Massimo Cacciari: «Il Papa deve smettere di fare il katéchon!»

«Il Papa deve smettere di fare il katéchon!»esclamò d’improvviso Massimo Cacciari. Mi stupì la sua foga e ancor più il fatto che subito dopo parve pentirsi, come se la parola gli fosse sfuggita. Era un giorno del settembre 1993 e io lo stavo intervistando nella sua casa tersa, piena di volumi. Fuori, Venezia si sfaceva nel suo mare fecale, sotto un cielo grigio.

Katèchon? Non ricordo molto di greco. Dovetti chiedergli che cosa volesse dire. «Katéchon è ciò che trattiene», rispose Cacciari guardandomi incerto: «Ciò che trattiene l’Anticristo dal manifestarsi pienamente. San Paolo, ricorda?». Ora ricordavo: seconda lettera ai Tessalonicesi. Il passo enigmatico in cui Paolo di Tarso accenna al futuro manifestarsi dell’Anticristo, Anomos: «II figlio di perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra tutto quel che si adora come Dio, tanto che siederà egli stesso nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio». Ma non crediate che la venuta dell’Anticristo sia imminente, aggiunge subito l’apostolo. C’è qualcosa che «trattiene» l’Anticristo dall’irrompere nel mondo.

Ė qualcosa di misterioso, di cui san Paolo deve aver già parlato in passato ai fedeli di Tessalonica. «Non vi ricordate come io, quand’ero tra voi, vi dicevo tali cose? Perciò voi sapete che cosa sia quel che lo trattiene, affinché sia manifestato a suo tempo. Perché è già al lavoro il mistero d’iniquità, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Allora sarà la manifestazione dell’Iniquo». Che cosa può essere «ciò che trattiene» l’Anticristo? Cercai di ricordare. Mi risposi che, genericamente, doveva essere la fede cristiana, forse la Chiesa, i sacramenti. Cosi pareva intenderlo Cacciari, del resto, e mi stupì anzitutto che egli pretendesse dal pontefice che «smettesse» di fare ostacolo all’Anticristo, che cessasse di far da argine alla Perdizione. Per quanto patetico appaia oggi quest’argine, se è poi la Chiesa, di fronte all’edonismo e alla secolarizzazione, se sono questi i segni dell’Anticristo, come si può chiedere al papa di non opporsi al Male? Mi domandai anche: perché Cacciari desidera accelerare l’avvento dell’Anticristo? [1]

La nostra conversazione, fino a quel momento, non faceva prevedere quell’esito. Lo stavo interrogando sui «valori» della cosiddetta «etica laica». Mi rispose, sarcastico, che, per cominciare, andava sgombrato il campo dall’abuso, dalla ripetizione a vanvera del termine «etica». «Ethos, o per i latini Mos, non è affatto ciò che noi oggi intendiamo per “etico” o “morale”. Ethos non indicava comportamenti soggettivi; indicava la “dimora”, l’abitare in cui ogni uomo si trova alla nascita, la radice a cui ogni uomo appartiene. In questo senso, un greco non era più o meno “etico” per sua scelta o volontà. Egli apparteneva ad un ethos. A una stirpe, a un linguaggio, a una polis. Che non era stato lui a scegliere».

Come nell’induismo, osservai: dove un uomo, per il fatto di nascere in una precisa casta, appartiene alla sua casta. Ed è soggetto allo swadharma, la «legge» (dharma, che significa anche «dovere» e «destino») propria della sua (swa) casta. In India non esiste una morale; esiste un dharma per ogni casta e il dharma del contadino è diverso da quello del re, ciascuno ineluttabile e non evitabile.

Cacciari annui: «Ogni società tradizionale ha, o meglio è, un ethos. Ogni società tradizionale, come un albero rovesciato, ha la sua radice nella legge divina, nel nomos. La legge della polis, dice Erodoto, è l’immagine di Dike». L’ethos, ripete, impone all’uomo valori che non è lui a scegliere, a decidere, ma a cui appartiene. Ma in Europa questa appartenenza è entrata in crisi quasi fin dall’inizio. Per l’uomo europeo è venuto molto presto il tempo della frattura con l’ordine degli dèi; il tempo della decisione. L’ethos era già in crisi profonda con l’ellenismo, «cosmopolita» ossia sradicato. «E duemila anni fa, l’ethos ha cessato completamente di esistere».

