Condivisione

edificata con lungo lavoro su Conoscenza e Amore.

Distinguendo il Reale dall’irreale

l’anima avanzata si apre

a sfere più alte di potenza ed evoluzione

che additano la via superiore della Comunione.

 

Si svela la Grande Sintesi,

che mostra la natura intima unitaria delle cose

ove ogni azione è Rete e Servizio.

Il Pensatore indaga nella mente del Logos,

Creatore dell’immenso scenario del Cosmo,

percependone l’intimo Intento di Unità.

Armonizza sé e ciò che lo circonda

con il Piano e con quanto è superiore

nel Servizio gioioso al Tutto

di cui si riconosce minuscola particella.

Intuisce che solo il ‘Regno di Dio in noi’

può creare il ‘Regno di Dio fuori di noi’.

 

Il Pellegrino infine risuona con la Vita Una

e respira solidalmente con tutte le sue creature

manifestando nella Cooperazione

 

 

 

VII

Il Risveglio

 

Il Viandante risvegliato

splende come nucleo irradiante,

attraendo per affinità anime pronte.

L’anima infine dischiude la sua corolla

al Sole della Coscienza

risvegliandosi al Compito

che esprime la sua stessa essenza.

 

I segni dei tempi  mostrano

che l’Ora  dei Misteri è scoccata

e che l’Uomo ha imparato

a rispondere sollecito e con ardimento.

Avendo avuto esperienza delle cose terrene,

le elabora con sapienza e infine

si rivolta contro di esse, mutandone il segno.

 

Sa che le energie dell’Universo costantemente creano

mediante il magnetismo reciproco

e che le qualità volitive e ricettive

obbediscono alla potenza dell’attrazione.

Sente intimamente che l’uomo

non risponde solo a se stesso

ma al Cosmo intero, vibrante in ogni cosa che è. 

Per un effetto alto e puro

vigila pertanto sulla qualità del suo impegno

e sulla rispondenza del suo spirito all’Energia superiore.

 

Con lungo sforzo paziente,

fidando nella benevolenza dell’Universo,

impara a seminare nell’interiore

ciò che intende raccogliere su ogni Piano.

Purifica con assiduità i pensieri

che creano in ogni attimo e fissano per l’eternità

la sua stessa essenza, le realtà dei viventi

e l’aura del Pianeta.

 

Nella contemplazione profonda costruisce l’Armonia

che disgrega le forme del Male

dissolvendole nel puro Modello

della Perfezione originaria.

La Menzogna, a lungo coltivata nella Paura,

cede alla limpida verità su di sé e sulla realtà,

trasfigurando nella luce irrompente

disagio e pavidità, vergogna ed ignominia.

 

Nell’anima rischiarata

si pacifica il magma emotivo irrisolto.

Amori inespressi e riconoscimenti inappagati,

delusioni di vite incompiute  e amari rapporti,

abbandoni laceranti  e perdite accorate,

aspirazioni e tensioni inesaudite,

si sublimano in dono di Luce e Coscienza.

 

Nelle nuova Visione cambiano di segno

e di intrinseco valore

successo e rovina, vittoria e  disfatta,

amicizia e ostilità, infimo e superiore,

senso e inutilità, interesse e impegno.

Crollano come lievi castelli di carte

le illusorie grandiose immagini di sé,

il fatuo valore di opere, azioni e rapporti,

alte sterili teorie dell’immaginazione,

costruzioni idealistiche della Ragione

strutturate e sostenute interiormente nel tempo

come difese al timore dell’Ignoto.

L’anima alunna della Verità,

vulnerabile e plasmabile,

spoglia di orpelli e in sacra Nudità,

può infine riconoscerli

come fragili vacui sostegni dell’ego.

 

Nel giardino dell’interiore

nasce il fiore  della Responsabilità

ricco dei doni della Grazia e di amorosi  profumi:

ora il Compito è accolto con pienezza

e il Dire coincide con il Fare

in armoniosa corrispondenza.

Alte risposte fulminanti ad antichi quesiti

arrivano in forma di simboli rischiarando il cammino.

 

Ferma Volontà ordinatrice

e sensibile Gentilezza del cuore

dipanano il groviglio dei sentimenti

districando i nodi dell’esistenza

per la nuova integra Vita. 

Studio, meditazione e servizio

scandiscono quotidiani le ore

diventando Ordine e Regola.

 

Il Viandante comprende che ciascuno vive

nella migliore delle realtà possibili

per il proprio avanzamento

e che è ora il momento della Gioia.

Accetta lietamente il suo passato e il suo presente

intendendo che non vi è alcuna ragione

per non essere immerso nell’infinito.

 

La Paura del vivere è vinta dall’Amore

che annienta ogni cedimento ed evita ogni resa

vivificando ogni tendine del corpo

poiché il cuore ardente sceglie spesso

la via più diretta ma aspra e forte.

La torre del Coraggio sostenuta dalla roccia del cuore

si erge sulla salda coscienza

che ha imparato a colloquiare con l’Anima.

La sacralità di questa comunione

è forgiata dal Fuoco possente

che infonde vita a tutti gli esordi creativi

ed è affidata allo spesso filo d’oro

intessuto di molte virtù e di ardente aspirazione.

 

L’Anima autentica fugge allora

dalla  timorosa dimora delle abitudini

e la Creatività irrompe scintillante   

a formare nuove e più vitali connessioni.

Perdono e Compassione

allentano ogni fibra del corpo

irradiando Pace perfetta.

L’Ombra del crudele Disamore

si dirada con naturalezza

e il gelo della Noncuranza si dissipa

al calore della Vita superiore.

Spaziando oltre le tetre nubi del male

la colomba di una nuova concordia

invade i cieli e armonizza le case terrene dell’uomo.

 

Ormai il Pellegrino non dice profanamente

Voglio’ o ‘Mi piace

ma, sacralmente,

Non la mia ma la Tua Volontà’.

Scorge la Realtà dietro gli accadimenti contingenti

e intende che attacchi e oltraggi, soprusi e tradimenti,

violenze e viltà, affronti e abusi

non sono che abbagli della visione

di singoli, gruppi umani e popoli.

Diviene Discepolo puro e forte

e mira alla Realizzazione

poiché comprende nell’interiore

che tutto è null’altro che Sé vivente in ogni cosa.

 

Percepisce che la spirale della suprema Forza

pone in azione tutti gli elementi

e che il Cosmo non conosce periodi inattivi.

Riconosce che l’accumularsi dell’energia

nelle sfere del mondo

dona varietà e valore alla sostanza

suscitando la facoltà creativa dei demiurghi terrestri.

Intravede nell’interiore

che il progresso dell’evoluzione mondiale

è prodotto del Magnete centrale

e che la Creazione avanza per suo mezzo.

 

Lo spirito glorioso dell’Uomo risvegliato

coopera con la tensione dell’Universo

elevando e trasformando la vita intera

nella radianza dell’Infinito.

Alta Maestria e perenne Evoluzione 

diventano gli obiettivi  di vera Vita

cui l’Anima nuova aspira.

 

 

VIII

Il Pensiero creatore

 

L’Uomo riconosce che il Pensiero,

fedele amico del cercatore, governa ogni cosa,

guida e afferma, trova la via delle Leggi e delle Regole,

discrimina fra superiore e inferiore,

genera il moto e realizza il ritmo,

vive all’infinito e innalza la coscienza.

Educando il pensiero e la parola

educa il cuore,

poiché è solo il cuore che può leggere il cuore.

Intensifica la focalizzazione della mente

poiché comprende che dal Fuoco

sgorga il Pensiero creativo

che attraversa la fornace terrena

e torna a riunirsi al Fuoco,

rigenerando nuova energia per altro lavoro.

 

Osserva il germe del Proposito,

Centro originario infinito, armonioso, magnetico

e Padre della Manifestazione

che si squaderna nello Spazio.

Pieno di meraviglia lo vede manifestarsi

attraverso un unico Grande Pensiero

che informa di sé la varietà del Creato.

La potente Rappresentazione

sostenuta dal Pensiero dell’Eterno

continuerà generando potenti spettacoli

fino a che sarà stabile nella mente divina.

 

Comprende che nello Spazio

ad ogni istante l’Uomo può creare futilità o Potere,

evocando ombra o Luce

e che il pensiero oscillante

manca costantemente la meta.

Lo depone pertanto sull’altare del cuore

e lo tramuta in sacro strumento.

Impara ad utilizzare la sua piccola mente

divenendo cosciente cocreatore 

del destino del mondo.

Comprende che le frecce lanciate dal Pensiero

focalizzato nella stabilità della mente

ed elevato nel Cuore ad alti ideali di Bene universale

strutturano la sostanza e creano i mondi.

 

Il suo Pensiero tenuto saldo nel trono tra le sopracciglia,

diviene responsabile, armonico, preciso,

chiaro, teso, potente, definito,

limpido e sintetico, impersonale ed eroico,

e volto al bene comune.

Proiettato nello Spazio,

diventa seme che crea, rigenera ed eleva il Mondo

costruendo un Futuro  di Potenza.

Il Pellegrino impara a distillare nella mente

l’intento causale

fino all’effetto di coagulazione nella sostanza.

L’alta ispirazione dell’Archetipo

influenza l’ideazione dell’anima intuitiva

che allinea causa, significato ed effetto

plasmandoli in idea, sentimento e azione.

 

Ogni profanità appare desueta e lontana,

il Pensiero è costruito con cura come una scultura

e rivolto all’amorevole Gerarchia.

L’Uomo diventa responsabile della sua mente

poiché ogni atto o movente risuona nel Tutto

ove ogni cosa è interrelata

creando sottilmente la realtà di ciò che è e sarà.

Il Cosmo intero appare

balenante alla coscienza profonda

come una cascata perpetua

di pensiero consapevolmente creativo.

