Ristampa tratta dal Numero 17 di The Stone
“al-Kimia, l’Arte Sacra” è tratto dal Capitolo 9 del libro di John Eberly al-Kimia: L’Essenza Mistica Islamica dell’Arte Sacra dell’Alchimia, Anamnesis Press, 1995, disponibile direttamente presso l’autore al 11105 S.Partridge Rd, Partridge, KS 66567.
“Quest’oro è il nostro maschio, ed è sessualmente unito ad un oro bianco più grezzo- il seme femminile: i due esseri uniti indissolubilmente insieme, costituiscono un Ermafrodite fecondo.” – Filalete
E’ comune nel leggere testi alchemici che il lettore osservi ripetuti riferimenti alla pratica dell’al-Kimia come “la nostra arte”, “quest’arte” o “l’arte” o descrizioni del modo di compiere un procedimento alchemico: “per mezzo dell’arte” o “con arte”. Quest’uso del termine arte non solo si riferisce, nell’intendimento degli alchimisti, ai concetti e alle teorie di tutte le Arti, ma implica anche l’applicazione plastica necessaria alla realizzazione d’ogni vera opera d’arte.
Questa è l’Ars Magna, nella quale non esiste contesto relativo alla parola arte che non possa essere anche applicato all’intero concetto di Alchimia. L’Arte nel mondo moderno è stata specializzata e separata in categorie arbitrarie; invece l’arte dell’al-Kimia, che abbraccia queste categorie ed anche di più, è rimasta comprensiva di tutto.
Quanto segue è una breve discussione sul soggetto del colore, seguito da uno sguardo ugualmente generale ad alcune delle arti dell’antichità e alcune delle loro relazioni apparenti con l’al-Kimia e l’esoterismo islamico. Le corrispondenze saranno qui delineate a grandi linee; appare, infatti, ovvio che questo soggetto meriti molto più tempo e spazio di quanto offerto dal presente studio.
Con alcune variazioni, i colori primari abitualmente corrispondono ai quattro elementi attivi trovati nell’al-Kimia: Fuoco/Rosso, Aria /Giallo, Acqua/Verde, Terra/Blu. Il fuoco è caldo e asciutto, l’Aria è calda e umida, l’Acqua è fredda e umida, e la terra è fredda e asciutta.
Il Resala-ye lama’at was resala-ye estelahat of ‘Iraqi,edito dal Dr. Javad Nurbakhsh, recita:
“Il rosso rappresenta la forza nel viaggiare lungo il Cammino.
Il giallo si dice rappresenti la debolezza nel viaggiare lungo il Cammino.
Il Blu si dice rappresenti l’unione dell’amorevole-gentilezza (mahabbat) con qualsiasi cosa sia altro dall’amorevole-gentilezza.
Il verde rappresenta la perfezione assoluta”[i]
Mediante divisione in sette otteniamo il gruppo dei quattro primari già menzionati che rappresentano la Natura, ed altri tre che si collegano allo Spirito, usualmente il bianco, il nero e l’arancio (o color legno di sandalo); assegnando questi colori ai pianeti che regolano ogni giorno della settimana, un matrimonio alchemico può essere realizzato mediante il matrimonio del quaternario degli elementi Fuoco, Aria, Acqua e Terra, ed il ternario principale di Zolfo, Mercurio e Sale.
In terminologia alchemica classica, la Nigredo o stadio nero dell’opera alchemica, è generalmente associato alla putrefazione. L’Albedo, o stadio bianco, è più spesso associato ad una fase nel processo di calcinazione, anche se può ovviamente avere, allo stesso modo, altre connotazioni. Lo stadio della Rubedo rappresenta la formazione della Pietra Solare Rossa o dello Zolfo Rosso, il kibrit al-ahmar.
E’interessante che, con poche eccezioni, il Sole sia identificato con il principio maschile e la Luna con il femminile.[ii] Nel simbolismo dell’al-Kimia il primo rappresenta lo zolfo e la seconda il mercurio. Quando essi si uniscono in matrimonio, si raggiunge la Coniunctio, la spiritualizzazione del materiale. Il Sole è simbolo della Luce di Dio, che si riflette splendidamente sopra la Luna, simboleggiata dalla terra o qalb nel Sufismo. La terra, come specchio dei mistici, manifesta ed incorpora la luce o Nur del Divino.
