L’idea del Centro nelle Tradizioni Antiche

Abbiamo già avuto occasione di alludere al «Centro del Mondo» e ai vari simboli che lo rappresentano; è opportuno ora ritornare su quest’idea del Centro, che ha una grandissima importanza in tutte le tradizioni antiche, indicando alcuni dei principali significati che a essa sono connessi. Per i moderni, infatti, quest’idea non evoca più immediatamente tutto ciò che vi scorgevano gli antichi; anche qui come in tutto quel che ha attinenza col simbolismo, molte cose sono state dimenticate, e certi modi di pensare sembrano divenuti totalmente estranei alla maggior parte dei nostri contemporanei; conviene dunque insistervi proprio perché l’incomprensione è generale e completa.

Il Centro è, prima di tutto, l’origine, il punto di partenza di tutte le cose; è il punto principiale, senza forma e senza dimensioni, dunque invisibile, e, di conseguenza, la sola immagine che si possa dare dell’Unità primordiale. Da esso sono prodotte, per irradiazione, tutte le cose, come l’Unità produce tutti i numeri, senza che la sua essenza ne riesca modificata o intaccata in alcuna maniera. Vediamo qui un parallelismo completo fra due modi di espressione: il simbolismo geometrico e il simbolismo numerico, tanto che possono essere usati indifferentemente e si può passare dall’uno all’altro nella maniera più naturale. Non bisogna dimenticare, del resto, che, nell’un caso come nell’altro, si tratta sempre di simbolismo: l’unità aritmetica non è l’Unità metafisica, ne è solo una figura, ma una figura nella quale non c’è niente di arbitrario, poiché esiste tra l’una e l’altra una relazione analogica reale, ed è questa relazione che permette di trasporre l’idea dell’Unità oltre l’ambito della quantità, nell’ordine trascendentale. Lo stesso vale per l’idea del Centro in quanto è suscettibile di un’analoga trasposizione, per mezzo della quale si spoglia del suo carattere spaziale, non più evocato se non a titolo di simbolo: il punto centrale è il Principio, l’Essere puro; è lo spazio che esso empie del suo irradiamento e non esiste che per questo stesso irradiamento (il “Fiat Lux” della Genesi), senza il quale lo spazio non sarebbe che «privazione» e nulla, è il Mondo nel senso più ampio della parola, l’insieme di tutti gli esseri e di tutti gli stati d’esistenza che costituiscono la manifestazione universale.

La rappresentazione più semplice dell’idea da noi appena formulata, è il punto al centro del cerchio (fig. 1): il punto è l’emblema del Principio, il cerchio quello del Mondo.

È impossibile far risalire l’uso di questa raffigurazione a una qualsiasi origine nel tempo, poiché la si incontra frequentemente su oggetti preistorici; indubbiamente bisogna scorgervi uno dei segni che si ricollegano direttamente alla tradizione primordiale. Talvolta, il punto è circondato da più cerchi concentrici, che sembrano rappresentare i diversi stati o gradi dell’esistenza manifestata, disponentisi gerarchicamente secondo la loro maggiore o minore distanza dal Principio primordiale. Il punto al centro del cerchio è stato anche assunto, e probabilmente fin da un’epoca assai remota, come una figura del sole, perché esso nell’ordine fisico è realmente il Centro o il «Cuore del Mondo»; e tale figura è rimasta sino ai nostri giorni come segno astrologico e astronomico usuale del sole. Forse per questa ragione la maggior parte degli archeologi, dovunque incontrano questo simbolo, pretendono di assegnargli un significato esclusivamente «solare», mentre esso ha in realtà un senso ben altrimenti vasto e profondo; dimenticano, o ignorano, che il sole, dal punto di vista di tutte le tradizioni antiche, è in sé soltanto un simbolo, quello del vero «Centro del Mondo» che è il Principio divino.