 

Vigilanza e Ricordo di sé si presentano

come quotidiani custodi dell’anima 

a regolare vita e pensiero.

Intravede che mirabili fili di luce

possono emanare dal seme di un solo Pensatore,

e che di  essi è intessuto il vessillo stellato

che proclamerà la sacralizzazione del Pianeta.

Ogni azione costruttiva mirata a tal fine

è sorretta e guidata da un preciso intento

che necessita di essere affermato

nella saldezza della mente

e nella dolcezza del cuore

per non rimanere sterile moto velleitario.

 

L’intento alto e forte impressiona lo Spazio,

ordina e condiziona il campo,

attrae le energie necessarie alla realizzazione.

Le correnti della Volontà

coordinate e indirizzate al Proposito

assecondano lo sviluppo della nuova Umanità.

Spiriti evoluti attratti dal Magnete cosmico

vivono l’impegno dell’impulso cosciente

facendo emergere le forme più evolute.

 

Suona per tutti il richiamo che muove all’azione

ma il Proposito dovrà essere ardente

come il Fuoco vitale

poiché i tiepidi non possono costruire,

e nell’aridità non nascono

i fiori della Realizzazione.

Molte frecce si spuntano

sulla pelle spessa della mortifera indifferenza,

acqua stagnante e melmosa

incapace di riflettere le stelle.

Il Pellegrino osserva che è più facile

accendere una scintilla in un negatore

che attraversare il molle spessore dell’Ignavia

poiché il Fuoco si accende soltanto

per attrito interno.

 

Immenso è il progresso che si  attiva 

passando dalla recettività inconscia della mente

che fluisce con le correnti universali del Pensiero

all’aspirazione alta e forte

pronta a comprendere e accogliere le Origini e le Cause

per cui il Cosmo respira.

Il Pensiero igneo costruttore di realtà

impressionato dall’Alto

diventa lampo di fulgida Forza

che il Creatore utilizza per tracciare

nella matrice spaziale  il Disegno intelligente.

Alimenta la tensione,  pervade ogni atto,

stimola e dà vita ad ogni cosa

attraendo le energie affini

per delineare il Piano e il Progetto del Futuro.

 

Con il Pensiero concentrato causante

il Pellegrino partecipa all’Opera creativa,

mostrando all’umanità coralmente invocante

la via dell’Infinito.

Il suo spirito pulsa come un cuore umano,

diventando magnete che attrae

per riportare ogni cosa al Primo Intento

e al Centro che irradia.

 

Insemina ogni particella del campo,

affinché ogni suo punto

divenga luminoso, sintonizzato, armonico, centrale.

Il Proposito attivato dall’aspirazione

agisce nel campo multipotenziale

uscendo all’inerzia della neutralità

e accogliendo Pensiero, Luce, Coscienza.

 

Il Pensatore al Servizio dell’Umanità

che ha imparato a costruire le cause nella mente

come in vaso prezioso, crogiolo  del Rinnovamento,

sa infine ordinare con potenza: Che la Luce sia!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IX

Il Senso e l’Ordine

 

 

 

 

 

 

 

Nell’enigmatico Castello

di cui si ignorano le Leggi

dove si svolge l’insensata vita ordinaria

le cose tutte si definiscono infine

alla presenza del Senso ritrovato.

Ogni azione si sostanzia della luce del Significato

e si struttura nel valore del Percorso.

La vita diventa Scuola

e l’Eterno permea il quotidiano

che infine è decodificato e sprigiona luce.

Acquista senso l’eterna universale sequenza

del nascere, brillare, morire

di individui, elementi, strutture, ere, sostanze.

 

Il Viandante supera l’apparenza della dualità

e unifica le coppie di opposti

operando Sintesi superiori.

Nella coscienza ampliata

scruta oltre il caso apparente

 indagando le Cause che rivelano i nuclei occulti

di Giustizia e Libertà, motori dell’Universo.

Scopre, come insidiosa lusinga

e severo monito all’imperfezione dell’io,

la propria natura di creatore

e il proprio alto destino di immortale.

 

Al Pellegrino si svela 

che la materia è anche spirito

 e che entrambi manifestano

 l’unica Energia primaria.

Intuisce, e poi sa con certezza,

che “Tutto è Mente”

e che la spiritualità in Terra

può aprire Porte immense.

Il suo Lavoro è governato

da Ritmo, Cooperazione, Condivisione

poiché Comunione e Ordine

servono l’Evoluzione.

 

La Luce irrompe rivelando il Modello:

l’Uomo risvegliato

abbandona senza rimpianto l’Aula dei giochi

ed entra con passo fermo

nell’Aula dell’Apprendimento.

Comprende che sia la temibile crudeltà

sia il magnifico splendore del Creato

esprimono il disegno e la tenerezza del Creatore.

Sente nel profondo che ogni tenebra terrena

pur  al culmine del suo orrore

sarà diradata dalla Luce

e che, nella Realtà sottesa a ciò che appare,

ogni cosa è Bene.

Vede con chiarezza la Redenzione

all’opera nelle strade del mondo

e diventa Cooperatore della Bellezza.

 

Gli è rivelato il Piano,

frammento della superiore sacra Rappresentazione

      che si avvererà

ed egli sostiene il Proposito svolgendo la sua parte

nell’opaco Pianeta degli uomini.

Vigila assiduo poiché sa

che, come onda di ripercussione, ogni  dissonanza

provoca una catena di distruzione nello spazio

e che, come onda magnetica,  ogni opera armonica

riunisce i flussi  che confluiscono

 nel centro di potere dell’Essere.

 

Nella coscienza connessa con il Tutto

ogni estasi al cospetto della magnificenza del Creato

raccoglie semi di luce

e fa precipitare una particola del  Tesoro.

Ogni celebrazione della Natura

 emana un raggio di vittoria

poiché la comprensione dell’Ordine e della Bellezza

 illumina e salva il mondo. 

Ogni creatura svela regole di ordine e geometria celeste

 e si manifesta come opera sonora e luminosa,

viva e intelligente.

L’Universo svela l’Ordine implicito

voluto dalla Grande Mente,

e il Significato sotteso alla Manifestazione

illumina il Caos.

 

La Giustizia immanente vince l’oltraggio,

il caso rivela la Causa,

il rifiuto si muta in Accoglienza

l’Amore e il Compito si corrispondono

L’appello ascoltato nella caverna del Cuore

diventa ineludibile.

L’Uomo sacralizzato comprende

che solo amando ciascuno

potrà ristabilire l’Ordine prescritto

e aprire lo Scrigno del tesoro infinito

che custodisce il Senso dell’Universo.

Dimentica il proprio ego

pur sorvegliandolo con attenzione,

 ed elabora il Progetto di Sè

come favilla cosciente dell’eccelso Piano divino

in cui per l’eternità, atomi infimi e infiniti, 

gioiosamente viviamo e siamo.

 

Educa ed insegna amando

e si consacra come modello

di chi ha già percorso il cammino del Sacrificio

e aspira all’Ordine.

Il suo Lavoro è ora la Fratellanza,

l’aspirazione è l’Ordine,

il  movente il Bene comune.

La Parola diventa Guarigione,

l’anima si scopre scintilla del Fuoco universale.

La Contemplazione della Verità

brucia Desiderio e Vanità

offerti al sacro Disegno dell’Universo

come grani d’incenso odoroso.

 

La sua presenza eleva e sana

poiché la coscienza limpida che mira all’Ideale

 tende a innalzarsi come una mongolfiera.

Semina Verità,  Bene e Bellezza

ovunque volga lo sguardo.

Intravede che ogni cuore è contenuto nell’unico Cuore

e che l’Universo è un sistema di cuori in rete.

Permea lo spazio con le espressioni dello spirito

poiché la Bellezza del Cosmo

dà Ordine e Ritmo ed è il Bene di tutti i mondi.

 

Comprende che Amore e Conoscenza

aprono le porte dei Cieli,

serrate  agli impuri e ai profani.

Osserva che sulla cima del Monte

Vittoria, Ordine ed Evoluzione vibrano all’unisono.

Percepisce  che nel moto ordinato dell’Universo

la Morte è onda di Vita evolvente

che si propaga attraverso l’Amore e il Perdono

fino a nuova nascita.

 

L’entusiasmo che risponde al richiamo della Gioia

avvolge il Viandante in una rete d’oro

che consente la connessione con le Sfere superiori.

Sublimi Maestri e Anime amanti

osservano il suo avanzare 

ma egli non ne ha percezione.

 

L’Amore diventa cosciente, attivo,

ardito, generativo, fervido, dimentico del sé,

ampio tanto da invadere l’Universo.

Come Fuoco irrompe sfolgorante  nella Mente

svelando il Magnete della sua forza

che ordina e struttura, salva e redime.

 

Ad Esso il Viandante si orienta,

ad Esso infine si affida  

consegnandosi in gioioso Sacrificio

e abbandonando i frutti dell’azione

 al flusso ordinatore e al Ritmo dell’Universo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

X

L’Unità

 

 

 

 

 

Il Senso e l’Ordine ritrovati irradiano Gioia perfetta

e il viandante sul Sentiero

diventa infine Sacerdote dell’Unità. 

Silenzio e Ascolto si impongono alla mente pacificata

come maestri dell’interiore.

La ribellione e il dubbio evolvono in Fede,

l’ignoranza e l’oscurità in Comprensione,

la prigione dell’io si apre alla Liberazione,

le convinzioni limitanti si disgregano

alla luce della Ragione risanatrice.

La Gioia creativa trasmuta ogni asprezza  

in opportunità di amore espansivo.

Anche la Morte si rivela occasione di Vita più ampia.

 

Il Discepolo risvegliato all’Unità del Cosmo

pensa il Bene con perseveranza,

poiché ogni bene evoca risposte

dalla Dimora dei Maestri.

