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    L’Ordine del Tempio

    Non si può parlare del famoso Ordine del Tempio senza aver prima chiarito lo scenario storico che ha fatto da sfondo all’origine di quest’ordine religioso e cavalleresco. Si tratta di una scenografia particolare, focalizzata su una serie di eventi, definiti crociate, che hanno dato lustro ad un medioevo europeo fino ad allora decisamente opaco: era l’uscita dagli anni cosiddetti bui di quell’epoca disordinata, confusa e decisamente povera di grossi significati storici.

    Con il termine di crociate vengono definite le spedizioni che l’Europa cristiana organizzò contro i Musulmani tra l’XI ed il XIV secolo, per “liberare dal giogo dell’Islam le terre di Palestina, ma soprattutto Gerusalemme, la città santa”. Quell’Europa stava giusto uscendo da quello che ho definito il periodo più buio del medioevo. Sventata con le armi la minaccia degli Arabi, cacciati dalla Sicilia, dalla Sardegna e da buona parte della Spagna, grazie anche al loro notevole indebolimento conseguente lo smembramento del potente califfato di Baghdad.

    L’Europa quindi si avviava verso un movimentato periodo di rinnovamento politico ed economico, iniziatosi con i Carolingi, esprimendosi nel rifiorire dei mercati e di tutte le attività finanziarie. Eliminato il plurisecolare dominio arabo nel Mediterraneo, le grandi città marinare, capitanate da Bisanzio, si erano affacciate ai porti ed ai mercati orientali. Bisanzio, per la sua collocazione geografica, rappresentava l’accesso naturale a quel mondo. Dopo un lungo periodo di grande splendore, dotata di una solida ed efficiente organizzazione interna nonché di una capacità diplomatica eccezionale, era arrivata a controllare agevolmente l’intero territorio anatolico.

    Roma continuava a vedere nell’impero bizantino il sostenitore dell’eresia, quindi l’avversario da contrastare. Ma allorché nel X secolo i turchi Selgiuchidi erano avanzati fino alla porte della stessa Bisanzio, il grande Alessio Comneno, visti vanificati gli sforzi compiuti per fermare quella pericolosa avanzata che metteva in pericolo la sicurezza dell’intero occidente, richiedeva l’aiuto dell’Europa. La risposta non era stata affatto pronta, poiché le proposte strategiche avanzate erano state molto discordi. I Normanni infatti avevano addirittura sostenuto l’opportunità di occupare Bisanzio.

    Tuttavia nel Concilio di Clermont del 1095, papa Urbano II proponeva come obiettivo la conquista di Gerusalemme e dei luoghi sacri al cristianesimo, piuttosto che la sola difesa diretta di Bisanzio. Si trattava di due diversi scopi non incompatibili tra loro, ma la soluzione proposta dal pontefice presentava l’enorme vantaggio della popolarità, offrendo la possibilità di far presa sui sentimenti delle grandi masse popolari dell’occidente cristiano.

    Vari fattori avevano creato un entusiastico supporto alla causa della prima crociata. Oltre agli interessi politico economici, si aggiungeva l’orrore per i terrificanti racconti giunti all’Europa sulla sorte dei pellegrini in Terrasanta. Il fanatismo religioso, scatenato da personaggi come Pietro l’Eremita di Amiens, aveva spinto masse di entusiasti che si erano disordinatamente avviati lungo il Danubio, venendo subito decimati ed annientati dai turchi.

    Forze regolari venivano allora faticosamente organizzate ed affidate al comando di Goffredo di Buglione, contrastato però da altri quotati condottieri, quali Boemondo d’Altavilla, duca di Taranto, nonché Raimondo di Tolosa e Roberto di Normandia. Il risultato era stato che ben quattro diverse spedizioni si erano avviate, nel 1096, verso l’obiettivo.

    Gerusalemme veniva liberata tre anni dopo, e Goffredo vi assumeva il titolo di Protettore del Santo Sepolcro. Un solo anno dopo Goffredo moriva, e suo fratello Baldovino veniva proclamato re del regno Latino di Gerusalemme, con il nome di Baldovino I. Ad eleggerlo era stato un misterioso consesso dotato dell’eccezionale potere di creare addirittura una nuova stirpe regnante, l’Ordine di Sion, legato in qualche modo a Pietro l’Eremita.

    Siamo comunque arrivati all’anno 1100.

    L’ordine religioso e militare degli Ospitalieri si era da tempo costituito, e vigilava con successo sulla sicurezza dei molti pellegrini che affluivano con ogni mezzo nel luoghi santi, finalmente liberati dalla dominazione araba.