Isaac Newton, un praticante l’Alchimia spesso dimenticato come tale, nel 1666 scoprì che quando la luce bianca passa attraverso un prisma, si divide in bande di colore che ne rendono visibile lo spettro. Questo porta alla teoria del colore come vibrazione di luce a differenti lunghezze d’onda, che quando si combinano insieme producono la luce bianca
Henry Corbin, nel suo saggio The Realism and Symbolism of Colours in Shi’ite Cosmology (“Il Realismo ed il Simbolismo dei Colori nella Cosmologia Sciita” N.d.T.) tratto dalla raccolta di estratti intitolata Temple and Contemplation (Templi e Contemplazione N.d.T.)[iii], descrive la teoria dei colori dell’alchimista sciito Shaykh Muhammad Karim-Khan Kirmani (morto nel 1870). Nella visione di Shaykh, che è chiaramente platonica, i colori esistono come un archetipo. Pertanto come tutti gli archetipi che derivano dalla fonte Prima, esistono potenzialmente nell’unione e perciò esistono anche prima di rendersi percepibili ai nostri occhi fisici. Forse dal punto di vista dell’Unità, queste due teorie hanno in comune più di quanto inizialmente possa sembrare.
In un altro libro di Henry Corbin intitolato The Man of Light in Iranian Sufism (“L’Uomo di Luce nel Sufismo Iraniano” N.d.T.)[iv] si trova un altro alchimista, il maestro Sufi e fondatore dell’Ordine di Kobrawiyya, Abo’l-Jannab Najmo’d-Din ebn ‘Omar al-Kobra (nato nel 1145 d.C.). Kobra formulò una teoria basata sul tajalli o teofania, secondo la quale una persona diventerebbe ricettacolo delle percezioni divine riuscendo a sviluppare specificamente gli organi sensoriali ed ultrasensoriali della percezione.
Un’altra opera del Kobra, edita da F.Meier ed intitolata Fawaih al-gamal wa fawatih al-galal, riporta la descrizione di questa teoria in atto:
“Quando vedi davanti a te un vasto spazio, aperto fino alle estreme distanze, e c’è aria chiara sopra di te, e vedi sull’orizzonte lontano colori come il verde, il rosso, il giallo ed il blu, allora sai che stai attraversando l’aria per arrivare dove si trovano questi colori. I colori appartengono agli stati spirituali. Il verde è segno di vita della terra (e questo è lo stato più elevato). Il colore del fuoco ardente indica la vita della concentrazione spirituale (himma), che denota potere (o attualizzazione). Se questo fuoco fosse buio, esso dirigerebbe il fuoco dell’esercizio e mostrerebbe ai ricercatori di essere stanco ed affaticato dopo la battaglia contro l’ego inferiore ed il Diavolo. Il blu è il colore della vita dell’ego. Il giallo è il colore dell’apatia. Tutte queste sono realtà ultrasensoriali, che parlano con colui che le sperimenta nei due differenti linguaggi del senso interno (dhawq) e della percezione visibile. Queste sono due testimonianze affidabili, e mutuamente corroboranti: quello che puoi vedere con la visione interiore, puoi anche sperimentarlo in te stesso, e quel che tu sperimenti interiormente puoi anche vederlo con la visione interiore.[v]”
Quando l’Uomo della Luce incontra il colore verde, egli vede un’espressione circolare simile al Sole, che Kobra così definisce:
“Questo volto è, in realtà, il tuo stesso volto e questo sole è il Sole dello Spirito che oscilla all’interno del tuo corpo. Quindi il tuo corpo intero è immerso nella purezza, ed in quel momento vedi davanti a te una persona fatta di luce, che genera luci. Anche il viaggiatore spirituale, allora, sperimenta il suo corpo intero come generasse luci. Può essere che il velo cadrà da tutte le individualità, così che tu vedrai la totalità attraverso la totalità del tuo corpo. La facoltà della visione interiore è aperta prima negli occhi, quindi nel volto, quindi nel petto, quindi nel corpo intero. Questa persona di luce che ti sta di fronte è chiamata dalla Gente (Sufis) la “Guida Ultrasensoriale” ed è anche conosciuta come “Maestro (Personale) Ultrasensoriale” o “Scala (di Giudizio) Ultrasensoriale”[vi]
L’unità della deformazione e l’intreccio dei meravigliosi tappeti istoriati del Medio Oriente fa uso della teoria del colore quasi nello stesso modo in cui sono concepite e prodotte le miniature Persiane. L’arte di tingere i tessuti utilizza un processo di estrarre il colore da piante ed altre sostanze e così si pone come una delle manipolazioni alchemiche originali della Natura.