Il rapporto che esiste tra il centro e la circonferenza, o tra ciò che rispettivamente rappresentano, è già indicato abbastanza chiaramente dal fatto che la circonferenza non potrebbe esistere senza il suo centro, mentre questo è del tutto indipendente da quella. Tale rapporto può essere raffigurato in modo ancor più evidente ed esplicito con raggi provenienti dal centro e terminanti sulla circonferenza; questi raggi possono evidentemente esser tracciati in numero variabile, dal momento che sono realmente in quantità indefinita come i punti della circonferenza; ma, di fatto, si sono sempre scelti, per le raffigurazioni di questo genere, dei numeri che hanno di per se stessi un particolare valore simbolico. Qui, la forma più semplice è quella che presenta solo quattro raggi che dividono la circonferenza in parti eguali, cioè due diametri retti formanti una croce all’interno della circonferenza (fig. 2). Questa nuova figura ha lo stesso significato generale della prima, ma vi si aggiungono alcuni significati secondari che vengono a completarla: la circonferenza, se la si immagina percorsa in un certo senso, è l’immagine di un ciclo di manifestazione, del genere di quei cicli cosmici di cui la dottrina indù in particolare fornisce una teoria estremamente sviluppata.

Le divisioni determinate sulla circonferenza dalle estremità dei bracci della croce corrispondono allora ai diversi periodi o fasi in cui si divide il ciclo; e una tale divisione può esser considerata, per così dire, con metri diversi, a seconda che si tratti di cicli più o meno estesi: si avranno così, per esempio, e per limitarci al solo ordine dell’esistenza terrestre, i quattro momenti principali della giornata, le quattro fasi della lunazione, le quattro stagioni dell’anno, e anche, secondo la concezione che troviamo tanto nelle tradizioni dell’India e dell’America centrale che in quelle dell’antichità greco‑latina, le quattro ere dell’umanità. Qui ci limiteremo a indicare sommariamente queste considerazioni, per fornire un’idea complessiva di quel che esprime il simbolo in questione; esse sono d’altronde legate più direttamente a quanto avremo da dire in seguito.

Tra le figure che comportano un maggior numero di raggi, dobbiamo menzionare in special modo le ruote o «rotelle», che ne hanno per solito sei o otto (figg. 3 e 4). La «rotella» celtica, che si è perpetuata attraverso quasi tutto il Medioevo, si presenta sotto l’una o l’altra di queste forme; queste stesse figure, e soprattutto la seconda, s’incontrano assai spesso nei paesi orientali, particolarmente in Caldea e in Assiria, in India (ove la ruota è chiamata “chakra”) e nel Tibet. D’altra parte, c’è una stretta parentela fra la ruota a sei raggi e il monogramma di Cristo, che ne differisce in definitiva solo per il fatto che la circonferenza alla quale appartengono le estremità dei raggi di solito non è tracciata; ora, la ruota, invece di essere semplicemente un segno «solare», come s’insegna comunemente ai nostri tempi, è prima di tutto un simbolo del Mondo, cosa che si potrà capire senza difficoltà. Nel linguaggio simbolico dell’India, si parla costantemente della «ruota delle cose» o della «ruota della vita», il che corrisponde evidentemente a questo significato; si parla anche della «ruota della Legge», espressione che il buddismo ha desunto, come molte altre, dalle dottrine anteriori, e che, almeno in origine, si riferisce soprattutto alle teorie cicliche. Bisogna anche aggiungere che anche lo Zodiaco viene rappresentato sotto forma di una ruota, naturalmente a dodici raggi, e che d’altronde il suo nome in sanscrito significa letteralmente «ruota dei segni»; si potrebbe anche tradurlo con «ruota dei numeri», secondo il senso principale della parola “rashi” che serve a designare i segni dello Zodiaco [1].

Vi è inoltre una certa connessione tra la ruota e vari simboli floreali; avremmo anche potuto, per lo meno in certi casi, parlare di una vera e propria equivalenza [2]. Se si considerano certi fiori simbolici quali il loto, il giglio o la rosa[3], il loro sbocciare rappresenta fra l’altro (poiché si tratta di simboli dai molteplici significati), e grazie a una somiglianza assai comprensibile, lo sviluppo della manifestazione; lo sbocciare è d’altronde un irradiamento intorno al Centro, dato che anche qui si tratta di figure «centrate», il che giustifica la loro assimilazione alla ruota [4]. Nella tradizione indù, il Mondo è talora rappresentato sotto forma di un loto al centro del quale si eleva il Meru, la Montagna sacra che simboleggia il Polo.

