Oltre “quella” soglia

INTRODUZIONE

Viene qui proposto al lettore “vivente” un breve (purtroppo) saggio illustrativo del mondo che ci attende subito dopo il trapasso, desunto dalle meditazioni connesse agli studi effettuati dallo scrivente sull’argomento nonché, soprattutto, dalle sue personali esperienze dirette. Lo scopo che vi si prefigge è quello della preparazione del vivente stesso, di cultura occidentale, attiva, costruttiva, cristica se non addirittura cristiana, ad affrontare nelle migliori condizioni possibili il fenomeno morte. Questo si rende necessario poiché l’insegnamento consueto, disponibile per i più, si limita di norma a quello religioso, propinatoci per almeno sedici secoli in modo vago, frammentario, forse perché interessato, con conseguenti conoscenze che ben poco hanno a che fare con la realtà.

Nel nostro tempo non ha più ragione d’essere alcuna cautela nei confronti della diffusione della Verità. Una cautela che ha addirittura coinvolto il testo dei Vangeli, con molteplici amputazioni e modifiche apportate nei secoli dall’arrogante presunzione dell’essere umano, e solo parzialmente giustificate dalle molteplici traduzioni, indispensabili per l’attuale lettura dei testi originali. Una presunzione che culmina nell’intenzione malcelata di arrogarsi il diritto di paragone con il Creatore, tanto da portare un determinato piccolo (quanto ogni altro) uomo ad autodichiararsi infallibile portatore di Verità.

L’attenta lettura di questo trattato dovrebbe portare alla conoscenza di quanto ci attende oltre “quella soglia”, chiarendo come quel mondo, una diversa dimensione affatto misteriosa o terrificante, sia in verità decisamente affascinante. Pur non aspirando alla stesura d’una guida paragonabile al “Libro dei morti Tibetani“, la cui lettura prepara da svariati secoli i fedeli buddhisti alla conoscenza dell’aldilà, né agli antichi testi dei papiri Egizi (avvolti intorno al corpo mummificato, per renderli più disponibili), né ai graffiti Maya (incisi sulle pareti delle caverne sepolcrali), che dovevano aiutare il defunto ad orientarsi nella nuova dimensione, si auspica che, con questo minimo di preparazione, ciascun individuo occidentale possa acquisire almeno qualche probabilità in più di accostarsi senza timori al fenomeno “morte”, onde in primo luogo saper vivere un pò meglio ora, per poi affrontare “quel” fatidico momento senza alcun deleterio pregiudizio psichico e, perlomeno, senza alcun timore.

Tale conoscenza sarà di enorme aiuto, in quanto porterà anche luce sul significato reale della vita, rappresentando quindi un incentivo, un pungolo importante per vivere decisamente meglio. Eviterà inoltre taluni errati comportamenti mentali, allorché ci si ritroverà nella nuova dimensione, errori che implicherebbero inutili “perdite di tempo” in quella prima tappa, che è solo di transizione tra il mondo fisico da cui si proviene (a noi noto come Inferno dantesco) ed il mondo spirituale od etereo, cui siamo tutti destinati. Ovvero ci si ritroverà nel cosiddetto “mondo astrale”, o intermedio (il cosiddetto Purgatorio), in cui si sosterà di norma il tempo necessario per comprendere la propria nuova condizione, spogliarsi delle residue scorie della materia, per avviarsi poi decisamente verso la “Luce”, il Nirvana, il Paradiso (non oggetto della presente trattazione), la comune meta naturale per la nostra “ritrovata” condizione di puro spirito. E’ proprio nel mondo astrale, intermedio, Purgatorio o Bardo, ove ci ritroviamo temporaneamente dopo il trapasso, che possiamo subire pesanti condizionamenti, conseguenze della mentalità che ci caratterizza per l’errata Verità che portiamo in noi. Pertanto questo modesto trattato vuole gettare finalmente Luce in questo campo, affinché tutti possano sapere come stiano veramente le cose.

Una prima importante considerazione s’impone: confondere Dio con l’uomo è blasfemo e criminale. E’ vero che l’uomo é stato creato ad immagine e somiglianza del Creatore. Attribuire però a Dio i difetti tipici dell’essere umano é stato e resta perlomeno infantile e ridicolo, soprattutto per l’uomo colto ed informato di oggi. Dio è davvero “PERFETTO”, per cui è semplicemente assurdo il solo pensarlo classista, razzista, testardo e vendicativo, com’è raffigurato negli editti partoriti nei secoli da certi Rappresentanti di Dio in Terra. Costoro non hanno esitato a perseguitare, a ferocemente torturare e condannare al rogo teologi eccelsi come Giacomo Savonarola, Giordano Bruno, e tanti altri ancora, solo perché avevano osato propagare Verità scomode, di natura ben diversa dalla loro. Questi contestatori avevano soprattutto osato elevare critiche contro un certo Potere Temporale, decisamente in contrasto con una missione puramente spirituale che era stata, ed in gran misura tuttora rimane, quasi completamente lasciata nell’oblio. Non è certo sufficiente l’attuale tendenza a deprecare l’operato infame del Santo Ufficio, dell’Inquisizione, annullando scomuniche e condanne che, definire ridicole, suona ancora e sempre eufemistico.

La prima grande Verità non può che essere rappresentata dalla natura dell’uomo, coi suoi pregi e difetti, che per la sua perfettibilità non può che escludere la perfezione. Una perfezione che deve pertanto rimanere prerogativa e caratteristica esclusiva del Creatore, di Dio, di Allah, di Brahma. Di Colui insomma che sovrintende all’intricato intrecciarsi dei percorsi delle sue creature materializzate, percorsi precisi e prefissati che non possono che escludere in assoluto il caso, che comprometterebbe il complesso ma perfetto mosaico rappresentato dal Creato universale.

Non si allarmi il lettore per quelli che possono sembrare concetti nuovi su quanto ci attende dopo la morte. Forse sono concetti davvero rivoluzionari, ma soltanto perché gettano finalmente luce su quanto é stato per secoli celato alla nostra umana conoscenza da quanti hanno avuto e tuttora hanno interessi vitali a nascondere la Verità, incuranti delle vere e proprie tragedie originate dalle loro criminali menzogne. E questo, mi creda il perplesso lettore, non è assolutamente un miserabile eufemismo.

Si é certi di non originare né timori né panico: al contrario si intende eliminare complessi plurisecolari che sono in noi, fornendo un aiuto per finalmente conoscere e comprendere l’unica, l’assoluta Verità!

L’UOMO

Che cos’é, in che cosa consiste l’essere umano? In prima istanza non si può che affermare che l’elemento uomo sia nient’altro che la più evoluta tra le creature che popolano l’universo, quindi non soltanto il globo terracqueo.

Per rispondere al quesito, è però opportuno far riferimento al principio ermetico, secondo il quale il microcosmo si identifica nel macrocosmo, per cui il piccolo è identico al grande.

Fin dall’antichità greca classica, in particolare da Pitagora e Platone in poi, viene riconosciuta l’esistenza di una realtà superiore, popolata di energie invisibili, presente oltre la natura visibile e sensibile. L’universo era stato fin da allora suddiviso in una terna di diverse manifestazioni, comprendenti un piano materiale, un piano psichico ed un piano spirituale, secondo una peculiare gerarchia rimasta inalterata per millenni, fino al tardo medio evo. A ciascun piano corrisponde un peculiare aspetto, ovvero uno stato:

– stato di non manifestazione, rappresentante la Possibilità Universale,

– stato di manifestazione informale, o sottile, rappresentante l’Anima del Mondo,

– stato di manifestazione formale, o grossolano, ovvero quello del mondo della sostanza del corpo fisico.

L’uomo era collocato al centro del “cosmo”, data l’identità degli elementi componenti entrambi.

In analogia all’armonia caratteristica del cosmo e dell’uomo, anche a quest’ultimo furono assegnate tre forme esistenziali: Al mondo materiale corrispose il corpo fisico, al mondo psichico l’anima, al mondo spirituale lo spirito. Da ciascuna natura (o mondo o piano) nacque una disciplina di studio: rispettivamente fisica, psicologia e metafisica. Tale ripartizione era caratteristica di ogni dottrina tradizionale, anche se ciascuna dottrina si differenziava nei confini di ciascun piano. Presente nelle tradizioni asiatiche, caratterizza anche quella ebraica, come dimostrato dall’inizio della Genesi, dove l’anima vivente è raffigurata come unione del corpo con il soffio dello spirito.

Questa ripartizione ternaria fu adottata da Platone, e le correnti filosofiche latine neoplatoniche tradussero i termini greci nous (nous), psyche (psiché) e soma (soma), con gli equivalenti Spiritus, Anima e Corpus.

La tradizione cristiana ereditò la ripartizione, come riportato all’inizio del Vangelo di San Giovanni, base dell’esoterismo occidentale, ove la terna Verbum, Lux et Vita corrisponde ai tre mondi citati: spirituale, psichico e fisico (corporale).

San Paolo, nella sua prima lettera indirizzata ai Tessalonicesi, dice testualmente:

E lo stesso Dio … custodisca tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, senza macchia.

Sant’Ireneo, nel De Resurrectione, ancor più chiaramente sostiene:

Esistono tre principi dell’uomo: corpo, anima e spirito. Quello che salva e forma é lo spirito. Quello che è unito e formato è il corpo. L’intermediario tra i due è l’anima. Quest’ultima a volte segue lo spirito, e da questo viene elevata. A volte invece discende fino al corpo, sottostando agli appetiti terreni.