Nell’Aula della Saggezza

sviluppa le qualità del Fuoco e persegue l’Essenza,

rifuggendo ogni retaggio di Inferno.

Fuga l’ombra della separazione

e diventa Cooperatore,

affidando il suo piccolo volere 

alla più alta Volontà

poiché in essa è nostra Pace

e la vera Libertà è nel servire.

 

Evade dal cieco mondo sotterraneo 

dell’Ignoranza dell’ostilità 

e con le nuove ali della più alta Visione

si eleva con scelta consapevole

al Regno cristallino dell’Unità.

Appare evidente che l’Umanità

è un unico palpitante Organismo

che vibra di desiderio d’amore.

 

Intende che il Principio creativo

sospinge costantemente le sostanze alla fusione

e che, aggregandole, ne accresce la potenza.

L’ineffabile percezione del Senso di ogni cosa

annulla la parola umana

mentre il Pellegrino conosce estatico la Vetta

ove le sostanze confluiscono nell’Uno.

Uno  Splendore inesprimibile

stravolge le sostanze e gli eventi:

tutto è come prima

ma il tempo, i significati, le vite e le mete sono altri.

 

L’Uomo-atomo avviato alla fusione

è ora in  risonanza con lo Spazio

che porta in sé ciò che l’Umanità

genera costantemente.

Percepisce l’insopprimibile tensione

alla perfetta Unità dell’Universo

e osserva l’intreccio delle sottili energie

che creano la comunione tra gli spiriti

formando il filo che conduce al Magnete.

Persistenza e Ardore

sono i segni del suo operare

poiché la Salvezza passa per il Cuore.

 

L’Uomo trasmutato

che ha contattato l’Unità, Corona del Cosmo, 

è nel mondo ma non più del mondo.

Cede il piccolo sé e coopera con ardore

poiché sa che aure ben armonizzate

possono creare Nuovi Mondi.

Lavora con la Luce e nella Luce,

e splende nella perfezione del Tutto

come cellula consapevole

del Grande Uomo celeste.

Intelligenza suprema e Cuore perfetto

governano all’unisono il  flusso della vita.

 

Contempla stupefatto la grandiosità della Manifestazione

ciclicamente ricreata e mantenuta in essere

 nella fissità del Pensiero originato dalla Mente del Logos.

Intuisce che il Proposito della Vita 

è esperire l’esistente

e che il fine del Creato è ritornare al Creatore

trascendendo le forme diverse nell’Unità.

 

La piccola coscienza dilatata, risvegliata all’Intuizione,

riflette la Luce intellettuale sostanziata d’Amore

che struttura i mondi

e partecipa a grandi imprese.

Accostandosi alla Mente Universale,

ne intende il Piano di salvezza

e rimane grata e annichilita

dalla sua amorevole magnificenza.

 

Alla vista superiore svaniscono come miraggi

Tempo e Spazio, parametri umani

inconfutabili nel mondo delle apparenze.

La mente si accorda al potente coro dei Pensatori 

che elevano il Pianeta a volute più alte della spirale

in Concordia e Unità di intenti,

le parole si dissolvono 

nella Comunicazione animica più sottile.

Il Discepolo  comprende

 che il dialogo ininterrotto con l’Assoluto

rende gli uomini celesti

e diventa canale del Superiore,

ispirando azioni benefiche per Tutto ciò che esiste.

 

Conforma il proprio suono interiore

e la propria opera esteriore

alla ordinatrice Musica delle sfere.

Respira benevolenza

e irradia Unità e Vita nel Pianeta degli uomini. 

L’Amore spiritualizza le azioni

e ogni pensiero corrisponde al Pensiero dell’Altissimo

rischiarando lo Spazio

che in eterno genera, nutre, riunifica, ama.

 

La Mente risvegliata vede con chiarezza 

la via del Ritorno all’Uno

e coopera ad avverare l’Ordine supremo.

Comprende che tutto ciò che di proposito

tende all’unione

ha il potere di richiamare le forze cosmiche,

sulla Terra e sui mondi lontani.

Osserva che chi sparge semi psichici di Unità

delinea una catena di eventi

che può vincere attività di oscura separazione

miranti a stabilire la tensione opposta.

 

Dislivelli e distanze, dissonanze e conflitti,

lontananze e separazioni, discordie e disarmonie

si dissolvono nell’Unità

e nella Bellezza dei giusti rapporti.

Mondo sottile e mondo delle forme

si raccordano  in armonia,

ritrovando la commensura e l’equità delle proporzioni.

Nell’opera di compensazione

si produce con lavoro assiduo

la risonanza tra inferiore e superiore

e infine  ogni Progetto rispecchia il Modello celeste.

 

Con i fratelli il Pellegrino cerca vie nuove

per antiche Verità,

in Cooperazione e Concordia

e perseguendo la Sintesi.

Comprende che la competizione genera mostri

e che Potere  è unire le forze.

Riconosce che il Sentiero dell’Amore

è la tensione stessa dell’energia del Cosmo

che motiva ogni creatura

a trovare la propria sacra funzione nel Tutto.

 

La luminosa Casa del Padre, termine ultimo

di ogni rotta segnata dal Cuore

 maturato nell’Amore e nell’Unità,

si spalanca al Pellegrino vittorioso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

XI

Le Nuove Comunità

 

 

 

L’Uomo illuminato espande la sua coscienza

diventando collaboratore del Cosmo

e crea un Nuovo Ordine

in sintonia con il seme infuocato dell’Amore divino.

Fonda Gruppi umani avanzati,

modelli delle sacre Comunità planetarie,

viventi sugli alti piani mentali,

segni dell’Utopia del Mondo che verrà.

 

Prima di elevarsi al Cielo,

l’Opera scende nelle viscere di Gaia

e Alto e basso, Bianco e nero si uniscono

per gettare le fondamenta

del rinnovato Tempio degli Uomini.

Le vecchie forme di cultura e valori,

di vita individuale e collettiva,

di società e di gruppi umani,

agonizzano nella corruzione,

si disfano nella degenerazione

 e imputridiscono nella stasi degli assetti egoici.

La coscienza espansa esprime

nuove forme invincibili di Gruppi umani 

che agiscono secondo il Diritto perfetto

 e la inviolabile Giustizia.

La Mente illuminata dal Cuore

stabilisce relazioni ove Sentimento e Ragione

all’unisono conducono alla Libertà e al Bene comune.

 

Comunicazione, scambio, incontro,

condivisione, accoglienza, collaborazione,

libertà, fraternità, irradiazione,

circolarità delle informazioni

      sono l’energia delle anime nuove

che precipitano il Futuro glorioso di Madre Terra.

Le Anime risvegliate della Nuova Era

lavorano in concordanza e fiducia

aderendo alla disciplina dell’Unità

pur se con mezzi e procedure diversi.

Ciascuna, parte manchevole dell’intero,

con forme in potenza e doni diversi

cerca il Compito che la integri nel tutto

 

Vivono l’Ideale nella Cooperazione

 rinunciando a se stesse per il Bene Maggiore.

poiché tutte le anime ardono di desiderio d’Amore

e aspirano all’Assoluto.

Ogni vittoria è la Vittoria di tutti,

 è dedicata al Gruppo dei fratelli

e promuove Unità ed Evoluzione.

La Fratellanza si sublima in sintesi dei sette raggi

presentandosi come Volontà, Amore, Creatività,

Conquista, Costruzione, Comunione

e Sacro Ordinamento.

 

Come un ispirato architetto, il Discepolo

pianifica le Comunità con materiali di luce

rispecchiando l’Archetipo celeste.

Sa che l’intero potere d’azione

e il Progetto voluto dai Maestri

appartengono alla sfera dell’invisibile

cui l’idea degli uomini si accorda.

Intuisce che Mandanti sconosciuti

 impregnano lo spazio

di potenzialità di azione e rinnovamento.

Ad essi va la Gratitudine degli operatori umani.

 

Intende che solo la forma finita

che corrisponde alla sfera superiore

ha valore, utilità, durata, sacralità

sull’azzurro Pianeta che evolve.

La Volontà creatrice riconosce

 che è possibile costruire

solo seguendo la Legge della Coesione

e che le possibilità supreme si realizzano

nella coscienza unificata

e seguendo il Principio gerarchico.

 

La Comunità è unione di scopi, relazioni, vincoli,

norme, aspirazioni, intenti, valori

 e la responsabilità universale è la norma

del pensare e dell’agire.

Nel nuovo Organismo

si coltiva tra gli eventi quotidiani

un pensiero fiammeggiante,

la Libertà è ordinata al Fine

e ciascuno è maestro e allievo.

Scopo, Campo d’azione e Progetto di vita sono comuni,

opere e manifestazioni concordi,

pur se ogni cuore ricerca formule diverse per esprimere

la radianza del Vero, del Bello e del Giusto.

 

Lo sguardo è volto all’imitazione del  Cielo

per stabilire Armonia dei rapporti

e Comunione delle anime.

Si annuncia l’inedita Civiltà planetaria,

preludio della Comunità cosmica

della Fratellanza solare.

Il Servizio collettivo è gioioso e incessante

poiché il Lavoro in comune può produrre effetti illimitati.

Gli operai della vigna del Signore

vivono il legame della Fratellanza

svolgendo l’alto Compito nella Cooperazione

illuminata dalla mente radiante.

 

Connessa alle creature dell’Universo,

 la coscienza diventa planetaria

e il legame con il Cosmo porta a intravedere l’Infinito.

Imparano a risolvere opposizioni,

e ad armonizzare conflitti e visioni

compiendo l’Opera di sintesi.

Mutano il caos della molteplicitá 

in  unitá poliedrica

 e fondono le individualitá sconnesse

in un organismo armonico teso all’unico Intento.

Il Cuore sa contenere gli opposti,

riconoscendo e poi unificando le parti.