Ma torniamo ai significati del Centro. Finora ci siamo soffermati soltanto sul primo e più importante, quello che ne fa l’immagine del Principio; ne troveremo un altro nel fatto che il Centro è propriamente il «mezzo», il punto equidistante da lutti i punti della circonferenza, e che divide il diametro in due parti uguali. Fin qui, il Centro era considerato in qualche modo prima della circonferenza, la quale ha realtà solo in quanto irradiamento di esso; ora invece lo consideriamo in rapporto alla circonferenza realizzata, vale a dire che si tratterà dell’azione del Principio in seno alla creazione. Il mezzo fra gli estremi rappresentati da punti opposti della circonferenza è il luogo ove le tendenze contrarie, che fanno capo a tali estremi, per così dire si neutralizzano e si trovano in perfetto equilibrio. Alcune scuole di esoterismo musulmano, che attribuiscono alla croce un valore simbolico della più grande importanza, chiamano «stazione divina» (el‑maqamul‑ilahi) il centro di questa croce, che esse designano come il luogo in cui si unificano tutti i contrari, in cui si risolvono tutte le opposizioni. L’idea che si esprime qui in modo particolare è quindi l’idea di equilibrio, che fa tutt’uno con quella di armonia; non sono due idee differenti, bensì due aspetti della stessa idea. Vi è inoltre un terzo aspetto, legato in special modo al punto di vista morale (benché suscettibile di accogliere anche altri significati), ed è l’idea di giustizia; si può, così, ricollegare tutto quanto abbiamo detto alla concezione platonica secondo la quale la virtù consiste in un giusto mezzo fra due estremi. Da un punto di vista molto più universale, le tradizioni estremo‑orientali parlano continuamente dell’«Invariabile Mezzo», che è il punto in cui si manifesta l’«Attività del Cielo»; e, secondo la dottrina indù, al centro di ogni essere, come di ogni stato dell’esistenza cosmica, risiede un riflesso del Principio supremo.

L’equilibrio stesso, d’altronde, non è a dire il vero che il riflesso, nell’ordine della manifestazione, dell’immutabilità assoluta del Principio; per esaminare le cose sotto questo nuovo profilo, bisogna considerare la circonferenza in movimento attorno al suo centro, che, solo, non partecipa a questo movimento. Il nome stesso della ruota (rota) evoca immediatamente l’idea di rotazione; e questa rotazione è la figura del continuo mutamento al quale sono sottoposte tutte le cose manifestate, movimento nel quale c’è soltanto un punto che rimane fisso e immutabile, e questo punto è il Centro. Il che ci riporta alle concezioni cicliche cui abbiamo accennato in precedenza: il percorso di un ciclo qualsiasi, o la rotazione della sua circonferenza, è la successione, sia secondo la modalità temporale, sia secondo qualunque altra modalità; la fissità del Centro è l’immagine dell’eternità, in cui tutte le cose sono presenti in perfetta simultaneità. La circonferenza può girare solo intorno a un centro fisso; allo stesso modo, il mutamento, che non basta a se stesso, presuppone necessariamente un principio al di fuori del mutamento: è il «motore immobile» di Aristotele, che è ancora una volta rappresentato dal Centro. Il Principio immutabile è dunque nello stesso tempo, e proprio per il fatto che tutto ciò che esiste, tutto ciò che cambia o si muove non ha realtà che per esso e dipende totalmente da esso, è, dicevamo, ciò che fornisce al movimento il suo impulso iniziale, e anche ciò che in seguito lo governa e lo dirige, che gli dà la sua legge, essendo in qualche modo la conservazione dell’ordine del Mondo nient’altro che un prolungamento dell’atto creatore. Esso è, secondo un’espressione indù, l’«ordinatore interno» (antaryami), poiché dirige tutte le cose dall’interno, risiedendo nel punto più interno di tutti, che è il Centro.

