Le radici interculturali della Tradizione europea

La saggezza della non-dualità e il pluralismo culturale non sono estranee alle radici dell’Europa e costituiscono una chiave per affrontare i problemi interculturali e per superare i dualismi che lacerano la vita collettiva e individuale.

LE RADICI INTERCULTURALI DELLA TRADIZIONE EUROPEA: ORIENTAMENTI PER UN CONFRONTO CON LE ALTRE CULTURE, ALLA LUCE DELLA NON-DUALITA’

1) SUPERIORITA’ DELL’ORIENTE E TRAMONTO DELL’OCCIDENTE?

Questa tesi, già avanzata in Europa nel 1800 da qualche intellettuale controcorrente (si pensi ad A. Schopenhauer), è stata variamente raccolta e rielaborata nel corso del secolo appena trascorso, ottenendo un ascolto significativo in ambienti per lo più antimodernisti e nello stesso tempo più o meno attratti dalla spiritualità orientale. Si sono così costituite delle prospettive diversificate che però finiscono per convergere almeno in un punto: e cioè nel supporre il declino dell’Occidente moderno e quindi della stessa Europa.

2) ALCUNE POSIZIONI SUL DECLINO DELL’OCCIDENTE

Negli ambienti accademici europei, le posizioni più note e discusse sono quelle di Heidegger e Severino, i quali accusano l’Occidente di nichilismo: una concezione del mondo che comporta la svalutazione degli enti, rendendoli disponibili al dispotismo planetario della Tecnoscienza, la cui follia trascina verso la devastazione della Terra. Poiché anche l’Oriente sarebbe infettato dal nichilismo, essi auspicano il riapparire salvifico della ”Saggezza aurorale”, cui l’Occidente non era estraneo, in un periodo arcaico della storia del mondo. Una prospettiva che è presente ben oltre l’ambito accademico, è quella che si ispira al perennialismo guénoniano: anche qui, il nichilismo è un ingrediente della disfatta dell’Occidente, e però esso va inquadrato in un generale contesto di degenerazione, correlato essenzialmente all’oblio della sapienza metafisica nel mondo moderno; e poiché l’Occidente è incapace di raddrizzarsi con le sue forze, appare indispensabile un intervento correttivo dell’Oriente, in cui la sapienza metafisica sarebbe ancora vitale.

3) DA QUALE “ORIENTE” DOVREBBE SOPRAGGIUNGERE LA SALVEZZA DELL’EUROPA?

In un testo dedicato all’argomento, Guénon formula 2 ipotesi:

a) il possibile risveglio dell’Occidente, grazie al supporto della metafisica indù, che presenterebbe i maggiori vantaggi di esposizione e di adattamento per gli Europei;

b) il risveglio grazie all’Islam e all’esoterismo islamico.

Negli anni ’20, Guénon propende per la soluzione induista (la vicinanza dell’Islam potrebbe suscitare reazioni cristiane ed esacerbare gli animi, risultando controproducente); ma nel 1948, sempre più pessimista circa l’Occidente, incapace di sviluppare energie proprie, ipotizza un maggiore interventismo dei popoli orientali, che “per salvare il mondo occidentale dal decadimento, lo assimilano con le buone o con le cattive”, non escludendo lotte dolorose e conflitti etnici ! Dovendosi escludere per ovvi motivi un intervento massivo del mondo induista, se ne ricava dunque l’ipotesi di una islamizzazione dell’Occidente, “con le buone o le cattive”.

4) INTERVENTO “SALVIFICO” DELL’ISLAM IN EUROPA?

E’ qui evidente l’attualità della provocazione guénoniana: infatti una tesi simile è oggi riproposta, sia pur con tonalità diversificate, in molti ambienti islamici, i quali si propongono di “islamizzare la modernità” (v. testi di R. Guolo), e quindi in prospettiva anche l’Europa. Solo che, rispetto a Guénon, è cambiato molto, e non in meglio: la progettualità islamizzatrice è oggi affidata alle correnti più essoteriche dell‘Islam, attaccate al legalismo esteriore della shariah (v. wahhabiti, salafiti, hanbaliti…): l’ossessione letteralistica e dogmatica, elevata ad unica chiave di lettura del Corano e della Tradizione, costringe a rifiutare quale eresia perfino buona parte dell’esoterismo islamico, se non tutto. In tale contesto, perfino il sufi più famoso e autorevole, Ibn Arabi (alla cui catena iniziatica si ricollega lo stesso Guénon) viene dichiarato fuori-legge .

