La Grande Opera

 

1. La Grande Opera

 

Gesù disse: «Colui che cerca non desista dal cercare fino a quando non avrà trovato

 e quando troverà sarà commosso e si stupirà,

e così commosso contemplerà e regnerà sul Tutto»

 Il Vangelo di Tommaso, verso 2

 

L’Alchimia rivela nel simbolo della Grande Opera, il processo con cui l’Uomo può arrivare a Realizzarsi, ossia a divenire cosciente della propria vera Realtà Spirituale.

In questo lavoro spiegheremo le allegorie ed i simboli presenti nei testi alchemici, illustrandone l’insegnamento che essi velano.

Nel Medio Evo l’occidente puritano considerava un’eresia il solo pensare che l’essere umano potesse assurgere alla conoscenza della propria realtà divina. Per questo gli Iniziati di allora dovettero velare in simboli e allegorie i propri insegnamenti. Oggi questa necessità non sussiste più, ovviamente, ed è particolarmente interessante comprendere i paralleli che legano l’Insegnamento Iniziatico Occidentale a quelli espressi in Oriente sotto tutt’altre forme, ma con un’identica sostanza.

La Tradizione Iniziatica dai tempi più remoti tramanda la Conoscenza della realtà divina dell’uomo e lo fa in modi e maniere che si adattano nella forma ai diversi periodi storici ed alle caratteristiche della società dell’epoca. E’ compito dell’Iniziato decodificare e “aprire” le antiche forme e gli antichi simboli, portando così alla propria coscienza, l’unità degli Insegnamenti tramite i quali sarà in grado egli stesso di raggiungere la Meta alla quale è destinato: la Reintegrazione del Sé o, in altri termini, la Realizzazione.

Dice un antico motto che l’Iniziato è in grado di parlare mille lingue. Ciò non si realizza, naturalmente, studiando semplicemente gli idiomi antichi e moderni, quanto invece comprendendo quei principi che sono l’unica realtà, al di là del velo dell’Illusione, e sapendo riconoscerli nelle “mille lingue” ossia nei mille modi in cui sono stati trasmessi dalla Tradizione. Uno di questi modi è per l’appunto l’Alchimia. Altri possono essere l’Ermetismo, la Massoneria, le dottrine orientali, le religioni (anche le religioni hanno una componente esoterica, benché di solito misconosciuta dai più) e così via.

Vogliamo allora tentare di “aprire” i significati del linguaggio alchemico, così da dare perlomeno una prima chiave per comprenderne gli Insegnamenti.


 

1.1 Vitriolum

… e fin quando non avrai la saggezza,

muori per divenire,

sarai soltanto un triste ospite su questa terra oscura.

 Goethe

 

Colui che vuole entrare nel regno divino,

deve prima entrare nel corpo di sua madre,

e morirci.

 Paracelso

 

Carl Gustav Jung disse: “Chi guarda in uno specchio d’acqua, inizialmente vede la propria immagine. Chi guarda se stesso, rischia di incontrare se stesso. Lo specchio non lusinga, mostra diligentemente ciò che riflette, cioè quella faccia che non mostriamo mai al mondo perché la nascondiamo dietro il personaggio, la maschera dell’attore. Questa è la prima prova di coraggio nel percorso interiore. Una prova che basta a spaventare la maggior parte delle persone, perché l’incontro con se stessi appartiene a quelle cose spiacevoli che si evitano fino a quando si può proiettare il negativo sull’ambiente.

L’acronimo V.I.T.R.I.O.L.U.M., che viene usato nella letteratura alchemica, è formato dall’espressione latina Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem Veram Medicinam, che significa “Visita l’interno della terra, e rettificando troverai la pietra nascosta che è la vera medicina”.

L’alchimista scava la terra.
L’alchimista scava la terra.

Scavare o penetrare la terra è il primo passo del processo alchemico. La terra è il corpo, o se stessi. Penetrare la terra corrisponde a penetrare, conoscere, il proprio sé interiore.

 

Siamo quindi invitati a discendere nella terra, negli inferi, nell’inconscio. La terra è il simbolo dell’uomo fisico. L’uomo deve prendere coscienza del suo mondo interiore, di chi è, cosa sta facendo, quali sono le sue motivazioni eccetera. Una volta rivolta l’attenzione verso l’interno, si scoprirà un mondo nuovo: gli inferi dell’Ade, il regno oscuro delle ombre e dei mostri.

 

Questa discesa viene anche chiamata regressus ad uterum, “ritorno nell’utero”, un termine che viene spesso usato nei riti d’iniziazione. È un ritorno simbolico a un particolare stato primordiale dell’essere che accomuna ogni uomo nell’inconscio collettivo.

Nel profondo dell’uomo, nell’oscurità della sua psiche, risiedono i moventi delle sue azioni. Dunque il regressus ad uterum, il prendere coscienza di questi moventi profondi, è una condizione necessaria per entrare nella zona di morte illuminata dalla luna, e successivamente sperimentare la rinascita. Terra Mater, la Madre Terra, è sempre stata collegata alla nascita, con l’unione tra uomo e donna (conscio e inconscio); unione dalla quale la nuova vita sgorgherà dopo la morte.

I popoli primitivi svolgevano le loro iniziazioni al buio o sottoterra, ad esempio nelle grotte. In Egitto, le iniziazioni si svolgevano nelle piramidi o nelle cripte interrate dei templi. In Persia si usavano principalmente nelle grotte, mentre gli indiani d’America avevano apposite capanne. I misteri di Mitra venivano eseguiti in templi costruiti sottoterra. La stessa iniziazione era simboleggiata dalla penetrazione della pancia della Grande Madre, o del corpo di un mostro marino o animale selvatico.

Nella mitologia greca, Orfeo discese nell’Ade per cercare Euridice (il simbolo della sua anima perduta). Il Dio hindù Krishna discese negli inferi per cercare i suoi sei fratelli (i sei chakra, essendo Krishna il chakra della corona). Dice una leggenda che, dopo la sua morte, anche Gesù discese nel regno di Satana per salvare l’anima di Adamo (l’uomo puro).

 

La porta della saggezza eterna (Heinrich Khunrath, Amphiteatrum Sapientiae, Hanau, 1604).
La porta della saggezza eterna (Heinrich Khunrath, Amphiteatrum Sapientiae, Hanau, 1604).

La porta della saggezza eterna (Heinrich Khunrath, Amphiteatrum Sapientiae, Hanau, 1604).

 

Nell’alchimia, l’entrata dell’inconscio è  spesso rappresentata dall’entrata delle grotte, da racconti di viaggi negli inferi o strani luoghi lugubri del mondo. Talvolta si trova negli scritti alchemici la rappresentazione del re che si fa il bagno.

L’acqua, alchemicamente parlando, rappresenta proprio l’inconscio. Il Re, che è invece la nostra coscienza, vi si immerge proprio per venire a contatto con i suoi contenuti e così portarli alla luce, alla propria coscienza.

 

Un altro modo in cui questo contatto tra coscienza ed inconscio viene rappresentato è il simbolo della “coniunctio” (congiunzione) o “concepito” (concezione) tra il Re e la Regina, che avviene principalmente nell’acqua, in una sorgente o in una fontana. La Regina quindi rappresenta il femminile, l’acqua, l’inconscio.

La discesa nell’inconscio non è priva di pericoli. In senso psicologico può ad esempio sfociare nella schizofrenia. Nella mitologia, l’eroe penetra gli inferi per lottare contro mostri e demoni. La Grande Madre gli appare sotto forma di un essere terribile, spesso il Signore della Morte. Per il suo coraggio e la sua audacia, la Grande Madre, Dea della fertilità, gli offre grande conoscenza e grande saggezza.

Quando nell’alchimia si lavora con i metalli (così vengono chiamate le passioni e le emozioni dell’uomo), il piombo viene usato come materiale iniziale. Gli alchimisti dicono che nel piombo vi è un demone che può causare la pazzia. Il piombo è sotto il dominio di Saturno, il Dio della malinconia, che causa disturbi e visioni demoniache.

Il piombo, il più impuro dei metalli, deve essere trasformato nel metallo puro, l’Oro, simbolo dello Spirito. In generale, il piombo rappresenta le passioni inferiori e più terrene dell’uomo. E’ su di loro che l’alchimista opera, rettificandole (rectificando) e sublimandole sempre più. Cosa significa questo? Ce lo spiega un testo del Taoismo moderno: “Ecco perché Buddha Jou-lai (Tathagata), nella sua grande misericordia, ha rivelato il metodo, il lavoro alchemico del Fuoco, e ha insegnato al popolo a rettificare la propria vera natura e pienezza”.

 

(Solomon Trismosinus, Aurum vellus, Hambutg, 1708)

(Solomon Trismosinus, Aurum vellus, Hambutg, 1708)

Nel bordo, la frase latina di vitriolum.

Il sole e la luna sono gli opposti che nell’uomo devono essere uniti. Il calice è il “vaso” o vasca alchemica, simbolo del corpo. I segni planetari rappresentano i diversi stadi del processo alchemico. La doppia aquila è il Mercurio, il leone è lo Zolfo e la stella è il Sale, i tre ingredienti del processo. Il globo sinistro con le nuvole è il microcosmo, il globo destro con le stelle è il macrocosmo.