 

Il Potere produce infine precipitati

e le Mete sono raggiunte

attraverso le loro proprie energie

poiché le intelligenze necessarie all’Impresa

sono le sue stesse finalità.

Ogni Comunità persegue il suo Scopo

dentro la comunità maggiore,

e così dall’atomo all’universo

in ordinata scala gerarchica.

Le forme scelte variano secondo l’evoluzione

poiché la creazione della Realtà

 risponde alle oscillazioni e all’intrico

della  corrente evolutiva.

 

Come il pilota che vira e modifica il percorso

secondo i venti diversi

senza perdere di vista la Meta,

così l’Equilibrio governa la Comunità

in modo duttile e flessibile.

La sua vita pulsa, come tutto ciò che vive,

 obbedendo ai ritmi propri e a quelli maggiori

con cui è connessa.

Analogamente, il Sistema solare

danza coordinato e perfetto

in libertà e responsabilità

sul piano dell’eclittica.

 

Nei suoi scambi energetici

e nella meraviglia dei moti planetari

coopera al Progetto evolutivo cosmico

per la Gloria Maggiore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

XII

 La Visione

 

 

 

Il Discepolo sviluppa l’Intuizione immaginativa superiore

intravedendo la progressione degli eventi

negli sviluppi ritmici e ciclici,

eppur sempre nuovi.

L’Avvenire diventa plasmabile

e si connette congruentemente al passato,

il Tempo diventa immensa trama

di orditi prevedibili e non più oscuri.

 

Il Disegno universale si svela articolato

in infiniti progetti e piani minori

che l’Intelligenza amorevole degli uomini,

ispirata dal Cielo e dedicata alla Terra,

porta a compimento in successione

fino allo Scopo ultimo. 

 

Il Futuro si manifesta 

come il contenitore infinito di ciò che sarà,

nel quale immettere le forme volute

conformi all’Evoluzione

poiché tutto ciò che si proietta nello Spazio

mette radici e germoglia nel Tempo.

 

L’Uomo trasmutato teso all’Assoluto

pianta i semi del Nuovo Tempo degli Inizi

creando sacre Conseguenze.

Con Volontà e Potere

origina Cause che armonizzano

il mare nero del passato,

il fiume convulso del presente

e la nube sfumata luminescente del futuro

che porta gloriosi messaggi di Vita.

Dal suolo del Pianeta depredato dall’avidità,

dissestato dalle azioni inconsulte dell’ego

e insanguinato da indicibili millenarie crudeltà

germogliano lentamente i segni della nuova vita

che, invincibili flussi di  energia,

mutano il volto della Terra.

 

La Coscienza espansa

irrompe fulgida nel sovrasensibile

sfuggendo all’ordinario

e contatta alti piani di realtà ignoti all’umano.

Le Porte d’oro delle più elevate percezioni  

si spalancano ai sensi interiori

pronti a cogliere l’Essenza delle cose.

Si manifestano gloriosi i Cieli

e l’Iniziato inondato di Gratitudine

si inginocchia tremante

ai piedi dell’Eterno, infine riconosciuto.

 

Impregnato di uno splendore onnipervadente

si immerge estatico nelle ineffabili sensazioni

della Luce e dei colori del Cielo

e compenetra le qualità beatificanti

delle realtà transumane.

Luce, Suono e Colore

appaiono armoniosamente integrati

nella perfetta Geometria dell’universo.

In una inconcepibile Sintesi divina

le sfere vibrano in un’armonia superiore

e la potenza creatrice consente

che il suono irradi e il colore suoni.

Ordine e Ritmo si svelano

sovrane divine regole del Cosmo.

 

L’Iniziato persegue senza sosta

il Pensiero del Bene di tutti gli esseri;

crescendo individualmente,

arricchisce il tesoro generale

e reca Bellezza al Cosmo.

Il suo spirito ardente di Custode del Mondo

serve armonicamente la comunità dei cuori

poiché solo chi ha amore, e non solo conoscenza,

ha ali per l’Infinito

e può elevarsi con commensura e senza vacillare.

 

La Fede a lungo coltivata

diventa Certezza di cose conosciute;

verità  più volte balenate all’Intuizione

risaltano evidenti come vibranti Realtà

disvelandosi all’anima aspirante come Vita Vera. 

Nel Piano più elevato in cui si situa la nuova Coscienza

la forma umana si trasfigura

 e appare con evidenza

che i corpi grevi di materia e tutte le cose esistenti

sono viventi grumi di Luce

e  parte della meraviglia dell’intero Universo.

 

L’Intuizione guida l’agire

e l’Iniziato, stabile nel Sé,

‘sa e fa’ in immediata sincronicità.

Comprende limpidamente e in profondità

che l’Evoluzione esige Unità e sacra perpetua Dedizione

e che la collaborazione con la Gerarchia rende eterni.

Appare evidente alla Ragione illuminata

che gli uomini sono Esseri di Fuoco

ed è con tale convinzione

che l’Uomo Nuovo comincia a indossare ali di fiamma.

 

La Comunione diventa  Ordine matematico,

precisione del Numero,

perfezione della Geometria,

Armonia corale e sinfonica

cui ciascuno partecipa estatico

emettendo la propria nota.

In una Sintesi suprema,

Cuore e Mente puri e gioiosi

riconoscono   le Infinite Connessioni,

esultano nel Centro,

all’unisono cantano lodi

e scoprono riconoscenti

 la Coerenza, il Senso e l’Unità.

 L’irreale si dissipa come bruma all’alba

 e l’Iniziato è condotto infine al Reale.

 

Il Grande Cerchio è ora visibile

irradiando l’evidenza della Convergenza di ogni cosa

e dell’eccelso Lavoro del Logos

che moltiplica all’infinito nell’autogenerazione

lo stupefacente Ordine del Tutto. 

All’Uomo illuminato penetrato  per mezzo del Cuore

nella coscienza del Respiro cosmico,

la bellezza del Creato appare illimitata

e degna di venerazione.

Nella mente chiarificata

si svela il segreto dell’eterna Ricerca:

sfolgora la verità che Tutto è Uno

e che il Creato intero vive ed evolve

nel Campo dell’Amore, motore dell’Universo.

 

L’Iniziato sente che la vibrazione, accelerando,

determina i diversi livelli della Sostanza.

L’Attrazione  aggrega le forme e le coscienze per affinità

e le riconduce alla sacra Unità dell’Origine

arricchite dall’esperienza.

Nella Matrice universale

ogni cosa è ordinata secondo il grado e la Potenza

che conferiscono  ad ogni creatura

Nome  e  posizione nel Creato.

La Grande Madre ama e provvede

ad ogni creatura, ad ogni coscienza, ad ogni impulso.

 

Nella mente dell’Iniziato

balenano immagini e simboli rivelatori

poiché non le parole ma le linee di pensiero

intessono l’aura

e il più grande potere

appartiene al pensiero igneo inespresso.

La personalità è crocifissa,

e l’Anima irradia la Luce

che la Potenza superiore indistruttibile

costantemente crea.

Il Cuore palpita con Tutto ciò che è,

la Mente, sintonizzata con il Piano,

accoglie e crea grandiose forme pensiero

di astrali colori iridescenti

che in forma di sottili correnti benefiche

inondano i cieli.

 

La più splendente figurazione di felicità terrestre

diventa grigia ombra sfuggente al cospetto  

della Luce folgorante che penetra e manifesta

 l’Unione cosmica.

 

 L’Iniziato si immette nella corrente

dei fiumi di Gioia che scorrono

nell’oceano di Pensiero del Creatore.

Con esultanza si include nel Tutto

come parte del Cielo più alto a lungo contemplato

divenendo un tratto fulgido e fondante del Disegno

concepito dall’Amore da cui tutto origina.

 

 

 

 

 

 

Precognizione, apparenza e forma di Filemone e Bauci nel Libro Rosso di C.G. Jung

Precognizione, apparenza e forma di Filemone e Bauci nel Libro Rosso di C.G. Jung

di Umberto Capotummino

MANDALA C.G.Jung

“Al centro la luce bianca irraggiantesi nel firmamento. Nel primo cerchio, germi vitali protoplasmatici; nel secondo, principi cosmici rotanti che contengono i quattro colori fondamentali, nel terzo e nel quarto forze creative agenti all’interno e all’esterno. Ai punti cardinali le anime maschili e femminili, a loro volta divise in chiare e scure”

Mandala e commento di C.G. Jung, Boringhieri, Torino 1938.

Per chi si interessa di precognizione è fonte di ispirazione il pensiero di C.G. Jung, questi nel suo studio “Gli archetipi e l’inconscio collettivo” prepone l’attività della mente inconscia nello sviluppo di quei poteri psichici che aprono la via verso la percezione delle immagini archetipiche che egli chiama ‘archetipi della trasformazione’: “Questi ultimi non sono individualità. Ma piuttosto situazioni, luoghi, modi e mezzi tipici che simboleggiano le specie di trasformazione di cui si tratta”.

(C.G. Jung, Gli archetipi e l’inconscio collettivo. p.36. Boringhieri,Torino 1980)

Mentre nel soggetto la mente inconscia è comunque posizionale rispetto all’Io, perché nasce dalla propria individualità, la sintonia che la stessa mente ha con l’inconscio collettivo ne amplia la risonanza sino ad abbracciare, nel velo delle immagini archetipiche, quella mente non posizionale che viene rivelata dall’inconscio collettivo e determina i poteri psichici dell’Io stesso, la cui sintesi darà la percezione del Sé, nel quale gli elementi consci e inconsci della personalità, nel processo di trasformazione, si fondono equilibrano.