Duemila anni fa, quando Cristo apparve nel mondo? «Sì, il cristianesimo è stato dirompente rispetto ad ogni ethos». Per provarmelo, Massimo Cacciari cercò un passo nel “De Civitate Dei”. Non riuscì a trovarlo; me ne dette un riassunto ad sensum. «Sant’Agostino lo dice chiaramente: la Città di Dio è pellegrina in terra; ne segue che il cristiano non ha casa o è a casa sua dovunque. Il cristiano “non si cura” dei diversi costumi, delle diverse leggi, delle diverse istituzioni con cui la pace terrena si ottiene o si mantiene». (Ho scoperto dopo che Massimo Cacciari cita quel passo con precisione nel suo Geo‑filosofia dell’Europa, editore Adelphi, p. 116: è il cap. XIX, 12‑17, del De Civitale Dei). Il cristianesimo non ha più radici in costumi tradizionali, in una polis specifica, in un ethos; non ha più nemmeno una lingua sacra.

Ciò vuol dire, continuò, che il cristianesimo si rivela essenzialmente sovversivo dell’Antichità e dei suoi valori; che esso spezza definitivamente i legami fra gli dèi e la società. L’ethos antico era una religione civile; gli dèi erano, inevitabilmente, gli dèi della polis, Erano dèi di ferro: Socrate fu condannato perché la sua libera investigazione offendeva gli dèi della polis, ma radicavano l’uomo, lo riparavano dalla decisione. Il cristianesimo, consumando la rottura con gli dèi della Città, sradica l’uomo: «Con il cristianesimo comincia la nostra “etica” come decisione, come un sistema di valori che io scelgo, come “libero arbitrio”». Uno stato doloroso: il cristianesimo, nella visione di Cacciari, getta l’uomo nella libertà come un naufrago è gettato nel mare in tempesta.

«E la Chiesa è perfettamente consapevole di quanto sia tragica la libertà che ha donato all’uomo. Già Agostino paventa che, sradicati gli dèi della Città, la città dell’uomo diventi il campo dove si scontrano meri interessi, il regno della forza. Per questo tutta la cultura cristiana è un correre ai ripari contro la tragedia che ha provocato, una tensione disperata a riparare il pericolo che viene dalla frattura tra la Città di Dio e la città dell’Uomo. In questo senso, è davvero la Chiesa a fondare la civiltà europea. Perché l’Europa, la sua storia, è la storia di questo sradicamento, dell’angoscioso obbligo di decidere che deriva dalla perdita definitiva dell’ethos. Ė la storia delle soluzioni disperate che l’Europa via via escogita per darsi leggi “morali” le quali ‑ senza sopprimere la libertà ‑ trattengano la società dal divenire il campo della pura violenza».

Ma queste norme, non più radicate nel Sacro, sono per forza precarie, sostenne Cacciari; esse devono continuamente essere «superate». «E qui è la grandezza dell’Europa e la sua miseria: il suo sforzo bimillenario per dare norme a una libertà che è sempre sul punto di delirare. Il fatto è che il cristianesimo, liberando l’uomo dall’ethos, libera in lui la potenza del pensiero: il potere di mettere in discussione ogni tradizione ricevuta, il potere che tutto oltrepassa».

Non potei fare a meno di notare lo stupefacente corollario a cui conduceva quest’ordine di pensieri: la secolarizzazione totale che viviamo sarebbe dunque figlia della sovversione originaria operata dal cristianesimo. In apparenza antagonisti, l’Illuminismo libertino di cui subiamo gli esiti estremi e la Chiesa, avrebbero in realtà la stessa radice. Protestai (temo troppo debolmente) che non poteva essere; che anche l’ethos cristiano è radicato nel sacro … Cacciari m’interruppe con impazienza: «La vera differenza è che il cristianesimo sa che la volontà dell’uomo è ferita. Che diventando libero, l’uomo diventa libero di fare il male. Ogni “morale” laica e illuminista presuppone il contrario: che ogni uomo ha in sé i princìpi universali dell’azione. Che il bene è scritto nella sua coscienza e gli basta seguirla».

L’Illuminismo è pelagiano nel senso più lato, aggiunse: nega il peccato originale, crede che l’uomo possa salvarsi da sé. «Di più: ogni etica laica suppone che tutto ciò che si manifesta in me come mia natura è buono. Dunque i miei appetiti vanno soddisfatti perché buoni. Anzi, di più: perché necessari. Lungi dal predicare, come fanno i parroci, che gli appetiti vanno “ordinati”, il laicismo pone proprio gli appetiti alla base del vivere civile».

Come, come? «Per esempio, la borghesia crede che il libero espandersi degli egoismi e degli interessi individuali dia luogo a quell’armonia collettiva che chiama “mercato” e di cui scopre adorante le leggi: le “leggi del mercato”. Il marxismo, dal canto suo, ha creduto che dalla lotta scatenata fra le forze economiche potesse nascere l’armonia finale, la “società senza classi”. Ė la scoperta delle economie politiche. Che non a caso sorgono nell’Ottocento, insieme all’estetica».