Molto è stato scritto relativamente alle arti esoteriche dell’Islam che includono la calligrafia, l’architettura, le miniature, e illustrazione dei libri, che spesso incorpora elaborate stesure calligrafiche inclusi gli arabeschi. In generale le opere d’arte islamiche negano la forma fisica umana in favore di quella geometrica. La flora stilizzata ed altre forme naturali ricavate dalla Natura, sono in ogni modo spesso considerate accettabili, e non a rischio di “idolatria”.
La bellezza unica ed eccezionale delle miniature persiane si trova spesso ad accompagnare testi storici o poetici. Le lettere scritte da al-Hallaj si dice fossero state miniate e dipinte su un materiale prezioso. I Manichei miniavano i libri sacri che appartenevano a questa tradizione, così come la prima iconografia cristiana.
La tradizione ci ricorda che quando Maometto ordinò la rimozione di tutti gli idoli dalla sacra Kaaba, il tempio originale che si credeva costruito da Abramo alla Mecca, le pareti erano interamente ricoperte con dipinti di divinità pagane, destinate ad essere cancellate. Maometto pose le sue mani sopra un’icona della Vergine Maria e del Bambino Gesù ed anche su di un piccolo ritratto che si credeva appartenesse ad Abramo. Queste furono risparmiate dagli strati pittura bianca, data ovunque.
Due autori, spesso identificati con la scuola Tradizionale, S.H. Nasr e Titus Burckhardt hanno scritto molte opere sul soggetto dell’arte islamica, incluso Islamic Art and Spirituality (Arte Islamica e Spiritualità N.d.T.), e Knowledge and the Sacred (La Conoscenza ed il Sacro N.d.T.); e successivamente Mirror of the Intellect (Lo Specchio dell’Intelletto N.d.T.), e Sacred Art in East and West (Arte Sacra nell’Est e nell’Ovest N.d.T.)[vii]. Questi distinti studiosi hanno sempre trattato l’importanza del Vuoto nell’Arte Islamica che è considerato come spazio negativo nell’Ovest.[viii]
Il Vuoto, che è al tempo stesso stabile e dinamico, è il modello perfetto per la terra di tutti i viventi, il luogo da cui tutte le cose derivano, e verso cui tutte le cose procedono (o si ri-seminano) nell’Unità Assoluta. Il Vuoto è legato ad entrambe la fana (annichilazione) e baqa (sussistenza) nel Sufismo, ed al sentiero della via negativa nella Cristianità. E’ il silenzio dei saggi, la tavola bianca che attende la rivelazione. E’ rappresentata dal “biancore” di cui gli Iraqi dicono: “(Il biancore) rappresenta l’integrità raggiunta tramite la completa attenzione a Dio ed il distacco da ciò che è altro da Dio”[ix]
Il Vuoto, quindi, considerato “tesoro nascosto”, spera di essere rivelato mediante l’immaginario, il cifrato ed il simbolo; in una forma consapevole.
“Ero un tesoro nascosto ed amavo essere conosciuto, così ho creato il mondo affinché potessi essere conosciuto”- hadith qudsi.
L’alchimista è l’artista consumato che rivela Dio a Se stesso comportandosi essenzialmente come un nabi, un profeta mandato a se stesso da Se stesso. Per anamnesi o auto-rimembranza della sua origine divina, egli richiama ed attiva la presenza ed il proposito cosmico. E’ un evoluzionista dello spirito che lavora, in effetti, sul piano fisico.