Scrive C.G. Jung: “Perciò ho scelto il termine Sé; con esso ho voluto intendere la totalità psichica e nello stesso tempo un centro: nessuno dei due coincide con l’Io ma lo include, come un cerchio più grande comprende il più piccolo”

(C.G. Jung, Sul rinascere, p.138. Boringhieri, Torino 1980)

La via dell’iniziato, che abbraccia in sé una cerchia concentrica di archetipi rappresentati nelle immagini di un testo simbolico, ancorchè sacro, perviene alla fioritura in una rinnovata consapevolezza e nei conseguenti poteri psichici che sono alimentati dalla corona delle immagini archetipiche prescelte. Queste immagini, animate in un mandala, rappresentano il deposito collettivo culturale e astrale cui attingere nella pratica divinatoria. L’anello degli esagrammi dell’I Ching che ritorna su sé nello sviluppo del seme di luce, come il percorso dei passi magici di Osiride verso la rinascita, descritto nelle Formule del Libro dei morti degli Antichi Egizi, il cui senso è dato dall’esatto titolo di ‘Formule per uscire al giorno’, esprimono lo stesso segreto: il mito esige archetipi che, come i riflessi dei petali fioriti, rinnovano la mente dell’iniziato che accede al giardino segreto uguale a quello del mago Filemone e di sua moglie Bauci.

Scrive C.G. Jung: “Dopo lunghe ricerche ho trovato la casetta di campagna che ha davanti una grande aiuola di tulipani in fiore e in cui abitano il mago Philemon e sua moglie Baukis…Innaffiano l’aiuola di tulipani e parlano dei fiori appena sbocciati”.

(C.G. Jung, Libro Rosso – Liber Secundus – Il Mago, Cap. XXI, p. 273. Edizione studio – Bollati Boringhieri, Torino 2012)

Filemone e Bauci, nel mito ellenico tramandato da Ovidio nel libro VIII delle Metamorfosi, vivono insieme curando il loro giardino e un giorno, unici tra i Frigi, offrono ospitalità agli dei Zeus ed Ermete che la ricercavano nella mensa dei mortali.

Bauci offre agli dèi un’oca e in quell’istante essi si manifestano donando ai due sposi l’esaudimento del desiderio di restare uniti anche dopo la morte, nella reciproca metamorfosi di due alberi: nelle sembianze di una quercia e un tiglio Filemone e Bauci compiranno il loro destino di guardiani del Tempio, trasfigurazione della loro dimora.

Frondere Philemona Baucis/ Baucida conspexit senior frondere Philemon

vv.714 -715 – Le Metamorfosi, Ovidio

Commenta C.G. Jung: “A quale segreto mi accenni, o Philemon, con il tuo stesso nome?”

-In greco ‘philema’ vuol dire ‘bacio’, l’amante, il sigillo della coppia che sia ama, unione nel segno della terra. –

“Tu sei davvero l’amante che una volta accolse gli dèi quando essi vagavano per la terra, quando tutti gli altri si erano rifiutati di dar loro ospitalità. Tu sei colui che senza sospettarlo, diede accoglienza agli dèi, i quali poi, in segno di ringraziamento, trasformarono la tua capanna in un aureo tempio. Mentre il diluvio inghiottiva ovunque tutte le genti…Te ne stai al sole, o Philemone, come un serpente che si arrotola su stesso… Tu conosci, o Philemon, la saggezza delle cose ancora a venire… Tu sei stato e tu sarai…tu versi acqua viva da cui sbocceranno i fiori del tuo giardino, un’acqua di stelle, una rugiada della notte… Tu sei solo o Filemone, non vedo persone al tuo seguito, né una compagnia intorno a te, Bauci stessa è solo l’altra tua metà. Tu vivi assieme ai fiori agli alberi e agli uccelli, ma non con gli uomini.”

(C.G. Jung, Libro Rosso – Liber Secundus – Il Mago, Cap. XXI, p. 284. Edizione studio – Bollati Boringhieri, Torino 2012)

Nella successiva metamorfosi, nel racconto personale di C.G. Jung, un ramo dell’albero doppio si anima:

“Allora, vicinissimo al mio viso ecco muoversi un ramo attorno al quale si è attorcigliato un serpente nero che mi guarda con lo spento riflesso perlaceo delle sue pupille. Ma non è il mio serpente? Miracolosa bacchetta nera, sorella mia, da dove vieni?

Serpente: ‘Io sono solo una metà di me, non sono uno ma due, sono l’Uno e l’Altro’ ”.

(C.G.Jung, Libro Rosso- Liber Secundus – Il Mago, Cap. XXI, p. 321. Edizione studio -Bollati Boringhieri, Torino 2012)

L’accesso alla fioritura e alla conseguente virtù del ramo terreno si manifesta nel duplice aspetto dell’Io che nella pelle del serpente avvolge nelle sue spire il passato e il futuro.

Questo è consentito a colui che da solo fa crescere in sé la sintesi degli opposti, il cui fiore luminoso si identificherà con la mente nella quale dimorano e appaiono le figure dell’inconscio, le medesime che si definiranno come forma personale nell’alveo della coscienza. Il Sé così attivato si raffigura e riconosce in un mandala: nel suo centro l’iniziato, orientando la ruota del divenire, attiva i simboli con l’apporto del suo vissuto.

Il bilanciamento dell’identità non posizionale intesa come apparenza degli dèi, e posizionale intesa come nuova forma di Filemone e Bauci, si dà nell’unione degli opposti che nel giardino prescelto l’iniziato porta alla manifestazione.

Umberto Capotummino è autore del libro “L’occhio della Fenice” – Sekhem

Nel pensiero di Gurdjieff la lotta dell’uomo per conquistare un centro di gravità permanente

Nel nostro precedente articolo L’uomo, secondo Gurdjieff, è una pluralità, e il suo nome è legione, ci siamo occupati di un aspetto caratteristico dell’insegnamento esoterico di Georges Ivanovic Gurdjieff (nato ad Aleksandropol nel 1877 e morto a Parigi nel 1949), ossia della dottrina secondo la quale l’uomo non possiede un Io, ma deve, per così dire, conquistarselo, dominando le mille voci contrastanti e le mille pretese egemoniche dei tanti piccoli ‘io’ che, volta a volta, impongono alla coscienza le loro emozioni, i loro desideri e i loro pensieri, trascinati a loro volta dagli innumerevoli stimoli esterni.

Abbiamo anche notato come tale dottrina si possa ricollegare da un lato alla generale crisi dell’Io determinatasi, negli anni del Decadentismo, nella cultura occidentale (pienamente esemplificata dal romanzo di Pirandello Uno, nessuno e centomila), dall’altra ad antichissimi insegnamenti delle filosofie orientali, di cui egli era un notevole conoscitore, e, in modo particolare, al Buddhismo Theravada e alla controversa nozione del non-Sé (cfr. F. Lamendola, Esiste l’anima dell’uomo nella filosofia buddhista?, sul sito di Arianna Editrice).

Ora vogliamo fare un passo avanti e prendere in esame un altro importante aspetto dell’insegnamento del geniale e sconcertante maestro della liberazione dell’uomo, il quale di se stesso diceva ai suoi discepoli: «Io non sono la risposta, sono soltanto una Guida sulla via che porta alla vetta». Intendiamo riferirci alla dottrina dei “sette uomini”, ossia delle sette categorie (non livelli, perché le prime tre sono immobili) sui quali può svilupparsi l’evoluzione interiore dell’uomo. Come per i teosofi, anche per Gurdjieff il numero sette sembra esercitare un fascino irresistibile. L’Universo, ad esempio, è distribuito in un settemplice “raggio di creazione” che scende dall’Assoluto e, giù giù, a Tutti i mondi; Tutti i soli; il Sole; Tutti i pianeti; i Pianeti; la Terra; la Luna. Gli esseri umani, come ogni altra realtà terrestre, sono sottoposti all’influenza irresistibile della Luna, anzi subiscono dal nostro satellite una vera e propria forma di dominio: la lotta per affermare la libertà e l’autonomia della coscienza è la lotta per sottrarsi al dominio delle forze lunari.

Non solo: l’intero Universo è sottoposto alla cosiddetta legge dell’ottava, seconda la quale, così come le vibrazioni sonore sono organizzate in una scala di sette toni, la stessa cosa avviene per la luce, il calore, le vibrazioni chimiche e magnetiche. Ecco allora che le sette note do, re, mi, fa, sol, la, si, sono la misura di una suprema armonia universale che pervade ogni cosa e che tende a ritornare su se stessa, descrivendo un cerchio completo, così come il do maggiore segna l’inizio di una nuova serie di sette suoni. Questo aspetto della dottrina di Gurdjieff si ricollega abbastanza esplicitamente all’antichissima tradizione pitagorica, basata sull’idea di una piena e perfetta corrispondenza fra l’Universo, la musica e la matematica

Tornando alla dottrina delle sette categorie dell’evoluzione umana (evoluzione che non è un fatto spontaneo, ma intenzionale), riteniamo utile esporla brevemente mediante la testimonianza del più insigne allievo di Gurdjieff, il filosofo russo P. D. Ouspensky, il quale – come il giovane Platone nei confronti di Socrate – raccolse amorevolmente le parole del Maestro, per trasmetterle alla posterità.

Scrive, dunque, Ouspensky nel suo libro Frammenti di un insegnamento sconosciuto (titolo originale: In Search of the Miraculous. Fragments of an Unknown Teaching; traduzione italiana dall’edizione in lingua francese di Henry Thomasson, Roma, Casa Editrice Astrolabio, 1976, pp. 82-86):

Non vi è nulla nel mondo, dal sistema solare fino all’uomo e dall’uomo fino all’atomo, che non salga o non scenda, che non si evolva o non degeneri, che non si sviluppi o non decada. Mai nulla si evolve meccanicamente. Solo la degenerazione e la distruzione procedono meccanicamente. Ciò che non può evolversi coscientemente, degenera. L’aiuto esterno non è possibile che nella misura in cui è apprezzato e accettato, anche se all’inizio esso lo è solo dal sentimento.