L’estetica è la «scienza» che scopre le leggi del godimento soggettivo, come l’economia politica è la «scienza» che scopre le leggi dell’interesse individuale, mi spiegò. «Sono queste due “scienze” a costituire la Modernità, e precisamente questa Modernità che oggi il cattolicesimo si trova davanti come il Nemico».

Il giovane filosofo nero barbuto alludeva al Nemico finale, all’Anticristo? «Negli ultimi settant’anni», continuò lui, «La Chiesa ha creduto che il Nemico fosse il comunismo. Non era sbagliato; il comunismo ha scatenato, ha portato alle ultime conseguenze, la volontà di potenza europea. Il comunismo affermava: l’uomo si salva da sé, armato di economia e di estetica. La Chiesa, giustamente, l’ha sentito come una sfida mortale. Oggi che il comunismo è caduto, però, contro la Chiesa si rizza il Nemico vero, il Nemico finale: un sistema estetico economico totalmente secolarizzato».

Qui capivo meglio a che cosa Cacciari alludesse: quell’ultimo Nemico era già stato identificato dal chiaroveggente Del Noce. Ẻ il capitalismo ulteriore al comunismo, che ingloba in sé le larve psichiche e sociali scampate alla decomposizione del marx­leninismo: «l’intellettuale dissacratore come custode del nichilismo», «trasformato in funzionario dell’industria culturale alle dipendenze del potere» economico. E’ «lo spirito borghese allo stato puro» a cui si riduce la copula necrofila del capitalismo con lo spettro del marxismo, devitalizzato della sua tensione escatologica. Del Noce aveva previsto: il comunismo sconfitto, «trasformato in una componente della società borghese ormai completamente sconsacrata», dominata «da una nuova classe che tratta ogni idea come strumento di potere». Il comunismo addomesticato in «partito radicale di massa, adatto a mantenere l’ordine in un mondo da cui qualsiasi religione è scomparsa»; quello del capitalismo internazionalista, del Nuovo Ordine Mondiale tecnocratico.

Insomma: il peggio dei due sistemi che, falsi antagonisti, anelavano in realtà ad adottarsi l’un l’altro: sì, poteva ben essere questa una buona descrizione dell’Anticristo. Ma Cacciari già continuava: «Per anni la minaccia comunista ha causato un’alleanza forzata tra la Chiesa e il sistema laico borghese. Ora quest’alleanza, che era finta fin dal principio, non è più possibile. Nessuna composizione è possibile tra la Chiesa e lo spirito borghese, con la sua “etica laica”. Per un motivo preciso: che il cristiano deve mettere in discussione ogni sistemazione puramente terrena. Lui, “pellegrino” su questa terra, sa che ogni sistemazione della Città dell’Uomo è transeunte, che deve essere superata».

La sovversione cristiana si volge dunque ora contro il totalitarismo borghese radicale? «Lo spirito estetico­-economico borghese non tollera di essere messo in discussione; non ammette di poter essere superato». Mi parve di leggergli negli occhi l’evocazione paolina del Figlio di Perdizione, «colui che s’innalza sopra tutto quel che si adora come Dio». Cercai di fare dello spirito: «Ma l’essenza della società borghese è il liberalismo e per principio il liberalismo mette in discussione ogni principio …». … «Il sistema borghese tollera di essere discusso solo al proprio interno», sancì Massimo Cacciari: «Verso ciò che è esterno ai suoi “valori”, non ha pietà»E mi elencò i genocidi liberali: a cominciare dallo sterminio dei pellerossa. «I pellerossa erano radicati nel loro ethos, e l’americano vedeva nel loro ethos un sistema di non libertà. Lo sterminio delle società sacrali, degli ethoi tradizionali, è prescritto dal liberalismo per il “bene” stesso dell’uomo». Ed enumerò: per sradicare il Giappone dal proprio sacro nomos, non ci volle nulla di meno che l’olocausto nucleare. Migliaia di tonnellate di bombe furono necessarie per stroncare fascismo e nazismo, «forme di neopaganesimo che cercavano di ricollegare la società a un Ethos». E il Vietnam, la Guerra del Golfo, l’intervento «umanitario» in Somalia nel 1993.

«Non si faccia illusioni: anche contro la Chiesa non esiterà ad usare la più inaudita violenza, se la Chiesa si rifiuta di diventare un semplice supporto della società borghese. Ciò che la Chiesa non può fare: perché il cristiano è necessariamente sovversivo di ogni potere politico che si pretenda autonomo. Già negli Stati Uniti si teorizza come l’Avversario irriducibile sia l’Islam. Anche contro la Chiesa il conflitto diverrà sempre più drammatico. Da una parte la Chiesa e l’Islam e dall’altra una “etica” laicista sempre più occasionale, e nello stesso tempo sempre più radicalmente universale, nella sua pretesa di essere l’unica valida».