    Questo era il quadro politico palestinese nel momento in cui l’ordine del tempio compare sullo scenario storico europeo ed orientale.

    Per comunque concludere il tema delle crociate, occorre considerare, seppur sinteticamente, che quelle ufficiali dovevano risultare ben sette, ovvero:

    • II Crociata (1147-1149): promossa dal papa Eugenio III, sostenuta da Bernardo di Chiaravalle, veniva capitanata dal Re Ludovico VII di Francia, e dall’imperatore Corrado III di Svevia;
    • III Crociata (1189-1192): era stata organizzata e guidata da tre diversi sovrani, ovvero Federico Barbarossa, Riccardo I detto Cuor di Leone e Filippo II Augusto di Francia;
    • IV Crociata (1202-1204): promossa dal papa Innocenzo III e comandata da Bonifacio, marchese del Monferrato, che risultava utile solo a Venezia, che vedeva rafforzato il suo dominio politico commerciale;
    • V Crociata (1228-1229): decisa nel 1215 dal Concilio laterano su sollecitazione del papa Onorio III, veniva capitanata dall’imperatore Federico II, poi scomunicato da Gregorio IX per aver preferito la trattativa e la tregua d’armi al confronto militare;
    • VI Crociata (1248-1254): decisa dal concilio di Lione nel 1245, e condotta da Luigi IX Re di Francia, detto il Santo;
    • VII Crociata (1270): è stata l’ultima, ancora capitanata da Luigi IX, si esauriva nel vano assedio di Tunisi, durante il quale moriva lo stesso sovrano francese.

    Numerose altre crociate erano state organizzate, oltre a quelle ufficiale sopra elencate, talune in modo sommario o decisamente maldestro, con esiti incerti o trascurabili, per cui non vale almeno qui la pena di soffermarsi oltre sull’argomento.

    Alcuni nobili cavalieri si erano organizzati fin dal 1113, per contribuire in qualche modo alla protezione dei pellegrini. Però era stato solo nel 1118 che, con l’appoggio entusiastico di Bernardo di Chiaravalle, nove di loro si erano presentati al Re Baldovino II in Gerusalemme, per ottenere l’autorizzazione formale alla costituzione di un ordine religioso militare, specificatamente preposto alla protezione dei pellegrini. Ottenevano il consenso, ed anche l’assegnazione di una vasta ala dello stesso palazzo reale, costruita sui resti della moschea di Omar e del tempio di Erode.

    Oggi si sa per certo che quei nove cavalieri restavano racchiusi nella sede loro assegnata per nove lunghi anni, dedicati esclusivamente a veri e propri scavi archeologici, una campagna condotta soprattutto nelle fondamenta del tempio in cui risiedevano. Il risultato era stato a dir poco eclatante, di primaria importanza storica.

    Portavano infatti alla luce un tesoro immenso, in oro, argento e pietre preziose, con cui rimpinguavano le esauste casse dell’ordine cisterciense di Bernardo di Chiaravalle, ma soprattutto si avviavano a costituire un vero impero finanziario, che li avrebbe imposti al mondo intero. Avevano così formato la prima ricchissima banca europea.

    Avevano anche ritrovato importantissimi documenti, tra cui numerosissime testimonianze religiose relative all’intero periodo biblico, fino al momento in cui erano stati nascosti, secondo precise direttive impartite da Mosé stesso, dalla comunità essena di Qumran, che li custodiva gelosamente fino al 68 d.C., poco prima cioè della conquista romana di Gerusalemme, culminata con la distruzione del Tempio (70 d.C.). Il contenuto di tale documenti, di cui non esistono che pochi stralci giunti a noi tramite gli archivi vaticani e grazie al rigido intervento di Napoleone Bonaparte che ne aveva imposta la consegna, sono deducibili dalle copie rinvenute nel 1947 nelle grotte di Qumran. Si tratta dei famosi manoscritti detti “del Mar Morto”, la seconda copia occultata dagli Esseni nello stesso tempo degli originali nascosti nel tempio di Erode.

    Prima di approfondire le molteplici significanze dei contenuti di quei preziosi ed eloquenti documenti, occorre ancora notare che venivano alla luce anche antichi piani architettonici, risalenti alla IV – V dinastia egizia, portati in Israele al tempo dell’esodo. Questi permettevano ai templari di estendere la loro operatività alla costruzione di splendide cattedrali, prima fra tutte quella di Chartres, orgoglio dell’architettura medievale, di cui tuttora l’Europa è giustamente fiera.