Il linguaggio che permette la comprensione, si basa sulla conoscenza del rapporto dell’oggetto che si esamina con la sua evoluzione possibile, sulla conoscenza del suo posto nella scala evolutiva.

A questo fine, un gran numero delle nostre idee comuni sono divise in conformità agli stadi di questa evoluzione.

Una volta ancora, prendiamo l’idea dell’uomo. Nel linguaggio di cui parlo, al posto della parola ‘uomo’ sono usate sette parole, ossia: uomo n. 1, uomo n. 2, uomo n. 3, uomo n. 4, uomo n. 5, uomo n. 6 uomo n. 7. Con queste sette idee, noi saremo in grado di comprenderci allorché parleremo dell’uomo.

L’uomo n. 7 è giunto al più completo sviluppo possibile per l’uomo, e possiede tutto ciò che l’uomo può possedere, come volontà, coscienza, un ‘Io’ permanente e immutabile, individualità, immortalità, e una quantità di altre proprietà che nella nostra cecità e nella nostra ignoranza noi ci attribuiamo. Solo fino a un certo punto possiamo capire l’uomo n. 7 e le sue proprietà, così come le tappe graduali per avvicinarci a lui, cioè per capire il processo di sviluppo che ci è possibile.

L’uomo n. 6 segue da vicino l’uomo n. 7 Differisce da lui solo per qualcuna delle sue proprietà che non sono ancora diventate permanenti.

L’uomo n. 5 è anch’egli un tipo d’uomo a noi inaccessibile, perché ha raggiunto l’unità.

L’uomo n. 4 si trova ad u grado intermedio: ne parlerò in seguito.

Gli uomini n. 1, 2, 3, costituiscono l’umanità meccanica: restano al livello in cui sono nati. L’uomo n. 1 ha il centro di gravità della sua vita psichica nel suo centro motore. È l’uomo del corpo fisico, in cui le funzioni dell’istinto e del movimento predominano sempre sulle funzioni del sentimento e del pensiero.

L’uomo n. 2 è allo stesso livello di sviluppo, ma il centro di gravità della sua vita psichica si trova nel centro emozionale; è dunque l’uomo in cui le funzioni emozionali predominano su tutte le altre, è l’uomo del sentimento, l’uomo emozionale.

L’uomo n. 3 è anch’esso allo stesso livello di sviluppo, ma il centro di gravità della sua vita psichica, è nel centro intellettuale; in altri termini, è un uomo in cui le funzioni intellettuali predominano sulle funzioni emozionali, istintive, motorie: è l’uomo che ragiona, che ha una teoria per tutto ciò che fa, che parte sempre da considerazioni mentali.

Ogni uomo nasce n. 1, n. 2, n. 3.

L’uomo n. 4 non è nato 4, egli è nato 1, 2, 3 e non diventa 4 che in seguito a sforzi di carattere ben definito. L’uomo n. 4 è sempre il prodotto di un lavoro di scuola. Non può nascere tale né svilupparsi accidentalmente: le influenze ordinarie dell’educazione, della cultura, ecc. non possono produrre un uomo n. 4. Il suo livello è superiore a quello dell’uomo n. 1, 2 e 3; egli ha un centro di gravità permanente che è fatto delle sue idee, del suo apprezzamento del lavoro, e della sua relazione con la scuola. Inoltre, i suoi centri psichici hanno già cominciato a equilibrarsi; in lui, un centro non può più avere una preponderanza sugli altri, come per gli uomini delle rime categorie.

L’uomo n. 5 è già il prodotto di una cristallizzazione; egli non può più cambiare continuamente, come gli uomini n. 1, 2 e 3. Ma si deve notare che l’uomo n. 5 può essere sia il risultato di un lavoro giusto come il risultato di un lavoro sbagliato. Egli può essere diventato n. 5 dopo essere stato n. 4 e può essere diventato n. 5 senza essere stato n. 4. In questo caso, egli non potrà svilupparsi oltre, non potrà diventare n. 6 e 7 Per diventare n. 6 egli dovrà prima rifondere completamente la sua essenza, già cristallizzata. Dovrà perdere intenzionalmente il suo essere di uomo n. 5 Ora questo non può essere portato a compimento che attraverso sofferenze terribili. Per fortuna, tali casi di falso sviluppo sono molto rari.

La divisione dell’uomo in 7 categorie permette di spiegare molte cose che non potrebbero essere comprese altrimenti. Questa divisione è una prima applicazione all’uomo del concetto della relatività. Cose apparentemente identiche possono essere del tutto differenti, secondo la categoria di uomini da cui dipendono o in relazione alla quale si considerano.

Secondo questa concezione, tutte le manifestazioni interiori od esteriori dell’uomo, tutto ciò che gli è proprio, tutte le sue creazioni, sono ugualmente divise in sette categorie.

Possiamo dunque dire che vi è un sapere n. 1 basato sull’imitazione, gli istinti o imparato a memoria, meccanicamente, per ripetizione. L’uomo n. 1, se è un uomo n. 1 nel pieno senso di questo termine, acquisisce tutto il suo sapere come una scimmia o un pappagallo.

Il sapere dell’uomo n. 2 è semplicemente il sapere di ciò che ci piace. L’uomo n. 2 non vuole sapere nulla di ciò che non gli piace. Sempre e in tutto vuole qualcosa che gli piaccia. Oppure, se è un uomo malato, è attratto da tutto ciò che gli dispiace, è affascinato dalle proprie ripugnanze, da tutto ciò che provoca in lui l’orrore, lo spavento o la nausea.

Il sapere dell’uomo n. 3 è un sapere fondato su un pensare soggettivamente logico, su parole, su una comprensione letterale. È il sapere dei topi di biblioteca, degli scolastici. Per esempio, sono uomini n. 3 quelli che hanno contato quante volte ritorna ogni lettera dell’alfabeto arabo nel Corano, e hanno basato su ciò tutto un sistema di interpretazione.

Il sapere dell’uomo n. 4 è un sapere di una specie completamente differente. È un sapere che viene dall’uomo n. 5 il quale lo ha ricevuto  dall’uomo n. 6, il quale l’ha attinto alla sorgente dell’uomo n. 7. Tuttavia è chiaro che l’uomo n. 4 assimila di questa conoscenza solo ciò che è in rapporto con le sue possibilità. Ma a confronto del sapere degli uomini n. 1, 2 e 3, il sapere dell’uomo n. 4 ha incominciato a liberarsi dagli elementi soggettivi. L’uomo n. 4 è in cammino verso il sapere oggettivo.

Il sapere dell’uomo n. 5 è un sapere totale e indivisibile. L’uomo n. 5 possiede un Io indivisibile e tutta la sua conoscenza appartiene a questo ‘Io’. Non può esserci un ‘io’ che sappia qualche cosa senza che un altro ‘io’ ne sia informato. Ciò che egli sa, lo sa con la totalità del suo essere. Il suo sapere è più vicino al sapere oggettivo d quanto può esserlo quello dell’uomo n. 4.

Il sapere dell’uomo n. 6 rappresenta l’integralità del sapere accessibile all’uomo; ma può ancora essere perduto.

Il sapere dell’uomo n. 7 è del tutto suo e non può più essergli tolto; questo è il sapere oggettivo e interamente pratico di Tutto.

Per quanto riguarda l’Essere, succede esattamente la stessa cosa. Vi è l’essere dell’uomo n. 1, vale a dire di colui che vive con i suoi istinti e le sue sensazioni; vi è l’essere dell’uomo n. 2 che vive dei suoi sentimenti e delle sue emozioni; l’essere dell’uomo n. 3, l’uomo della ragione, il teorico, e così di seguito. Si comprende in tal modo perché il sapere non può mai essere molto lontano dall’essere. Gli uomini n. 1, 2, 3 non possono in ragione del loro essere possedere il sapere degli uomini 4, 5 e oltre. Qualsiasi cosa gli sia data, la interpretano a modo loro e non potrebbero fare altrimenti che ricondurla al livello inferiore, che è il loro.

Lo stesso genere di divisione in sette categorie è applicabile a tutto ciò che è in rapporto con l’uomo. Vi è un’arte n. 1, che è quella dell’uomo n. 1, un’arte di imitazione, di vana apparenza, oppure grossolanamente primitiva e sensuale, come la musica e le danze dei popoli primitivi. Vi è un’arte n. 2, un’arte del sentimento; un’arte n. 3 che è intellettuale, inventata; e vi deve essere un’arte n. 4, n. 5, ecc.

Esattamente allo stesso modo, vi è una religione dell’uomo n. 1, vale a dire una religione fatta di riti, di forme esteriori, di sacrifici e di cerimonie brillanti che possono essere talvolta di imponente splendore o al contrario di carattere lugubre, selvaggio, crudele, ecc. E vi è la religione dell’uomo n. 2: la religione della fede, dell’amore, degli slanci dell’adorazione e dell’entusiasmo, che non tardano a trasformarsi in una religione di persecuzione, di oppressione e di sterminio degli ‘eretici’ e dei ‘pagani’. Vi è una religione dell’uomo n. 3, intellettuale e teorica, una religione di prove e di argomenti, fondata su ragionamenti, interpretazioni e deduzioni logiche. Le religioni n. 1, 2 e 3 sono realmente le sole che noi conosciamo, tutte le confessioni a noi note appartengono all’una o all’altra di queste tre categorie. Per ciò che riguarda le religioni dell’uomo n. 4, 5, 6 e 7, non le conosciamo e non le possiamo conoscere fino a che resteremo ciò che siamo.