Purtroppo credo abbia ragione, risposi. Forse viviamo davvero sull’orlo dei tempi ultimi. Sappiamo che cosa aspetta i credenti: la resistenza eroica al di là di ogni umana speranza, il martirio. La Chiesa lo sa: è scritto nella sua tradizione.

Fu allora che Cacciari lo disse. «II Papa deve smettere di fare il katéchon!». Poi, come pentito, precisò: «Voglio dire che lei, come cattolico, sa come finirà. Verrà l’Anticristo e trionferà, ma sarà sconfitto».

Fonte: Maurizio Blondet – Gli Adelphi della Dissoluzione – Ares 2005

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Cacciari: chi mette il freno all’Apocalisse? Intervista di Alessandro Zaccuri a Massimo Cacciari

27 febbraio 2013

​Anche i Titani non sono più quelli di una volta. Tramontato il sogno di progresso del quale si era fatto carico l’ambizioso Prometeo, tocca al fratello dello sconfitto, il prudente Epimeteo, governare le sorti degli umani. Il suo incarico sembrerebbe modesto, ma richiede in effetti una grande abilità tecnica: si tratta di impedire l’apertura dei vasi in cui sono contenuti i mali del mondo. Attenzione al verbo. Contenere, trattenere. Frenare, insomma. “Il potere che frena” (Adelphi, pagine 214, euro 13,00) è il titolo del saggio in cui il filosofo Massimo Cacciari torna su uno dei temi centrali della cosiddetta “teologia politica”, ovvero quella corrente di pensiero, teorizzata fin dagli anni Venti da Carl Schmitt, che suggerisce di interpretare il divenire della Storia in prospettiva teologica. «Più andiamo avanti – ribadisce Cacciari – e più mi convinco che non c’è altro modo per cercare di comprendere il nostro tempo».

È per questo che bisogna partire da san Paolo?

«Dalla seconda lettera ai Tessalonicesi, per l’esattezza: capitolo 2, versetti 6 e 7. Lì Paolo introduce un concetto del tutto originale, che sta all’origine di una lunga e complessa tradizione esegetica».

Stiamo parlando del misterioso “katechon”?

«Esatto: quel qualcosa o qualcuno, che “contiene”, trattenendo e rallentando, la venuta dell’Anticristo. Questo framezzo, che si pone tra l’Evento dell’Incarnazione e la battaglia finale contro l’Avversario, è un tempo rilevantissimo. In esso, fa intendere Paolo, agisce un potere che non può essere identificato nell’Anticristo, di cui appunto “trattiene” l’avvento, ma che neppure coincide con la Chiesa, alla quale è affidato il compito di custodire la speranza nel prolungarsi dell’attesa. Su questo Paolo è molto chiaro: il katechon è destinato a essere “spazzato via”, proprio perché non partecipa della speranza che deriva dalla fede».

Sì, ma allora da che parte sta?

«Il katechon esprime una tensione costante. Per sua natura, tiene a entrambe le parti: ha a che vedere con l’Anticristo (“con-tenere” significa “tenere dentro di sé”) e nel contempo partecipa alla battaglia contro l’Anticristo. Del resto, nell’evo cristiano ogni potere partecipa di questa contraddizione».

Può essere più esplicito?

«Certo. Quello sul katechon è, da sempre, un discorso che rifugge dall’astrazione. Già i Padri della Chiesa, quando affrontano l’argomento, sono estremamente concreti, cercano corrispettivi precisi alle figure evocate da Paolo e dall’Apocalisse. Fino a un certo punto, l’interpretazione prevalente è che il katechon sia l’Impero romano. Il problema, però, è che la forma imperiale non si accontenta di esercitare una potestas di tipo pratico-amministrativo. La sua ambizione, al contrario, è di conseguire un’auctoritas spirituale, ma così facendo entra in conflitto con la Chiesa. La quale, a sua volta, non è estranea alla funzione espressa dal katechon. Il ritorno di Cristo non può essere accelerato, i credenti non devono cedere all’impazienza, la loro missione è semmai di vegliare nell’attesa. Anche la Chiesa, dunque, “trattiene”, per rendere possibile la conversione e fare in modo che il Figlio dell’Uomo, quando verrà, trovi la fede su questa terra».

La soluzione quale sarebbe?