Fu proprio per evitare il rischio pernicioso di attribuire all’anima elementi troppo corporali, come infatti fece Platone, che i dottori della Chiesa cristiana preferirono avvicinare l’anima allo spirito, fino ad arrivare a confonderli tra loro, dando origine al più semplificato dualismo corpo e anima.

Da questo abbinamento nasce la persistente confusione tra psichico e spirituale, tra cui oggi, almeno per i più, continua a non esserci differenza alcuna.

Rimane tuttavia il fatto che, se l’anima è la mediatrice, l’elemento catalizzatore tra il superiore e l’inferiore della natura umana, è indispensabile che tra loro esista un collegamento naturale. Per cui sia Sant’Agostino che San Bonaventura definiscono col termine anima il corpo sottile, mediano tra corpo fisico e spirito.

Opportuno accennare come l’analisi del corpo fisico, effettuata seguendo i principi della filosofia teosofica, fondamento di dottrine, religioni e credenze, passate e future, permetta di arrivare, attraverso un lungo e complesso processo, ad una classificazione, con cui diventa possibile la spiegazione dei fenomeni della vita e della stessa coscienza. Lo spirito umano dispone di strumenti ed arnesi, indispensabili per realizzare l’evoluzione, ovvero il completamento conoscitivo della coscienza. Si tratta di veicoli veri e propri, che troviamo sotto riportati, con la loro corrispondenza in sanscrito, ovvero:

  1. Corpo, o veicolo rozzo,
  2. Vitalità, o Prana,
  3. Corpo astrale, o Linga Sarira,
  4. Anima animale, o Kama Rupa
  5. Anima umana, o Manas,
  6. Anima spirituale, o Buddhi.

Aggiungendo a questi veicoli il Corpo etereo, o Atman, otteniamo la tipica ripartizione settenaria dell’essere umano, adottata da tutte le dottrine orientali, che implicano comunque l’assoggettamento delle creature alle leggi della “metempsicosi”, trattata appresso nel capitolo sulla reincarnazione, per cui lo spirito deve successivamente transitare, dimorandovi, nei mondi minerale, vegetale, animale ed umano.

In occidente invece s’è continuato a considerare la ripartizione ternaria, più che altro per evidenti ragioni teologiche, se non addirittura, come abbiamo visto, la sua semplificazione dualistica, tuttora vigente.

L’approfondimento della ricerca nel campo della realtà invisibile, avviato proprio in occidente all’inizio del secolo scorso, ha implicato un ritorno alle origini dell’era cristiana, con l’adozione di definizioni più sofisticate, accurate e comprensibili delle “tre” diverse nature, sia universali, o cosmiche, che umane:

  1. Corpo  – Corpo fisico  – Materia sensibile
  2. Anima – Corpo astrale – Mondo astrale
  3. Spirito – Corpo etereo – Mondo mentale-spirituale-etereo

In questo breve trattato tenterò di chiarire, il più semplicemente possibile, il mondo definito astrale, quello cui è destinato ogni mortale subito dopo la morte, proprio nell’intento di renderne noti natura, caratteristiche e scopi.

Ogni essere umano è sempre portato a temere quanto ignora. Si ha paura del buio in quanto può celare insidie pericolose, come della morte perché non ci è chiaro cosa significhi, che cosa comporti.

Per quanto ne sappiamo, uditi i frastuoni di tante campane, tanto diverse tra loro per cui definirle assordanti significherebbe minimizzarne l’effetto, potrebbe anche rappresentare la fine di tutto, di quanto ci è caro e per cui abbiamo vissuto, magari anche lottando e soffrendo.

La conoscenza del mondo astrale porterà a non temere più la fine del nostro corpo fisico, poiché sapremo che “oltre quella soglia” non ci attende né insidia predisposta né tribunale supremo. Allora la morte sarà per noi semplicemente quello che è: la naturale continuazione della splendida avventura che definiamo “Vita”.

ESOTERISMO E RAGIONE

Alla gerarchia dei tre stati, vista nel capitolo precedente circa la natura dell’elemento “Uomo”, corrispondono tre diverse facoltà generali, destinate al conseguimento della loro specifica consapevolezza.

  • Corpo fisico: Intuizione sensibile.
  • Corpo astrale: Immaginazione.
  • Corpo etereo: Intelletto puro od Intuizione trascendentale.

Opportuno ora chiarire l’accostamento ragione-intelletto, onde rendere comprensibile un fatto essenziale: l’esoterismo può essere inteso solo attraverso l’organo spirituale, che abbiamo testé definito intuizione od intelletto, corrispondente all’evidenza interiore delle cause precedenti ogni esperienza. E’ il mezzo specifico per accostarsi alla metafisica ed alla conoscenza dei principi universali. Ha così inizio un dominio in cui mancano opposizioni e conflitti, complementarietà o simmetrie, poiché l’intelletto si orienta nell’ordine di un’unità e di una continuità che supera l’individualità e la razionalità. Perciò Aristotele afferma che l’intelletto è più veritiero della scienza, mentre San Tommaso sostiene che l’intelletto è l’habitus dei principi e la forma che li genera.

La metafisica rifugge dalla relatività della ragione, ma implica nel suo ordine una certezza, inimmaginabile ed inesprimibile, coinvolgente concetti afferrabili solo attraverso i simboli. Quindi un mezzo di espressione non negante la realtà, ma interamente subordinata al potere degli arcani. E’ sufficiente pensare agli ideali platonici, alle costanti matematiche ed ai simboli delle arti antiche, per evidenziare taluni esempi dei diversi piani della realtà.

La scienza moderna invece ha come strumento dialettico la ragione che, unita al linguaggio, viene impiegata per qualsiasi scopo. Essa permette di rispettare le regole della logica e della grammatica, senza implicare né garantire alcuna certezza nei confronti della realtà delle conclusioni acquisite, ed ancor meno rispetto alle sue premesse.

La ragione, secondo San Tommaso, non è che un habitus conclusionum, perciò è solo un modo puramente deduttivo e discorsivo, che non risale mai alle cause vere. Si tratta, metaforicamente, di una sorta di rete, dalle maglie più o meno larghe, lanciata sul mare dei fenomeni, che si confonde con loro allorché sono troppo spessi, lasciandoli invece filtrare, ignorandoli, quando essi siano troppo sottili.

Per la scienza e la ragione, un fatto non ripetuto od inosservabile, o comunque non misurabile, non esiste. Meno che inesistente quanto non rappresenti un fatto, un evento, al limite un fenomeno. Ma la realtà non può essere collegata alla grossolana sua interpretazione o traduzione, né può essere limitata da una qualsivoglia tecnica, sempre forzatamente transitoria, in quanto soggetta a possibili migliorie future, che potrebbero portare a misurazioni valutative ben diverse dalle precedenti, come spesso è successo ed ancora sistematicamente succede in campo scientifico.

Non si può davvero trascurare un fatto fondamentale: la ragione scientifica si fonda sulle potenziali capacità umane di valutazione ed analisi, basate sull’organo cerebrale, che rimane tuttora il più misterioso componente umano. Per cui non è eufemistico né paradossale l’applicazione del principio della relatività di Albert Einstein ad ogni parto dell’essere umano, scienza e ragione compresi.

In conclusione, la garanzia della Verità non proviene certo dalla ragione né dall’esperienza, poiché quest’ultima è troppo breve, recente e limitata, in un universo che ha vissuto stati molto diversi tra loro, e che con essa non può certo avere in comune un metodo di misura. Infine ragione ed esperienza non considerano la specifica qualità dei tempi, che soltanto un testimone diretto può rivelare, un testimone proveniente dall’età più remota. Un testimone peculiare, l’unico attendibile, definibile unicamente con il termine “Tradizione”.

LA REINCARNAZIONE

Occorre innanzitutto soffermarci su questo argomento, che qui si tenterà di trattare in chiave occidentale, poiché noi occidentali siamo. Una prima regola s’impone, quindi: noi non dovremmo mai concentrarci su insegnamenti che non ci possono essere congeniali, in quanto ben lontani dalla nostra mentalità, dalle nostre tradizioni, dalla nostra cultura. Convinti assertori della “causalità”, ed altrettanto decisi oppositori della “casualità”, siamo certi che essendo nati in occidente, può essere solo nelle tradizioni e nella cultura occidentali che sono reperibili le strade per possibilmente eliminare gli effetti che fanno parte del nostro fardello karmatico. Viene usato il termine “Karma”, od il suo aggettivo, unicamente perché ci è ormai sufficientemente noto il suo significato. Nel dubbio, si preferisce comunque chiarirlo.

Karma deriva da “Karman”, che in sanscrito significa “atto”. Secondo il pensiero religioso indù, buddhista e jaina, rappresenta l’insieme delle azioni, buone e cattive, compiute dall’individuo nel corso della sua esistenza. Ciascuna azione produce un frutto (phala), o conseguenza, che costringe lo spirito (åtman), ad emigrare di esistenza in esistenza, fino all’estinzione del Karma stesso. Tale trasmigrazione di corpo fisico in corpo fisico, viene da noi definita “reincarnazione”. Essa implica che, alla morte del corpo, lo spirito (immortale) si separa, se ne distacca, per poi rientrare in un altro corpo, dopo un certo tempo.