Thoth-Hermes (Mercurio) è tradizionalmente considerato l’intermediario o originatore di tutti i linguaggi, di tutte le arti e le scienze, tutti gli alfabeti, in breve l’angelo o messaggero deiforme di tutta la conoscenza simbolica che promana da Dio. Un alchimista è colui che rivela tramite l’Arte, l’identità Ermetica realizzata mediante la rimembranza, o zikr, la Parola, o Nome di Dio.
Nei loro testi, gli alchimisti Islamici raramente utilizzano i simboli in misura maggiore di quanto essi non si trovino nel linguaggio della rivelazione. La pratica di usare simboli segreti e alfabeti, comunque, abbonda nei testi alchemici dell’Europa del Medio Evo. Le origini di queste pratiche possono essere rintracciate direttamente nel primo Ermetismo e conseguentemente a sistemi come il jafr.
Nel medio periodo della storia europea, l’arte alchemica molto spesso prende la forma di incisioni, emblemi e pitture che sono frequentemente incorporate in testi illuminati. Lo studioso contemporaneo Stanislas Klossowski de Rola ha compiuto molto nel rinnovare l’interesse in queste arti con i suoi libri The Golden Game: Alchemical Engravings of the Seventeenth Century (Il Gioco Dorato: Incisioni Alchemiche del Diciassettesimo Secolo N.d.T.) e Alchemy: The Secret Art (Alchimia: L’Arte Segreta N.d.T.). Il Lavoro di Adam McLean in questo senso è pure degno di nota, specialmente i suoi commentari, che possono essere definiti “illuminanti”. La sua intera serie Magnum Opus Hermetic Sourceworks (Fonti della Grande Opera Alchemica N.d.T.) è vivamente consigliata.
Forse la dottrinale rigidità non-umana-formale delle arti dell’Islam ha forzato la mano della totale astrazione artistica, basata in gran parte su una geometria nella quale una variabile in continua diminuzione considera lo zero il suo limite, il Vuoto.
Ciò che promana dal “Vuoto dal quale tutte le cose derivano” nel mondo generale delle arti astratte figurative deve rimanere il soggetto di ampi, ingombranti, tomi di storia dell’arte.
E’ necessario guardare poche forme astratte generalmente connesse, e tentare di attribuite almeno parte del loro significato simbolico all’al-Kimia, l’Arte Sacra.
Il Portale di Ishtar da Babilonia, Iraq (circa 575 a.C.) era uno degli otto portali che conducevano alla città di Babilonia, dove Nabucodonosor costruì il suo palazzo completo con lo ziggurat che è considerato essere stato la mitica Torre di Babele.
Il portale, che è stato restaurato e installato al Vorderasiatisches Museum di Berlino, presenta meravigliosi mattoni smaltati su uno sfondo di blu reale con ornamenti geometrici bianco ed oro. Tori e dragoni notevolmente stilizzati in evidente rilievo sono composti di numerosi mattoni, levigati e smaltati separatamente.
Secondo la tradizione Babilonese, la dea Ishtar, che è identificata con il pianeta Venere, e governa l’amore e la guerra, discese nell’Ade per trovare l’acqua della vita con la quale intendeva far risuscitare il morto Thammuz. Thammuz è quindi descritto come giacente nel mezzo di un grande albero al centro della terra. La descrizione del divino che discese, il riferimento alla calcinazione (Ade), ed il ritorno con l’elisir (l’acqua della vita) perché il morto risusciti alla vita nel luogo del centro divino, e l’albero della conoscenza che può essere identificato come la Tuba, evoca una straordinaria allegoria alchemica.
L’arabesco e l’intrico geometrico dell’arte Islamica, che trovano un antecedente spirituale/materiale nel telaio dei tessitori, sono connessi allo Stile Animale dei nomadi “Barbari” Europei. Lo Stile Animale influenzò l’illuminata complessità di una parte dell’arte Irlandese-Sassone, specialmente i vangeli miniati come quelli del Libro Irlandese di Kells (circa 760-820 d.C.). La ricerca del messaggio occulto implicita nello sviluppo artistico ha affinità con il Vuoto Islamico, dal quale deriva la pratica esegetica, e per lo stesso meccanismo logico, la ricerca di ciò che in essa è occulto. Ancora, un punto di riferimento può essere l’uso del jafr nell’interpretazione di al-Qu’ran; il concetto di una divinità che è nascosta e ma che, talvolta, rivela la sua complessità, e quindi il modello originale.