Rectificando”, al centro dell’acronimo VITRIOLUM, significa “correggere” gli aspetti negativi della propria psiche, purificare le emozioni negative. Serve a drizzare ciò che è cresciuto storto durante la vita. L’alchimista deve purificarsi da tutta la “sporcizia”, da tutte le sue “scorie”. Deve lavare “il corpo” per migliorarlo e perfezionarlo. I metalli devono essere purificati da “elementi esterni impuri e distruttivi”. I metalli in questo caso possono essere interpretati come emozioni.

 

 

Il Taoismo sottolinea l’importanza della purificazione dalle tendenze egoistiche che separano l’uomo dalla sua natura eterna. Un uomo che si sforza d’ottenere il Tao deve rinunciare alla brama e al desiderio e divenire un bambino che si unisce al Tao. Con questa purificazione, avviene la rinascita. Pertanto un alchimista deve rifuggire le masse e iniziare il processo di meditatio, auto-riflessione, in silenzio.

Anche il Buddhismo insegna la purificazione. L’uomo può arrivare alla salvezza separandosi dalle faccende mondane che lo fanno deviare dal suo vero sentiero. Egli vede che la vita terrena di per sé non è soddisfacente. L’uomo è insoddisfatto perché i suoi desideri sono senza limiti. Deve liberarsi dalle catene dei suoi desideri.

Entrare nell’inconscio significa anche entrare nell’inconscio collettivo che tutti condividiamo. Nella mitologia greca vi era il Tartaro, nome originariamente usato per indicare gli inferi. Il Tartaro è il mondo psichico nel profondo dell’uomo, dove risiedono tutti gli istinti inferiori, come la brama di uccidere e distruggere, la sete di sangue, la paura, l’odio, la vendetta, il desiderio di potenza eccetera. Non è facile da ammettere a se stessi, ma tutte risiedono in noi. Abbiamo represso tutte le nostre emozioni oscure confinandole nel profondo regno di Tartaros. Questa è l’eredità umana, risalente a tempi antichi.

È compito dell’uomo conoscere, sentire ed essere responsabile di tutte le proprie emozioni. Esse non devono essere semplicemente represse, poiché così facendo si otterrebbe l’unico effetto di “comprimerle” in qualche angolino della propria psiche, dal quale potrebbero emergere quando meno ce le aspettiamo. Vanno invece sublimate, cambiate e trasmutate in sentimenti più elevati. La repressione incatena l’uomo proprio agli oggetti che reprime, ma la purificazione li trasmuterà in elementi positivi, portandolo più vicino alla sua vera essenza. Fin quando non intraprenderemo consapevolmente la Grande Opera, dolore e sofferenza disturberanno le nostre vite. Dobbiamo affrontare i mitici mostri nella profondità del nostro inconscio e illuminarli. Essi fanno parte dell’essere umano. Non possiamo scartarli, ma possiamo controllarli, dominarli, imparare da loro, e trasformarli in servitori del Divino. I mostri non sono mostri di per sé. Sono soltanto caratteristiche della natura umana che sono state distorte o che quantomeno non ci sono più utili. Noi possiamo rettificarle ed utilizzarle a nostro vantaggio, per ascendere alla Consapevolezza del Sè.

Questo compito non è per l’aspirante iniziato. È soltanto per gli audaci che osano affrontare l’oscurità dell’anima. Il coraggio di molti fallirà, ed essi torneranno a casa. Perciò il pellegrino non intraprende un sentiero facile, perché il mondo del piacere non è più suo. Egli ha scelto il percorso di Arete (Dea della Virtù), che lo porta verso molti pericoli e strade difficili, in solitudine e con fatica, ma infine diverrà immortale. Chi perderà la vita, la otterrà.

Se sei davvero deciso a trovare il Tao,

puoi farlo anche quando sei in una città

e hai una posizione di rilievo in faccende mondane.

Questo non è contraddittorio.

Il lavoro è semplice e vicino,

il segreto è così semplice, che, se fosse rivelato,

vi sarebbero risate tutt’intorno.


 

1.2 Il Drago

 

L’acquietarsi del cuore è la vera alchimia

che trasmuta il mercurio in argento.

Inayat Khan

Mentre l’uomo comune cerca di biasimare gli altri e biasimare il fato,

il nobile cerca il difetto dentro se stesso.

 I Ching

 

Nel simbolismo alchemico il drago rappresenta ciò che Carl Gustav Jung chiamava l’Ombra. L’Ombra è il nome di una serie di caratteristiche e impulsi che potrebbero essere consci, ma che vengono negati. Allo stesso tempo essi sono riconoscibili e visibili negli altri. Alcuni esempi di Ombra sono: egoismo, pigrizia, intrighi, fantasie irreali, indifferenza, ossessione per il denaro e la proprietà. L’Ombra è l’essere inferiore in noi che desidera ciò che non ci autorizziamo perché è incivile, perché è incompatibile con le regole della società e con l’immagine della nostra personalità ideale. È tutto ciò di cui ci vergogniamo.

Immagine4

(Johann Daniel Mylius, Philosophia reformata, Frankfurt, 1622)

 

A destra, l’alchimista con il viso scuro corrisponde alla prima fase del Nigredo, durante la quale il drago viene ucciso e trasformato dalla penetrazione del fuoco segreto (la freccia) dell’arciere. Il disegno si basa sul mito di Apollo che uccise il pitone di Delfi. Il leone è l’immagine delle passioni animali.

Il drago risiede sempre nelle grotte, e quindi nella terra, negli inferi, e nell’inconscio. Quando il drago lascia la sua caverna, esso divora le vergini. È il nostro emotivo drago interiore che distrugge la nostra coscienza vergine, come quando appare nel conscio esprimendo negatività quali l’invidia, la gelosia, l’odio, eccetera.

Il drago non è mai soddisfatto. Vuole sempre più tesori, sempre più vergini. Non è forse questa un’immagine accurata dell’uomo? La coscienza e la vigilanza sono incantate dal drago. Il drago mitologico ha il potere di ammaliare, di ipnotizzare con la sua voce l’audace cavaliere che ha osato sfidarlo. Il drago può anche imporre enigmi in cui il cavaliere si perde.

Se vogliamo salvare la purezza della coscienza (la vergine), allora il drago deve essere ucciso. A dire il vero questa espressione non è proprio corretta. In alcune storie in cui il drago viene sconfitto e ammansito, esso viene penetrato da una lancia con la punta di ferro. Il ferro veniva sempre considerato un metallo speciale, poiché si trovava nei meteoriti. In quanto metallo associato a Marte, il ferro ha una forza attiva, distruttiva. La lancia, come simbolo fallico, è il “fuoco segreto” alchemico. Allo stesso modo il Dio greco del sole, Apollo, penetrò il Pitone di Delfi con delle frecce e lasciò il Pitone a marcire accanto al tempio. Da allora quel luogo ha nome Pytho (putrefazione). E questo ci introduce alla conoscenza della prima delle tre fasi della Grande Opera: l’Opera al Nero, o Putrefazione.

Il drago morto subisce una trasmutazione. La morte del drago non è una fine, ma l’inizio della Grande Opera. Dal drago morto si levano vapori e sostanze volatili, come si vede nelle immagini alchemiche. Altrimenti detto, la terra è parzialmente trasformata in acqua e ascende sotto forma di vapore.

Alcune fonti sostengono che nella testa del drago si trovi una pietra, un chiaro riferimento alla pietra grezza, ‘prima materia’ o materia prima.

L’uccisione del drago richiama anche un evento cosmico. È la penetrazione della materia prima come oceano primario, o caos primario del fuoco segreto o spirito divino. Il serpente di fuoco emanò fuoco e luce nelle acque primarie. Quando il drago (o serpente, dato che il gatto di Ra, il dio sole, tagliò la testa del serpente Apophis), venne ucciso, il caos originale cessò e il processo di evoluzione cosmica ebbe inizio.

Nella mitologia greca, anche l’idra di Lerna era un tipo di drago, e aveva un simbolismo analogo. Ercole uccise l’idra durante la seconda delle sue fatiche. L’idra di Lerna viveva in una palude, la dimora degli istinti primari, delle passioni, le brame, i desideri. Chiunque venga coinvolto in queste emozioni entra in una palude in cui rischia di annegare. Dunque Ercole tirò frecce di fuoco (il fuoco alchemico) per stanarla dal suo nascondiglio. Dapprima tagliò le teste dell’idra, ma esse ricrebbero. Un approccio energico non è il metodo adatto. Poi suo nipote Joales venne in suo soccorso. Cominciò a bruciare i tagli con tronchi infuocati in modo tale che le teste non potessero riformarsi. Ciò indica che è un atteggiamento sistematico, paziente, riflessivo e profondo, quello che viene richiesto.

Bisogna notare che quando l’alchimista parla del Drago Verde, egli si riferisce allo spirito universale presente in tutto, da non confondersi quindi con lo stesso concetto del drago degli inferi.


 

1.3 La Nigredo – L’Opera al Nero

Il saggio non è sorpreso dalla morte,

 egli è sempre pronto ad andarsene.

La Fontane

Questo stato melanconico è così potente che, secondo scienziati e dottori, può attrarre demoni al corpo, anche al punto che si può entrare in confusione mentale o avere visioni.

 Agrippa

Nigredo, o “nerezza”, nel linguaggio alchemico significa putrefazione, decomposizione. Con la penetrazione del fuoco esterno, il fuoco interno viene attivato e la materia inizia a putrefarsi. Il corpo si riduce alla materia prima da cui originò. Questo processo viene anche chiamato “cottura”. La terra nera è chiusa in un vaso o in una borraccia e scaldata.