La reincarnazione comporta la possibilità di rinascita in corpi fisici di natura prevalentemente umana. Ben diversa caratteristica riveste invece la “metempsicosi”, fulcro delle dottrine teosofiche, che ammette il passaggio dello spirito di corpo in corpo, intendendo per corpo l’intera natura, ovvero minerali, vegetali, animali e uomo. Si tratta di una credenza antichissima, tipica dell’Egitto faraonico, dell’India, dell’Orfismo (Pitagora, Empedocle), purificata da Platone per collegamento alla teoria delle idee e dei rapporti tra corpo corruttibile e Verità eterne. La chiesa Gnostica la fece propria, aggiungendo al tradizionale significato morale-espiatorio quello conoscitivo. Pur convinto della validità di questo preciso pensiero, si preferisce continuare a parlare solo di reincarnazione, onde non complicare inutilmente la trattazione del tema.

La nostra cultura, le nostre religioni, gli stessi dogmi che le caratterizzano, sembrano negare in assoluto la possibilità che l’uomo possa essere soggetto alla ruota morte-rinascita. Eppure è una caratteristica dell’intera natura. Non c’è vegetale che non si rigeneri da un seme, macerato dapprima nel grembo della terra, per poi rinascere, e dare origine ad una nuova pianta. Non c’è animale che sfugga allo stesso ciclo, così come non c’è bruco che non rinasca farfalla. Perché l’uomo dovrebbe costituire un’eccezione a tale comune, perfetta regola naturale?

Pur non potendo pretendere di spacciarlo come dato di fatto, penso che anche solo considerando l’indubbia, in quanto universalmente riconosciuta, levatura degli innumerevoli personaggi che si sono occupati di questo tema nel corso dei secoli, possa perlomeno giustificare l’interesse, lo studio e la discussione dell’argomento.

Un ricco e sapiente volume edito nel 1961 da Joseph Head e S.L. Cranston (4) elenca innumerevoli citazioni di grandi personalità sul tema della reincarnazione. Significative quelle incluse nella sua prefazione, tra cui “Se l’immortalità non fosse una cosa vera, poco importerebbe della verità di tutto il resto”, nonché un discorso significativo e di chiara logica che ritengo opportuno riportare integralmente:

“Vivere è considerato all’unanimità un viaggio lungo una strada impervia. E una strada impervia che porta in nessun posto, vale la pena di un viaggio? Un mero vivere, che fatica senza senso; ed un mero vivere doloroso, che assurdo!

Allora non esiste nulla in cui sperare, nulla da attendere, e nulla da fare, salvo che aspettare il proprio turno di salire il patibolo e dire addio a questo colossale sbaglio, il mondo pieno di rumore per nulla…

Pensateci, pensateci anche un solo momento. Proclamate agli uomini che la “Morte” è la sola immortale, e non sarà facile consolarli dello spreco di tanto coraggio, di tanta sopportazione, di tanta fede, di tanto affetto, di tanta dolcezza gettati nel vuoto, se rievocano i cuori fedeli, i volti amici, le intelligenze vigorose per sempre scomparsi…

Al di là di tutto questo incombe forse quel pensiero che la morte sembra proclamare, il pensiero della frustrazione e di una fondamentale inanità nel cuore delle cose, la radice stessa della disperazione del pessimista.

Rassicurateli invece che non è così, e la scena cambia. L’orizzonte si schiarisce, la porta si schiude a possibilità insospettate, le cose cominciano ad includersi in un disegno comprensibile…

Se voi non trovate qui, fra uomini che pensano, anche se riluttanti ad ammettere il convincimento che nasce dal loro meditare… il perno della situazione umana, la domanda tesa a quella risposta intorno a cui tutto volge, non so dove andare a cercare…

Immortalità è un termine che garantisce la stabilità, il permanere di quella qualità unica e preziosa che noi scopriamo nell’anima, qualità che, una volta perduta, toglie ogni valore ad ogni cosa al mondo.”

All’autore, W. Macneile Dixon, nel corso della conferenza in cui nel lontano 1936 aveva tenuto il discorso succitato, fu chiesto: “Quale tipo di immortalità potremmo concepire?”. La risposta fu: “Fra tutte le dottrine di una vita futura, la palingenesi o rinascita, dalla quale scaturisce l’idea di preesistenza, è di gran lunga la più antica e la più diffusa, l’unico sistema cui la filosofia può dare ragionevolmente ascolto.”

Arduo a questo punto sforzarsi di continuare a considerare la reincarnazione come pura utopia sentimentale. Un professore universitario piuttosto famoso, naturalista e pragmatico, si era dedicato a spiegare il comportamento umano in termini di condizioni ambientali. Al termine della serie di lezioni sull’argomento, confessò la propria confusione. Quanto gli sarebbe piaciuto credere in quello che aveva detto ai suoi allievi. Ma non poteva scacciare il pensiero che ciascun uomo pare nascere con qualcosa, che né l’eredità né l’ambiente possono spiegare: come il fatto che tra i figli d’una stessa famiglia esistano contrasti caratteriali essenziali, che non possono che colpire, e che non hanno spiegazioni etiche od ereditarie.

Platonici, e soprattutto neoplatonici, si sforzarono di spiegare le differenze fra varie unicità, arrivando a fondere i tre termini eredità, ambiente ed anima, atta ad esprimere ogni cosa. Qui la filosofia della preesistenza, coinvolgente ulteriormente successive rinascite della medesima individualità essenziale, si fa particolarmente stimolante. Lo studio del buddhismo Zen porta a significati vitali, validi per ogni studioso di psicoanalisi. Conduce infatti l’uomo a trovare una risposta al problema della sua esistenza, una risposta fondamentalmente identica a quella reperibile nella tradizione giudaico-cristiana, pur tuttavia non in contraddizione con razionalità, realismo ed indipendenza, che sono le mete preziose conseguite dall’uomo moderno. Paradossalmente la religiosità orientale si rivela più congeniale al pensiero occidentale della stessa religiosità occidentale.

Abbiamo già visto come diversi possano essere i termini usati nel tempo per definire il fenomeno: rinascita, trasmigrazione, palingenesi e metempsicosi. Pur sottilmente differenziandosi tra loro, assumendo ciascuno un significato distinto, definiscono sempre la stessa cosa, l’identico principio. Per semplicità di trattazione, ripeto l’intenzione di non approfondire cavillosamente l’argomento, onde non complicare ulteriormente un tema già di per sé complesso.

Pur non avendo certo la presunzione di voler convincere il lettore sulla validità del principio della reincarnazione, giudico questa come la sola valida a rendere comprensibili ed accettabili i contenuti del presente trattato. Vorrei comunque continuare con questa indispensabile parentesi, citando quanto sostenuto da Ian Stevenson, rettore della facoltà di psichiatria dell’università della Virginia, che nel 1959, trattando “La prova della sopravvivenza da insistiti ricordi di precedenti incarnazioni”, sosteneva:

L’autore di una rassegna di questo genere ha il privilegio, e forse l’obbligo, di dire come ne interpreta personalmente i dati. Pertanto affermo che l’ipotesi per me più plausibile a spiegare i casi esaminati sia la reincarnazione. Questo non significa certo che io li ritenga prove della reincarnazione. Non lo sono affatto. Ma se esamino altre ipotesi, scopro obiezioni o carenze tali da rendermele inadatte a spiegare tutti i casi esaminati, anche se sono utili per alcuni…

La serie di prove considerate non garantisce alcuna definitiva conclusione sulla reincarnazione; tuttavia giustifica uno studio di questa ipotesi molto più esteso ed aperto di quanto non sia avvenuto finora in occidente. Ulteriori ricerche nel campo dei ricordi apparenti di incarnazioni anteriori varranno molto probabilmente a consolidare la reincarnazione come la spiegazione più plausibile di queste esperienze.

Per questa via giungeremo forse ad ottenere prove più convincenti di una sopravvivenza degli uomini alla morte fisica.

Nelle comunicazioni medianiche, il problema sta nel provare che una persona palesemente morta continui a vivere. Nel valutare i ricordi apparenti di precedenti incarnazioni, il problema consiste nel giudicare se una persona palesemente viva , un tempo morì. Questo può rivelarsi il compito più facile, se perseguito con sufficiente zelo e con risultati attendibili, può contribuire decisamente a chiarire il problema della sopravvivenza.

Soprattutto a beneficio degli scettici, come i nostri nonni, caparbiamente ancorati ai dettami della Santa Romana Chiesa, vorremmo ora citare alcuni pensieri trasmessi da Sant’Agostino, probabilmente il più celebre fra i cosiddetti Dottori della Chiesa:

Il messaggio di Platone, il più puro, il più luminoso di tutta la filosofia, ha finalmente dissipato le tenebre dell’errore, ed ora traspare soprattutto attraverso Plotino, platonico tanto simile al suo maestro da far credere che abbiano vissuto l’uno insieme all’altro, o meglio, dato che così lungo periodo di tempo li separa, che Platone sia rinato nella persona di Plotino.

Da: Contra Academicos

Dimmi, Signore… dimmi se la mia infanzia successe ad altra mia età morta prima di essa. Forse era quella l’età che io trascorsi nel grembo di mia madre… e prima ancora di quella vita, o Dio, mia gioia, fui io, forse, in qualche luogo, od in qualche corpo? Non ho nessuno che possa narrarmi di questo, né padre, né madre, né esperienza d’altri, né la mia memoria.

Da: Le confessioni

Inoltre, ecco ancora la citazione di un brano significativo, tratto da un’epistola indirizzata da Sant’Agostino a Demetriade, su cui vale davvero la pena di riflettere a fondo. Vi si sostiene:

Fin dai tempi antichi, la dottrina della trasmigrazione è oggetto di insegnamenti segreti ad esigui gruppi di persone, in quanto Verità tradizionale da non divulgarsi.