«Un’alleanza tra potestas amministrativa e auctoritas della Chiesa. Sembrerebbe uno scenario medievale, ma a ben pensarci è lo stesso obiettivo al quale mirava l’idea di uno Stato moderno perfettamente laico, che lasciasse alla Chiesa il primato in campo spirituale. Il guaio, però, è che la potestas politica non può mai rinunciare alla sua ambizione imperiale, con relativo sconfinamento nell’auctoritas. Il potere, quando si riduce all’ordinaria amministrazione, diventa impotente. E questa è esattamente la situazione in cui ci troviamo”.

Una situazione apocalittica?

«Una potestas ridotta all’impotenza lascia emergere le tendenze dell’Anticristo. Ma non dobbiamo immaginarci una devastazione all’Apocalypse Now. I segni dell’affermarsi dell’Avversario sono molto differenti, già Paolo invita ad allarmarsi nel momento in cui si sente annunciare un tempo di pace e benessere. Il principale attributo dell’Anticristo, infatti, consiste nell’essere Placidus: le guerre contro di lui si sono concluse con la sua vittoria, nessuna forza più gli si oppone, la prosperità può diffondersi indisturbata. Regna l’ordine e questa è la fine. A patto, si capisce, che si sia compiuto anche l’altro passo decisivo, e cioè l’apostasia[2] della Chiesa, la secessio dei credenti dalla fede. È l’atteggiamento del Grande Inquisitore di Dostoevskij, il cui trionfo coincide, non a caso, con il ritorno di Gesù. Se l’Anticristo ha avuto la meglio, solo Cristo può tornare a dargli battaglia».

Ma noi, ora come ora, a che punto siamo?

«Che la nostra sia un’epoca apocalittica mi pare indubbio. Viviamo in una dimensione globale che neppure l’Impero romano aveva conosciuto e questo comporta una continua omologazione dei princìpi, dei comportamenti, dell’etica. Ci siamo lasciati alle spalle i totalitarismi, che si presentavano esplicitamente come forze prometeiche, anticristiche e, in quanto tali, chiamavano in causa il katechon, la cui funzione era esercitata da altri poteri, sia politici sia religiosi. Ora è la volta di Epimeteo, l’Anticristo si mostra con il suo volto conciliante e il rischio è che la Chiesa non riesca a presentarsi come segno di contraddizione in un mondo ormai assuefatto all’indifferenza. Nietzsche aveva visto giusto: oggi davvero chi va per strada alla ricerca di Dio viene prima deriso e poi guardato con indifferenza».

E la Chiesa come può reagire?

«Continuando a pregare perché sia dato il tempo, anzitutto. Ma anche perseverando nella sua azione pedagogica nei confronti di quei figli che ancora non sanno di essere figli. Le conversioni immediate, come quella di Paolo, sono sempre possibili, però la missione della Chiesa appartiene principalmente all’ambito dell’educazione. Dell’attesa, quindi. E della pazienza».

Fonte:  http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/cacciari-chi-mette-il-freno-apocalisse.aspx

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di Francesco Colafemmina – 3 aprile 2013

E’ uno dei libri più inquietanti che abbia mai letto. Mi riferisco al nuovo saggio di Massimo Cacciari dal titolo “Il potere che frena”. Molti di noi hanno letto il famoso “Gli Adelphi della dissoluzione” di Blondet, un volume per molti versi profetico, per altri un po’ morbosamente afflitto dalla questione del sabbatismo. Quel volume cominciava così:

“«II Papa deve smettere di fare il katéchon!», esclamò d’improvviso Massimo Cacciari. Mi stupì la sua foga, e ancor più il fatto che subito dopo parve pentirsi, come se la parola gli fosse sfuggita. Era un giorno del settembre 1993, e io lo stavo intervistando nella sua casa tersa, piena di volumi. Fuori, Venezia si sfaceva nel suo mare fecale, sotto un cielo grigio. Katéchon? Non ricordo molto di greco. Dovetti chiedergli che cosa volesse dire. «Katéchon è Ciò che trattiene», rispose Cacciari guardandomi incerto: «Ciò che trattiene l’Anticristo dal manifestarsi pienamente. San Paolo, ricorda?». Ora ricordavo: Seconda Lettera ai Tessalonicesi (2, 6 e seguenti). Il passo enigmatico in cui Paolo di Tarso accenna al futuro manifestarsi dell’Anticristo, Anomos: «II figlio di perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra tutto quel che si adora come Dio, tanto che siederà egli stesso nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio». Ma non crediate che la venuta dell’Anticristo sia imminente, aggiunge subito l’apostolo. C’è qualcosa che «trattiene» l’Anticristo dall’irrompere nel mondo.”

Se già nel 1993 Cacciari riteneva che il papa svolgesse l’azione del katéchon, come valutare il nuovo saggio di Cacciari che nel marzo 2013 in sostanza decreta l’avvenuta rimozione del katéchon?