    La documentazione che doveva risultare più determinante per le sorti dell’Ordo Templi, doveva però essere quella religiosa. Superate notevoli difficoltà incontrate per la loro lettura ed interpretazione, i Templari si erano trovati a disporre di prove storicamente inconfutabili di portate immane.

    • Gesù non era un dio, ma un comune mortale, dotato di cultura e carisma eccezionali;
    • Gesù aveva un fratello, noto come Giacomo il Giusto, eletto a suo successore, quale capo della chiesa primitiva, liturgicamente legatissima alla religione ebraica;
    • Saulo di Tarso, ovvero san Paolo, creatore del Cristo, era un personaggio ambiguo, che si era inventata una forma ellenistica dei fatti messianici, ben lontana dalla realtà, propagandola tanto tra i gentili da imporla su ogni altra interpretazione, drasticamente soppressa e considerata eretica;
    • San Pietro, sostenuto da Paolo di Tarso, aveva letteralmente usurpato l’eredità messianica, su cui era stato fondato il potere spirituale (e temporale) della chiesa di Roma.

    Il possesso di tali importanti informazioni non aveva comunque distolto i Cavalieri Templari dalla missione che si erano impegnati a svolgere. Si erano rafforzati, erano diventati ormai migliaia, osservavano una Regola monastica redatta per loro dallo stesso Bernardo di Chiaravalle (basata sui perpetui voti di povertà, castità ed obbedienza secondo il Codex Iuris Canonici del 488), avevano tracciato sicure vie di comunicazione, che presidiavano grazie ad una flotta organizzata ed a Commende e Grange fortificate ed auto sufficienti, dotate di castelli ed ospedali.

    Ovviamente, pur rispettando pienamente il pontefice quale capo supremo dell’ordine, nonché la stessa religione cristiana ufficiale, già il primo Gran Maestro, Hughes de Payns, aveva favorito l’adozione di rituali incorporanti l’essenza delle nuove conoscenze acquisite. In particolare il rituale di iniziazione dei neo Cavalieri comprendeva passaggi evocanti le scoperte fatte nel Sancta Sanctorum del tempio di Erode, e le essenzialità dei documenti religiosi portati alla luce. Si trattava comunque di complementarità, che potevano benissimo convivere con la Regola dell’Ordine.

    Purtroppo le condizioni finanziarie del re Filippo IV di Francia, detto il Bello, diventavano col tempo disastrose. Pesantemente indebitato con l’Ordine del Tempio, impossibilitato a saldare il debito contratto, vista la misera fine dei vari tentativi perpetrati per assumere il controllo dell’Ordine, al sovrano francese non restava alternativa alla eliminazione dello scomodo ed inopportuno creditore.

    A conoscenza della componente “eretica” della ritualità templare, escogitava, attraverso la calunnia, la provocazione della condanna formale da parte della chiesa, ovvero la scomunica e, naturalmente, la confisca dei beni. Incontrava però la decisa opposizione del papa Bonifacio VIII, estremamente restio alla soppressione di un ordine cui ben poco (o nulla) aveva da rimproverare. Al sovrano non restava quindi alternativa possibile: doveva portare al più presto al soglio di Pietro un pontefice nuovo, casalingo, estremamente fidato. Ci riusciva mediante la soppressione, in un breve lasso di tempo, di ben due diversi pontefici, ovvero dello stesso Bonifacio VIII e del suo successore Benedetto XI. Con l’elezione a papa del fido Bertrand de Goth, vescovo di Bordeaux, che assumeva il nome di Clemente V, aveva finalmente successo la sua strategia.

    Con il Concilio di Vienna l’Ordine veniva presto scomunicato, i beni confiscati e ben 15.000 Cavalieri arrestati, soprattutto in territorio francese. Il tribunale della Santa Inquisizione avviava subito la propria intensa attività, sotto le direttive di Filippo IV e del sommo inquisitore, il domenicano Guglielmo di Parigi, dottore in teologia e confessore del re.