Purtroppo il quinto Concilio Ecumenico, manovrato dall’imperatore Giustiniano e contro la volontà dello stesso papa Vigilio (553 d.C.), ha decretato, oltre a ben quindici diversi anatemi antiorigeniani {vedere nota in calce () su Origene}, l’esclusione dalla dottrina cristiana del concetto di preesistenza dell’anima e, implicitamente, della reincarnazione.

Al suo posto venne invece introdotto un nuovo dogma, quello riguardante la resurrezione della carne, tuttora valido ed ipersfruttato, a dispetto d’ogni logica considerazione del suo principio, che vorrei ora enunciare sinteticamente:

Il giorno del giudizio, al suono delle trombe celesti, ogni uomo resuscita dalle proprie ceneri, riacquistando le sue originali sembianze, le sue caratteristiche psicofisiche, per un tempo senza fine.

Non occorre certo sprecare profonde speculazioni filosofiche su tale argomento. E’ sufficiente il buon senso per respingere tale ipotesi estremamente superficiale ed affatto teologica. C’è da credere che il risorto (perché accomunare peculiarità umane e divine, e far credere al povero mortale che sarà esaltato proprio come il Cristo?) abbandoni ogni difetto presentando solo virtù, senza peraltro mantenere la propria personalità.

Per quanto riguarda il corpo, le caratteristiche fisiche, pur trascurando bellezza o bruttezza, che possono essere semplici opinioni, indubbiamente certi difetti somatici, quali gibbosità o simili, sono caratteristiche dell’individuo. Rimarrebbero per sempre?

Non resta che sperare in un corpo fisico risorto in copia riveduta e corretta rispetto alle sembianze mortali. Oppure che i difetti siano esclusi dalle caratteristiche fisiche. Lo stesso sesso può dare adito a perplessità ben pertinenti. Sarebbe un destino ben misero davvero, poiché tali caratteristiche condizionano, e quindi limitano, anche il più comune essere umano, in quanto ragionante. Un destino offensivo verso la naturale tendenza al miglioramento, in ogni senso, già in questo mondo, e quindi ancor più in un regno celeste che non conosca fine.

Infine, come si ritroverebbe nel ritrovato Paradiso Terrestre l’uomo primordiale delle caverne, accostato psicofisicamente all’uomo moderno e del futuro?

Bandendo ogni ulteriore polemica, resta il fatto che fu un sopruso, un vero e paradossale errore, forse davvero subìto dalle autorità della Chiesa, una scorrettezza che comunque continua tuttora ad influenzare pesantemente le coscienze occidentali su questa tematica fondamentale. Basta pensare che solo recentemente la Chiesa ha tolto il veto alla cremazione, la più antica e civile delle sepolture adottate dall’uomo, per secoli punita con la scomunica, poiché implicante la totale distruzione del corpo fisico. Come se l’Essere Perfetto dovesse incontrare umane difficoltà nel ricomporre integralmente un corpo incenerito. Sempre ammesso e non concesso che costituisse Verità la cosiddetta resurrezione della carne.

Rimediare oggi sarebbe, per la Chiesa di Roma, un colpo micidiale a quel Potere temporale cui pare proprio non intenda rinunciare, che si basa prevalentemente sul “ricatto”, imponendo l’alternativa “o credi in me o t’attende la pena eterna”. Opportuno ripetere quanto tale atteggiamento sia in netta contraddizione con la Spiritualità, su cui peraltro tale Chiesa insiste a vantare diritti esclusivi di rappresentanza, nonostante le recenti ma molto limitate proclamazioni ecumeniche!

E’ possibile che si tratti soltanto di prudenza? Alla libertà del lettore ogni considerazione, o speculazione, sull’argomento. Parrebbe forse utile e pertinente pensare ai secoli di ritardo con cui il Vaticano ha ultimamente deciso di annullare un assurdo decreto di scomunica, graziando il povero Galileo Galilei per le sue incaute tesi sul sistema solare. Viene da pensare che Dante Alighieri non sarebbe certo sfuggito al rogo, se non avesse celato per gli intelletti sani … la dottrina che s’asconde sotto ‘l velame de li versi strani.

Questo perché la sua Commedia non evidenzia certo quanto il suo autore pensava e sapeva (chi sa davvero leggere tra i suoi versi non ha dubbi al riguardo) sulle tre dimensioni, trasformate nei tre pseudo-regni dell’oltretomba per uso e consumo esclusivo da parte degli arroganti e spesso addirittura sanguinari governanti romani.

Una speranza resta celata nell’animo dello scrivente: che le residue comprensibili reticenze da parte del lettore, ad accettare come logico e valido il principio della reincarnazione, siano perlomeno scemate, tanto da rendere più accettabili i contenuti più profondi di questo trattato. Da parte nostra, manteniamo la moderata certezza di aver profuso ogni sforzo nel tentativo di concretizzare comprensibilmente le conoscenze dell’autore, anche se elementari, onde porre altri nella condizione di capire al meglio “chi fu, chi è e dove sta andando”.

LA MORTE

Di che fenomeno si tratta, che cosa rappresenta quell’evento avvolto dal mistero, che per molti uomini é un vero incubo, un drammatico evento, che noi tutti conosciamo sotto il nome di morte? Il solo pensarci crea nei più sgomento, costernazione e paura: una vera tragedia, poiché biologicamente significa la nostra fine, e quindi la fine di tutto. Morti noi, morto il tutto. Ma é davvero così?

Dopo quest’unica nostra esistenza, magari condizionata fin dai suoi albori da fattori ambientali non proprio favorevoli, certo pesantemente condizionanti, siamo davvero giudicati e magari condannati per sempre, come ci é stato insegnato, come siamo stati costretti a credere?

Ebbene: pensiamo, e lo ripetiamo, che la risposta risieda nella stessa Natura di cui siamo parte e tra cui viviamo, una Natura che non sappiamo più ascoltare né osservare, sfruttando gli istinti naturali di cui siamo dotati che dovrebbero caratterizzarci. La Natura, il Creato, la più semplice ed evidente conferma della perfezione del grande mosaico universale.

Pur essendo convinti che non possa essere concessa all’uomo la completa penetrazione del segreto della morte, almeno finché non abbia raggiunto un certo grado di elevazione morale od evoluzione spirituale che dir si voglia, gli studiosi credono che la morte non sia altro che un fenomeno, attraverso cui l’uomo semplicemente si spoglia dell’involucro che ricopre la sua componente immortale.

Anche prendendo in considerazione il caso più penoso, rappresentato dal decesso dopo una lunga e dolorosa malattia, la morte fisica non provoca sofferenza alcuna, essendo una vera liberazione da ogni afflizione, da ogni affanno, da ogni dolore. Una realtà ben confermata dall’aspetto placido solitamente assunto dalle persone, specie subito dopo il “trapasso”. Trattasi semplicemente del passaggio mai traumatico, in quanto evanescente, sfumato come una vera dissolvenza incrociata, dalla materia (piano fisico) all’energia (piano astrale). Nei primi momenti non ci si rende neppure conto di quanto è avvenuto.

Dapprima si vede con stupore il proprio corpo, da una certa distanza. Un corpo ormai inerte, che non riconosciamo neppure più come nostro, che nostro intuiamo però essere da certi particolari, come da un anello, o da un indumento, oppure da quanti gli vediamo vicini e che riconosciamo: medici affannati nel tentativo di rianimare quel corpo, parenti ed amici afflitti, costernati, impotenti. L’intera scena è lì, davanti a noi, chiara in ogni dettaglio, come se la si osservasse dall’alto, da una certa distanza, certo ben superiore alle dimensioni della stanza in cui s’é consumata la tragedia. Come se le pareti, lo stesso soffitto, fossero spariti, oppure diventati trasparenti alla nostra osservazione.

Proprio a questo punto tutti dovrebbero (chiariremo in seguito questo condizionale di estrema importanza) essere letteralmente trascinati, come da un vortice impetuoso ed irrefrenabile, lontani da quel corpo che si é appena lasciato. Ci si ritrova in un tunnel oscuro, entro cui si è sospinti da una forza immensa, sovrumana ed indolore. Al fondo del tunnel si intravede una luce splendente, cui ci si avvicina piuttosto rapidamente, ed in cui infine ci si ritrova. Subito si è circondati da amici e parenti trapassati, che si prodigano in ogni modo per tranquillizzarci, rassicurarci, spiegarci quanto è successo, chiarendo fenomeni di cui non possiamo essere ancora ben coscienti. Ci vuole ben poco per convincerci, perché sarebbe forse sufficiente anche soltanto (!) quello splendore luminoso mai visto prima, quell’ambiente davvero “paradisiaco”, a troncare in noi ogni pena o preoccupazione residua.

Sempre, anche allorché la morte è giunta improvvisa, inaspettata, per esempio a seguito d’un incidente, l’individuo vede allora scorrere davanti a sé, come in una proiezione cinematografica, tutti gli avvenimenti della sua vita trascorsa, compresi i dettagli di apparente minore importanza. Egli vede sé stesso nella sua piena realtà, senza alterazioni e deformazioni derivanti da adulazione o da inganno.

Quindi, con la morte, non avviene alcun brusco mutamento nell’uomo. Egli, ora corpo astrale, resta esattamente com’era prima, con la sola, unica, seppur enorme differenza, che non dispone più di un corpo fisico. Conserva però ancora lo stesso carattere, le stesse virtù e perfino gli stessi vizi. La perdita del corpo non provoca in lui alcuna trasformazione, proprio come non ci si trasforma allorché ci si libera di un soprabito, o quando si cambia abitazione, essendo la precedente diventata troppo angusta, o comunque non più adatta a soddisfare le nostre esigenze presenti e future.