La ricerca delle origini dell’astratto e mostruoso bestiario simbolico dei testi alchemici illustrati dell’Europa Medioevale può iniziare dove sappiamo iniziò l’arte dell’al-Kimia, nell’antico Kem (Egitto).
Nel Kem uno scritto composto di pitture geroglifiche prelogiche, porta in silenzio una serie di corrispondenze significative con i testi emblematici alchemici, come il Mutus Liber di Altus (1677).[x] Quando si compie il tentativo di decifrare questa corrispondenza silenziosa siamo inevitabilmente portati a confrontarci con il più grande mistero della nostra stessa esistenza simbolica. Quando la ragione è confusa, appare un vuoto che può precipitare la rivelazione.
Il contemporaneo West ha posto l’enfasi sul significato letterale nell’interpretazione dell’arte bi e tri-dimensionale. Secondo il suo punto di vista, l’Arte deve esistere per sola spiegazione, e questo processo si definisce, in assoluto, mediante la scelta e la sistemazione del linguaggio. Se la spiegazione è soddisfacente, seguirà una spiegazione confidente, e tenterà di risolvere quello che l’opera d’arte “significa”. Alla fine, questo criticismo artistico serve solo a perpetuare se stesso per mezzo dell’espressione verbale, una supposizione orale e conseguentemente letterale di significato nella quale il simbolo si riferisce al simbolo e sostiene linguaggio e logica, ma che ciò nonostante non conduce ad una comprensione completa (che deve includere anche un buon livello di “non-comprensione) dell’opera d’arte.
Quel che si trova sotto la superficie, allo stesso tempo esiste sulla superficie per gli organi della percezione, ed è essenzialmente un’esperienza non-verbale, un riconoscimento silenzioso per mezzo dello spirito del simbolo. L’atto di guardare allora diviene un mezzo per attivare una forma di partecipazione spirituale nella quale il soggetto e l’oggetto divengono Uno.
In questa percezione, nella quale l’esperienza esterna si unisce alla consapevolezza interna, si trova la forma pura, privata dei processi di espressione verbale, d’uso memoria e perfino dell’immaginazione creativa. Partecipare con immagine non è solo una fase della contemplazione visuale dell’oggetto, ma anche una ricerca dell’artista, del gesto della mano, del pensiero dietro il gesto, il processo chimico di guardare e trasformare la Natura in Arte.
Gli studiosi dei testi rivelatori, inclusi tutti i buoni testi alchemici, fanno bene ad assaporare lentamente persino l’immagine di una singola parola e guardare al testo ancora e ancora a differenti intervalli di tempo per raggiungere l’intento basilare che ha mosso la mano dell’artista/autore, il gesto di grazia, che è l’unica cosa rilevante al momento presente.
“Un singolo bicchiere è sufficiente a rivelare l’aroma di un vino, ed una singola parola di un hesychast può rivelare a chi ha del gusto la sua intera condizione ed attività interiore”[xi]
John Climacus
Naturalmente i geroglifici spesso accompagnano figure più grandi come una sorta di testo pittografico scorrevole, e per portare avanti il paragone fatto inizialmente, di certo la maggior parte delle raffigurazioni alchemiche si trova in libri di testo. Pensiamo alla rimarchevole Atlanta Fugiens[xii] di Michael Maier, che combina cinquanta figure con cinquanta epigrammi in Latino, con la loro traduzione in versi tedeschi, con 50 fughe che musicalmente corrispondono all’opera d’arte ed al testo!