    In particolare l’ultimo Gran Maestro in carica, Jacques de Molay, veniva sottoposto alla tortura della crocifissione, proprio perché il rituale templare declassava la croce alle elementari significanze materialistiche, escludendo le sublimazioni magiche imposte dalla chiesa di Pietro. Quasi morente, veniva affidato alle cure della famiglia di Geoffrey de Charney, maestro templare di Normandia. Il suo corpo veniva avvolto in un sudario di lino, sul quale restavano impresse le sue fattezze ed i segni delle torture subite. Il sudario era stato lavato con cura, ma le impronte non venivano rimosse affatto. Era stato poi ripiegato e riposto in una cassa. Cinquant’anni dopo, nel 1357, era stato ritrovato dai de Charney, e messo in mostra a Livey, per commemorare l’anniversario delle torture.

    L’immagine visibile nel tessuto era, e tuttora è, incredibilmente nitida. Reagendo chimicamente con l’incenso ricco di carbonato di calcio, allora usato come sbiancante, l’acido lattico contenuto nel sangue aveva impresso nel sudario i tratti fisici di Jacques de Molay. Il suo lungo naso, i capelli lunghi fino alle spalle, scriminati al centro, la folta barba biforcuta e la corporatura di un uomo sano alto circa un metro ed ottanta: tutto combacia perfettamente con la descrizione pervenutaci dell’ultimo Gran Maestro.

    Occorre notare che Gesù, secondo le informazioni fornite dagli ufficiali di Ponzio Pilato allo storico Giuseppe Flavio, era “un uomo in età matura, dall’aspetto semplice e dalla carnagione scura, di bassa statura, non più alto di tre cubiti (circa un metro e mezzo), gobbo, con il viso lungo, il naso prominente e le sopracciglia unite al centro, tali da rendere il volto torvo. I capelli sono radi, con la scriminatura centrale, secondo l’usanza dei nazirei, e la barba poco folta”. Questa la descrizione fornita dal citato cronista nella sua “Guerra giudaica”. Un’immagine in deciso contrasto con quella tramandata dalla tradizione cristiana. Una descrizione forse ritenuta offensiva o blasfema dal cristiano attuale. Ma come ignorare il fatto che la chiesa si sia sempre rifiutata di riconoscere nella Sindone di Torino il sudario di Gesù Cristo? Senza contare che recenti indagini, eseguite da eminenti scienziati su diversi frammenti della Sindone con il metodo del Carbonio 14, hanno concordemente datato il reperto come risalente a “non prima del 1269”. Una data perfettamente compatibile con la precedente descrizione degli eventi, riferiti però al martire Jacques de Molay.

    Il 19 marzo 1314 i macabri bagliori di un rogo parigino segnavano la fine definitiva dell’ultimo Gran Maestro dell’Ordo Templi, giustiziato insieme ai Cavalieri visitatori Hughes de Payrand, Goffredo de Conneville e Goffredo de Charney.

    La leggenda nata dalla presunta maledizione lanciata prima della morte da Jacques de Molay contro i suoi due persecutori, non può che suscitare ragionevoli perplessità. La pressoché immediata morte sia di Clemente V che di Filippo IV, più che far pensare ad un improbabile intervento divino, fa credere ad un ultimo ordine impartito ai cavalieri superstiti, Questi non erano certo pochi, molto probabilmente qualche migliaia, ed erano presenti ad ogni livello sociale elevato, anche addirittura ai vertici. Non era quindi compito proibitivo portare a buon fine quell’ultimo compito loro assegnato.

    La grande flotta ormeggiata a La Rochelle era misteriosamente scomparsa nel corso della notte precedente l’esecuzione dell’ordine di cattura e di sequestro. Ci sono tracce incontestabilmente evidenti sulla sua destinazione. Una parte era approdata in Scozia, mentre una seconda, più ridotta, aveva seguito verso occidente il 40° parallelo, diretta verso l’ancora sconosciuta Merica. Il contingente avventuratosi oltre oceano aveva in seguito raggiunto il grosso della flotta.

    I Cavalieri avevano trovato in Robert Bruce, re di Scozia con il nome di Roberto I, un appassionato protettore. Questi li aveva infatti subito integrati nella Loggia massonica di Kilwinning, poi elevata di grado e ribattezzata Gran Loggia Reale di Hérédom. Nel tardo XIV secolo i Templari avevano edificato la suggestiva cappella di Rosslyn, l’unica poi risparmiata, non certo casualmente, dal massone Cromwell, che aveva invece raso al suolo tutte le chiese scozzesi. Copia esatta del tempio di Erode, essa è decorata con capitelli ed architravi raffiguranti, oltre a vari simboli massonici, mappe di mais e foglie di aloe, vegetali di esclusiva origine americana, quindi allora del tutto sconosciuti in Europa. Si era infatti ad oltre un secolo prima dell’impresa di Cristoforo Colombo (1492).