Ecco quindi già una prima, validissima ragione per arrivare “da viventi” alla conoscenza, alla presa di coscienza, di quanto ci attende da morti; onde non portare con noi infondate paure, falsi fantasmi, ingiustificati spauracchi o stupide presunzioni, che certo turberebbero la visione dei dettagli dell’ultima esistenza, fino a distorcerla. Questo ostacolerebbe, soprattutto, la comprensione delle motivazioni karmatiche che stavano a monte delle vicende di cui siamo appena stati protagonisti, nonché delle cause che abbiamo creato, in noi e negli altri, che hanno generato gli effetti delle prossime esistenze. In sintesi, anche qui è di enorme vantaggio la più genuina delle umiltà!

Concludo questo capitolo asserendo che talvolta succedono casi di morte apparente, o fenomeni di premorte, di coma profondo ma reversibile. In queste rare eventualità, dopo aver ammirato lo splendore luminoso, precedentemente definito paradisiaco, e dopo aver ricevuto il conforto di quei trapassati che ci sono stati cari, ci si ritrova abbagliati dalla stupenda, paterna e confortante visione di entità superiori, quali la figura fulgente ed inconfondibile del Cristo.

E’ a questo punto che si può essere informati che non è ancora giunta la nostra ora, che non abbiamo ancora portato a termine la nostra missione nel mondo fisico, per cui si deve rientrare in esso attraverso proprio quel corpo che avevamo appena lasciato.

Difficile descrivere la resistenza opposta a tale richiesta imperiosa, assolutamente irrespingibile, tanta era la felicità profonda ed incredibile colà provata. Comunque, nonostante tutto, si “deve” ritornare: e si ritorna davvero, ritrovandoci tra medici increduli e parenti dapprima sbalorditi, poi commossi fino alle lacrime.

Quando poi incautamente rivelassimo quanto s’è visto dopo il trapasso, certi atteggiamenti od azioni particolari di medici o parenti che abbiamo “visto” dall’alto, risulta ardua ogni spiegazione, poiché lo scontro con l’incredulità talora beffarda risulta sempre duro da sostenere. Per cui si preferisce poi tacere, mantenendo nel segreto più intimo quella meravigliosa esperienza.

Cosa resta in questi casi in colui che ha vissuto tale avventura? L’assoluta indifferenza davanti al fenomeno morte, sempre! Il che non è poco. Spesso ne consegue anche una svolta brusca nel sistema di vita, nelle scelte essenziali, con un deciso orientamento verso gli aspetti più puramente spirituali, come la soppressione degli egoismi e l’esaltazione dell’altruismo più assoluto.

Sull’argomento è consigliabile la lettura dei volumi editi dal Dott. Raymond A. Moody, specie della “Vita oltre la Vita”, illustrante oltre 2000 di questi casi scientificamente esaminati, alla cui più recente edizione è stata allegata una davvero eloquente (io voglio aggiungere “molto realistica”) videocassetta di affascinante, istruttiva visione (4).

CONSIDERAZIONI

Chiaro quindi che la morte non rende tutti uguali, come i poeti romantici amano sostenere, e si premurano di farci credere. Proprio perché la perdita del corpo fisico non implica cambiamento alcuno nella nostra natura; per cui fra i trapassati esiste altrettanta varietà di intelligenze e di carattere che fra i viventi. Prima conclusione, quindi, è che dopo la morte non si vive una vita strana, nuova, ma una vita che, sebbene in condizioni diverse, non è che la naturale continuazione di quella condotta precedentemente sul piano fisico. Nessun trauma, quindi, nessuno davvero.

All’inizio, specie in occidente, si stenta a credere d’essere morti, dal momento che si può vedere, udire, addirittura quasi toccare, e soprattutto pensare, esattamente come prima. Ma ben presto si comincia a prendere coscienza del nuovo stato, e ad afferrare, anche grazie alle delucidazioni offerteci dai vari assistenti che ci circondano premurosi, le differenze esistenziali tra passata vita fisica e presente vita “astrale”.

Prima di tutto ci si accorge che nell’Aldilà non vi sono più dolori né fatiche, e che desideri e pensieri si manifestano visibilmente. Come si pensa qualcosa, qualunque essa sia, ci ritroviamo immediatamente al cospetto dell’oggetto del nostro pensiero. Un fenomeno davvero affascinante, se il pensiero é stato semplice e pulito; un evento scioccante se abbiamo pensato a qualcosa di terrificante, come vedremo meglio in seguito.

Quindi si capisce che amici e parenti incontrati sono “identificati”, non attraverso la “visione” del loro corpo fisico, cosa impossibile per l’assenza del corpo e quindi degli occhi, ma “vedendo” energeticamente, ovvero intuendo chiaramente la presenza dei loro corpi eterei. Questi possono manifestare anche sentimenti ed emozioni, quali amore, odio, gelosia, invidia, bontà e cattiveria. Ne consegue che v’è maggior possibilità di turbamento e di influenza originati dai sentimenti, dato che non c’è più corpo fisico ad attutire le sensazioni.

Specie nei paesi orientali, molte persone, appena trapassate, vengono a trovarsi in situazioni estremamente sgradevoli, allorché si imbattono in forme pensiero da loro stessi create (abbiamo visto come nel mondo astrale il pensiero sia sempre creativo: come si pensa a qualcosa, ce la ritroviamo davanti, senza limitazioni da spazio e tempo, colà insignificanti, inesistenti). Sono conseguenti le reminiscenze di credenze loro inculcate nel corso dei secoli dalla religione, dalla superstizione popolare e dalle tradizioni, cose da loro recepite attraverso l’educazione o lo stesso ambiente.

Trattasi appunto della materializzazione mentale, realizzata tramite il pensiero, di quelle figure talora mostruose, allucinanti, poste a monito decorativo dei templi asiatici. Si tratta di figure di demoni sadici e crudeli, immagini di divinità colleriche e feroci, scene aberranti di punizione o di dannazione eterna, che fanno ormai parte della conoscenza acquisita, per cui risultano accoppiate, in simbiosi, coll’ideale divino. Purtroppo costoro potrebbero trascorrere anche lunghi anni di travagli, simili alla “sofferenza”, prima di riuscire a dissolvere il loro corpo astrale, liberandosi definitivamente della disastrosa influenza di tali pensieri folli ed insensati.

Al riguardo, il danno peggiore arrecato in occidente proviene da talune chiese protestanti, e soprattutto dalle sette operanti ai margini di queste, tra cui spicca la perniciosa setta dei “Testimoni di Geova”, con le loro catastrofiche visioni epurative imperanti nel cosiddetto loro Regno.

Quanto alla Chiesa Cattolica, s’è accennato come s’avvicini molto all’esatta concezione del mondo astrale mediante la dottrina del “Purgatorio”, o “Limbo” che dir si voglia, così come fa la religione Buddhista proponendo il cosiddetto “Bardo”. Qui si preferisce comunque evitare qualsivoglia commento polemico sulla cosiddetta condanna alla pena eterna del famigerato Inferno, effetto o pena infiniti da causa o peccato finiti, parto decisamente interessato di talune gerarchie ecclesiastiche, indegno di considerazione umana, assolutamente impossibile nell’assoluta perfezione divina.

La permanenza sul piano astrale dura mediamente sui venti o trent’anni ma, in casi particolari (occorre qui usare termini di misura di tempo prettamente umani che però, lo ripeto, non hanno senso alcuno nel mondo astrale), può essere di pochi minuti, ore o giorni, come pure di secoli. Gli studiosi della materia annoverano, tra i casi eccezionali vagliati, quello della grande Elisabetta I Tudor, regina d’Inghilterra, uscita solo recentemente dal suo piano astrale, avendo trascorso tutti questi secoli dopo la morte a compiere vani, ed ovviamente infruttuosi, tentativi per trasmettere ed infondere nei suoi successori sul trono britannico le proprie illuminate idee politiche e di governo. Può essere considerato un caso esemplare, cioè un valido esempio di come si possa perdere tanto tempo, unicamente a causa dell’attaccamento morboso, esasperato alla materia che si è abbandonata con la morte.

La questione dell’intervallo tra due vite terrene, ovvero tra due diverse incarnazioni o materializzazioni, è piuttosto complessa, ma merita comunque qualche ulteriore accenno.

Anche se, al di fuori del mondo fisico, “spazio e tempo” perdono completamente significato, tale durata dipende in larga misura dal genere di vita condotto dall’individuo sul piano fisico, dalla sua evoluzione spirituale, nonché dall’attitudine mentale tenuta subito dopo la morte. Ecco identificata l’importanza della conoscenza individuale della realtà di quella diversa dimensione.

Ad esempio, ci sono spiriti molto evoluti che si reincarnano quasi senza interruzione, così confermando gli insegnamenti della religione buddhista. Vi sono però, al contrario, uomini eminenti nel campo dell’arte, della scienza o della religione, che dimostrano una generale tendenza per una vita astrale più lunga, a causa del loro esasperato attaccamento a quanto hanno lasciato nel piano fisico. Per costoro i tempi saranno certo decisamente più lunghi.

La vita astrale può essere diretta dalla volontà individuale, come può esserlo la vita fisica. Ne consegue che l’uomo dotato di volontà debole e vacillante sarà lo zimbello dell’ambiente che s’è creato, mentre quello deciso e risoluto saprà mettere a profitto ogni occasione o situazione per migliorare la sua conoscenza, e quindi per progredire nella propria evoluzione.