 

Immagine5

Basilius Valentinus, Azoth, Paris, 1659

 

Il corpo deve essere decomposto. Ciò significa spostare la propria consapevolezza all’io interiore. I pianeti rappresentano entrambi stadi di questo processo durante il quale le energie del corpo devono essere trasmutate. La stella Saturno è nera, giacché Saturno simboleggia la Nigredo. Il Sole e la Luna sono gli opposti da unire, e il fuoco e l’aria sono gli elementi che stimolano la decomposizione. Il corvo nero è un altro simbolo della Nigredo. I due uccelli che escono dal corpo sono l’anima e lo spirito. Bisogna diventare consapevoli della propria anima e del proprio spirito. Il cerchio evidenzia l’idea dell’unione o unificazione.

La putrefazione è così efficace che distrugge la vecchia natura e la vecchia forma dei corpi in decomposizione, li trasmuta in un nuovo stato dell’essere per dar loro un frutto completamente nuovo. Tutto ciò che vive, muore; tutto ciò che è morto si putrefà e trova nuova vita
(Pernety, 1758)

Nella mitologia, la Nigredo rappresenta le difficoltà che l’uomo deve superare durante il suo viaggio negli inferi, ossia all’interno di se stesso. La Nigredo è talvolta definita “più nera del nero più nero”. Ercole doveva portare a termine dodici compiti quasi impossibili. Il pellegrino incontra tradizionalmente ombre, mostri, demoni. Negli antichi misteri i candidati dovevano subire prove iniziatiche difficili, a volte dolorose e addirittura pericolose.

 

Oltre alla testa di corvo (“caput corvi”), uno dei simboli della Nigredo in alchimia è la “decapitazione”. Tutti questi simboli fanno riferimento alla morte dell’uomo comune, intesa come morte del suo caos interiore e dei suoi dubbi, poiché egli è incapace di trovare da solo la verità dentro di sé. In una delle sue fatiche, Ercole pulisce le stalle di Augias, a rappresentare la pulizia di tutte le impurità interiori.

 

Immagine6

Johann Daniel Mylius, Philosophia reformata, Frankfurt, 1622

Un frate in meditazione in una crepa della terra mostra che l’alchimia era innanzitutto una pratica spirituale. Le due figure assomiglianti a uccelli sono l’anima e lo spirito di cui si deve divenire consapevoli.

Psicologicamente, la Nigredo è il processo in cui ci si dirige verso il ritrovamento dell’auto-conoscenza.

Un problema riceve piena attenzione e viene ridotto alla sua essenza. Ciò non viene fatto in maniera esclusivamente mentale o intellettuale, ma soprattutto usando le emozioni.

Con la vera immersione si causa la putrefazione, la decomposizione di ciò in cui si era incastrati.

 

Il confronto con la realtà interna è spesso doloroso e può portare alla depressione. Ma una volta entrati nella profondità del buio, con la scoperta del seme del problema – il seme nella materia prima – nasce la luce bianca (albedo, bianchezza, la fase seguente). Sorge uno stato di riposo. La presa di coscienza del problema è stata ottenuta, il problema è stato emotivamente elaborato ed emerge la conoscenza su come affrontarlo in un modo più positivo e costruire così un atteggiamento più puro.

Gli alchimisti parlavano di sciogliere “il miscuglio” (l’uomo con tutte le sue complessità) allo scopo di tornare al germe.

Ciò da cui una cosa è stata fatta in modo naturale, attraverso quella stessa cosa deve tornare a uno stato dissolto nella sua stessa natura. Tutto deve essere dissolto e ridotto a quella forma da cui scaturì” (Anton Joseph Kirchweger, 1728)

La “Materia” deve essere spogliata delle sue superfluità per arrivare al centro che contiene tutto il nucleo del “miscuglio”. Il seme è l’essenza e contiene tutte i poteri essenziali del corpo. Bisogna arrivare al centro dei problemi, al centro delle emozioni, il centro di se stessi. Lì risiede il potere della trasformazione.

Saturno è il pianeta che simbolicamente governa la fase della Nigredo. Analogamente a Mercurio, il simbolo di Saturno viene usato, in alchimia, come simbolo del caos, della materia prima sotto forma di pietra grezza e della pietra filosofale. Questi sono tutti simboli che indicano l’uomo all’inizio del processo alchemico. Saturno, coi suoi strumenti tradizionali – la falce e la clessidra – è il dio della morte e della putrefazione, dalle quali sorgerà nuova vita. Come la lancia e la spada, la falce è uno strumento di penetrazione. Saturno è il piombo del filosofo. È il dio che causa malinconia e visioni demoniache. La “Malinconia” è un altro termine che indica la Nigredo. Dato che può sorgere la malinconia quando si lavora alchemicamente su se stessi, l’alchimista consiglia l’uso della musica per innalzare l’anima.

Saturno è anche il dio della fertilità. Da qui l’espressione alchemica: “la nostra terra nera è terra fertile”, che esprime la trasformazione della morte a nuova vita, chiaramente descritta nella tredicesima carta dei tarocchi. Per dar vita a un nuovo inizio la putrefazione è una fase necessaria. La vita stessa è un ciclo di morte e rinascita, con la continua creazione di nuova vita che da all’uomo l’opportunità di lavorare su se stesso e sforzarsi di perfezionare la propria condizione.

Gli alchimisti sostengono che la Nigredo dura quaranta giorni. Questo periodo di quaranta giorni ha un valore simbolico: Gesù digiunò per quaranta giorni nel deserto; ci sono quaranta giorni di digiuno tra la Pasqua e l’Ascensione; gli israeliti girovagarono nel deserto per quaranta giorni; il diluvio universale, con il quale Dio mondò la terra dai peccatori, durò quaranta giorni e quaranta notti; Sant’Antonio passò quaranta giorni nel Sahara, tormentato da estreme visioni erotiche e demoni.


 

1.4 La Coda del Pavone

 

“Ciò che impedisce agli uomini di vedere e udire Dio è il loro udito, la loro vista, la loro volontà. Con la loro propria volontà essi si separano dalla volontà di Dio. Vedono e sentono con i propri desideri, i quali impediscono loro di vedere e sentire Dio. Cose terrestri e materiali li tengono all’oscuro e non riescono a vedere al di là della loro natura umana. Se stessero fermi, desistessero dal pensare e dal sentire con i propri egoismi, se vincessero la loro volontà, entrassero in uno stato di abbandono, in una divina unione con Cristo che vede Dio, ode Dio e parla con Lui, che conosce il mondo e la volontà di Dio, allora l’eterno udire, vedere e parlare sarebbe loro rivelato.”

Jacob Boehme (1575-1624 C.E.)

La ‘Cauda Pavonis’, la coda del pavone, o il pavone stesso, simboleggia una fase in cui appaiono molti colori. La maggior parte degli alchimisti collocano questa fase prima dell’Albedo, la bianchezza. Solo pochi la situano dopo.

Gerhard Dorn (XVI secolo) ebbe a dire: “Questo uccello vola durante la notte senza ali. Alla prima rugiada del cielo, dopo un ininterrotto processo di cottura, ascendendo e discendendo, dapprima prende la forma di una testa di corvo, poi di una coda di pavone; le sue piume diventano bianchissime e profumate, e finalmente diviene rosso fuoco, mostrando il suo carattere focoso”.

I colori si riferiscono ai tre stadi della Grande Opera, con la Rubedo, o rossezza, per ultima.

Immagine7

Manoscritto del XVIII secolo dalla Collezione del Dott. C. Rusch, Appenzell

 

Il disegno rappresenta Distillatio, “distillazione”. A un certo punto della distillazione apparirà la coda di pavone.

Il simbolo della coda del pavone fu scelto a causa dei suoi tanti colori e dei brillanti “occhi”. Si narra che originariamente questi fossero gli occhi del greco Argus, il cui nome significa “colui che vede tutto”. Argus era un gigante fortissimo con cento occhi. In ogni momento cinquanta di essi erano aperti e cinquanta dormivano. Fu decapitato da Hermes. Hera, la dea madre, pose i suoi occhi sulla coda del suo uccello preferito, il pavone.

La fase dei tanti colori era anche simboleggiata dall’arcobaleno, o dalla dea dell’arcobaleno, Iris, la messaggera degli dei, che in particolare faceva da tramite tra Zeus e i mortali.

Nella Grande Opera la coda di pavone può avere due significati. Può essere la raccolta e la totalità di tutti i colori nella luce bianca. Ricordiamo che la luce bianca si riferisce al secondo stadio, l’Albedo, o bianchezza. In questo senso, in tempi antichi, il pavone era considerato un uccello reale e corrispondeva alla fenice.

Il secondo significato è che rappresenti il fallimento del processo alchemico. Secondo un testo cinese sugli esercizi yoga, quando il conscio penetra l’inconscio “ogni parte di un pensiero può prendere forma e diventare visibile in colore e aspetto”. Si inizia vedendo tanti tipi di forme che sembrano reali e paiono avere una vita autonoma. Ma non si può indagare perché porta al disaccordo della mente e addirittura alla schizofrenia. L’alchimista cerca l’unità, espressa dalla luce bianca.