Partiremo dalla sua lettura del katéchon come ciò che incarna auctoritas e potestas sull’Evo, sul mondo, sul tempo contenuto fra la prima e la seconda parusia, prima di quella sospensione imprevedibile caratterizzata dalla sua rimozione e dall’avvento dell’Anomos. Ebbene, Anomos è un titolo che già fuga ogni dubbio. L’età anticristica sarà un’età priva di nomos, dove per nomos non si intende la legge intrinseca al funzionamento materiale, meccanicistico delle cose del mondo, ma una legge morale, una legge che è naturalmente teologica, discende dall’alto e mira in alto, è un valore trascendente che il katéchon protegge, conserva e detta. Ma cosa accade quando il katéchon viene rimosso?

“Impero e Chiesa secedono, allora, dalle proprie missioni, ma secondo una possibilità sempre aperta ed immanente in loro. Del dilagare dell’apostasia il segno più tremendo non è l’abbandono di impero e Chiesa da parte delle moltitudini, ma la secessio che in loro si opera dalle loro proprie missioni, dalla funzione e dalla fede che avrebbero dovuto incarnare” (p.80).

Leggete però come Cacciari disegna con lucidità profetica la natura dell’anomia anticristica:

E’ il chaos l’Avversario? Ma non certo, come si è visto, nel senso di un ritorno del chaos originario, del disgregarsi di ogni forma in una sorta di ekpirosis[3], da cui possa prendere inizio, ab integro, un nuovo Evo. Esplode, certo, quella figura del ‘dio mortale’, che tutti gli individui in sé uguagliava e conteneva – viene meno la potenza del rappresentare, per cui ciò che rappresenta pensa davvero di contenere in sé il rappresentato -, ma dalla crisi non emerge né assoluta e semplice assenza di legge e comando, né anarchia, né la prospettiva di un nuovo Evo. […] E’ un nuovo ordine l’anomia; è un nuovo nomos quello dell’Antikeimenos. […] E il suo segno sarà quello dell’Anticristo, poiché nel segno del Cristo si è formato l’Evo e in riferimento ad esso le epoche e le potenze catecontiche hanno assunto figura. […] E’ universale mobilitazione, insofferenza di ogni confine, liquidazione di ogni ethos. […] L’energia che lo muove è quella dell’intollerabilità di ogni auctoritas che venga ‘dall’alto’, di ogni comando ‘sovra-ordinato’.” (pp.81-82).

Per Cacciari la Chiesa “catecontica” è inoltre una Chiesa che mantiene un residuo di potere:

“Un katéchon che non sia energòs proprio grazie alla sua appartenenza ai due grandi campi politico-spirituali, alla sua ‘famigliarità’ con essi, è pura finzione di potere, volontà di impotenza. Perciò la Chiesa, nella misura in cui ritenga necessaria un’energia catecontica, cercherà il compromesso con ‘governi forti’, pur sapendo, col realismo politico che ne contraddistingue tutta la tradizione, che mai si daranno pacificamente in terra imperi obbedienti a chi ritiene proprio carisma l’essere espressione del Fine dell’Evo” (p.66).

Solo in un caso nella storia della teologia, della letteratura e della politica, è stata avanzata una nuova visione della Chiesa, quale istituzione catecontica svuotata della sua “energia”, del suo potere. E’ la visione dantesca in sé inefficace e impraticabile perché pretendeva di sostituire l’auctoritas con una passiva paternitas:

“Un ‘primato’, cioè, che si esprime nel potere della Chiesa di farsi radicalmente umile, povera, evangelica. Che significa apparire al mondo nuda, impotente, crocefissa. Verbum abbreviatum, insomma: è Francesco la salvezza della Chiesa. E solo innalzando la croce di Francesco la Chiesa potrà custodire anche la propria paternitas nei confronti dell’autorità politica. Solo una Chiesa che, confessando apertamente di non essere la città di Dio ‘in atto’, rinunci radicitus ad ogni potere terreno, potrà ancora essere ascoltata e valere nel secolo” (p.99).

Vedremo nei prossimi giorni come Cacciari decreti de facto l’avvenuta rimozione del katéchon, dichiarando il nostro vivere nell’epoca dell’Anomos. D’altra parte Cacciari aveva dichiarato a proposito della rinuncia di Benedetto XVI: “Il Papa si dimette perché non riesce più a contenere le potenze anticristiche, anche all’interno della stessa Chiesa”.