Invece della rotazione di una circonferenza intorno al suo centro, si può anche considerare quella di una sfera intorno a un asse fisso; il significato simbolico è esattamente lo stesso. Per questo le rappresentazioni dell’«Asse del Mondo» sono così numerose e importanti in tutte le tradizioni antiche; e il loro significato generale è in fondo lo stesso di quello delle figure del «Centro del Mondo», salvo forse per il fatto che esse evocano più direttamente il ruolo del Principio immutabile nei riguardi della manifestazione universale, che non gli altri aspetti sotto i quali può essere ugualmente considerato il Centro. Quando la sfera, terrestre o celeste, ruota intorno al suo asse, ci sono su di essa due punti che rimangono fissi: sono i poli, che sono le estremità dell’asse o i suoi punti d’incontro con la superficie della sfera; per questo l’idea del Polo è anch’essa un equivalente dell’idea del Centro. Il simbolismo che si riferisce al Polo, e che assume talora forme assai complesse, si ritrova anch’esso in tutte le tradizioni, e vi occupa un posto considerevole; che la maggior parte degli studiosi moderni non se ne siano accorti, è la riprova che la vera comprensione dei simboli sfugge loro completamente.

Una delle figure più sorprendenti, nelle quali si riassumono le idee che abbiamo appena esposto, è quella dello swastika (figg. 5 e 6), che è essenzialmente il «segno del Polo»; pensiamo per altro che finora nell’Europa moderna non se ne sia mai fatto conoscere il vero significato. Si è cercato vanamente di spiegare questo simbolo con le teorie più fantasiose, giungendo addirittura a vedervi lo schema di uno strumento primitivo destinato alla produzione del fuoco; in verità, se esso ha talvolta un certo rapporto con il fuoco, è per tutt’altra ragione.

Il più delle volte, se n’è fatto un segno «solare», cosa che esso è potuto divenire soltanto accidentalmente e in modo abbastanza indiretto; potremmo ripetere qui quel che dicevamo prima a proposito della ruota e del punto al centro del cerchio. I più vicini alla verità sono stati quelli che hanno ritenuto lo swastika un simbolo del movimento, ma anche questa interpretazione è insufficiente, poiché non si tratta di un movimento qualunque, ma di un movimento di rotazione che si compie intorno a un centro o a un asse immutabile; ed è precisamente il punto fisso l’elemento essenziale a cui si riferisce direttamente il simbolo in questione. Gli altri significati sono tutti derivati da quello: il Centro imprime il movimento a ogni cosa e, siccome il movimento rappresenta la vita, lo swastika diventa per ciò un simbolo della vita, o, più esattamente, della funzione vivificante del Principio in rapporto all’ordine cosmico.

Se confrontiamo lo swastika con la figura della croce inscritta nella circonferenza (fig. 2), possiamo renderci conto che sono, in fondo, due simboli equivalenti; ma la rotazione, invece di esser rappresentata dal tracciato della circonferenza, è indicata nello swastika soltanto dalle linee aggiunte alle estremità dei bracci della croce e formanti con essi degli angoli retti; queste linee sono delle tangenti alla circonferenza, che segnano la direzione del movimento nei punti corrispondenti. Poiché la circonferenza rappresenta il Mondo, il fatto che essa sia per così dire sottintesa indica assai chiaramente che lo swastika non è una figura del Mondo, bensì dell’azione del Principio in rapporto al Mondo [5].

Se si riferisce lo swastika alla rotazione di una sfera quale la sfera celeste intorno al suo asse, occorre supporla tracciata nel piano equatoriale, e allora il punto centrale sarà la proiezione dell’asse su questo piano, che gli è perpendicolare. In quanto al senso della rotazione indicata dalla figura, la sua importanza è soltanto secondaria; di fatto, si incontrano entrambe le forme da noi sopra riprodotte [6], e questo senza che sia necessario vedervi sempre un’intenzione di stabilire fra di esse una qualche opposizione [7], è indifferentemente volto nell’un senso o nell’altro, senza che si possa nemmeno attribuire questo fatto a una rivalità fra corporazioni o al loro desiderio di distinguersi, poiché si trovano le due forme nei segni appartenenti a una stessa corporazione]. Sappiamo bene che, in certi paesi e in certe epoche, si sono potuti produrre degli scismi i cui seguaci hanno volontariamente dato alla figura un’orientazione contraria a quella in uso nell’ambiente da cui si separavano, per affermare il loro antagonismo con una manifestazione esteriore; ma questo non intacca minimamente il significato essenziale del simbolo, che rimane lo stesso in tutti i casi.