5) LE REAZIONI CULTURALI DELL’EUROPA

Mettendo tra parentesi i contraccolpi politici e militari (che per altro sono all’o.d.g.), qui ci occupiamo delle risposte culturali (che non sono meno importanti di quelle politiche e militari, ed anzi le guidano). In Europa si assiste ad un inevitabile appello alle tradizioni occidentali, quali punti di riferimento per fronteggiare in qualche modo l’espansione islamica. Tale appello esprime orientamenti diversificati, che possono essere semplificati come segue:

a) vi è un richiamo identitario meramente astioso e reattivo, sprovvisto di spessore culturale e perfino di una decente conoscenza del “nemico”: ciò nonostante, esso non va sottovalutato, poiché attecchisce negli ambienti visceralmente ostili allo straniero e al confronto culturale in quanto tale; oggi esso viene alimentato dai contraccolpi correlati ad una certa aggressività islamica;

b) vi è un richiamo identitario di natura religiosa, ben rappresentato nel testo del cardinale J. Ratzinger Europa. I suoi fondamenti oggi e domani (Ed. S. Paolo 2004). Qui il Cristianesimo, pensato come l’essenza dell’Europa, diventa il referente principale per cementare l’area europea e per garantire, così si ritiene, un confronto vantaggioso con l’Islam e più in generale con il mondo non europeo e non cristiano;

c) vi è un richiamo identitario di natura laica, ben diffuso nella società civile europea: esso ritiene che democrazia e liberalesimo costituiscano una peculiarità dell’Occidente in generale e particolarmente dell’Europa, e che questa peculiarità costituisca sempre e comunque un fattore di progresso civile, virtualmente generalizzabile all’intero pianeta. Sui tempi e sui metodi della generalizzazione, vi sono posizioni diverse che spiegano la diversità delle prospettive politiche dei paesi occidentali e dei vari partiti, diversità che portano a scontri anche aspri;

d) vi è infine una posizione intermedia, che in qualche modo cerca di avvicinare o di integrare b e c: in tal senso si sono per es. espressi Marcello Pera (Il relativismo, il cristianesimo e l’Occidente, ora in Senza radici, Mondadori 2004) e Giovanni Reale (Radici culturali e spirituali dell’Europa, R. Cortina Ed., 2003).

6) LE RADICI DELL’EUROPA

I riferimenti di cui sopra, seppur schematici, giustificano ampiamente una visione “plurale” dell’Europa, al cui interno le varie componenti dovrebbero armonizzarsi in qualche modo, senza cedere ad esclusivismi e prevaricazioni, che sarebbero del tutto fuori luogo, dato che: – il Cristianesimo (e la morale che ne discende) non può pretendere di rappresentare l’intero mondo europeo, considerando che vi è una notevole componente laica estranea a qualsiasi forma religiosa; in aggiunta, è giocoforza ricordare le divisioni all’interno dello stesso mondo cristiano e la presenza di religioni non cristiane il cui peso è destinato ad aumentare; – il mondo laico, inversamente, è tenuto anch’esso a riconoscere, ma in modo non superficiale, la compresenza di tali forme religiose, spesso estranee ai principi liberaldemocratici, come è il caso dell’Islam, specie di quello essoterico e legalista(v. R.Guolo: L’Islam è compatibile con la democrazia ? Laterza 2004).

In aggiunta, i testi citati, ed altri ancora, ricordano volentieri, a proposito delle nostre radici, un’altra componente, e cioè la grande filosofia greca, anche se in modo alquanto sfumato e indeterminato, se non retorico.

Da quanto sopra, il sorgere di alcuni interrogativi di fondo, sui quali dobbiamo soffermarci.

7) OLTRE L’OCCIDENTE CRISTIANO E LA LIBERALDEMOCRAZIA, IL NULLA ?