Con l’incredibile preferenza del linguaggio inglese si era giunti per errore ad una visione del mondo da parte degli egizi scarsamente illuminata e molto meno comprensibile (fino alla decifrazione della Stele di Rosetta nel 1821), basata sull’intuizione formale; ora possiamo invece, come molti egittologi dilettanti, andare avanti ciecamente attraverso i corridoi del tempo e dello spazio, fino ad arrivare all’immagine della Sfinge. Come disse Fulcanelli della Natura in generale “. non aprire la porta del santuario indiscriminatamente a tutti.” [xiii]
La Sfinge, un ibrido di uomo e bestia potrebbe bene essere il simbolo, il modello per il nostro prossimo passo del nostro studio. Questa scultura monumentale, imperscrutabile e solida come la pietra, era e, presumibilmente, continua ad essere il simbolo centrale del Kem, o parte di un “testo” di al-Kimia che può essere decifrato e letto dagli adepti proprio come le sculture e l’architettura delle cattedrali francesi esaminate da Fulcanelli[xiv]. Tehuti o Thoth, la figura associata a Hermes nell’antico Egitto, è esso stesso dipinto come geroglifico come un ibrido dalla testa di Ibis.
Certamente le Piramidi sono primitivi simboli al-Kemici che culminano nel punto dell’origine divina.[xv] e quindi procede verso il basso, come i raggi del Sole (Ra) nel gesto espansivo della Misericordia Divina (ar-Rahman). Il simbolo del triangolo è sinonimo di zolfo, o Sol, il Sole, che gli antichi egizi credevano fosse fuso nella terra come oro metallico.
Gli ziggurat della prima Mesopotamia servivano a funzioni simili e allo stesso tempo differenti come montagne artificiali, alti luoghi destinati alle pratiche rituali in prossimità delle quali si incoraggiava l’unione dei partecipanti e della divinità.
L’idea come una forma, e come messaggero di Dio che Vola dal vuoto alla Terra può bene essere racchiuso nel concetto di un angelo. Anche gli uccelli sono tradizionali intermediari simbolici tra i mondi materiale e spirituale. L’unione dell’idea di uccello con l’angelo nel Mazdean Iran diviene, nell’uso successivo, un emblema dello Spirito Santo.[xvi
Alla porta del Palazzo del Re Sargon II, sono state trovate grandi sculture in rilievo di esseri dalla forma di leone con corpi di tori, ali spiegate in senso diagonale, e teste umane con lunghe barbe ricciolute ed elaborati copricapo divini. Paragoniamo questi meravigliosi e fantastici esseri con le immagini trovate in una versione del Ripley Scrowle disegnato da James Standysh nel XVI secolo, a pagina 96 del libro Alchemy: The Secret Art (Alchimia: L’Arte Segreta N.d.T.) di Stanislaw de Rola, che reca un’intestazione che recita: “Il mio nome è l’uccello di Hermes.”
Il “Viaggio Notturno” o Mi’raj; l’ascensione di Maometto all’ “Albero del limite estremo”, la distanza più prossima agli esseri in presenza di Dio, si compiva cavalcando un fantastico essere simile ad un cavallo, con ali, chiamato al-Buraq. Questo monte era sormontato dall’Arcangelo Gabriele. In India al-Buraq è dipinto con il volto di una donna e la coda di un pavone, ed è stato descritto come una rappresentazione simbolica dell’intelletto. Il pavone è anche il simbolo alchemico per il multiplo cambio di colore che si verifica nel corso della purificazione del materiale di base.
Le divinità del fiume e altri “mostri dell’immaginazione” che si incontrano nella storia antica, sono allusivi punti di contatto tra il mondo spirituale e quello materiale. Nella mitologia greca la Chimera è un mostro che respira fuoco con la testa di un leone, un corpo di capra, e la coda di un serpente. E’ stato detto che la Sfinge ed il Leone di Nemea, che Eracle uccise nel corso della sua prima fatica, fossero gli antesignani della Chimera e di Orthos, il cane a due teste ucciso da Eracle nel corso della sua decima fatica.
Pan, il dio del pandemonio, del panico e del panteismo era il predecessore di Hermes e di Driope, una ninfa di Lemnos che fu mutata in albero; ed è anche associato con una fontana chiamata Pegae. Pan è descritto come un essere in parte uomo ed in parte capra, che inventò il flauto a sette canne, significanti le sette sfere planetarie. Il nome Pan significa Tutto, e il suo dominio è al tempo stesso universale e particolarmente identificato con la Natura nel selvaggio. Il suo volto di sole nascente e corna ritorte, che rappresentano il tradizionale simbolo della luna, ricorda una del Crescente (luna) e Stella (sole), il simbolo(i) centrale dell’Islam. L’incorporazione del simbolismo trovato in Pan rende in lui l’immagine perfetta del Mercurio dei filosofi, che è al tempo stesso solare e lunare. Per una meravigliosa rappresentazione di Pan, vedere l’illustrazione di un anonimo artista del XIV secolo riprodotta alla pagina 75 di Alchemy: The Secret Art di Stanislas Klossowski de Rola.