Fonte: http://fidesetforma.blogspot.it/2013/04/il-potere-che-frena-la-rimozione-del.html

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Il katéchon è ormai rimosso

15 aprile 2013

Il saggio di Massimo Cacciari va letto non come un semplice studio sull’argomento “katéchon”, ossia su cosa sia “ciò o colui che trattiene l’Anticristo dal manifestarsi”, su come possa esser intesa questa figura, questo concetto in chiave teologica o sociologico-politica. No, il saggio di Cacciari è un vero e proprio manuale per iniziati che vogliano comprendere quanto sta accadendo hic et nunc. E’ come se il filosofo volesse farsi analista laico, interprete distaccato di quel mondo esoterico-messianico che vuole accelerare la Seconda venuta ma non secondo la visione di talune sette evangeliche statunitensi, bensì animato dall’inesausta sete di conoscenza propria dell’uomo. Di un uomo che vuole andare incontro a Dio, richiamandolo quasi per confliggere con Lui, per rivendicarne il potere. Così “Il potere che frena” diventa non solo una guida ermeneutica ai tempi ultimi, ma una sorta di bussola per orientare gli spiriti che li stanno vivendo – almeno stando a Cacciari. Si apre un’epoca nuova, anzi finisce l’ “Evo Cristiano” e tutto resta sospeso. E’ come se il mondo trattenesse il fiato. Ma in che senso termina questo “Evo” secondo Cacciari?

“Il tempo apocalittico cristiano si fonda su un Evento che ha in sé già ora il compimento del tempo. Ciò fonda la speranza. Non si annuncia la speranza soltanto, ma il suo fondamento, che a tutti si rivolge, assolutamente universale, al di là di ogni distinzione etica o etnica. E questo annuncio può rivolgersi a tutti perché si collega indissolubilmente ad un evento reale, a un fatto storicamente accertabile. La parousia non innova, ma ribadisce che tutto doveva essere deciso alla luce dell’apocalisse del Figlio. Il suo non sarà tanto un ritorno, quanto la manifestazione ultima della sua presenza. Si manifesterà allora come un ladro di notte, non importa quando. Verrà come la morte. E sarà morte del tempo, anche di quello contratto, breve dell’Ora. Il tempo si riassorbirà, allora, nella Luce, imploderà in essenza luminosa, accolto nel Dio-Luce di Giovanni.” (p.115).

Il capitolo più interessante e rivelatore del saggio è ad ogni modo l’ultimo, intitolato “L’età di Epimeteo” [4]. Epimeteo, fratello di Prometeo, è colui “che pensa dopo”, non a caso fu Epimeteo ad accettare l’improvvido dono di Zeus, Pandora, colei che scoperchiò per curiosità il vaso contenente i mali dell’umanità. Ebbene, per Cacciari l’epoca post-katéchon è l’età di Epimeteo:

“Nello spazio del tempo apocalittico, la ‘misura’ catecontica permetteva ancora, per quanto debolmente, di sapere, ricordare e prevedere. La potenza che consentiva di credere nella sintesi di tempo e concetto, di ‘progettare’ la storia, organizzandone-contenendone energie e soggetti, era potenza prometeica. […] Ma alla fine, quando, cioè, il tempo della fine sia compiuto, è un’altra persona della stessa schiatta a dominare, Epimeteo. E sarà questa persona che dovrà indossare chiunque creda ancora di poter assumere una funzione catecontica” (p.117).

Acutamente Cacciari utilizza il termine persona, nel significato latino di personaggio, maschera. Chi assumerà il ruolo che fu proprio del katéchon dovrà indossare la maschera di Epimeteo, figura che unisce la potenzialità del titano – sarebbe in teoria capace di esercitare una forza catecontica – all’incapacità di logica previsione del futuro. Epimeteo non attende l’arrivo dell’Anticristo, dunque non pianifica. Agisce come se l’Anticristo non dovesse giungere più, o piuttosto scende a patti con la sua forza (nel mito il potere di Zeus), accettando il suo dono, arrendendosi alla sua volontà di dominio sul genere umano. Ma d’altro canto Epimeteo è fratello di Prometeo: “Il dissolversi della forma catecontica si origina dal suo stesso interno, ‘viene da noi’. Inizia con la critica dell’idea di impero, prosegue con quella di ogni ‘dio mortale’, corrode, infine, logicamente-filosoficamente la realtà dello Stato, lo de-sostanzializza, lo spoglia di ogni auctoritas, ne denuncia la natura di finzione ideologica, dimostra l’impossibilità di superare il piano assolutamente orizzontale della rete dei conflitti e degli interessi.” (p.118).

Ritorna qui l’assoluta decadenza dell’auctoritas, ossia di quell’autorità che non è potere, che discende da un valore, che è riconosciuta liberamente e mai imposta. Ma d’altro canto non dobbiamo illuderci: l’età dell’Anticristo non è, a dire di Cacciari, epoca di evidenze, di sorprendenti misteri di iniquità chiaramente misurabili: “Il momento dell’Antikeimenos non è perciò quello della Tirannia più o meno feroce, bensì quello dell’autonomizzarsi delle sfere di potenza e del confliggere fra di loro alla ‘luce’ dell’apostasia. I diversi domini – economico, finanziario, politico, giuridico, tecnico scientifico – competeranno tanto più duramente, quanto più comune si farà la loro weltanshauung” (pp.124-125).