È noto che durante la meditazione possono verificarsi sentimenti di esaltazione e osservazioni inusuali. In sostanza vi sono due tipi di osservazioni. La prima tenta di rifuggire la disciplina della meditazione, cosa che i praticanti Zen chiamano makyo. Makyo è costituito dalle illusioni che proiettiamo sulla realtà allo scopo di evadere dalle linee guida della meditazione. Ad esempio, l’oggetto della meditazione comincia a irradiare meravigliose luci e colori, o si espande e contrae ritmicamente. Ci si comincia a sentire più leggeri o più pesanti, o si sentono energie piacevoli passare nel corpo. Possono verificarsi tutti i tipi di sensazioni. Molti meditatori vengono facilmente distratti da questi fenomeni e addirittura se ne interessano molto, trascurando così il vero scopo della loro meditazione. Di questo è necessario essere consapevoli.

Una seconda causa di distrazione è un cambio di coscienza in cui guardiamo il mondo in un modo diverso da come facevamo in passato. Può essere uno shock che riverbera a livello psichico o fisico. I sentimenti coinvolti possono essere davvero meravigliosi, ma il consiglio è: goditeli, non prenderli sul serio e continua a meditare.

Anche le visioni distraggono. Molti saggi e mistici hanno segnalato questo tipo di pericolo. “Non dovremmo desiderare o aspettarci delle visioni. Con tutte le nostre forze dovremmo astenercene e sospettare di loro” (Ignazio da Loyola). Essi sottolineano che visioni di luce, di angeli, sì, anche di grandi maestri, dovrebbero essere trascurate, poiché bloccano il progresso interiore.


 

1.5 Albedo – Bianchezza

Je ne craignais pas de mourir

mais de mourir sans etre illumine.

(Non avevo paura di morire,

ma di morire senza essere illuminato)

 Comte de Saint-Germain, La Tres Sainte Trinisophie

 

Il messaggero della luce

è la stella del mattino.

Così l’uomo e la donna si avvicinano

all’alba della conoscenza,

poiché in esso è il germe della vita,

una benedizione dell’eterno.

Haji Ibrahim of Kerbala

 

Lucifero, Lucifero, tendi la tua coda,

e portami via, a tutta velocità attraverso lo stretto passaggio,

la valle della morte,

alla luce brillante, il palazzo degli dei.

 Isanatha Muni

Alla fine della Nigredo, appare una luce bianca. Siamo arrivati al secondo stadio della Grande Opera: l’Albedo, o bianchezza. L’alchimista ha scoperto dentro di sé la sorgente della sua vita, la fonte da cui l’acqua della vita scorre, donando giovinezza eterna.

La sorgente è una: maschio e femmina sono uniti. Nelle immagini alchemiche vediamo una fontana da cui due flussi entrano nella stessa vasca.

Albedo è la scoperta della natura ermafrodita dell’uomo. In senso spirituale, ogni uomo è ermafrodita. Questo è appurabile nella prima fase embrionale del feto. Non vi è sesso fino a dopo un certo numero di settimane dopo la concezione.

Quando l’uomo discese nel mondo fisico, entrò un mondo di dualità. A livello fisico ciò si manifesta attraverso la differenziazione dei sessi. Ma il suo spirito è ancora androgino, contiene la dualità nell’unità. La sua unità non è legata allo spazio, al tempo o alla materia. La dualità è una caratteristica del nostro mondo fisico. È transitoria e infine cesserà di esistere. Quando maschio e femmina saranno di nuovo uniti si avrà l’esperienza del vero Sé. Il conscio e l’inconscio saranno completamente uniti.

L’albedo avviene quando il sole sorge a mezzanotte. È un’espressione simbolica che rappresenta il sorgere del sole nel profondo del buio della nostra coscienza. È la nascita di Cristo nel cuore dell’inverno. Nel profondo di una crisi psicologica, avviene un cambiamento positivo.

Immagine8

L’Aurore, Henri de Linthaut

 

Albedo, simboleggiato da Aurora, dall’alba, la stella del mattino (Venere-Afrodite), e dal sole che sorge dal Mare Filosofale.

L’Albedo viene anche rappresentata con Aurora, la dea romana dell’alba. Suo fratello è Elio, il Sole. Con un gioco di parole, Aurora è collegata con aurea hora, l’ora d’oro. È uno stato di coscienza supremo.

Pernety (1758) ebbe a dire: “Quando l’Artista (Alchimista) vede la bianchezza perfetta, i filosofi dicono che bisogna distruggere i libri, poiché sono divenuti superflui”.

L’Albedo è anche rappresentata dalla stella del mattino Venere/Afrodite. Venere ha un posto speciale nella Grande Opera. In tempi antichi Lucifero veniva identificato col pianeta Venere. Originariamente Lucifero aveva un significato molto positivo. Il suo nome etimologicamente significa “Portatore di Luce”. Egli era infatti l’angelo che portava agli uomini la Luce della Conoscenza. Non va confuso con Satana, l’Avversario.

Nella Bibbia viene detto, in Pietro 1.19: “finché non arriverà il giorno e la stella del mattino sorgerà nei vostri cuori”; nell’Apocalisse, 12.16, Cristo stesso dice: “Io sono la stella del mattino”, identificandosi come Portatore di Luce egli stesso.

Troviamo lo stesso concetto nella letteratura mistica. In tempi antichi Lucifero era un essere di luce positivo. Un sol uomo, tale Ieronimo, cambiò significato al termine Lucifero, quando lesse una frase da Isaia 14.12 (Isaia parla con un vizioso re di Babilonia): “Come mai sei caduto dal cielo, astro mattutino, figlio dell’aurora? Come mai sei atterrato, signore dei popoli?”. Ieronimo usò questa frase per identificare Lucifero con il drago scacciato dal paradiso da Michele. Con l’interpretazione di un sol uomo, quindi, Lucifero fu trasformato da essere di luce splendente nel più diabolico e oscuro essere al mondo.

Nell’alchimia troviamo Lucifero associato ai metalli impuri, inquinati dallo zolfo grezzo, a rappresentare che la luce dentro di noi è “oscurata” da ciò che gli alchimisti chiamano “superfluo”, le “scorie” emotive, psichiche e mentali causate dall’uomo stesso.

Mercurio e Lucifero sono uno, la stessa identità. Si parla di Mercurio quando è puro: zolfo bianco, fuoco in cielo. Come “spiritus”, egli dona la vita, come “spiritus sapiens” insegna la Grande Opera all’alchimista. Lucifero è invece Mercurio impuro. Lucifero è la stella del mattino caduta dal cielo (dorato). Discese sulla terra ed è ora presente in tutti gli esseri umani. Lucifero è Mercurio misto a elementi impuri. Egli si dissolve “in zolfo e sale”, “è avvolto da corde”, “annerito da fango nero”. Teniamo presente che stiamo sempre parlando della nostra coscienza. Tutti i nostri complessi psicologici e di altra natura hanno offuscato la nostra coscienza pura, il nostro Mercurio.

La luce di Mercurio che ci appare come Lucifero a causa della distorsione prodotta dalle impurità, dà l’impressione di ciò che gli alchimisti chiamano “zolfo rosso”. Lo zolfo rosso di Lucifero, come diavolo tradizionale, è in effetti un’illusione. Non esiste di per sé, perché è soltanto un’immagine, un’immagine distorta di Mercurio. Noi stessi abbiamo causato le impurità, l’oscurità che vela il nostro vero essere di luce.

Lo zolfo rosso è lo stesso concetto che le filosofie orientali esprimono col termine di Maya. Maya è il mondo delle illusioni, il velo che ci impedisce di vedere e provare la realtà in cui risiede la luce eterna. Per mezzo delle impurità di Maya, l’uomo è divenuto ignorante. Ha dimenticato le sue origini e pensa di essere in un mondo che, in verità, non è che un’illusione, un’apparenza.

Immagine10

Les Rudiments de la Philosophie, Nicolas de Losques, Paris, 1665

 

L’unione di Hermes e Afrodite. La luna è sopra l’alambicco, ad indicare la fase di Albedo. Il sole in alto rappresenta la fase successiva della Rubedo. Allo stesso tempo, il sole e la luna sono gli opposti da unire. Afrodite ha due torce, una delle quali è rivolta in basso, a rappresentare le passioni inferiori da trasmutare. La torcia rivolta in alto è l’energia purificata. Afrodite è sopra un tetraedro, il perfetto corpo tridimensionale, dato che tutti gli angoli sono equidistanti, cosa che risulta in assenza di tensione.

Come già accennato sopra, Afrodite/Venere, sotto forma di stella mattutina, è un’immagine fondamentale della fase dell’Albedo della Grande Opera. Afrodite nacque dalla schiuma che scaturì quando gli organi genitali di Urano (tagliati da Chronos per odio e gelosia) caddero nel mare. Il taglio dei genitali rappresenta l’amore represso e tormentato. Il mare, simbolo dell’anima, tuttavia darà vita alla dea dell’amore. La liberazione avverrà quando saremo di nuovo coscienti dei contenuti dell’anima. Afrodite nasce dal mare; è lei quindi la guida dello spaventoso mondo dell’inconscio (il mare, o gli inferi).

L’alchimista scende in questi abissi per trovare la materia prima, chiamata anche “Leone Verde”. Il colore verde fa riferimento alle forze vitali primitive. Anche Venere ha il colore verde. Una caratteristica importante di Afrodite è che ci aiuta nelle nostre manchevolezze. Ci dà ideali e sogni da realizzare. Ma ci dà anche immagini spaventose per rendere l’uomo consapevole della sua natura inferiore.