I Gargolyes nelle cattedrali medioevali sono spesso stati pensati per ricordare Hyle o il Chaos, e la presenza dell’irrazionale come base o elemento intrinseco di qualsiasi ordine razionale.
Per l’elevata posizione sulla cima delle cattedrali questi ibridi sono stati definiti da Fulcanelli come libri di testo virtuali di Alchimia; e in ogni modo possono anche simboleggiare i passi nel processo o perfino il completamento dell’Opera, la nuova cosa, il matrimonio degli opposti che spiritualmente trasforma la Natura e risolve tutti i conflitti, tutte le dualità. Nel suo capolavoro Le Mystere des Cathedrales (I Misteri delle Cattedrali N.d.T)[xvii], Fulcanelli identifica una figura di pietra come L’Alchimista in prossimità della più alta parte dell’asse maggiore della torre Nord nella cattedrale di Notre Dame a Parigi. A pagina 14 del libro intitolato Notre Dame de Paris si trova una foto scattata con ampia apertura angolare, in cui si nota la raffigurazione dell’Alchimista di Fulcanelli ne Le Mystere des Cathedrales. In essa notiamo che l’Alchimista si trova vicino alla scultura di un curioso Gargoyle con la testa di un cane o leone e gli artigli di un’aquila; una ossatura e muscolatura umane ed un prominente seno femminile.
La seconda tavola in un gruppo di quattro nel libro di Steffan Michelspacher, Cabala, Spiegel der Kunst und Nature (Cabala, Lo specchio dell’Arte e della Natura N.d.T.) (Asburgo 1616) contiene una bestia ibrida con tre mammelle femminili che reca anche le caratteristiche delle Quattro Sacre Creature Viventi: le corna del Toro; il volto dell’Uomo, il corpo del Leone e gli artigli dell’Aquila.
Nel testo attribuito ad Ermete Trismegisto, intitolato The Poimondres[xviii], ci sono diversi riferimenti alla bisessualità di Dio e alla sacra natura androgina nella cui mente (nous) è maschio e sostantivo, mentre il pensiero (epinoia e annoia) come processo è considerato femminile. La congiunzione dei due sessi diviene un sacramento dell’amore celeste trovato in tutti gli esseri, e dunque, in tutta la creazione.
Paracelso definisce il Rebis come un oggetto bisessuale che combina le due antitesi nel grado più alto e desiderabile del processo di trasmutazione-totalità.
Fulcanelli si riferisce al Rebis come ad “.una doppia materia, allo stesso tempo bagnata e umida, l’amalgama dell’oro dei filosofi e del mercurio, una combinazione che ha ricevuto una doppia proprietà occulta, esattamente equilibrata, dalla natura e dall’arte”[xix]
Il matrimonio alchemico dello zolfo e del mercurio dei filosofi, del sole e della luna, come simbolo centrale di Alchimia è spesso dipinto in raffigurazioni trovate nei testi europei successivi, mediante un essere umano a due teste, con apparato sessuale allo stesso tempo maschile e femminile. Questo è il simbolo, la culminazione dell’unione degli opposti nel coito, la forza più insopprimibile che opera nell’universo, Eros.
L’erotismo, unisce le forze della vita e della morte nella forma sensuale dell’atto creativo, cristallizzato nell’immagine dell’androgino o dell’ermafrodita, un termine che deriva dall’unione di Hermaphroditos, il figlio di Hermes e di Afrodite, la dea dell’amore, con il corpo della ninfa Salmacis. George Bataill ha detto al riguardo:
“E’ la comune ragione del sacrificio riportare la vita e la morte all’armonia, per dare morte all’insorgere della vita, vita a ciò che è senza importanza, e la vertigine della morte aprirsi all’incognito. Qui la vita è unita alla morte, ma simultaneamente la morte è segno di vita”[xx]
Il sacrificio di un più intimo aspetto di presunta individualità per il bene della creazione della natura individuale veramente perfetta, è l’arte sacra e l’unione di vita alla quale ogni parte è invitata a partecipare per congiungersi al tutto nell’unità che nega tutte le opposizioni.