Il filosofo omette il dominio spirituale, ma siamo certi che ad esso Cacciari rivolga il suo primo pensiero. E lo si evince dalla conclusione del saggio. Una conclusione che è anche un pugnale piantato nello stomaco, una scossa improvvisa, un sinistro e lugubre presagio.

“Tempi e modalità di queste trasformazioni a Epimeteo non è dato sapere. Ciò che la crisi permanente permette oggi ragionevolmente di affermare è che da essa non emergeranno nuove potenze catecontiche. Emergeranno forse ‘grandi spazi’ in competizione, ‘guidati’ da élites che, pur in conflitto fra le loro diverse potenze, sono caratterizzate tutte dalla insofferenza assoluta verso qualsiasi potenza che trascenda il loro stesso movimento. Unite soltanto dalla comune apostasia rispetto all’Evo cristiano” (p.126).

Soffermatevi, vi prego, su quest’ultima riga: élites in conflitto fra loro ma incapaci di accettare potenze che vadano al di là del loro campo di azione e continuino a proporsi come proprie dell’Evo cristiano. Cosa accade dunque? Cosa accadrà? Il bello è che per Cacciari la rimozione del katéchon non è una bizzarra elucubrazione paolina, un atto di fede, né tantomeno un ipotetico evento del futuro. No. È un fatto che si è verificato da poco. Per Cacciari, lo si scopre solo al termine del saggio, con la sua ultima riga, il katéchon è stato rimosso. E non sarà peregrino immaginare che questa rimozione coincida con la rinuncia di papa Benedetto, avvenuta circa un mese prima della pubblicazione di questo saggio:

“Molto di più non sembra sia dato sapere. Prometeo si è ritirato – o è stato di nuovo crocefisso alla sua roccia. E Epimeteo scorrazza per il nostro globo, scoperchiando sempre nuovi vasi di Pandora” (p.126).

Chi ha orecchie per intendere, intenda …

 Fonte: http://fidesetforma.blogspot.it/2013/04/il-potere-che-frena-parte-seconda-il.html

— oOo —

NOTE

[1] Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente. Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti verrà l’apostasia e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione,4 l’avversario, colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio,  fino a insediarsi nel tempio di Dio,  pretendendo di essere DioNon ricordate che, quando ancora ero tra voi, io vi dicevo queste cose? E ora voi sapete che cosa lo trattiene perché non si manifesti se non nel suo tempoIl mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che finora lo trattiene. Allora l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. La venuta dell’empio avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri 10 e con tutte le seduzioni dell’iniquità, a danno di quelli che vanno in rovina perché non accolsero l’amore della verità per essere salvati11 Dio perciò manda loro una forza di seduzione, perché essi credano alla menzogna 12 e siano condannati tutti quelli che, invece di credere alla verità, si sono compiaciuti nell’iniquità.

(San Paolo: dalla seconda lettera ai Tessalonicesi)

[2] apostasìa s. f. [dal lat. tardo apostasia, gr. ἀποστασία «defezione», der. diἀϕίστημι «distaccarsi»].
Ripudio, rinnegamento della propria religione per seguirne un’altra. In partic. , nel diritto canonico cattolico, l’abbandono totale (diverso quindi dall’eresia, che è abbandono parziale) della fede da parte di un battezzato, manifestato esteriormente in modi non equivoci e con la volontà e coscienza di abbandonarla (il passaggio ad altra fede è solo una circostanza aggravante).

[3] ecpiròṡi (alla gr. ecpìroṡi) s. f. [dal gr. ἐκπύρωσις, der. di πῦρ «fuoco»].  Secondo la dottrina stoica, conflagrazione universale che distruggerebbe il mondo al termine di ogni suo ciclo (grande anno o anno cosmico).

[4] Epimeteo (gr. ᾿Επιμηϑεύς) Nella mitologia greca, uno dei quattro figli del titano Giapeto e dell’Oceanina Climene (o di Asia), fratello di Prometeo, del quale E. è l’antitesi; tanto «accorto in ritardo» (secondo l’etimologia del nome), quanto Prometeo era previdente. Benché ammonito da Prometeo di non accettare doni da Zeus, E. accolse la bellissima Pandora mandatagli da questo e divenne così responsabile delle sventure dei mortali, sia perché la donna sarebbe per sé stessa un male, sia perché Pandora aprì il vaso dei mali. Da E. e Pandora nacque Pirra.

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