“Con la sua bellezza Venere attrae i metalli imperfetti e dà origine ai desideri, e li spinge alla perfezione e alla maturità” (Basilio Valentino, 1679).

La liberazione può avvenire soltanto divenendo coscienti della natura inferiore e di come si trasmuta.

Nella psicologia junghiana, Venere/Afrodite è l’archetipo dell’anima (in alchimia viene rappresentata anche come “soror” o “moglie” dell’alchimista). L’anima è l’immagine collettiva della donna nell’uomo. È un’immagine particolarmente influenzata dal primo contatto con la madre. L’anima rappresenta tutte le tendenze femminili nella psiche dell’uomo, come i sentimenti, le emozioni, gli umori, l’intuizione, la ricettività per l’irrazionale, l’amore personale e l’affinità con la natura. È la detentrice dello spirituale. A seconda dello sviluppo dell’uomo, può essere la seduttrice che lo attira verso l’amore sensuale, la disperazione, la fine e addirittura la distruzione.

Ulteriori immagini alchemiche che rappresentano l’Albedo sono il battesimo e la colomba bianca, entrambe derivanti dal Cristianesimo. Il battesimo rappresenta la purificazione di corpo e anima con “l’acqua viva”. L’ “acqua viva” era considerata la forza creativa del divino. Permetteva all’anima di essere accolta nella comunità dello Spirito Santo. Perciò il battesimo permette all’anima purificata di far sorgere in sé la resurrezione di Cristo. È questo lo “hieros gamos”, il “matrimonio sacro” tra anima e Cristo. Cristo rappresenta la nostra stessa essenza divina interiore.

Vi sono molti altri simboli alchemici per la seconda fase, o Albedo: il cigno bianco, la rosa, la regina bianca, eccetera. Come il piombo è il metallo della Nigredo, l’argento è il metallo dell’Albedo, trasmutato dal piombo. E dato che l’argento è il metallo della luna, anche la luna è simbolo dell’Albedo. Gli alchimisti parlano anche di pietra bianca o smalto bianco. Significano tutti fondamentalmente la stessa cosa, anche se bisogna capirli nel contesto in cui furono scritti.


 

1.6 Rubedo – Opera al Rosso

Il processo alchemico

 è un metodo di autoconoscenza

che l’anima attraversa

 ben al di là del suo regno d’esistenza.

Mary Anne Atwood

 

Il gioiello è andato perduto nella materia

E tutti lo cercano.

Alcuni lo cercano a est

Alcuni a ovest

Alcuni nell’acqua

E alcuni tra le pietre.

Ma il servo Kabir

Ha trovato il suo valore

E lo ha accuratamente avvolto

Nel lembo del mantello del suo cuore.

 R. Tagore, Kabir 72

 

L’Albedo è una fase il cui significato venne tenuto segreto per molti secoli. Il significato della terza fase alchemica, Rubedo o rossezza, è ancor più segreto e non semplice da spiegare o capire.

Immagine11

Philosophia reformata, Johann Mylius, Frankfurt, 1622

 

L’unione del Re Rosso con la Regina Bianca, simbolo dell’unione di maschio e femmina, albedo e rubedo. Altrimenti detto, quando si è ottenuta l’albedo (avendo scoperto la luce divina nel proprio Sé), lo “spirito” deve essere saldato (l’aquila in discesa), ottenendo la Rubedo. I due leoni con una testa significano la natura unificata che è stata ottenuta. Dalla loro bocca scorre l’acqua della vita.

La Rubedo è la fase successiva all’Albedo. Questo è il motivo per cui sono spesso rappresentati in collegamento l’uno con l’altro, come la Regina Bianca e il Re Rosso. Una volta scoperta la luce bianca, essa deve essere resa l’unica realtà nella nostra coscienza. Dopo la discesa nell’inconscio, nel buio, negli inferi, si è trovata la luce, si è trovato lo Spirito volatile. Ora lo Spirito volatile, o argento vivo, deve essere fissato o coagulato. Ciò significa che la nostra coscienza, o attenzione, deve penetrare completamente l’inconscio, o anima, o tutto ciò che è nascosto in noi. Facendo ciò, fissiamo (cioè portiamo a coscienza) il volatile e lo rendiamo durevole. Quando tutto in noi è stato purificato e appare la Luce, dobbiamo saldare questa Luce e renderla durevole in modo che rimanga sempre presente.

Lo zolfo bianco ottenuto durante l’Albedo viene anche chiamato: “i corpi composti dalla pura essenza dei metalli”. I metalli sono il contenuto dell’anima, e ora sono stati ridotti alla loro pura essenza. Ora che l’anima è stata penetrata dalla pura luce, l’alchimista deve renderla permanente.

Nelle filosofie orientali la Rubedo corrisponde alla formazione del “corpo di diamante”, un termine appropriato alla pura e permanente Pietra Filosofale.

Immagine12

Scritinium cinnabarium seu triga cinnabriorium, Godfred Schulz, Halle, 1680

 

L’alchimista risorto passa dal buio alla Luce.

Nel Cristianesimo corrisponde alla resurrezione di Cristo. Gesù “salda” l’indumento di luce di Cristo. Gesù ha abbandonato il suo vecchio corpo e portato il suo essere divino interiore, il corpo di Cristo, alla coscienza e lo ha reso la sua realtà. Ciò che Gesù fece duemila anni fa può essere fatto allo stesso modo da ognuno di noi, perché siamo tutti partecipi del divino, e tutti portiamo l’essenza divina, o corpo di Cristo, in noi.

Quando si è realizzata la Rubedo, l’alchimista ha accettato la sua eredità spirituale. È divenuto ciò che è sempre stato senza averlo mai saputo. Ha realizzato la sua essenza divina mentre era ancora nel suo corpo fisico. È ciò che gli gnostici chiamavano pneuma, lo spirito divino in ogni uomo, nascosto nella profonda oscurità del mondo, che può essere reso di nuovo conscio. Quando la Rubedo è stata manifestata, l’uomo è maestro sia sul mondo fisico che su quello spirituale. Egli è divenuto il Re, maestro di se stesso.

Quando l’unificazione di tutte le energie dei quattro aspetti della totalità è stata ottenuta, sorge un nuovo stato d’essere che non è più soggetto a cambiamenti. L’alchimia cinese lo chiama il “corpo di diamante”, che corrisponde al corpus incorruptibile (corpo intoccabile) dell’alchimia europea. È analogo anche al corpus glorificationis (corpo glorificato) della tradizione Cristiana.

Nelle tradizioni yoga, la Rubedo corrisponde all’unificazione dello spirito umano, chiamato atman, con il Brahman. L’Atman è parte del Brahman. Brahman è l’anima del Tutto, è il respiro o l’energia che scorre dentro di noi e ci dà vita e coscienza. Atman è il sé individuale, Brahman è il sé universale.

 “Come il corpo era lento, grezzo, impuro, buio e distruttibile a causa della mancanza di potenza e energia, così la rinascita lo unifica all’anima e allo spirito – vivificato e volatile, leggero e penetrante, puro, rifinito e chiaro, trasbordante di energia, indistruttibile e pieno d’energia, ed è in grado di mantenere questo stato”.

(Franciscus Kieser, 1600 ca.).

Sali al di sopra di ogni altezza, scendi più in basso di ogni profondità; ricevi tutte le impressioni sensoriali del creato: acqua, fuoco, asciutto e bagnato. Pensa che sei presente ovunque: nel mare, nella terra e in cielo; pensa che non sei mai nato e che sei ancora allo stato embrionale: giovane e vecchio, morto e nell’aldilà. Comprendi tutto allo stesso tempo: tempo, spazio, cose: qualità e quantità

(Corpus hermeticum, 1460).

Sento che tutte le stelle

brillano in me.

Il mondo si spacca come un’inondazione

dell’anima.

I fiori si aprono nel mio corpo.

Giovinezza di terra e d’acqua

brucia come incenso nel mio cuore,

e il respiro di ogni cosa

suona come in un flauto

attraverso i miei pensieri.


 

1.7 L’Oro

Vi è nel cielo una fontana capovolta

In essa una fiamma brucia giorno e notte.

Questa fiamma brucia eternamente

E non necessita stoppino o olio.

Giorno e notte la fiamma brucia,

tutto l’anno, ogni stagione,

e non conosce cambiamenti.

 Paltu Sahib

 

Il conseguimento della Rubedo, o rossore, è simbolizzato dalla trasmutazione in Oro. Gli alchimisti parlano spesso di “oro vivente”. L’ “oro vivente dei filosofi” è il fuoco puro dentro la pietra filosofale, o nell’argento vivo, o nell’umidità base della natura che è completamente penetrata dal fuoco. L’oro vivente è il seme stabile che vivifica l’argento vivo del filosofo e la materia della pietra, ossia l’umidità base dei metalli. È una luce vestita di un perfetto, puro corpo etereo. Tutto ciò sembra misterioso, ma leggilo ancora e sappi che l’oro vivente è pura coscienza, pura consapevolezza.

 

Immagine13

Actorum Laboratoriichici Monacensis, seu Subterraneae, Johann Joachim Nercher, Frankfurt, 1669

 

L’alchimista è rinato come Sole, che è eguale all’Oro. Egli è stato illuminato, lui stesso è divenuto luce, e ora domina i tre regni della natura.