    Abbiamo visto che la cappella di Rosslyn risulta essere la copia esatta del tempio di Gerusalemme, e pare che lo sia in ogni dettaglio, anche nelle fondamenta. Là, sotto un’enorme pietra, proprio al centro del pavimento, i sondaggi effettuati hanno rivelato la presenza di una fitta rete di ampi cunicoli. Secondo la tradizione, di cui è custode la nobile famiglia Sinclair, proprietaria della cappella, vi sarebbero custoditi quattro enormi bauli, contenenti almeno tutte le documentazioni originali rinvenute dai templari nel tempio di Erode.

    Quell’enorme botola sta per essere formalmente rimossa proprio ai giorni nostri. Presto dovremmo essere informati su quanto vi è stato rinvenuto: allora certo ce ne potremo interessare ulteriormente (però ora sono trascorsi circa cinque anni, e non se ne è saputo più nulla, il che da certo da pensare)..

    La fantasia umana si è ripetutamente scatenata su questo mitico Ordine. Gli stessi massoni vantano il possesso della sua tradizione, ed hanno ideato ordini e gradi che definiscono di stretta discendenza templare. Penso che l’unico tra questi che forse possa legittimamente considerarsi erede dell’Ordine sia il Gran Priorato di Scozia, con sede in Edimburgo. Chi vi parla ha ricevuto direttamente dal Gran Maestro di quest’ordine i gradi di cavaliere di Malta e di cavaliere del Tempio, ben tre lustri orsono. Sono dotati di un rituale molto suggestivo, che rievoca soprattutto il ritrovamento del favoloso tesoro culturale e finanziario nel tempio di Erode di Gerusalemme.

    Anche il Rito di York conferisce i gradi di cavaliere di Malta e del Tempio, quali massimi gradi dell’istituzione. Anche qui il rituale, da me vissuto, è coinvolgente, a volte drammatico, facendo trapelare un aspetto del tutto nuovo della figura messianica e del significato della croce. Purtroppo si tratta di un rito eccessivamente teatrale, seppur dedito ad una più che meritoria azione filantropica, concretizzata in un’efficientissima rete di ospedale oftalmici da loro mirabilmente gestita. Le uniformi adottate sono simili a quelle degli ufficiali nordisti della guerra civile di secessione, e vengono sistematicamente esibite nel corso di pubbliche, sontuose parate.

    Il 30° grado, dei Cavalieri Kadosch, conferito sia dal Rito Scozzese Antico ed Accettato che dal Rito di Memphis e Misraim, è di chiara ispirazione templare. Non vi sono però contenuti rituali particolari che possano far pensare ad interpretazioni diverse o dissacranti su quelle che si è usi definire verità della fede cattolica.

    Non intendo dilungarmi oltre, con la trattazione di ulteriori minori organizzazioni che vantano una discendenza diretta dall’Ordine del Tempio, trascurando ovviamente con cura di documentare in qualche modo tale assurda ed infondata pretesa.

    Giunti alla conclusione di questa tavola, ritengo opportuno proporre, a titolo di morale, un argomento che penso degno di profonda riflessione, che emerge qui come in ogni evento storico valutato a fondo. Da sempre, anche ai giorni nostri, emerge qualcuno, od un ordine più o meno misterioso, oppure ancora un’istituzione, che si arroga il diritto di decidere le sorti dell’umanità, forte del potere detenuto e dell’intelligenza superiore di cui è presuntuosamente convinto di essere dotato. Quel qualcuno si spinge a spostare a suo piacimento addirittura i confini tra bene e male, che non è mai stata (si badi bene) di collocazione divina. Ne consegue un motivo di perplessità estrema: in tali condizioni può l’essere umano pensare ancora, e seriamente, di essere veramente arbitro del proprio destino? Come si può ancora sostenere, specie a livello collettivo, la validità del libero arbitrio?

    Quel particolare qualcuno continua ancora e sempre ad esistere, imponendo la propria autorità decisionale, a tutti, quasi esclusivamente per finalità puramente egoistiche, tese all’ulteriore potenziamento del potere di cui già è dotato. La storia insegna che l’umanità è stata e continua ad essere succube di quel qualcuno, per cui quel libero arbitrio pare proprio confinato entro i ristretti confini di quella che può unicamente essere definita pura utopia. Si, questo è certo argomento di meditazione per tutti gli esseri umani ragionanti, o perlomeno per quanti siano forti della biblica dote definita “buona volontà”.

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