Se invece di prendere la religione in generale, noi consideriamo il Cristianesimo, allora vedremo che allo stesso modo esiste un Cristianesimo. In altre parole un paganesimo sotto nome cristiano. Il Cristianesimo n. 2 è una religione di sentimento, talvolta molto pura, ma priva di forza, talvolta ebbra di sangue ed atroce, che conduce all’inquisizione, alle guerre di religione. Il Cristianesimo n. 3 di cui le differenti forme di protestantesimo offrono esempi, si fonda su teorie, su argomenti, su tutta una dialettica, ecc. Poi vi è un Cristianesimo n. 4 del quale gli uomini n. 1, 2, 3, non hanno la minima idea.

Di fatto il Cristianesimo n. 1, 2, 3 non è che un’imitazione esteriore. Solo l’uomo n. 4 si sforza di diventare un Cristiano, e solo l’uomo n. 5 può realmente essere un Cristiano. Perché per essere un Cristiano bisogna avere l’essere di un Cristiano, vale a dire vivere conformemente ai precetti del Cristo.

Gli uomini n. 1, 2, 3 non possono vivere conformemente ai precetti del Cristo, perché per essi tutto ‘accade’. Oggi è una cosa, domani un’altra. Oggi essi sono pronti a dare la loro ultima camicia, domani a fare a pezzi un uomo, perché rifiuterà di donare loro la sua. Sono mossi a caso dagli avvenimenti, vanno alla deriva. Non sono padroni di se stessi e per conseguenza non possono decidere di essere cristiani e esserlo realmente.

La scienza, la filosofia e tutte le manifestazioni della vita e dell’attività umana possono essere suddivise esattamente nello stesso modo, in sete categorie; ma queste distinzioni sfuggono in genere al linguaggio ordinario, proprio per questo è così difficile per gli uomini comprendersi.

Che cosa possiamo dire di questo sistema di categorie che comprende gli esseri umani, il loro sapere, e tutte le manifestazioni dell’arte, della scienza, della religione, nonché dello stesso cristianesimo?

A parte la fissazione per il numero sette, che, del resto, ritroviamo in quasi tutti i teosofi e gli antroposofi, da Helena Blavatsky a Rudolf Steiner, a Max Heindel (per il quale ultimo cfr. il nostro articolo Significato della storia d’Israele nella visione teosofica di Max Heindel, sempre sul sito di Arianna), ma anche, ad es., nella Divina Commedia di Dante Alighieri, ci sembra che la dottrina delle “categorie” umane – non livelli, ripetiamo, perché i livelli sono solo cinque, essendo le prime tre categorie corrispondenti a un unico livello – sia una delle più feconde all’interno dell’insegnamento di Gurdjieff.

Oltre alla felice acutezza di molte sue notazioni psicologiche, ci sembra che la parte più notevole di tale dottrina consista nell’affermazione che solo una evoluzione cosciente, ossia un preciso sforzo della volontà, può consentire all’essere umano di divenire pienamente se stesso, ossia di realizzare  le sue autentiche, notevolissime potenzialità. Ma ciò non può avvenire che mediante un “salto”, un vero e proprio balzo evolutivo, che gli consenta di superare la sua naturalità inerte, fatta di istinti, emozioni, pensieri logici puramente soggettivi, per proiettarsi al di sopra di se stesso; concetto sul quale Gurdjieff sarebbe tornato più volte e sul quale anche noi ci ripromettiamo di tornare, in una prossima occasione.

L’inevitabile conseguenza di tali premesse è che la stragrande maggioranza degli esseri umani vivono ad un livello puramente meccanico, quello inferiore degli istinti, delle emozioni e del pensiero soggettivo: tutti, ciascuno a suo modo, ugualmente ignoranti; tutti immersi in una nebbia profonda, della quale non hanno neppure consapevolezza. Ciò che essi sanno, lo sanno in forma inferiore; l’arte che esprimono, la religione che professano – foss’anche la più nobile e pura -, la scienza che perseguono, sono sempre e comunque di un genere inferiore, perché essi tendono a portarle, inevitabilmente, sul livello del proprio essere.

Viene in mentre l’ammonimento evangelico di “non dare le perle ai porci”, oppure la diffidenza platonica verso l’insegnamento scritto, che può venire frainteso da allievi non adeguatamente preparati. Non tutto, infatti, può essere insegnato a tutti; o, quanto meno, è inevitabile che coloro i quali si trovano a un livello inferiore, stravolgano il sapere superiore secondo la loro particolare prospettiva. È ben questo che abbiamo cercato di mostrare nel nostro precedente saggio (sempre sul sito di Arianna): La  pedagogia  di  Comenio  ci  interroga se  sia  giusto  insegnare  tutto a  tutti.

Del resto, ogni filosofia esoterica è basata su tale convincimento; che non nasce, come potrebbe sembrare dall’esterno, da un atteggiamento ingiustificatamente aristocratico, bensì dalla legittima preoccupazione di commisurare l’insegnamento alle possibilità di autentica comprensione degli alunni (il che potrebbe indurci a molte e malinconiche riflessioni sul concetto stesso di “scuola di massa”, oggi così orgogliosamente strombazzato da tanti malaccorti paladini di un democraticismo a buon mercato).

Quando, poi, Gurdjieff descrive l’ambiguità fondamentale dell’uomo n. 5, pare che parli di una esperienza direttamente vissuta o, quanto meno, intensamente meditata. Egli sostiene che l’uomo n. 5 può diventare tale sia attraverso un lavoro giusto, sia attraverso un lavoro sbagliato; e, in questo secondo caso, egli avrà saltato il “passaggio” dell’uomo n. 4, ma non potrà salire oltre, verso i livelli superiori. Per poterlo fare, dovrà ridiscendere al livello dell’uomo n. 4, annullando la sua precedente esperienza e ripartendo daccapo: ma, avverte Gurdjieff, ciò non potrà avvenire senza indicibili sofferenze.

Ma che cosa può significare l’espressione “lavoro sbagliato”? A noi viene subito in mente, nell’ambito del tantrismo, il cosiddetto “sentiero della mano sinistra”; e, più ancora, la vicenda umana di Milarepa, che riuscì a diventare un grande saggio, un vero iniziato e, infine, un Illuminato, ma solo dopo essersi pentito e spogliato dei suoi precedenti apprendimenti di magia nera, mediante i quali aveva causato morte e sofferenza ai nemici della sua famiglia (e sia pure per amore della madre, che a ciò lo aveva istigato).

Da tutto questo si vede come i due principali “salti” evolutivi siano quello dall’uomo n. 1, 2 e 3 all’uomo n. 4; e, poi, dall’uomo n. 4 al n. 5. Accedere alla categoria n. 4, significa uscire dalla palude e individuare la via da seguire; accadere alla categoria n. 6, significa trasformare il nuovo sapere e le nuove acquisizioni in una struttura permanente dell’essere, che non potrà mai più andare smarrita. Perciò, i due momenti veramente critici sono quello in cui l’uomo-macchina si trasforma in un Io padrone di se stesso, e quello in cui l’uomo evoluto imbocca definitivamente la via della propria compiuta autorealizzazione.

Ricordiamo la precisa espressione di Gurdjieff: solo l’uomo che giunge al livello n. 4 realizza un centro di gravità permanente che è fatto delle sue idee, del suo apprezzamento del lavoro, e della sua relazione con la scuola. La semplice volontà, infatti, non basta per innalzarsi dalle prime tre categorie alla quarta: solo un “lavoro di scuola”, ossia l’insegnamento diretto di una vera Guida, può aiutare un individuo a realizzare il proprio essere, cioè ad accedere alla categoria n. 4.

Una delle conseguenze più significative, a nostro parere, della concezione evolutiva e gerarchica dell’uomo, sostenuta da Gurdjieff, è che quando uomini appartenenti alle diverse categorie parlano delle stesse cose, intendono in realtà oggetti completamente diversi, il che può causare gravissimi fraintendimenti.

Si noti che tali fraintendimenti possono verificarsi anche fra uomini appartenenti alle prime tre categorie: perché l’istintivo, l’emozionale e il razionale giudicano le cose da diversi punti di vista e, se pure adoprano le medesime parole per indicare determinati concetti, è inevitabile che si riferiscano a cose del tutto differenti. E questo non può fare a meno di avere, prima o dopo, spiacevoli conseguenze: sia nella vita privata, e particolarmente affettiva, sia nella vita sociale, si pensi a quel che dice Gurdjieff sulla facilità con cui la religione, ad es., degenera in violenza e oppressione, se viene vissuta al livello più basso.

Quando, poi, sono gli insegnamenti dell’uomo n. 5, 6 o 7 ad essere recepiti dalle tre categorie inferiori, o essi vengono fraintesi e ritorti a danno dei Maestri (si pensi alla crocifissione del Cristo), oppure vengono fraintesi e ritorti a danno delle masse (si pensi a certe componenti esoteriche del nazismo, che nascevano da concetti giusti, propri delle filosofie orientali, ma che vennero orribilmente deformati dalla brutale semplificazione politica e razziale che ne era stata  fatta). Insomma, ogni essere umano può comprendere le cose solo in relazione al proprio livello evolutivo: e, se egli vuole accedere a un sapere che non appartiene al suo livello, non può che fraintenderlo. Quante sofferenze, quante lacrime, quanto sangue si sarebbero potuti evitare nella stria umana, e si potrebbero evitare tuttora nella vita dei singoli individui, se si tenesse presente questa semplice verità!

Che altro significano, del resto, le parole di Cristo mentre veniva crocifisso: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno»?

La cosa allarmante è che, oggi come sempre, ma forse oggi più che in passato, i destini dell’umanità sembrano concentrati nelle mani di una classe dirigente – scienziati, finanzieri, politici – formata  esclusivamente da uomini delle categorie 1, 2 e 3: che è quanto dire che dei ciechi fanno da guide a tutti gli altri, trascinandoli a grandi passi verso pericoli mortali.