L’arte dell’al-Kimia non è altro che un’articolazione e manipolazione di questo basilare e naturalmente sacrale processo.
[i] Iraqi . Resala-ye lama’at was resala-ye estelahat Ed. Da Dr. Javad Nurbakhsh. Tehran, 1974. Vedere anche il 12.vol dell’enciclopedia: Sufi Symbolism del Dr. Javad Nurbakhsh per un esame virtualmente completo di tutti gli aspetti della scienza del simbolismo Sufi
[ii] Comunque, non è sempre questo il caso. Vedere: “The Marriage of Sun and Moon” (Il Matrimonio del Sole e della Luna N.d.T.) di Arthur Verluis in ‘Avaloka, Una rivista di Religione e Cultura Tradizionale, Vol.IV, No.1&2, pagine 30-39
[iii] Vedere: Henry Corbin, Temple and Contemplation (Tempio e Contemplazione N.d.T.) KPI Londra, 1986, Capitolo 1
[iv] Vedere: Henry Corbin, The Man of Light In Iranian Sufism (L’uomo di Luce nel Sufismo Iraniano N.d.T.) Shambala. Boulder, 1978
[v] Vedere: F. Meier. Fawaih al-gamal wa fawatih al-galal. 1963
[vi] Ibid., pagine 31-32.
[vii] John Eberly, al-Kimia: The Mystical Islamic Essence of the Sacred Art of Alchemy, (al-Kimia, L’Essenza Mistica Islamica dell’Arte Segreta dell’Alchimia N.d.T.) Bibliografia.
[viii] Vedere: Contributo di Nasr “The Significance of the Void in Islamic Art”(Il significato del Vuoto nell’Arte Islamica N.d.T.) ed anche il contributo di Burckhardt “The Void in Islamic Art” (Il Vuoto nell’Arte Islamica N.d.T.)
[ix] Vedere: la prima sezione della Nota1
[x] Vedere: Adam McLean. A Commentary on the Mutus Liber (Un commentario al Mutus Liber N.d.T.) Phanes, Grand Rapids, 1991
[xi] Vedere St. John Climacus. The Ladder of Divine Ascent (La Scala alla Divina Ascesa N.d.T.) Palest Press. Ramsey, 1982. pg. 273. Un hasychast è un maestro di “preghiera del cuore” od “preghiera di Gesù” che lavora sull’essere interiore del praticante cristiano nello stesso modo del zikr nel Sufismo, o dell’Hindu mantra.
[xii] Vedere: al-Kimia. Bibliografia
[xiii] Mary Sworder. Fulcanelli Master Alchemist: Esoteric Interpretation of the Hermetic Symbols of the Great Work (Fulcanelli Maestro Alchimista: Interpretazione Esoterica dei Simboli Ermetici della Grande Opera N.d.T.) Una traduzione dell’opera di Fulcanelli :Le Mystere des Cathedrales (I Misteri delle Cattedrali N.d.T.) Brotherhood of Life. Albuquerque, 1984, page 175.
[xiv] Ibidem
[xv] Vedere. Al-Kimia, capitolo 8 “Shu’ayb ibn al-Husayn al’Ansari Abu Madyan” per il simbolismo del Monte Qaf, ed anche vedere: al-Kimia: la “Prefazione”
[xvi] Per i simboli correlati della Fenice e del Simorgh, vedere Capitolo8, Nota 23, e testo
[xvii] Vedere: Nota 13 spèra. Tavole tra le pagine 72 e 73.
[xviii] Winston, Richard, Notre Dame de Paris. Newsweek. New York, 1971.
[xix] Hermes Trismegistos. Corpus Hermeticum, “Libellus
[xx] Bataille, George. Erotism: Death and Sensuality (Erotismo, Morte e Sensualità N.d.T.) City Lights. San Francisco, 1986, page 91.