Altrettanto determinante è l’opera decisa, tesa a sbarazzarsi delle cattive tendenze. Opportuno ripetere ancora quanto inestimabile sia il valore assunto da un’adeguata conoscenza, anche se soltanto a livello culturale, delle reali condizioni della vita dopo la morte, proprio quale qui umilmente proposta, sebbene in forma decisamente elementare. Una conoscenza che sarà portata appresso e che, si può almeno già intuire, sarà determinante: almeno per evitare pesanti condizionamenti mentali.

Importantissimo sarà lo riuscire ed estraniarsi interamente, specie col pensiero, da ogni cosa fisica, fissando l’attenzione sulle cose spirituali. Un atteggiamento questo che facilita di molto la disgregazione del corpo astrale, evitando allo spirito di attardarsi inutilmente sui gradi inferiori dell’altra dimensione.

Molti purtroppo rifiutano l’indirizzo del pensiero verso le cose superiori, attaccandosi con morbosa caparbietà alle cose terrene che hanno lasciato. Col tempo, seguendo il normale cammino evolutivo, anch’essi riusciranno a perdere il contatto con i mondi inferiori mentre, resistendo, vanno incontro a numerose ed inutili limitazioni, molto simili a reali sofferenze. In realtà abbiamo visto che la sofferenza, in assoluto, non esista più in quella dimensione. Si sarà invece seriamente ritardato il cammino verso la Luce, ovvero verso la meta finale dello spirito, verso il piano etereo.

Il modo peggiore per prepararsi alla vita dell’Aldilà consiste in un’esistenza inutile e monotona, priva di valori e di interessi significativi. Una vita fisica spesa in trivialità e pettegolezzi, in interessi unicamente competitivi, sportivi, in moda od in altre simili facezie, comporterà una vita astrale insulsa e scolorita.

Nel mondo astrale non si proveranno sofferenze, ma non si potrà nemmeno godere di alcuna gioia intensa. Non avendo coltivato alcun valido interesse superiore nella vita fisica, non se n’avrà alcuno neppure nella vita astrale.

Ancor peggio si troverà chi ha vissuto tra violenti desideri di tipo inferiore, come l’ubriacone od il sensuale incallito. Trovandosi privi del corpo fisico indispensabile a soddisfarli, tali desideri non potranno che provocare enormi problemi. Da questo traggono origine le descrizioni di fiamme del Purgatorio, che si trovano in quasi tutte le religioni, simbolo tuttavia insufficiente a definire le tormentose condizioni di una certa vita astrale.

Sulla base di ciò, è legittimo affermare che l’uomo crea da sé il proprio purgatorio, che pertanto non è affatto una località, ma un particolare stato di coscienza. Ripetendo che l’inferno non possa essere altro che l’invenzione ricattatoria immaginata da certi teologi ben interessati, né il purgatorio né l’inferno stesso potrebbero essere comunque eterno luogo di pena per l’individuo, poiché già s’è accennato a come una causa finita non possa certo produrre effetti infiniti.

Diversa è invece la situazione dell’individuo che sul piano fisico abbia condotto una vita nobile ed elevata, avendovi mostrato interessi razionali o spirituali, come per la musica, la scienza, la letteratura, le arti o la filosofia. Per costui la vita astrale è davvero un “Paradiso”, anche se ancora vero Paradiso non è.

Non solo vi potrà continuare ad ascoltare bella musica come in vita, ma vedrà soddisfatta la sua sensibilità musicale in modo più completo, giacché sul piano astrale esistono suoni, armonie e colori, la cui perfezione trascende di molto i valori parametrici del mondo fisico.

Abbiamo visto come tempo e spazio non abbiano più significato alcuno in quel nuovo mondo. Non avendo più bisogno di tempo od energie da dedicare al guadagno, sarà completamente libero di fare quanto più gli aggrada, potendosi ora spostare facilmente ed istantaneamente ovunque gli piaccia, privo com’è dell’ingombrante e pesante fardello fisico e dei relativi acciacchi o condizionamenti.

Lo storico avrà a sua disposizione le biblioteche di tutto il mondo. Lo scienziato si avvarrà dei migliori laboratori, trovandosi in condizione di comprendere appieno la natura di ogni fenomeno. Infatti potrà ora vedere anche il funzionamento interno delle cose cui mette mano, venendo perciò a scoprire le cause di cui prima non conosceva che gli effetti. In quest’attività l’uomo non solo non prova alcuna fatica, ma si ritrova pervaso da una gioia immensa e da un’indicibile soddisfazione.

Un insieme definibile semplicemente “pura felicità”, provata con un’intensità assolutamente mai riscontrabile sul piano fisico!

Generalmente la vita sul piano astrale è decisamente più attiva che non sul piano fisico, essendo la materia astrale più “vitalizzata” della materia fisica, mentre le forme risultano maggiormente plastiche, proprio perché conseguenza diretta del pensiero. Ne consegue che le possibilità di godimento e di progresso sono maggiori rispetto al piano fisico ma, data la loro levatura, impongono per il suo sfruttamento una superiore dote d’intelligenza.

Il materialista (sul piano fisico che ha lasciato) si vedrà precluso lo sfruttamento delle condizioni più elevate disponibili nella vita astrale, mancando il suo spirito atrofizzato della forza necessaria per comprendere le possibilità di livello superiore ora, solo potenzialmente, a sua disposizione.

Ad una discreta percentuale di trapassati viene affidato il compito di “angelo custode” o “spirito guida”, in realtà vero “amico” degli incarnati, e questo per un certo numero di anni, di norma per l’intera esistenza dell’assistito. Lo spirito guida si prodigherà al massimo delle sue possibilità per consigliare, suggerire, ispirare al meglio l’amico “in” cui convive. Lo fà per più d’una sola seppur valida ragione.

Innanzitutto poiché “deve” osservare scrupolosamente la legge dell’Amore, per cui aiuta a far operare le scelte più appropriate per l’evoluzione spirituale dell’individuo durante l’intero corso della sua esperienza terrena. Inoltre l’eventuale salto di qualità ottenuto da quest’ultimo implica anche un analogo progresso acquisito dall’assistente. Per cui questi ha tutto da guadagnare nel “darsi da fare, ed al meglio”!

Succede anche che una madre si assuma il compito di vigilare e proteggere il figlio lasciato orfano, che l’affezionato marito assista la propria vedova, o che l’amico si incarichi di prestare aiuto e sostegno all’amico che ha lasciato.

Questo avviene perché il trapassato, “vedendo” piangenti i figlioli da lui o lei lasciati orfani, il congiunto o l’amico disperati per la sua dipartita, tenti in ogni modo di consolare, di aiutare o di comunque sistemare chi ha lasciato.

Durante varie riunioni medianiche, alcuni hanno tentato, a più riprese ma inutilmente, di convincere una madre disperata ad “andare in pace”, dato che lei si stava affannando nella ricerca di un adottatore per i bimbi che aveva abbandonato.

L’amata vedova lasciata sola e sconsolata potrà indurre il defunto ad almeno attenderla lì dove si trova, anche se questi è ben cosciente che si tratterà di decenni. In tutti i casi, il disincarnato decide così di non avviarsi verso la Luce che intravede, rimanendo a stretto contatto con chi ha lasciato, inconsolabile, nel mondo fisico.

Ecco individuata un’ulteriore causa di ritardo nell’ascesa verso la Luce, possibile, come s’è visto, soltanto attraverso la preventiva totale disgregazione del corpo astrale.

In casi eccezionali, uno scrittore, un compositore od un artista, vogliono e possono assumersi il compito di comunicare le proprie idee ad un vivente, il quale ne diventa lo strumento più o meno passivo. Sono molte le opere attribuite a persone viventi, che in realtà rappresentano il lavoro di “trapassati” in piena attività artistica nel mondo astrale. L’esecutore solo raramente ha coscienza della provenienza astrale della sua “ispirazione”, operando egli, nella quasi totalità dei casi, in stato di completa incoscienza, quasi di “trance”.

Discretamente diffusa nel mondo artistico la conoscenza di casi in cui famosi musicisti sono di norma protagonisti di splendidi concerti quali solisti eccezionali, spesso come violinisti o pianisti, che agiscono in questo peculiare stato di ispirazione.

Sono anche noti i casi, talvolta segnalati dalla cronaca, di mirabili sculture, di norma lignee, oppure di scritti di pregevole valore letterario, realizzate o redatti in tempi eccezionalmente brevi da individui in genere caratterizzati da scarsa cultura o preparazione, ma sempre dotati di rara, elevata sensibilità, e quindi in grado d’entrare in rapporto con creature del mondo astrale.

Nel corso dell’intero periodo di permanenza nel piano astrale, lungo o breve ch’esso sia, l’uomo può essere raggiunto dalle influenze terrene. Frequente il caso in cui il dolore straziante o le invocazioni dei parenti e degli amici rimasti sulla terra, provochino forti vibrazioni nel corpo astrale del trapassato, risvegliando così la sua mente. Sto parlando della cosiddetta “evocazione”, effettuabile anche in questo modo, solo apparentemente innocente, ma sempre molto deleteria.

Scosso dal suo torpore e rinverditi i suoi ricordi terreni, può essere indotto ad usare la propria volontà per mantenersi in contatto con il piano fisico, giungendo anche a tentare di comunicare attraverso l’aiuto di mediatori (medium). Tale risveglio è quasi sempre accompagnato da sensazioni negative, “del tutto simili ad indicibili sofferenze”, poiché spesso viene così sensibilmente ritardata l’ascesa spirituale, come s’è visto precedentemente esaminando i casi penosi della madre, del vedovo o dell’amico.