Anche la scorciatoia rivoluzionaria è illusoria (e lo si è visto ripetutamente): se uomini delle categorie inferiori guidano la rivolta contro le guide cieche, e sia pure in nome di nobilissimi ideali, essi fatalmente riprodurranno, una volta giunti al potere, le stesse storture, perché ogni categoria “vive” pensieri e ideali secondo il proprio livello evolutivo.

Ed ecco in Cambogia farsi avanti un Pol Pot, in Iran un Khomeini, in Italia… forse è meglio che lasciamo perdere, per carità di Patria.

La medicina dei Galli

Queste informazioni sono il risultato dell’antica unione di dottrine mediche e discipline sapienziali gaeliche che ci permettono di delineare il ruolo del sacerdozio nell’Europa panceltica in età pre-romana. E tuttavia difficile, per la natura stessa delle fonti, liberare la base puramente gallica dei suoi insegnamenti dalla pratica generale che solitamente riconosciamo in ambienti, per esempio, di derivazione irlandese. Si può però avanzare che la medicina pre-romana (dunque gallica) si ispira in gran parte alle preistoriche basi del nostro continente, (dove non mancano peraltro rappresentazioni rupestri di taumaturghi medicine-man risalenti all’età neolitica).

Chi raccolse questa eredità trasformandola in particolare dote furono i druidi, i “saggi”: ma non furono i soli. A lato del sapere ufficiale operavano, nelle sconfinate e isolate campagne galliche, molti altri “guaritori” dei quali non si è mai saputo nulla, o quasi.
Del resto, come tutta la civilizzazione indoeuropea, anche la struttura sociale dei Gaeli seguiva il modello della tripartizione in caste e i druidi, con la loro funzione sacra, rivestivano proprio la casta più importante. Essi regolavano ogni tipo di rapporto tra la società umana e le potenze sovrannaturali, erano tutori della scienza e gli assoluti custodi dei grandi segreti della Natura, esercitavano la giustizia e indicavano le vie dello Spirito…
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Che coppia formidabile sarebbero l’uomo e la donna, se soltanto lo volessero

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L’uomo e la donna: che coppia formidabile sarebbero, se solo lo volessero; se solo fossero capaci di comprendere fino a che punto hanno bisogno l’uno dell’altra.
Che cosa non riuscirebbero a fare; quali ostacoli non saprebbero superare; quali mete potrebbero restare al di là della loro ambizione, se solo potessero levarsi la benda agli occhi e riconoscere, al primo sguardo, che sono fatti per procedere insieme e per darsi l’un l’altra il meglio di cui sono capaci, e non già, come troppo spesso avviene, il peggio.
Insieme sono una forza, una forza quasi irresistibile: si stenta a immaginare il limite, a pensare a quello che sarebbe troppo per loro; i fardelli più pesanti, i sacrifici più eroici, l’amore e la dedizione più puri, scaturiscono dal loro accordo, dalla loro sintonia.
Ma cos’è, esattamente, che impedisce loro di unire le forze, di farsi del bene, di donarsi la propria parte migliore?

Tutto ha avuto inizio quando la cultura della modernità ha insinuato in loro il serpente della diffidenza, del sospetto, della gelosia; quando, in particolare, la donna ha incominciato a sentirsi defraudata dei suoi “diritti”, a considerarsi un semplice oggetto nelle mani dell’uomo (la Nora di Ibsen, quanto male ha fatto il suo esempio!) e a rivendicare una impossibile “uguaglianza”, che altro non è se non la negazione della propria specificità ontologica.

Da quel malaugurato giorno, niente è più stato come prima fra l’uomo e la donna; ciò che prima veniva fatto con spontaneità, con naturalezza, con trasporto, è divenuto materia di una contabilità minuziosa, è stato registrato sulla partita doppia del dare e dell’avere, è stato messo in conto all’altro, come una cambiale in attesa di riscossione.

Intendiamoci: non che prima il rapporto fra uomo e donna fosse sempre e solo  idilliaco; talvolta non era nemmeno rispettoso: ma questa era l’eccezione, non la regola; e la solidità delle famiglie di una o due generazioni fa, i figli cresciuti con amore e con sani principi, i nipoti accolti con gioia, tutto questo ne è la prova migliore, perché basata su di una realtà che moltissimi di noi hanno conosciuto e non pochi hanno avuto la fortuna di vivere in prima persona.

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Nel mistero delle dodici notti sante l’anima si prepara alla rivelazione dell’Essere

aurora boreale

«Epifania», dal greco, significa «manifestazione»; e, se nel linguaggio cristiano designa il riconoscimento e l’adorazione di Gesù Bambino da parte dei Magi, più in generale essa indica la manifestazione di ciò che è nascosto, e ciò sia in un contesto di tipo religioso, sia nella dimensione della vita profana.
«La dodicesima notte» è anche il titolo di quella che, a giudizio di molti critici, è la più perfetta commedia di Shakespeare (titolo originale: «Twelfh Night»; sottotitolo: «Quel che volete», «What You Will»), il cui titolo ha fatto letteralmente impazzire generazioni di studiosi dell’opera shakespeariana: che relazione vi è tra esso e il contenuto della commedia stessa, anche considerato che questa pare sia stata rappresentata proprio il giorno dell’Epifania del 1601?

L’interpretazione più largamente accettata è che la notte dell’Epifania, cioè la dodicesima notte dopo quella del Natale, non abbia alcun significato in senso religioso; ma che l’epifania, intesa nel senso profano, alluda alla sarabanda di avvenimenti inconsueti, imprevisti e imprevedibili, che caratterizzano l‘azione scenica.
Tempeste, separazioni, scambi di persona, situazioni erotiche ambigue (una ragazza che si traveste da paggio e che, in tale veste, suscita la passione irrefrenabile di una gentildonna, a sua volta amata dal padrone della ragazza), agnizioni (la ragazza e il suo fratello gemello si ritrovano, dopo essersi creduti morti l’uno per l’altra), buffonate intrise di saggezza e saggezza che degenera in follia, inganni, macchinazioni e tradimenti: tutto corre allegramente, come una perfetta macchina teatrale, verso lo scioglimento finale, dove ogni cosa torna al suo posto e si risolve nell’immancabile, ma non banale, “happy end” della riconciliazione conclusiva.

Eppure, per noi Europei del terzo millennio, nonostante la concezione laica e immanente del teatro di Shakespeare e il suo impatto sul pubblico da quattro secoli a questa parte, la notte dell’Epifania rimane essenzialmente quella cristiana, con l’immagine dei tre misteriosi personaggi venuti dal lontano Oriente per adorare il Salvatore del mondo ancora avvolto nelle fasce, e con quella particolare atmosfera di sospensione, di trepidante attesa, che sa di infanzia e che ha il profumo inconfondibile delle cose antiche, da sempre sapute ma non del tutto spiegabili razionalmente.
Noi sentiamo che in quella notte, così come nelle undici notti precedenti, si consuma un grande mistero; sentiamo che il tempo sembra fermarsi, forse anche per il fenomeno astronomico del solstizio d’inverno che, appunto poco prima del Natale, pone fine al progressivo, inesorabile accorciarsi del dì e segna l’inizio del lento, dapprima quasi impercettibile, allungarsi delle ore quotidiane di luce.
Sentiamo che, in quelle dodici notti colme di stupore, qualche cosa di grandioso accade nel mondo della natura, e anche al di sopra di esso; che un evento indicibile, inesprimibile, ineffabile, aleggia su ogni cosa e pervade l’atmosfera con il suo alito impalpabile, avvolgendo noi e tutto il creato in una dimensione sacrale.

Esistono delle tradizioni popolari, diffuse specialmente nell’Europa centrale, secondo le quali, nelle dodici notti sante, la natura si rivela agli uomini in una maniera assolutamente nuova e misteriosa, dopo che il ciclo vitale, a partire dalla notte di San Giovanni (24 giugno), è giunto nella sua fase cruciale, mentre l’autunno non è che la preparazione graduale a quella pienezza finale; si dice anche che gli animali, le piante e persino le pietre non rimangano estranei a questo soffio di vita segreta, il quale percorre come un fremito tutta la creazione.
Si sa inoltre che, in numerose tradizioni iniziatiche, dodici è un numero magico, che indica il ritorno al punto di partenza e il completamento di un ciclo cosmico, così come i dodici mesi dell’anno scandiscono l’orbita della Terra nello spazio intorno al Sole.
Herbert Hahn, professore, conferenziere e saggista del circolo antroposofico, così esprimeva questo concetto in forma di piccola leggenda (in: H. Hahn, «Pedagogia e religione. La sorgente delle forze dell’anima»; titolo originale: «Von den Quellkräften der Seele», 1948; traduzione italiana di Mario Tabet, Filadelfia Editore, Milano,1974, pp. 71-72):
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Notte Oscura

Notte Oscura

 

di Giovanni della Croce

 

dellacroceSpiegazione delle strofe che mostrano come l’anima debba comportarsi nel cammino spirituale per arrivare alla perfetta unione d’amore con Dio, quale è possibile raggiungere in questa vita. In queste strofe vengono, altresì, esposte le proprietà di colui che ha raggiunto tale perfezione. Tutto questo è a firma di fra Giovanni della Croce, carmelitano scalzo, autore tra l’altro delle suddette strofe. 

PROLOGO AL LETTORE

In questo libro vengono innanzi tutto riportate le strofe che intendo esporre. In seguito verrà spiegata ogni singola strofa, posta prima del suo commento; dopo verranno spiegati i singoli versi, sempre citandoli prima. Nelle prime due strofe si descrivono gli effetti delle due purificazioni spirituali, rispettivamente della parte sensitiva e di quella spirituale dell’uomo. Nelle altre sei si illustrano i diversi e meravigliosi effetti dell’illuminazione spirituale e dell’unione d’amore con Dio.

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