Lo swastika è lungi dall’essere un simbolo esclusivamente orientale come si crede talora; in realtà, è uno di quelli più generalmente diffusi, e lo si incontra quasi dappertutto, dall’Estremo Oriente all’Estremo Occidente, poiché esiste persino tra certi popoli indigeni dell’America del Nord. Al giorno d’oggi, è conservato soprattutto nell’India e nell’Asia centrale e orientale, e probabilmente solo in quelle regioni se ne conosce ancora il vero significato; tuttavia anche in Europa non è interamente scomparso[8]. In Lituania e in Curlandia, i contadini tracciano ancora questo segno nelle loro case; molto probabilmente non ne conoscono più il senso e vi scorgono solo una specie di talismano protettore; ma la cosa forse più curiosa è che essi gli danno il suo nome sanscrito di swastika [9]. Nell’antichità, troviamo questo segno in particolare tra i Celti e nella Grecia pre‑ellenica[10]; e, sempre in Occidente, come ha detto Charbonneau‑Lassay[11], esso fu anticamente uno degli emblemi di Cristo, e restò in uso come tale fin verso la fine del Medioevo. Come il punto al centro del cerchio e come la ruota, questo segno risale incontestabilmente alle ere preistoriche; e da parte nostra non esitiamo a scorgervi un vestigio della tradizione primordiale.

Ma non abbiamo ancora esaurito la serie dei significati del Centro: se esso è anzitutto un punto di partenza, è anche un punto d’arrivo; tutto è derivato da esso, e tutto deve alla fine ritornarvi. Poiché tutte le cose esistono grazie al Principio e non potrebbero sussistere senza di esso, dev’esserci tra questo e quelle un legame permanente, raffigurato dai raggi che uniscono il centro con tutti i punti della circonferenza; ma tali raggi possono essere percorsi nei due sensi: dal centro alla circonferenza, e dalla circonferenza, di ritorno, verso il centro. Si direbbero due fasi complementari, la prima delle quali è rappresentata da un movimento centrifugo e la seconda da un movimento centripeto; queste due fasi possono esser paragonate a quelle della respirazione, secondo un simbolismo al quale si riferiscono spesso le dottrine indù; e, d’altra parte, vi si ritrova anche un’analogia non meno notevole con la funzione fisiologica del cuore. Infatti, il sangue parte dal cuore, si diffonde per tutto l’organismo vivificandolo, poi ritorna al cuore; la funzione di quest’ultimo come centro organico è dunque veramente completa e corrisponde esattamente all’idea che dobbiamo farci, in modo generale, del Centro nella pienezza del suo significato.

Tutti gli esseri, che dipendono dal loro Principio in tutto quel che sono, devono, consciamente o inconsciamente, aspirare a ritornare verso di esso; questa tendenza al ritorno verso il Centro possiede anche, in tutte le tradizioni, la sua rappresentazione simbolica. Vogliamo parlare dell’orientazione rituale, che è propriamente la direzione verso un centro spirituale, immagine terrestre e sensibile del vero «Centro del Mondo»; l’orientazione delle chiese cristiane non ne è in fondo che un caso particolare e si riferisce essenzialmente alla stessa idea, comune a tutte le religioni. Nell’Islam, quest’orientazione (qibla) è quasi la materializzazione, se così possiamo dire, dell’intenzione (niyya) in forza della quale tutte le potenze dell’essere devono esser dirette verso il Principio divino[12]; e si potrebbero facilmente trovare molti altri esempi. Ci sarebbe molto da dire su tale questione; avremo senza dubbio altre occasioni di tornarvi sopra nel seguito di questi studi; ci accontentiamo quindi, per il momento, di accennare brevemente all’ultimo aspetto del simbolismo del Centro.