Vedere, al riguardo, il profondo, toccante messaggio, ricevuto medianicamente, rivolto “a tutti noi viventi” da un’Entità piuttosto evoluta, che parlava proprio “a nome di tutti “loro””, riportato nella chiusura di questo “vademecum” col titolo “Se mi ami, non piangere”!

Questo messaggio intende mettere tutti in guardia sul “come” ricordarli. Infatti, mentre il ricordo sereno ed affettuoso rappresenta una forza positiva che favorisce l’evoluzione dell’estinto, il dolore e la desolazione, o peggio ancora gli appelli morbosi ed egoistici (a questo proposito risultano senz’altro dannosi i disperati tentativi di comunicare coi propri morti effettuati dai fanatici della psicofonìa) non solo sono assolutamente inutili, ma risultano fortemente nocivi, dato che possono ingenerare nei nostri “cari” sofferenze e turbamenti tali da rallentarne considerevolmente il cammino ascensionale.

E’ su questo presupposto che la religione indù prescrive ai suoi adepti le cerimonie del “Shraddha”, mentre la religione cattolica invita i suoi fedeli a pregare per i morti ed a far celebrare sante messe in suffragio dei defunti.

Preghiere, cerimonie rituali e messe di suffragio, qualora “ben” recitate ed officiate, hanno il potere di creare vibrazioni benefiche che, operando sul corpo astrale, ne accelerano la disgregazione, spingendo lo spirito verso la propria elevazione. Una messa che venga celebrata con l’intenzione ben precisa di aiutare l'”anima” di un morto, produce indubbiamente un beneficio nel destinatario, grazie all’effusione di forza, di energia messa in movimento.

La forza-pensiero diretta verso il defunto attira inevitabilmente la sua attenzione, coinvolgendolo direttamente nella cerimonia in atto, e permettendogli di fruire immediatamente dei benefici risultati. La corrente di forza si sprigiona evidentemente tanto dal sacerdote officiante quanto soprattutto dall’affetto, dall’amore dei parenti ed amici presenti alla cerimonia, cioè da quanti sono con la mente veramente rivolta al “caro estinto”. Ad un amico che si lamentava con un’Entità per la superficialità con cui un sacerdote aveva officiato una messa di suffragio per la sorella, fu risposto che lui stesso aveva commesso l’errore più grave poiché, distraendosi per osservare il livello di partecipazione alla funzione di prete, parenti ed amici, aveva perso una grande occasione: quella di celebrarla lui stesso quella particolare messa, se davvero ci teneva tanto!

Oltre alle preghiere ed alle messe di suffragio dirette a determinate persone, risultati notevoli vengono ottenuti dalle preghiere generali per i defunti, come pure i voti sinceri e spontanei espressi nel corso di messe festive o di talune cerimonie periodiche previste dal calendario ecclesiastico. A questo riguardo l’Occidente deve molto a quegli ordini religiosi che, giorno e notte, nel silenzio dei loro monasteri, si sacrificano pregando con devota convinzione per le anime dei fedeli deceduti.

TESTIMONIANZE

Il maldestro autore intende qui offrire al lettore, a tutto il suo prossimo, con tutto l’Amore di cui è capace, due piccole ma per lui significative esperienze personali, rivelatesi importanti poiché hanno decisamente contribuito a rafforzare le sue più intime convinzioni, confermandone la piena validità.

Egli aveva sempre mantenuto un caldo, cordiale contatto con la sua maestra elementare, che gli aveva voluto un gran bene durante e dopo il loro rapporto scolastico. L’aveva visitata spesso, ricevendone dimostrazioni di grande affetto, e venendo sempre citato ad esempio alla scolaresca del momento. Ricorda in particolare il giorno in cui ha visitato la sua classe in divisa da sottotenente dell’esercito, quanto e come la sua vecchia maestra fosse fiera di lui, specie al cospetto dei suoi scolaretti. Come affettuosamente gli si rivolgeva nelle dolci lettere che gli inviava poi periodicamente ovunque si trovasse, anche in lontani continenti, lettere che gelosamente conserva e rilegge con commozione.

Allorché le rese note talune sue preliminari deduzioni (alcune di queste sono state qui sommariamente esposte) sulle cose più importanti per ogni mortale, urtò inconsapevolmente contro le idee dell’insegnante, fermamente ancorate alla più conservatrice dottrina cattolica apostolica romana. Lei rispose con scetticismo duramente critico, per cui gli ultimi “suoi” anni esistenziali furono caratterizzati da un congelamento progressivo dei rapporti con l’antico allievo.

Egli sentiva d’essere ormai considerato quasi alla stregua di un nemico, forse diabolico! Quanta amarezza in lui, dato che la definiva (e Lei condivideva tale espressione) sua seconda mamma, specie dopo un quarto di secolo dalla dipartita della sua prima, quella naturale.

Quale pena reprimere il desiderio intenso di incontrarla, allorché era rimpatriato definitivamente, vivendo a poca distanza da Lei, dopo vari anni di peregrinazioni professionali intorno al mondo. Ma le rare telefonate avevano confermato il gelo esistente in lei, seppur velato dalla sua tipica gentilezza più che squisita.

Infine un breve necrologio su un diffuso quotidiano gli annunciava la sua morte, allorché aveva già ben superata, in piena salute e lucidità, la novantina (si vantava d’essere coetanea di Sandro Pertini). Non ebbe modo di partecipare, come avrebbe voluto, ai suoi funerali, né gli fu possibile conoscere il luogo della sua sepoltura.

Pochi anni dopo egli si trovava nel cimitero d’una cittadina di provincia, ove giacciono la madre e tutti i suoi parenti paterni, dai nonni in giù. Effettuava con la sua compagna di vita un tragitto diventato ormai automatico, onde visitare ogni congiunto, cui era legato da numerosi, teneri ricordi. Un percorso quasi obbligato, quindi.

Quel giorno, giunto a metà di quel percorso, sentiva improvvisa la necessità assoluta ed impellente di adottare una strada completamente diversa dalla solita. Doveva farlo, e lo fece, anche se non ne capiva la ragione, dato che si dirigeva verso un’ala del cimitero a lui sconosciuta, per lui priva di interesse alcuno.

Non seppe dare spiegazione alcuna alla consorte che, paziente, gli venne comunque appresso. Si ritrovarono in un vicolo cieco, una zona in cui predominavano tombe familiari e sacelli collettivi di ordini religiosi. Egli volse lo sguardo intorno, quasi annoiato, subendo alfine una strana attrazione verso la tomba di una famiglia il cui nome suonava e gli era del tutto insignificante, sconosciuto. L’ultima lapide in fondo, a livello del pavimento, ebbe il potere di farlo trasalire, di farlo sussultare per l’emozione profonda da cui era pervaso: era la sua tomba, l’estrema dimora della sua cara maestra. Il suo adorato nome, la sua cara immagine (anche se troppo giovanile) ne erano la piena conferma.

Superava panico e commozione intensissima, anche grazie all’aiuto della sua compagna, ora cosciente ed attonita per la ragione di quella che, prima, era stata un’inspiegabile deviazione di percorso. Subito dopo egli sentiva chiaramente la sua voce squillante, la voce della sua vecchia, cara maestra, che gli sussurrava all’orecchio: “Perdonami: “ora” so che avevi ragione tu”. Fu una rivelazione fulminea, che colpì la sua mente, in ogni suo più recondito anfratto. Quale scioccante seppur meravigliosa conferma alle sue convinzioni!

Fu tra calde, spontanee lacrime, che riuscì ad esternare la propria gratitudine verso la sua seconda mamma. Riuscì solo a dirle d’andare in pace, poiché nulla, assolutamente nulla doveva perdonarle!

Esperienza analoga ebbe modo di ricavare con il suo ultimo direttore di stabilimento, al quale aveva avuto modo di confidare talune sue convinzioni sul senso della vita. Ne aveva ricavato soltanto reazioni scettiche ed ironiche. Era spirato improvvisamente, due giorni dopo avergli confermato per l’ennesima volta la sua intenzione di porre rimedio ad un pesante torto inflittogli, torto che gli aveva troncato definitivamente la carriera. Una promessa che ovviamente non aveva potuto mantenere.

Circa tre anni dopo la sua scomparsa, stava percorrendo in auto la recinzione secondaria del cimitero monumentale della sua città natale, sulla via del ritorno verso casa. Contrariamente alle sue abitudini, dato che era sempre di corsa, registrava un’ora di anticipo rispetto alle previsioni: aveva cioè “tempo da perdere”.

Nessun interesse lo legava a quel cimitero ma, nonostante tutto, qualcosa lo costrinse a fermarsi, a parcheggiare, e ad accedervi. Si guardò intorno, osservò il lungo viale che avrebbe dovuto portare all’entrata principale, ma non poteva fare a meno di chiedersi: che ci faccio qui?

Ancora una volta dovette avviarsi verso un enorme campo, con centinaia di tombe interrate, cosparse di piante e fiori. Era stato poi trascinato letteralmente davanti ad una tomba, al centro del campo, una tomba ornata da due piccoli cipressi, che naturalmente non aveva mai visto prima di allora. Sul grande marmo scuro, posato in prossimità del suolo, vide impresso il suo nome, inaspettatamente, lì, davanti a lui, preceduto da un assurdo “Dott. Ing.” ora privo di ogni significato. Ed ancora una volta non riuscì a trattenere l’ondata di commozione che lo pervadeva con veemenza.