Si tratta di un quesito pesante come un macigno, che grava sulla coscienza europea, cristiana o laica essa sia: una parte del mondo cristiano è portata ad assolutizzare il proprio punto di vista, ritenendo le altre religioni approssimazioni più o meno imperfette alla superiore verità cristiana; inevitabilmente, ne discende una strategia cristianizzatrice (per quanto i metodi possano essere stemperati e addolciti, rispetto al passato); analogamente opera una buona parte del laicismo liberaldemocratico, il quale considera le altre forme sociopolitiche del tutto incivili e autoritarie, o comunque largamente lacunose e quindi bisognose di una terapia volta alla liberaldemocratizzazione…In entrambi i casi, anche quando i processi di cristianizzazione e democratizzazione sono pensati in forme “morbide”, il presupposto è che al di fuori dell’Occidente cristiano e/o liberaldemocratico vi sia sempre e comunque una negatività da togliere o da curare…in definitiva, siamo in presenza di quella prospettiva etnocentrica/eurocentrica, oggetto della denuncia di padre E. Balducci (v. Storia del pensiero umano, Ed. Cremonese).

8) COSA VI PUO’ ESSER DI POSITIVO OLTRE L’OCCIDENTE, IL CRISTIANESIMO, IL LAICISMO LIBERALDEMOCRATICO ?

La democrazia degli altri (Mondadori, 2004) è il titolo di un agevole volumetto di Amartya Sen, il cui indovinato sottotitolo recita:” Perché la libertà non è un’invenzione dell’Occidente”. Si tratta di un testo istruttivo, alla portata di tutti, che esprime una tesi semplice ma tutt’altro che superficiale: il già Premio Nobel per l’economia osserva che, in Occidente, c’è stata (e c’è ancora) una grave disattenzione per la storia culturale delle società non occidentali (v. pag. 40). Sulla base di tale ignoranza, l’Occidente pretende di esser l’inventore di quei contenuti positivi che solitamente (e arbitrariamente) vengono attribuiti alle esperienze liberaldemocratiche occidentali. In realtà, si tratta di un inaccettabile razzismo culturale (v. pag. 16), poiché positività del genere si sono riscontrate anche altrove, per es. in Oriente, e prima che in Europa si affermassero esperienze di tipo liberaldemocratico. Forse non è un caso che la più grande democrazia del mondo sia oggi rappresentata dall’India (v. pag. 19).

9) LEZIONI DI PACE E DI PLURALISMO, ESTRANEE ALL’OCCIDENTE EUROPEO?

Amartya Sen cita, quali esempi positivi di stampo non occidentale, l’impero dell’imperatore buddhista Ashoka (III secolo a.C.), l’impero moghul di Akbar (1542- 1605), alcuni momenti dell’Islam medievale… Si tratta di esperienze quanto mai notevoli e istruttive, e però incredibilmente assenti o marginali nelle storiografie “etnocentriche” di matrice europea: in parte per la citata “disattenzione” dei nostri studiosi, in parte perché tali eventi rispondono a logiche interne di pluralismo e di armonizzazione delle diversità, estranee alla mentalità liberaldemocratica con cui abbiamo familiarità. Di conseguenza, essi conservano per noi un marcato sapore di esotismo, tale per cui ci risultano lontani e per lo più incomprensibili…

10) LA SAGGEZZA DELLA NON-DUALITA’, QUALE VIA DI PACE NEL CONFRONTO INTERCULTURALE

Le logiche sopra richiamate ubbidiscono ad alcuni criteri di fondo, le cui idee-forza sono:

a) applicazione del metodo unitivo, e non contrappositivo;

b) accettazione della molteplicità degli angoli visuali e loro inserimento in un contesto di armonizzazione;

c) inaggirabilità della verità totale, il che conduce al superamento delle pretese dogmatiche ed alla metafisica quale “sistema aperto”.

Per indicare tale posizione filosofica, il termine più adeguato risulta essere quello di Non-Dualità, solitamente considerato di derivazione induista (v. Advaita Vada, via della non-dualità). Lo stesso R. Panikkar ne è un assertore, e presenta il metodo della non-dualità come chiave per affrontare i problemi interculturali e più in generale per superare i dualismi che lacerano la vita collettiva e individuale, contribuendo così a percorsi di pace nelle persone e nelle civiltà (v. Pace e interculturalità, Jaca Book, 2002).