In sintesi, il Centro è al tempo stesso il principio e la fine di tutte le cose; è, secondo un simbolismo conosciutissimo, “l’alpha e l’omega”. Meglio ancora, è il principio, il mezzo e la fine; e questi tre aspetti sono rappresentati dai tre elementi del monosillabo “Aum”, al quale Charbonneau‑Lassay aveva alluso in quanto emblema di Cristo e la cui associazione allo swastika, tra i segni del monastero dei Carmelitani di Loudun, ci sembra particolarmente significativa. Infatti, questo simbolo, molto più completo dell’alpha e dell’omega, e suscettibile di assumere significati che potrebbero dar luogo a sviluppi pressoché indefiniti, è, per una delle concordanze più straordinarie che si possano incontrare, comune all’antica tradizione indù e all’esoterismo cristiano del Medioevo; e, in entrambi i casi, è ugualmente e per eccellenza un simbolo del Verbo, che è realmente il vero «Centro del Mondo».


[1] Osserviamo anche che la «ruota della Fortuna», nel simbolismo dell’antichità occidentale, ha strettissimi rapporti con la «ruota della Legge», e anche, per quanto ciò non appaia forse altrettanto chiaramente a prima vista, con la ruota zodiacale

[2] Fra gli altri indizi di questa equivalenza, durante il Medioevo, abbiamo visto la ruota a otto raggi e un fiore a otto petali raffigurati l’una di fronte all’altro su una medesima pietra scolpita, incastrata nella facciata dell’antica chiesa Saint-Mexme di Chinon, che risale molto probabilmente all’epoca carolingia

[3] Il giglio ha sei petali; il loto, nelle rappresentazioni del tipo più corrente, ne ha otto; le due forme corrispondono dunque alle ruote a sei e otto raggi. In quanto alla rosa, essa è raffigurata con un numero variabile di petali che può modificarne il significato o almeno dargli delle sfumature diverse. Sul simbolismo della rosa, si veda l’interessantissimo articolo di Charbonneau‑Lassay («Regnabit», marzo 1926)

[4] Nella figura del monogramma di Cristo con la rosa, di epoca merovingia, riprodotta da Charbonneau‑Lassay («Regnabit», marzo 1926, p. 298), la rosa centrale ha sei petali orientati secondo i bracci del monogramma; inoltre, quest’ultimo è incluso in un cerchio, il che ne fa apparire nel modo più chiaro l’identità con la ruota a sei raggi

[5] La stessa osservazione varrebbe anche per il monogramma di Cristo paragonato alla ruota

[6] La parola swastika è, in sanscrito, la sola che serva a designare in tutti i casi il simbolo in questione; il termine “sauwastika”, che taluni hanno applicato a una delle due forme per distinguerla dall’altra (che allora sarebbe l’unico vero swastika), è in realtà soltanto un aggettivo derivato da swastika, e indica ciò che si riferisce a questo simbolo o ai suoi significati

[7] La stessa osservazione si potrebbe fare per altri simboli, e in particolare per il monogramma di Cristo costantiniano, nel quale la “P” è talvolta rovesciata; talvolta si è pensato che bisognasse allora considerarla un segno deII’Anticristo; questa intenzione può effettivamente esser esistita in certi casi, ma ve ne sono altri in cui è manifestamente impossibile ammetterla (nelle catacombe, per esempio). Allo stesso modo, il «quatre de chiffre» corporativo, che del resto è soltanto una modificazione di questa medesima “P” del monogramma di Cristo [si veda, sotto, il cap. 67

[8] Non alludiamo qui all’uso del tutto artificiale dello swastika, in particolare da parte di taluni gruppi politici tedeschi, che ne hanno fatto con totale arbitrio un segno di antisemitismo, con il pretesto che tale emblema sarebbe proprio della presunta «razza ariana»; questa è pura fantasia

[9] Il lituano è d’altronde, fra tutte le lingue indoeuropee, quella che ha una maggiore somiglianza col sanscrito

[10] Esistono diverse varianti dello swastika, per esempio una forma a bracci curvi (simile a due S incrociate), che abbiamo già visto in particolare su una moneta gallica. D’altra parte, certe figure che hanno conservato un carattere puramente decorativo, come quella cui si dà il nome di «greca», sono all’origine derivate dallo swastika

[11] “Regnabit», marzo 1926, pp. 302‑303

[12] La parola «intenzione» dev’essere presa qui nel suo senso strettamente etimologico (da “in‑tendere”, tendere verso)

René Guénon

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