 

Una descrizione di ciò che gli alchimisti intendevano col termine oro si trova in un manoscritto intitolato La Lumiere sortant des Tenebres (La Luce che viene dal Buio). Ricordiamoci che lo zolfo e l’oro rappresentano sempre la coscienza, la consapevolezza.

“Non per niente i filosofi hanno dato allo zolfo, o fuoco, il nome oro, poiché è davvero oro sia in essenza che in sostanza, ma molto più perfetto dell’oro comune. È un oro che è completamente zolfo, o piuttosto un vero zolfo d’oro, un oro che è totalmente fuoco, o il vero fuoco dell’oro che cresce nelle caverne e nelle miniere filosofiche; un oro che non può essere cambiato o superato da alcun altro elemento; un oro assai stabile in cui vi è soltanto stabilità; un oro assai puro perché è la purezza stessa; un oro assai potente poiché senza di esso tutto il resto languisce; un oro balsamico poiché preserva i corpi dalla decomposizione; un oro animale poiché è l’anima degli elementi dell’intera natura inferiore; un oro minerale poiché è di zolfo, di argento vivo, di sale; un oro etereo poiché la sua natura è celeste ed è un vero cielo terreno velato da un altro cielo; infine è un oro solare, poiché è il figlio legittimo del Sole e il vero Sole della Natura; il suo potere dona forza agli elementi il cui calore vivifica le anime e il cui movimento porta la Natura intera al movimento; dalla sua influenza si eleva il potere delle cose, poiché è l’influenza della luce, una parte dei cieli, il sole inferiore e la Luce della Natura, senza cui persino la scienza sarebbe cieca; senza il suo calore la ragione sarebbe stupida; senza i suoi raggi l’immaginazione sarebbe morta; senza le sue influenze lo spirito è sterile; e senza la sua luce l’intelletto rimarrebbe nel buio eterno”.

 

Talvolta gli alchimisti parlano di tre tipi di oro. Il primo è un oro astrale, il cui centro è nel Sole. Trasferisce questo oro con i suoi raggi contemporaneamente a tutti i pianeti inferiori con la sua luce. È una sostanza infuocata ed è un’emanazione costante dei corpi stellari che permea l’universo intero. Lo spazio, l’atmosfera dei pianeti e gli stessi pianeti ne sono colmi. Assorbiamo costantemente questo oro astrale col nostro respiro. Le particelle astrali dell’oro si spargono allora su tutto il nostro corpo. Questa descrizione alchemica corrisponde accuratamente a ciò che nelle filosofie orientali viene chiamato prana.

Il secondo tipo è l’oro elementare. È la parte più pura e più fissa degli elementi e di tutte le sostanze composte. Tutti gli esseri viventi dei tre regni naturali hanno questo prezioso oro elementare dentro di loro. Viene anche detto fuoco centrale della terra.

Il terzo tipo è il comune metallo, l’oro.

Gli alchimisti dicono anche che l’oro elementare (coscienza pura) è la pietra filosofale resa pura e perfetta dalla Grande Opera.

Gerhard Dorn (XVI secolo) descrive l’oro alchemico come l’influenza divina e creativa presente in tutta la materia. “L’oro è la medicina che nel suo funzionamento originale è temprato dall’arte dell’alchimia, e quindi può influenzare tutte le altre cose terrene e materiali in maniera positiva… L’oro è la forma che è stata separata o portata via dal suo corpo esteriore, ed è così penetrante che con la sua forma celeste influenza ogni cosa esteriore. L’oro è il seme divino nascosto in tutte le cose, non soltanto nei metalli, ma in tutte le cose materiali, e può essere reso visibile col calore. E proprio come all’inizio, quando Dio creò il mondo ed ebbe un’influenza creativa sulla materia, con questo oro (che hai ottenuto dalla materia) hai ciò che ripete il lavoro creativo di Dio – con quello, ne hai una piccola porzione tra le mani. Con questo, col potere derivato da Dio, si possono creare e trasformare le cose. L’oro ha la sua potenza perché ha la virtù di essere uno. Anche i vegetali possono far scaturire una medicina che si può usare in questo modo”.


 

1.8 La Pietra Filosofale

Non troverai

la pietra filosofale

finché non sarai perfetto.

 Grillot de Givry

 

Come vi è olio nel seme di sesamo

e una scintilla nella pietra focaia

così il tuo Amato è nel tuo corpo.

Sveglialo se puoi.

Come la pupilla è nell’occhio

così il creatore è nel corpo.

Lo stolto non conosce questo segreto

e corre fuori

cercandolo invano.

Ciò che cerchi

è nei quattro angoli della terra.

È Dentro,

tu non lo vedi,

perché vive dietro i veli dell’illusione.

 Kabir Sahib

 

Dal XII secolo in poi, gli alchimisti parlarono di un agens necessario alla trasmutazione. Questo agens aveva molti nomi, ma il più conosciuto è “Pietra Filosofale”. Altri nomi sono: polvere filosofale, grande elisir, quintessenza. La pietra filosofale poteva trasmutare i metalli in oro. Nella Grande Opera, la pietra filosofale è l’uomo stesso, essendo egli all’inizio della Grande Opera e alla fine. In generale, la pietra è lo spirito universale, presente in tutto ciò che è stato creato, e quindi anche nello stesso alchimista.

 Immagine14

Le descrizioni sono molte e non sempre simili. Paracelso la descriveva come fissa e rosso scuro; Berigard da Pisa diceva che il suo colore era quello dei papaveri; Raimondo Lullo diceva che il suo colore assomigliava a quello del rubino; Helvetius sosteneva che fosse di un giallo brillante. Molti alchimisti diedero le loro descrizioni, spesso contraddicendosi l’un l’altro. Khalid lo riassunse così: “La pietra unifica in sé tutti i colori. È bianca, rossa, gialla, blu cielo e verde”. La trasmutazione è un processo altamente personale, e quindi ogni alchimista ne ha un’opinione diversa. Alcuni di loro parlavano di una sostanza fisica.

La pietra filosofale è il simbolo dell’uomo perfetto, il risultato finale del lavoro filosofico. Anche se viene spesso associata ad argento vivo e zolfo, la pietra filosofale è difficile da spiegare a parole. Semplicemente, non abbiamo il linguaggio per farlo.

Non si è mai capito cosa intendessero i filosofi antichi per pietra filosofale. Non si può rispondere a questa domanda prima di aver capito che gli alchimisti ponevano la loro attenzione su qualcosa di inconscio. Solo la psicologia dell’inconscio può spiegare il segreto. La teoria dell’inconscio ci insegna che fino a quando questa proiezione è diretta su quel qualcosa, rimarrà inaccessibile. Quindi il lavoro degli antichi alchimisti rivela molto poco del segreto dell’alchimia

(Carl Gustav Jung).

Bisognerebbe anche considerare il fatto che gli alchimisti spesso usavano un linguaggio simbolico. I simboli sono un mezzo per trasmettere informazioni, ma questo mezzo richiede un approccio totalmente diverso di comprensione, qualcosa che nella società moderna troviamo difficile.

Quasi tutti coloro che hanno sentito parlare della pietra filosofale e del suo potere, chiedono dove si possa trovare. Il filosofo dà sempre una duplice risposta. Prima dice che Adamo ha preso la pietra filosofale dal Paradiso e che è ora presente dentro di te, dentro di me e dentro tutti, e che gli uccelli di terre lontane la hanno portata con loro. Poi il filosofo risponde che si può trovare nella terra, nelle montagne, nell’aria e nel fiume. Allora in che modo bisogna cercare? Per me, in entrambi i modi, ma ogni modo ha il suo modo”.

(Michael Maier, 1617).

La pietra filosofale è innanzitutto la creazione dell’uomo da parte di se stesso, vale a dire l’intera conquista del proprio potenziale e del proprio futuro; è in particolare la completa liberazione della propria volontà, che darà il dominio assoluto sull’Azoth e sul regno del magnetismo, vale a dire il potere assoluto sulla forza magnetica universale”.

(Eliphas Levi, 19° secolo).

La pietra filosofale è presente anche nelle leggende del Graal. In quel caso si tratta del calice colmo di azioni cavalleresche e buone, che ridonerà fertilità al regno del Re. Il Re in queste leggende è il nostro Sé superiore, il nostro Sé divino, lo Spirito, l’Uomo Celeste o Adamo Kadmon, che è stato relegato giù nel mondo terreno. Trovare questa pietra, o il divino interiore, e lavorare su se stessi per portarlo alla superficie, donerà successo al Palazzo del Re. Wolfram von Eschenbach diceva che il Graal era una pietra preziosa, portatrice di ricchi frutti di Saggezza e Purezza.

La pietra filosofale è spesso messa in relazione alla forza vitale. In alcune incisioni alchemiche, l’acqua scorre da una pietra. La pietra è la pietra filosofale, fonte dell’elisir della vita: “ciò che è come il fuoco ma scorre come l’acqua”. Tutti lo abbiamo dentro di noi.

Una volta Meister Eckhart incontrò un bel giovane.

Gli chiese da dove venisse.

“Da Dio”, gli rispose.

“Dove lo hai lasciato?”.

“In cuori virtuosi”.

“Dove vuoi andare?”.

“Da Dio”.

“Dove lo trovi?”.

“Dove ho lasciato tutte le creazioni”.

