Il linguaggio simbolico e la crescita iniziatica

Possiamo – senza eccessive titubanze – affermare che laddove il linguaggio razionale e verbale delle operazioni quotidiane è eminentemente un linguaggio logico, ossia bastante a se stesso il quale, come ebbe a dire L. Wittgenstein, è perfetto così come è, e non necessita di alcuna particolare riforma, il linguaggio simbolico, per una certa speciale corrispondenza con l’ azione stessa della natura, è invece analogico.

Il processo analogico non rappresenta, nonostante molti siano persuasi del contrario, una modalità particolare aliena dalla struttura della nostra mente: infatti, se invece di analogia ci limitassimo a parlare di somiglianze, dovremo ammettere che molto frequentemente – anche nel corso dell’esperienza ordinaria – ci serviamo di somiglianze per sostenere i nostri processi di pensiero. Ora, le somiglianze che sul piano più banale possono riguardare volti, modi di sorridere o di porgere e stringere la mano, su un piano più complesso possono riguardare intere situazioni, complete sequenze che, apparendoci nell’ esperienza della vita, ce ne richiamano altre, assai diverse se ci limitassimo ad un calcolo minuto, e che perciò non ci appaiono identiche, ma appunto analoghe; cioè somiglianti per qualcosa che vi è, in esse, di essenziale.

Il simbolismo in generale – e quello massonico in particolare – perviene a noi da un passato d’ incalcolabile antichità: questo è, almeno, quanto nelle scuole iniziatiche viene ripetutamente sottolineato. Ma non è, qui, questione di credere o non credere al precetto fondamentale dell’ antichità simbolica; perché al di sopra di ogni considerazione storica e scientifica, il simbolismo ci appare, con immediata evidenza, come antichissimo. Al di là degli aspetti strettamente scritturali del simbolismo della Loggia ( in grado di Apprendista il Vangelo di Giovanni, in Loggia di Perfezione l’Epistola di Giacomo ) tutto viene detto giusto e perfetto quando vengono compiuti una serie di passi, gesti e scambi di battute da persone vestite per il rito in un contesto ricco di paramenti simbolici, che variano a seconda del grado in cui la Loggia è istruita. Già questo gioco di sovrapposizioni conseguenti e crescenti – perché quanto vi è nella Loggia di Primo Grado resta, in ogni caso, sullo sfondo della Loggia di Perfezione – frutto di una saggezza la cui antichità non ha ragione d’ essere provata, ci introduce ad una rappresentazione dei molteplici stati dell’ essere ( R. Guénon ). L’essere è separato dagli “esseri” da un abisso incommensurabile  (cap. XXVI de “Il simbolismo della croce” ), e tuttavia la indivisibile naturalezza del linguaggio simbolico fa sì che l’inferiore e il superiore degli stati dell’ essere si somiglino; e inoltre, la peculiarità del simbolico consiste nel fatto che qualsiasi sua manifestazione sia in correlazione con la forma.

Che sia, infatti, la forma degli esseri ciò che ricorda più da vicino la loro origine superiore ( dopo un eventuale caduta, come alcune tradizioni sembrano evidenziare ), era cosa nota – e vivamente riaffermata – da alcuni dei più grandi spiriti del XVIII e XIX secolo: Goethe, Hölderlin, Schelling su tutti. Goethe era ad esempio convinto che tutte le forme vegetali indicassero, o per meglio dire alludessero, ad una forma vegetale archetipale da cui tutte le varietà conosciute di piante sarebbero derivate. In linea con pensiero romantico sono peraltro le osservazioni di Immanuel Kant sul sublime dello spettacolo naturale, una cui rappresentazione pittorica fedele potrebbero essere le opere di Caspar David Friedrich, dove il soggetto umano occupa sempre un punto infinitesimale dello spazio; questi appare sovrastato e schiacciato da una natura incombente la quale, tuttavia, non consegue su di lui una vittoria definitiva, proprio per la potenza dello sguardo che l’uomo – osservatore vi dirige. Nonostante tutto questo, l’esperienza spirituale ed estetica romantica ci appare in definitiva limitata dall’ enfasi che in essa viene posta sull’ individualità, sull’ eventuale potenziamento del singolo più a scapito e contro la natura, che in armonia con questa. Non a caso il “titanismo” romantico degenera, sul finire del secolo, nella snervata ebbrezza solitaria ed autoerotica dei personaggi di Huysmans, o di D’ Annunzio. I germi di questa degenerazione sono già pienamente nelle premesse del romanticismo, di cui l’eroe più classico è e resta il Faust, il solitario erudito che si tormenta per aver scambiato la giovinezza con la sapienza, e vuole e chiede giovinezza e sapienza insieme; chiede ed ottiene questo immenso potere, ma al prezzo di mettersi in combutta con il diavolo.