11) LA SAGGEZZA DELLA NON-DUALITA’ E LA TRADIZIONE EUROPEA

Si è visto che, parlando di non-dualità, il pensiero solitamente si rivolge all’Advaita, e molti sono portati a supporre che si imponga un riferimento ad una tradizione del tutto estranea all’Occidente europeo. In realtà, non si tratta di importare sprazzi di saggezza dal lontano Oriente, per il semplice fatto che, scavando in profondità nell’anima europea, vi si scopre proprio questo tipo di saggezza, anche se non sempre presentata espressamente con questa terminologia. G. Reale, nel suo testo dedicato alle Radici culturali e spirituali dell’Europa, ammette i molteplici retaggi dell’Europa, e individua la filosofia greca (soprattutto nella versione platonica) come una grande sorgente della nostra civiltà; in un testo precedente, aveva addirittura auspicato il ritorno di tale antica saggezza quale rimedio per i mali odierni (solo che Reale, essendo ancorato ad una datata posizione “eurocentrica”, tende a contrapporre “dualisticamente” i Greci e l’Oriente, il quale sarebbe privo di filosofia, invece di notarne le convergenze sul piano della non-dualità). Restando in Italia, è merito di Raphael (v. edizioni Asram Vidya) aver messo in luce le convergenze, o comunque le affinità di fondo, tra le espressioni orientali (Shankara, Advaita Vedanta…) e occidentali (Platone, Neoplatonismo…) della non-dualità. Sul tema, v. anche G. Cognetti(Oltre il nichilismo. Oriente e Occidente in G. Vallin, F.Angeli, 2003) e, in Francia, G. Vallin.

12) NON-DUALITA’, PLURALISMO, DEMOCRAZIA

Lo spirito della non-dualità è presente in Platone, là dove egli applica il metodo unitivo nel relazionare le correnti spirituali che gli erano note, greche e non, cercando di giungere ad una armonizzazione sostanziale di esse (oltrepassando così, per esempio, la contrapposizione Greci-barbari, ben evidente in altri autori). Non si tratta di un dettaglio isolato, bensì di uno stile di lavoro essenziale nelle scuole platoniche(si pensi al ruolo svolto da Plutarco di Cheronea nell’ambito di ciò che oggi chiamiamo dialogo interreligioso). Forse colui che più ingegnosamente si è attivato in tale direzione è stato Proclo di Costantinopoli, non a caso elogiato quale “sacerdote di tutti i culti”(en passant, facciamo notare che Costantinopoli non era estranea all’Europa, ed anzi per un certo periodo ne fu addirittura la capitale !). Un tale approccio alla pluralità delle culture, già ben presente nelle profonde radici dell’anima europea, ne è uno degli aspetti più qualificanti: sarebbe un imperdonabile suicidio culturale dimenticarsene, in nome di punti di vista più ristretti ! In funzione di una riattualizzazione della non-dualità, si può apprezzare pienamente il ruolo oggi svolto da coloro che, come R. Panikkar, agiscono per superare l’arroccamento esclusivistico e per consolidare la dimensione dell’apertura universalistica.

Per quanto riguarda il laicismo liberaldemocratico occidentale, l’atteggiamento equilibrato della non-dualità non può che soppesarne gli aspetti antitetici: i fautori unilaterali della liberaldemocrazia, facendo leva su alcuni elementi di benessere materiale e di libertà individuale effettivamente presenti da noi(e magari assenti altrove), tendono con ciò a presentare le nostre società come modelli di libertà e tolleranza, mettendo troppo facilmente tra parentesi quanto potrebbe ridimensionare questa convinzione; a quest’ultimo riguardo, sono esemplari i testi di S. Latouche, i quali denunciano invece l’occidentalizzazione del mondo quale propensione verso il neocolonialismo, la deculturazione, il “pensiero unico” e il fanatismo sviluppista, a danno dei popoli non occidentali. Di qui l’esigenza di salvaguardare un ben più ampio pluralismo culturale, oltre i canoni insoddisfacenti previsti dalla liberaldemocrazia “reale”: a questo proposito, anche allo scopo di allargare certi spazi di libertà presenti in Europa, occorre riconsiderare quelle grandi lezioni di libertà e pluralismo, che ubbidiscono ad altre logiche, rispetto a quelle “occidentali”.

In questo caso (come nei precedenti), la saggezza della non-dualità ha la funzione di far da ponte e mettere in relazione queste diverse esperienze, contribuendo anche qui ad una effettiva e non superficiale comunicazione interculturale, che è stata la base indispensabile per illuminate realizzazioni di civiltà votate all’apertura e all’armonizzazione delle differenze, realizzazioni di cui anche oggi si avverte fortemente la necessità.

Paolo Scroccaro

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