“Cosa sei?”.

“Un Re”.

“Dov’è il tuo regno?”.

“Nel mio cuore”.

“Sappi che nessuno condivide questo con te”.

“Lo so”.

Allora Meister Echkart lo portò nella sua cella:

“Prendi qualsiasi abito tu voglia”.

“Così non sarei più un Re”.

E scomparve.

Era Dio stesso.

E gli aveva fatto uno scherzo.


 

1.9 L’Elisir e la tintura

Colui che beve dall’acqua che io gli darò

non soffrirà mai più la sete

poiché l’acqua che proviene dal divino

diverrà come una sorgente in loro

innalzandosi alla vita eterna.

 (Vangelo dei dodici apostoli, 28:10)

 

In termini alchemici, il corpo viene ridotto a acqua d’argento vivo da cui successivamente viene prodotto l’elisir. Altrimenti detto, viene creato uno spirito vivificante. L’elisir è un sinonimo della pietra filosofale, ma l’alchimista usa il termine elisir quando si riferisce innanzitutto alle sue proprietà energetiche e guaritrici.

Secondo alcuni alchimisti, l’elisir è la seconda fase della Grande Opera, mentre la tintura è la terza fase. Dato che la seconda fase è l’Albedo, o bianchezza, anche la tintura viene detta: “tintura bianca”. È lo stato di materia cotta o digerita che assume un colore bianco. Quando è proiettata sui metalli, li trasforma in argento. È una medicina per piante e minerali. Parliamo di uno spirito purificato (dell’uomo) che, anche se è soltanto alla seconda fase, sta già guarendo il corpo e l’anima.

L’elisir rosso corrisponde alla terza fase: la Rubedo o rossore. Esso indica la pietra perfetta. Gli alchimisti arabi lo chiamavano semplicemente elisir, che significava “lievito”. Il lievito fa lievitare l’impasto, ciò che nel senso filosofico indica una “moltiplicazione”. In relazione all’elisir, fa moltiplicare l’energia spirituale e quindi negli esseri viventi ha una funzione guaritrice. L’elisir cura tutti i mali e rende perfetti (cioè di nuovo sani) tutti i metalli imperfetti (come gli organi e le cellule).

Il termine tintura viene usato per la sua qualità penetrante. La tintura è l’ultimo grado di trasmutazione dei corpi naturali. Porta tutte le cose imperfette alla perfezione. Paracelso si riferisce alla tintura come a una sostanza assai nobile che colora tutti corpi metallici e umani, e li cambia in un’essenza superiore. Essa penetra tutti i corpi e li fa “ascendere” come fa il lievito.

 

Immagine15

Rosarium philosophorum, Frankfurt, 1550

 

La tintura o elisir è talvolta rappresentata anche come acqua della vita che sgorga da una fontana, la fontana della giovinezza.

Artephius (XII secolo) scrisse nel suo “Libro Segreto” di essere in vita da duemila anni grazie al suo elisir. Simili dichiarazioni furono fatte da altri alchimisti. Si dice che il noto Conte di Saint-German (XVII-XVIII secolo) non invecchiasse per merito dell’elisir. Ricordiamoci che non si tratta di una sostanza fisica, ma dell’energia divina interiore dell’alchimista che è stata portata avanti e che mantiene giovane il corpo.

Si è sempre creduto che ci fosse qualche tipo di liquido, o di bevanda, che potesse prolungare la vita e dare al corpo una quasi immortalità. Sfortunatamente l’uomo comune spesso prese questo concetto alla lettera e tentò di creare un liquido. Questo liquido, o acqua della vita, è un termine simbolico per ciò che è presente nell’uomo stesso.

 

Nelle antiche scritture Indù (i Veda e i Purana) si trova il concetto di Amrita. L’Amrita è la bevanda o il cibo degli dei. È l’alimento che dona l’immortalità, ed è creato dall’oceano di latte. Gli dei greci bevevano l’Ambrosia o il Nettare, che avevano le stesse caratteristiche.

Gli alchimisti e i cabalisti parlano dell’acqua della vita in termini ad esempio di Ab-e-Hyat, o “essenza pungente, infuocata”. Più comunemente viene denominata “alkahest” o solvente comune. L’alchimista produce la sua tintura purificando il suo corpo, le sue emozioni e i suoi pensieri, finché non si identifica con la sua essenza divina. Quando l’essenza divina è realizzata, l’acqua della vita sgorga e porta via tutte le rimanenti scorie, lasciando l’oro puro.

L’elisir o tintura fa dell’alchimista un uomo nuovo. Egli rinasce ed è immortale, partecipa della saggezza divina e dell’unità con la Sorgente di tutto. È divenuto un Re del cielo.


 

2. L’Operazione Unica

Non si dovrebbe abbandonare il dovere per il quale si è nati,

anche se ha qualche imperfezione;

perché tutto ciò che si fa è avvolto dall’imperfezione,

proprio come il fuoco è avvolto dal fumo.

    Bhagavad-gita 18:48

L’alchimista ripete spesso che l’intera opera alchemica è un processo unico, che richiede un’unica, semplice azione.  Questa azione ha nomi diversi, a seconda del proprio punto di vista.  Può chiamarsi purificazione, lavaggio, pulizia, riscaldamento, cottura, distillazione eccetera.  Alcuni alchimisti mettono questi termini in un ordine apparentemente cronologico.

Immagine16

Atlanta Fugiens, Michael Maier, Franfurt, 1617

 

L’intera opera non è altro che riscaldamento, cottura: uno dei molti simboli che mostrano come l’intero processo alchemico non è altro che azione continua.  Si può chiamare meditazione, o chiara consapevolezza, ma deve essere fatto di continuo.  Questa è l’unico modo in cui la purificazione del corpo e dell’anima risulterà nello svelare la vera divina natura del praticante.   

All’inizio, l’opera si chiama dissoluzione, poiché il fuoco centrale, che è stato attizzato, trasforma la terra in acqua.  La dissoluzione è la riduzione di ciò che è fisso e asciutto in essenza d’acqua.  Il fisso è reso fluido.  Il fluido viene anche chiamato argento vivo o materia prima.  Dice sulla dissoluzione, Pernety (1858): “La soluzione filosofica è la trasformazione dell’umidità base fissa in un corpo acquoso.  L’origine di questa dissoluzione è lo spirito volatile racchiuso nella prima acqua”.

Si potrebbe dire che la propria coscienza, che è sempre presente ma in qualche modo nascosta in sé, lavora con l’azione della volontà, per portare la coscienza quotidiana (il fisso) nell’inconscio (acqua).  Si potrebbe anche dire che si diventa più consapevoli di ciò che accade interiormente, in particolar modo dei sentimenti e delle energie sottili, cose entrambe spesso paragonate all’acqua.

Per mezzo di questo continuo riscaldamento, o cottura, avviene la distillazione.  I vapori si raffreddano e si condensano.  L’acqua condensata scende e penetra la terra.  Il processo viene ripetuto ancora e ancora.

 

Dopo la distillazione, avviene il fissaggio, o coagulazione.   Il fissaggio è l’inseparabile unione del fisso col volatile, o zolfo e argento vivo, in una materia talmente durevole che è inattaccabile dal fuoco.  Mentre avviene tutto ciò, il riscaldamento della materia continua.

L’intero processo non è altro che riscaldamento.  Il fuoco deve essere mantenuto (cioè la propria attenzione deve essere mantenuta focalizzata).

La distillazione, o purificazione, è effettivamente il continuo miglioramento di se stessi allo scopo di estirpare ogni azione egoistica o emozione negativa.  Per questo è necessario mantenere continua vigilanza e diligenza.

Alcuni alchimisti associano un pianeta a ogni successivo stadio della Grande Opera.  Anche se la distillazione rimane la stessa durante l’intero processo, in termini simbolici l’alchimista ascende dal pianeta Saturno verso il pianeta Mercurio.  Inizia da Saturno, il pianeta più freddo e pesante, il malfattore, il dio del tempo e della morte.  Mercurio è il pianeta più leggero, situato accanto al sole, immerso nella luce e nel calore di quella stella.  È qui che l’alchimista scopre la giovinezza eterna.

Quando in tal modo l’alchimista ascende attraverso i pianeti, trasforma le proprie caratteristiche.  Ogni pianeta corrisponde a determinate caratteristiche psicologiche.

Il processo della Grande Opera, come dicemmo all’inizio del presente lavoro, non è espresso soltanto nel simbolismo alchemico, ma in molte altre Tradizioni, sia orientali che occidentali.

Sarà interessante, a questo punto, esaminare come esso fosse presente già nell’Antico Egitto, nel mito di Osiride.

Osiride era un re-dio che fu chiuso in un baule da suo fratello Seth, simbolo del potere di decomposizione, del fuoco che causa la putrefazione.  Il baule rappresenta il “vaso” alchemico, il recipiente, ed è significativo che venga chiuso con chiodi e piombo (essendo il piombo il metallo della Nigredo, l’Opera al Nero).  Seth gettò il baule nell’oceano e, dopo aver a lungo viaggiato, esso infine si arenò sotto un tamarindo. Ritroviamo qui numerosi simboli che indicano la seconda fase della Grande Opera: l’Opera al Bianco che, come abbiamo detto, rappresenta l’acqua alchemica, la fase in cui la terra è ridotta ad acqua.  L’oceano stesso è il simbolo della materia prima a cui la materia viene ridotta, così come il Tamarindo è simbolo del secondo stadio, l’Albedo, a causa dei suoi fiori bianchi.