La conclusione fu assolutamente identica all’episodio della sua cara maestra. Chiara, seppur sommessa, la sua richiesta di perdono: per il torto inflittogli e soprattutto per aver schernito le sue confidate convinzioni. “Povero Giovanni, gli disse, va, va in pace anche tu!”

Quanta forza avrebbe poi potuto ricavare da queste piccole ma meravigliosamente significative esperienze dimostrative …

CONCLUSIONI

Al termine di questa breve e temo troppo semplificata trattazione del mondo astrale e dei suoi abitanti, si potrebbe affermare quanto sia evidente che tempo di permanenza nel “Purgatorio” ed influenzabilità dal piano fisico, sono inversamente proporzionali al livello evolutivo ed alla conoscenza dell’individuo. Ovvero, quanto più elevata sarà la sua evoluzione spirituale, cioè il livello di completamento conoscitivo della coscienza, tanto più breve risulterà il tempo liberatorio o di ascesa verso la “Luce”, verso il mondo spirituale. Proprio perché è minore l’attaccamento alle materiali cose terrene che si sono lasciate.

Il livello evolutivo è preesistente in noi, ci identifica, e non dipende certamente dalla nostra volontà, almeno in quest’esistenza. Non possiamo quindi che tentare di migliorarlo, vivendo il più spiritualmente (ed il meno materialmente) possibile. Se non altro per vivere la prossima incarnazione in modo migliore (spiritualmente) rispetto alla presente. Il tutto mai dimenticando la regola secondo la quale l’incarnato ha l’assoluto dovere di rispettare entrambi gli estremi della natura di cui fa parte, appunto sia la materia che lo spirito.

Per quanto riguarda invece la conoscenza di come siano organizzate le cose oltre la fatidica “soglia”, l’umile, piccolo autore del presente, che esagerando potrebbe definirsi “Vademecum dei morti occidentali”, si augura di cuore d’essere almeno riuscito a far capire qualcosa di nuovo al paziente ascoltatore od all’attento lettore.

Esclusivamente suo ora il compito di speculare sull’importante argomento, magari approfondendolo attraverso ulteriori e più dotte letture, facendo confronti, assoggettandosi a riflessioni e meditazioni. Anche solo per vivere un pò meglio l’incarnazione da ciascuno voluta perché meritata: perché la vita non rappresenta che il premio conquistato da chi ha compreso appieno la sommatoria di cause ed effetti di tutte le sue esistenze terrene.

Certo è che trattasi di un qualcosa che riveste, nelle intenzioni, enorme rilevanza, poiché consente di affrontare nelle migliori condizioni un’esperienza conclusiva cui nessuno, assolutamente nessuno, grazie alla perfezione dei divini disegni, può sottrarsi. Su questo, almeno non esiste dubbio alcuno!

A questo punto potrebbe essere forse giustificata la ripetizione della domanda: ma allora, cos’è la morte? Da quanto s’è tentato di inculcare nella mente del destinatario di questo messaggio particolare, non può che emergere un’unica e chiara risposta (non certamente mia) a tale naturale quesito:

La morte è un passaggio, un’evoluzione, un compimento, un giungere ad una meta inimmaginabile, a completamento di un cammino iniziato con un fine vago.

Se non sei preparato, il rimpianto sarà struggente, ti tormenterà, e ti darà nostalgia di ciò che hai lasciato.

Ti parrà di aver perso tutto, e vorresti ritornare per riaverlo. Ti parrà di essere stato punito, e ti verrà spontanea la domanda:”Perché proprio io”?

Ma se il tuo spirito avrà il sopravvento capirai, sarai cioè cosciente, che quanto ti sta accadendo non costituisce altro che la tessera di un mosaico, che piano piano si completerà, con te artefice e te spettatore!

Allo scettico che rimanesse inflessibilmente fermo nelle sue personali e diverse conclusioni o convinzioni, la comprensione più piena ed assoluta da parte di chi ritiene di credere davvero d’aver avuto la buona sorte di “conoscere”.

La conferma di quanto sopra sommariamente esposto non già ai posteri, bensì a tutti, là, oltre “quella” soglia. Sarà proprio in quella dimensione che il modesto autore di quest’umile tentativo di chiarire questo particolare aspetto della vita attenderà il confronto con i dissenzienti di oggi, auspicando che non vi siano colleghi uomini influenzati da ideali testardi e conservatori, magari perché direttamente interessati. A buon intenditor … poche parole.

A questi eventuali “poveracci”, ottusi oppure ignoranti, che persistessero a “tramare mugugnando all’ombra della loro propria illusione”, tutta l’umanamente possibile compassione per la pesante “causa”, cui non potrà che seguire il pesante onere dell'”effetto” da subire nella loro prossima esperienza terrena. “Uomo avvisato … mezzo salvato”.

E’ giusto che gli esseri umani restino tali, con le loro inevitabili imperfezioni, con i loro caratteristici piccoli e grandi dubbi, tutti “indispensabili per la loro crescita”, per la loro evoluzione spirituale.

Crescita od evoluzione che è stata da ciascuno voluta e meritata, decisa ancor prima della nascita, e per la cui acquisizione si ritrovano oggi incarnati, uomini tra uomini, tutti tesi ad inconsapevolmente compensare gli effetti di cause originate nella precedente esistenza, nonché a creare nuove cause per gli effetti di esistenze future. Sia della propria quanto di tutti coloro che incontrano, a cui si trasmette, e da cui si riceve, soltanto quanto assolutamente dovuto, senza casualità alcuna. Questa è la vita, fino al completamento del nostro tassello, parte del grande mosaico, ovvero della cosiddetta coscienza universale!

In chiusura, ecco il preannunciato messaggio particolare, ricevuto per affidabilissima via medianica da qualcuno, ansioso di rassicurare i viventi sulle condizioni di quanti non sono più nel nostro mondo fisico.

Sarebbe opportuno considerarlo una vera implorazione, rivoltaci dall’amata/o che ci ha lasciato, esprimente il “suo reale sentire”.

Invito con tutto il cuore il paziente lettore a rifletterci sopra davvero a fondo, facendolo proprio, almeno per il vero benessere di chi non è più in questo mondo fisico, nella nostra dimensione, ed a cui diciamo di voler bene, il solo modo per dimostrare a noi stessi che il nostro Amore non è retorico ma reale, profondo ed effettivo:

Se mi ami, non piangere!

Se tu conoscessi il mistero immenso del Cielo ove ora vivo; se potessi vedere e sentire quello che io sento e vedo in questi orizzonti senza fine ed in questa Luce che tutto investe e penetra, non piangeresti, se davvero mi ami.

Sono ormai assorbito dall’incanto di Dio, dalle Sue espressioni di infinita bontà, e dai riflessi della Sua sconfinata bellezza. Le cose di un tempo sono così piccole e meschine al confronto.

Mi è rimasto l’affetto per te, una tenerezza che non ho mai conosciuto. Ci siamo amati e conosciuti nel tempo, ma tutto allora era così fugace e limitato. Ora l’Amore che mi lega profondamente a te è gioia pura e senza tramonto.

Mentre io “vivo” nella serena e gioiosa attesa del tuo arrivo tra “noi”, tu pensami così.

Nelle tue battaglie, nei tuoi momenti di solitudine e di sconforto, pensa a questa meravigliosa casa dove io ora abito, dove non esiste la morte, e dove ci disseteremo insieme, nel trasporto più puro e più intenso, alla fonte inesauribile dell’Amore e della Felicità!

Non piangere più, se veramente mi ami!

Anche se non piacerà a quei romantici sognatori che hanno recentemente diffuso lo stesso succitato messaggio, spacciandolo per sublime testamento spirituale inviato dal buon Federico Fellini all’inconsolabile consorte Giulietta Masina che aveva da poco (e per poco) lasciato, confermo che esso fu emesso almeno un lustro prima della morte dell’indimenticabile regista cinematografico.

Non me ne vogliano: sono sospinto unicamente dal desiderio di evitare ogni menzogna, anche quella altrui. Non esprimo critica, e tantomeno giudizio, sull’opportunità di sfruttare un fenomeno emotivo che ha profondamente impressionato l’intera nazione, avendo forse la sola attenuante di voler rendere tale già nobile messaggio ancora più credibile.

L’autore conclude qui questo modesto contributo al progresso dell’umana specie. Si tratta di un messaggio che, repetita juvat, intende comunque dedicare a tutto, tutto quanto il suo amato prossimo, unitamente all’espressione della sua profonda, immensa gratitudine verso Colui che è in lui, Ispiratore del suo pensiero umano, incomparabile Alleato, Amico fedele, e, per sua fortuna, Assistente fermo e determinato in ogni suo intervento. A Lui, che l’ha ispirato, é dedicato questo “Vademecum dei morti occidentali”, ideato e scritto per il bene ed il progresso dell’Umanità.

Bibliografia:

(1) Mondo astrale, di G. Gangi (Ed. Hermes 1980)

(2) Maestro, perché?, del Cerchio Firenze 77 (Ed. Mediterranee)

(3) Le Grandi Verità, del Cerchio Firenze 77 (Ed. Mediterranee)

(4) La vita oltre la vita, di Raymond A. Moody (Ed. Lyra Libri 1994)

(5) La Reincarnazione, a cura di Joseph Head & S.L. Cranston (Ed. Longanesi 1973)

(6) L’Esoterismo, di Hans Krofer (Ed. Cartedit 1992)

(7) Esiste l’Al di là, di Lino Sardos Albertini (Ed. Luigi Reverdito 1985)

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