Diversamente dall’immaturo romanticismo, il simbolismo esoterico ci insegna che è giusto e perfetto coltivare le forme, a condizione di tenere sempre presente che ciascuna di esse rimanda ad una forma più alta e comprensiva, e che la più alta e comprensiva di tutte è una non – forma. Potrebbe sembrare stravagante questo ritenere che la fonte delle forme non sia una forma essa stessa; eppure se riflettiamo a fondo non può che essere esattamente così. Infatti, in virtù di quale criterio una forma dovrebbe godere dello statuto privilegiato di essere prima e di fondare tutte le altre? Se noi sostenessimo che la voce verbale “è” sia il primo e vero fondamento di tutte le forme verbali, in che posto dovremmo allora collocare la voce “non è”? Essa resterebbe irrimediabilmente esclusa da tutto il resto, non potrebbe essere compresa, ed in questo si verrebbe dunque a costituire come una potenza formidabile, inespugnabile, e in definitiva assai più convincente e poderosa di tutto l’essere messo insieme, indebolito dal suo essere principio noto, e quindi, ovvio.

E’ una necessità metafisica ciò che ci spinge ad affermare che un vero principio non può che includere tanto l’essere che il non essere; e traslando sul discorso della forma, è non meno necessario che la vera fonte della forma è dunque non – forma.

La Loggia, in ogni grado, esprime questo nell’accogliere tutte le forme rituali tramandate da tutte le religioni. Ciò che in Loggia deve sorprenderci non è la estrema varietà di oggetti – simbolo che vi compaiono, ma piuttosto l’assenza di molti altri che, magari, in futuro vi saranno accolti. Ma esprime soprattutto la ferma convinzione che al di sopra di tutti i simboli oggettivi ci sia la non – forma, ossia l’Uno.

E l’unità fondamentale di tutte le religioni rivelate rimanda, assai significativamente, all’ unità delle tradizioni esoteriche che ognuna di loro ha invariabilmente generato: il buddhismo tibetano, il templarismo cristiano, il sufismo musulmano sono solo alcuni esempi.

E’ proprio un sapiente della tradizione sufi, Pir – O – Murshid Inayat Khan, che ci ha tramandato dieci sublimi “pensieri” ( starei per dire “comandamenti”, se non temessi di travisare questo delicato messaggio dell’ Oriente ) di questi iniziati mirabili:

  1. C’é un solo Dio, l’Eterno, il Solo Essere; niente esiste all’ infuori di Lui.
  2. C’è un solo Maestro, lo Spirito Guida di tutte le Anime, che guida costantemente i Suoi seguaci verso la luce.
  3. C’è un solo Libro Sacro, il divino libro della natura, la sola scrittura che possa illuminare colui che legge.
  4. C’è una sola Religione, l’inarrestabile progresso nella giusta direzione verso l’ ideale, che fa compiere lo scopo vitale di ogni anima.
  5. C’è una sola Legge, la legge di reciprocità, che può essere osservata da una coscienza libera dal Sé, insieme ad un senso di giustizia risvegliato.
  6. C’è una sola Fraternità, la fraternità umana che unisce i figli della terra senza discriminazione nella benevolenza del Padre.
  7. C’è una sola Morale, l’amore che sprigiona impetuoso dal negare se stessi e fiorisce nello spirito di carità.
  8. C’è un solo Oggetto di Lode, la bellezza che appare nei cuori di coloro che la venerano, in tutto ciò che è visibile o invisibile.
  9. C’è una sola Verità, la conoscenza vera dei nostri esseri, interna ed esterna, che è l’essenza di ogni saggezza.
  10. C’è un solo sentiero, l’annichilazione del falso ego nel reale, che conduce il mortale all’ immortalità, in cui dimora ogni perfezione.

Le analogie fra questi intenti, ed i compiti di edificazione e perfezionamento propri del nostro Rito, mi sono apparsi sorprendenti. Perciò consegno queste note, senza ulteriore commento, alla riflessione dei miei cari Fratelli.

Una risposta a “Il linguaggio simbolico e la crescita iniziatica”

  1. È sempre piuttosto scomodo e difficile confrontarsi con aspetti mistici sia in generale che in ambiti esoterici, ma in questo caso farò un tentativo senza alcuna pretesa per ricordare il Professor Inayat Khan, per una relativa personale affinità con il suo argomentare e a mio avviso per la sua semplicità espositiva, nonché per formulare un apprezzamento al presente post di Athanor.
    Nel contesto, fermo l’attenzione sul decimo sublime pensiero: C’è un solo sentiero, l’annichilazione del falso ego nel reale, che conduce il mortale all’ immortalità, in cui dimora ogni perfezione. (tralasciando comunque significativi problemi di traduzione, della scrittura originale e di contenuti e termini utilizzati rispetto a una tradizione direi non occidentale); pensando esplicitamente al sentiero iniziatico e a come a volte si ritenga credo in modo non esaustivo il punto centrale del cammino il superamento dell’io, ma come anche vi sia una forte criticità del pensiero in citazione in una visione esoterica.
    Non andando a riprendere quanto ben osservato nel post riguardo a linguaggio, simbolismo, forma e non forma, uno; e sulle intrinseche necessità riscontrabili in ‘una rappresentazione dei molteplici stati dell’ essere., … L’essere è separato dagli “esseri” da un abisso incommensurabile.’, osserverei quanto segue:
    Simbologia e analogia meglio configurano l’uno rispetto al molteplice e alla razionalità degli opposti, come pure aiutano nel percorso che ci tocca (individualmente) dall’uno al molteplice e viceversa, inoltre inquadriamo il superamento dell’io (molteplice, forma) per così dire rispetto all’uno; ma qui vi è una sorpresa, forse un malinteso, perché si può intravedere diciamo un obiettivo nella crescita iniziatica (ma anche spirituale e perché no umana con distinzioni) che sarà la realizzazione (ma anche il premio, la fine o altro), che sembra dover necessariamente porre un totalmente altro (in riferimento al soggetto enunciante e soprattutto all’uno).
    Il totalmente altro (non insisto sulle sue caratteristiche) è una grande insidia, banalizzata secondo possibilità e capacità variabili; se ritorniamo agli scritti del Professor Inayat Khan spero di non sbagliare osservando che egli ad esempio introduce il termine spirito, ovvero ci ritroviamo in una relativamente agevole e tradizionale ipotesi uomo-spirito, che seppure semplificante eresia al momento non condivisa da me, ci aiuta a collocare l’evidente paradosso del totalmente altro del secondo rispetto al primo, rendendo il divario insuperabile e l’integrazione impossibile; vorrei solo evidenziare e ripeto quanto già osservato e cioè che sul sentiero iniziatico il totalmente altro costituisce (o può costituire) una malintesa necessità del soggetto enunciante e dell’uno.
    Vi sono conseguenze pratiche non trascurabili alla inaudibile possibilità che ci si presenta, in quanto ad esempio evidentemente solo nel silenzio e nell’assenza di simboli di scrittura troviamo la perfetta risonanza e trasmissione del messaggio, ogni sforzo sembra risultare inutile se non è leggero, e così via; dobbiamo dunque e comunque continuamente trasmettere informazioni e significati sapendo del fondamentale limite detto, ponendoli nell’Unica Tradizione.
    Attenzione, nessun dramma kafkiano tipico comunque e diffuso in questi tempi moderni; siamo certamente su un sentiero luminoso ma solo molto difficile.

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