Iside, la sposa di Osiride, trovò il baule e lo riportò in Egitto. Viene così rappresentata la fase della coagulazione, della condensazione.  Con i suoi poteri magici riuscì poi a ricevere il seme di Osiride ed a partorire Horus; bellissima rappresentazione della nascita della coscienza pura (Horus è il dio Sole), dopo che l’Iniziato ha trovato il seme alchemico della materia.

In seguito anche Seth ritrovò il baule col cadavere di Osiride, ne tagliò il corpo in quattordici pezzi e li nascose in diversi punti del territorio Egizio.  In tal modo vengono rappresentate le fasi della decomposizione e della sublimazione che devono essere ripetute più volte, fino a quando tutto non sarà puro e le emozioni ed i sentimenti dell’Iniziato non saranno del tutto purificate da ogni istanza egoistica e passionale.  Iside va in cerca di tutti i pezzi e li seppellisce sul posto (il fissaggio).  L’unico pezzo che non riesce a trovare è il fallo di Osiride, in quanto esso è stato ingoiato da un pesce ossirinco.  Ciò sta a  significare che i poteri sessuali sono stati trasformati in un’energia superiore e non verranno mai più espressi a un livello inferiore.  Si dice che l’espressione inferiore dell’impulso sessuale leghi l’uomo al mondo fisico, o al mondo dell’oscurità.  Il fallo non è più necessario perché Horus ormai è stato concepito.  Horus rappresenta l’uomo rinato.  Nelle sue manifestazioni infantili, viene chiamato Arpocrate, e corrisponde al Mercurio bambino.  Horus è anche Osiride risorto.  In termini alchemici, il vecchio Re è morto e il giovane Re è nato.

Osiride è anche il principio universale della vita.  È il seme, come il chicco di frumento.  Gli egizi piantavano chicchi di frumento sulle mummie, in modo che germogliassero, a simboleggiare la resurrezione dei morti.  Osiride era anche il dio della fertilità, e così venne denominato “Il Grande Verde”.  La sua pelle era spesso raffigurata in verde.  Gli alchimisti parlano del “seme verde” in natura, cioè la materia prima, o drago verde, l’energia fertile della vita che tutto penetra.


 

Allorché di due farete uno, allorché farete la parte interna come l’esterna, la parte esterna come l’interna e la parte superiore come l’inferiore; allorché del maschio e della femmina farete un unico essere sicché non vi sia più né maschio né femmina; allorché farete occhi in luogo di un occhio, una mano in luogo dì una mano, un piede in luogo di un piede e un’immagine in luogo di un’immagine, allora entrerete nel Regno.

    Vangelo di Tommaso, 22

Il sacro matrimonio, la conjunctio o coitus, si riferisce all’unione del nostro spirito divino con l’anima e infine col corpo.  Si potrebbe dire che nell’uomo comune lo spirito, l’anima e  il corpo sono in qualche modo separati tra loro, anche se lavorano l’un con l’altro.  L’obiettivo dell’Iniziato che lavora alla sua Grande Opera è quello di riunificare i tre Princìpi, costruendo quel canale coscienziale che nella Tradizione orientale viene detto Antakharana.

Immagine17

Museo Hermeticum reformatum, Frankfort, 1678

Alcuni alchimisti sostengono che vi sono tre conjunctio, ma la conjunctio in sé può essere interpretata in diversi modi.

L’alchimia possiede molte immagini contrapposte, come acqua e fuoco, asciutto e bagnato, caldo e freddo, volatile e fisso, corporeo e spirituale, Sole e Luna, oro e argento, cerchio e quadrato eccetera.  L’unione di questi opposti forma una conjunctio.  La conjunctio rappresenta insomma l’unione di corpo, anima e Spirito tramite l’Antakharana.

Nel suo significato mistico, la conjunctio è la comprensione o l’esperienza dell’unità degli opposti o dei paradossi, l’esperienza di unità dietro il nostro mondo di dualità.  Finchè la nostra comprensione rimane limitata alla coscienza fisica, essa concepisce la realtà soltanto in termini di opposti.  Nell’estremo oriente si prova a trascendere questa comprensione limitata con i koan, espressioni che contengono paradossi.  L’alchimia ha un approccio simile, poiché usa espressioni come “acqua infuocata”, “fuoco acquoso”, “acqua che non bagna le mani”, “fuoco che non brucia”.

La coniuctio provvede a questa trascendenza che porta all’unità con un processo di dissoluzione del corpo nell’acqua.

Come la dissoluzione dissolve i corpi, così i dubbi dei filosofi sono dissolti dalla conoscenza

(Gerhard Dorn, XVI secolo).

Nei manoscritti alchemici, la conjunctio viene raffigurata come l’unione, o coito, tra Re e Regina, tra l’uomo rosso e la donna bianca, o semplicemente tra marito e moglie.  “Collega lo schiavo alla sua fragrante sorella, e da soli compiranno l’opera intera; poiché non appena la donna bianca sarà andata sposa all’uomo rosso, essi si abbracceranno con fermezza e diverranno uno, si decomporranno e perfezioneranno l’un l’altra: dai due corpi che erano prima, diverranno un solo corpo predisposto alla perfezione” (Donum Dei, primo XVI secolo).

Questa citazione mostra che la conjunctio è spesso raffigurata come un rapporto incestuoso. Ciò al di là di qualunque considerazione morale, sta ad indicare che tutto il materiale dell’Opera è all’interno di noi stessi.  Troviamo questa simbologia anche in altre religioni, ad esempio Sulamith e Adam Kadmon nella Cabala, Adamo ed Eva nel Cattolicesimo, Iside e Osiride nell’antico Egitto.  Nell’alchimia si trova normalmente tra madre e figlio.  “Beya si accoppiò con Gabricius (suo figlio) e lo rinchiuse nella sua pancia così bene che non fu più visibile.  E strinse Gabricius con tale amore che lo portò totalmente nella sua natura e lo divise in molte parti” (Rosarium philosophorum, 1550): un’unione bizzarra, ma interamente simbolica.

Carl Gustav Jung sostiene che questo incesto simbolico è la discesa, o penetrazione, nell’inconscio.  Si tratta di un regressus ad uterum, o ritorno all’utero materno.  La penetrazione della donna è equivalente alla penetrazione dell’acqua o dell’inconscio.  In tal modo vediamo che la conjunctio viene raffigurata con il coito tra marito e moglie, re e regina, ma anche con il re che si fa il bagno o che beve acqua.  Talvolta il coito tra uomo  e donna avviene in acqua, in una vasca o in una fontana.  L’acqua è anche un simbolo equivalente al mercurio o all’argento vivo.

L’alchimista Gerhard Dorn parlò di corpo, anima e spirito dell’uomo.  Il corpo (corpus) corrisponde a ciò che ora chiameremmo col termine junghiano di “ombra”.  Egli considerava l’anima un’energia vitale neutra, composta da abitudini, speranze e desideri.  Lo spirito (animus) era la volontà, il concetto di ego.  Lo spirito è sempre buono ed ha facoltà mentali superiori.   Nell’uomo ignorante formano una trinità, perché l’uomo non è cosciente di tutte e tre le cose, ma le percepisce come una.

Dorn disse che vi sono tre conjunctio.  La prima avviene con la separatio, o distractio.  L’anima si separa dal corpo quando l’uomo diviene cosciente di queste due cose.  L’anima e lo spirito si uniscono, cosa che egli chiama unio mentalis. Nel momento in cui l’uomo diventa cosciente di non essere il suo corpo e comincia a percepire la differenza tra esso e l’anima e lo spirito, il corpo cessa di essere l’unico movente dei suoi desideri e bisogni ed inizia a non esprimere più i propri impulsi negativi. Il corpo ed i suoi bisogni vengono sottomessi alla volontà dell’anima.

La seconda coniuctio è l’unio mentalis unita al corpo purificato. Ciò si verifica quando, a seguito della continua purificazione delle pulsioni inferiori, fisiche, emotive e mentali, il collegamento dei tre Princìpi diventa effettivo. Corpo, Anima e Spirito sono ormai allineati e lavorano come un tutto unico e armonico.

E’ solo allora che può aver luogo la terza conjunctio: la combinazione di spirito-anima-corpo con l’unus mundus.  “L’unus mundus è il mondo potenziale del primo giorno della creazione, quando nulla esisteva in actu, vale dire nella dualità o molteplicità, ma solo come Uno”.  È un ingresso nell’unità, in cui si percepisce tutto come uno.

Nell’induismo, l’anima individuale si unifica al Brahaman, che è la realtà ultima, il principio che tutto unisce.  È l’essere interiore di tutte le cose.  È illimitato e non può essere compreso dall’intelletto né espresso a parole.

Anche l’alchimista  Pernety (1858) conosceva le tre conjunctio: “La prima si chiama doppia coniuctio.  Si trova tra agens e patiens, tra il maschio e la femmina, la forma e la sostanza, l’argento vivo e lo zolfo, il sottile e il grezzo.  La seconda si chiama triplice, perché unifica tre cose: il corpo, l’anima e lo spirito.  Così trasforma la trinità in unità.  La terza si chiama quadruplice, perché unifica i quattro elementi in uno, ma include le altre tre”.

Lascia un commento

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi