Articolo chiarificatore di Guénon sul simbolismo del pesce (e in particolare del polipo, del delfino) soprattutto nella tradizione vedica ed ellenica, e le loro relazioni simboliche con il cristianesimo.
Traduzione dallo spagnolo a cura di Anna Polino
René Guénon – 12/09/2003
Articolo chiarificatore di Guénon sul simbolismo del pesce (e in particolare
del polipo, del delfino) soprattutto nella tradizione vedica ed ellenica,
e le loro relazioni simboliche con il cristianesimo.
Leggendo l’importante studio che il Sr. Charbonneau-Lassay ha dedicato al simbolismo del pesce (dicembre del 1926), ci sono venute in mente diverse riflessioni che riteniamo utile formulare qui, a titolo di complemento alla prima parte di questo studio. E, in primo luogo, riguardo alle origini preistoriche di questo simbolo, siamo disposti a riconoscergli un’origine nordica, forse addirittura iperborea. Charbonneau segnala la sua presenza nella Germania del Nord e in Scandinavia, e riteniamo che, in queste regioni, si trovi verosimilmente più vicino il punto di partenza, rispetto all’Asia centrale, dove fu senza dubbio portato da quella grande corrente, sorta direttamente dalla Tradizione primordiale, e che doveva in seguito dar luogo alle dottrine di India e Persia. Esistono, in effetti, nel Veda e nell’Avesta, diversi testi che affermano molto esplicitamente l’origine iperborea della Tradizione, e che indicano addirittura le principali tappe della sua discesa verso il Sud; sembra che ricordi analoghi, del lato occidentale, siano stati conservati nelle tradizioni celtiche, che senza dubbio sono difficili da ricostruire unicamente con i dati frammentari giunti fino a noi. E’ da notare, d’altro canto, che generalmente alcuni animali acquatici svolgono un ruolo soprattutto nel simbolismo dei popoli del Nord: citeremo come esempio solo il polipo, particolarmente diffuso fra gli Scandinavi e i Celti, presente anche nella Grecia arcaica come uno dei principali motivi dell’ornamentazione micenea.[1]
Altra circostanza, che conferma queste nostre considerazioni, è che in India, la manifestazione in forma di pesce (Matsyaavatara) si considera come la prima di tutte le manifestazioni di Vishnu [2], la quale si situa al principio stesso del ciclo attuale, e pertanto in relazione immediata con il punto di partenza della Tradizione primordiale. Non va dimenticato, al riguardo, che Vishnu rappresenta il Principio divino considerato in particolare nel suo aspetto di conservatore del mondo; questo ruolo è prossimo a quello di “Salvatore”, o meglio, quest’ultimo è come un caso particolare di quello. In verità, Vishnu appare come “Salvatore” in alcune delle sue manifestazioni, corrispondenti a fasi critiche della storia del nostro mondo, di modo che esse si possano interpretare come “prefigurazioni” di Cristo, senza contare che l’ultima manifestazione, il Kalkin-Avatara, “Colui che sta su un cavallo bianco” e che si verificherà alla fine di questo ciclo, è descritta nei Purana in termini rigorosamente identici a quelli che si trovano nell’Apocalisse. Non è questo il luogo per soffermarsi su questa similitudine abbastanza straordinaria nella sua esattezza; ma, ritornando al pesce, segnaliamo che l’idea di “Salvatore” è ugualmente vincolata in modo esplicito al suo simbolismo cristiano, poiché l’ultima lettera dell’ ikhthys greco si interpreta come l’iniziale di Soter. Ciò, senza dubbio, non ha nulla di sorprendente quando si tratta di Cristo, ma ci sono, malgrado tutto, emblemi che alludono più direttamente ad altri dei suoi attributi e che non esprimono formalmente questo ruolo di “Salvatore”.
In forma di pesce Vishnu, alla fine del Manvantara che precede il nostro, compare a Satyavrata[3] che, con il nome di Vaivaswata[4], sarà il Manu o Legislatore del ciclo attuale. Egli gli annuncia che il mondo sarà distrutto dalle acque, e gli ordina di costruire l’Arca in cui dovranno trovare rifugio i semi del mondo futuro. Poi, sempre sotto le stesse sembianze, guida egli stesso l’Arca sulle acque durante il cataclisma. Questa rappresentazione dell’Arca condotta dal pesce divino è tra le più importanti: Charbonneau-Lassay cita nel suo studio “l’ornamento pontificale decorato con figure ricamate che avvolgeva i resti di un vescovo lombardo dei secoli XIII o IX, e sul quale si vede una barca trasportata da un pesce, immagine del Cristo che sostiene la sua Chiesa”. Ebbene, è noto che l’arca è stata molto spesso considerata un’immagine della Chiesa; ed è la stessa idea che troviamo così espressa contemporaneamente nel simbolismo indù e nel simbolismo cristiano.
C’è, nel Matsya-Avatara, ancora un aspetto che deve attrarre particolarmente la nostra attenzione: dopo il cataclisma, o meglio all’inizio stesso del presente Manvantara, egli porta agli uomini i Veda, che deve intendersi, secondo il significato etimologico della parola (che deriva dalla radice vid-, “sapere”) come la Scienza per eccellenza o la Conoscenza sacra nella sua integrità, secondo il significato etimologico di questa parola (che deriva dalla radice vid, ”sapere”: è dunque la Scienza per eccellenza). C’è qui una delle più nitide allusioni alla Rivelazione primitiva: si dice che i Veda sussistono perpetuamente, essendo in se stessi anteriore a tutti i mondi; ma sono in un certo modo nascosti o rinchiuso durante i cataclismi cosmici che separano i diversi cicli e quindi ad ogni ciclo si devono manifestare nuovamente. L’affermazione della perpetuità dei Veda è, d’altro lato, in relazione diretta con la teoria cosmologica della primordialità del suono fra le qualità sensibili (come qualità propria dell’Etere, Akâça, che è il primo degli elementi); e in fondo questa stessa teoria non è altro che quella della creazione dal Verbo: il suono primordiale è quella Parola divina dalla quale, secondo il primo capitolo della Genesi ebrea, sono state create tutte le cose. Per questo si dice che i Saggi delle prime epoche hanno “sentito” i Veda: la Rivelazione, essendo opera del Verbo, come la creazione stessa[5], è propriamente una “audizione” per colui che la riceve; il termine che la indica è Shruti, che significa letteralmente “ciò che è sentito”[6].
Durante il cataclisma che separa questo Manvantara dal precedente, i Veda erano rinchiusi, ripiegati nel guscio (shankha), che è uno dei principali attributi di Vishnu. Quindi il guscio si considera come un qualcosa che contiene il suono primordiale ed eterno (akshara), cioè il monosillabo Om, che è per eccellenza il nome del Verbo, e allo stesso tempo, per i suoi tre elementi (AUM), l’essenza del triplo Veda[7]. D’altra parte, questi tre elementi (matras), disposti graficamente in maniera determinata, formano lo schema stesso del guscio; e, per una concordanza abbastanza singolare, accade che questo schema rappresenti anche quello dell’orecchio umano, organo dell’udito, il quale, se in effetti deve essere adatto alla percezione del suono, deve avere una disposizione conforme alla natura del suono stesso. Tutto ciò tocca visibilmente alcuni dei più profondi misteri della cosmologia. Ma chi, nello stato di spirito che costituisce la mentalità moderna, può ancora comprendere le verità appartenenti a questa scienza tradizionale?
Come Vishnu in India, e ugualmente nelle sembianze di un pesce anche Oannes caldeo, che alcuni hanno considerato espressamente come una figura di Cristo[8], insegna agli uomini la dottrina primordiale: notevole esempio dell’unità che esiste fra le tradizioni in apparenza più diverse, e che sarebbe rimasto inspiegabile se non si fosse ammessa la sua appartenenza a una fonte comune. Sembra che il simbolismo di Oannes o di Dagon non sia solo quello del pesce in generale, ma che si relazioni particolarmente con quello del delfino. Il delfino, per i Greci, era vincolato al culto di Apollo[9] e aveva dato il nome a Delfos; si diceva che tale culto provenisse dagli Iperborei. Ciò che ci spinge a considerare tale vincolo (che invece non si trova chiaramente indicato nel caso della manifestazione di Vishnu) è soprattutto la stretta connessione che esiste fra il simbolo del delfino e la “Donna del mare” (l’Afrodite Anadiomene dei Greci)[10]; essa,precisamente, si presenta sotto altri nomi, come il paredro femminile di Oannes e dei suoi equivalenti, cioè come figurazione di un aspetto complementare dello stesso principio[11]. “La Dea del fondo dei mari” è la “Dama del Loto” (Ishtar, come Ester in ebraico, significa “loto” e a volte anche “giglio”, due fiori che, nel simbolismo, si sostituiscono a vicenda)[12], così come il Kwan-yin dell’estremo oriente, che è allo stesso modo una delle sue forme. Su questo tema ci sarebbe molto altro da dire, ma non è quello che ci siamo proposti di fare in questa sede[13]. Ciò che abbiamo voluto mostrare, è che il simbolo del pesce era particolarmente predestinato a raffigurare Cristo, rappresentando due funzioni che gli appartengono essenzialmente (e ciò senza pregiudizio sulla sua relazione con l’idea di fecondità e “principio di vita” che ancora offre una ragione supplementare per questa figurazione) visto che, con questo simbolo, il Verbo compare allo stesso tempo nelle tradizioni antiche come Rivelatore e come Salvatore.
P. S. – Alcuni si meraviglieranno forse, sia per le considerazioni che abbiamo appena esposto, sia per quelle che abbiamo dato in altri articoli o che daremo ulteriormente, del ruolo preponderante (ma non esclusivo) che fra le diverse tradizioni antiche assegniamo a quella dell’India. Tale stupore, insomma, sarebbe abbastanza comprensibile, data la completa ignoranza in cui ci si trova generalmente nel mondo occidentale, intorno al vero significato delle dottrine di cui stiamo parlando. Potremo limitarci a far notare che, avendo avuto occasione di studiare particolarmente le dottrine indù, possiamo legittimamente prenderle come termine di paragone; riteniamo, però, preferibile dichiarare che esistono altre ragioni, più profonde e di portata generale. A chi fosse tentato di metterlo in dubbio, consiglieremo vivamente di leggere l’interessantissimo libro del R. P. William Wallace, S. J., intitolato “De l’Evangélisme au Catholicisme par la route des Indes” [14] che costituisce in merito una testimonianza di grande valore. E’ un’autobiografia dell’autore, che, inviato in India come missionario anglicano, si convertì al Cattolicesimo attraverso lo studio diretto delle dottrine indù; e nei lineamenti che offre di tali dottrine, da prova di un approfondimento che, pur non essendo completo in ogni punto, va incomparabilmente più lontano rispetto a tutto ciò che abbiamo trovato in altre opere occidentali, incluse quelle degli “specialisti”. Il R. P. Wallace dichiara formalmente, fra le altre cose, che “il Sanatana Dharma dei saggi indù (ciò che poteva tradursi con sufficiente esattezza per Lex perennis: è il fondo immutabile della dottrina) procede esattamente dallo stesso principio della religione cristiana: l’uno e l’altra perseguono lo stesso obiettivo e offrono gli stessi mezzi essenziali per raggiungerlo (pag. 218 della traduzione francese). “Gesu Cristo appare come il Consumatore del Sanatana Dharma degli Indù,quel sacrificio ai piedi del Supremo, così come il Consumatore della religione tipica e profetica dei giudei e della Legge di Mosè” (pag.217). La dottrina indù, invece, è “il naturale pedagogo che conduce a Cristo” (pag.142). Tutto ciò non giustifica forse ampiamente l’importanza che attribuiamo a questa tradizione, la cui profonda armonia con il Cristianesimo non può sfuggire a chi come R.P. Wallace la studi, senza idee preconcette? Ci considereremo soddisfatti se riusciremo a far percepire quell’armonia nei punti che avremo occasione di trattare, e far comprendere allo stesso tempo che il motivo di tutto ciò deve cercarsi nel vincolo diretto che unisce la dottrina indù alla grande Tradizione primordiale.
Nota: Questo saggio è stato pubblicato originariamente nella rivista “Regnabit”, n. 9, Parigi, febbraio del 1927. Non incluso in altra compilazione postuma.
Forma il capitolo XVI del libro riassuntivo «Ecrits pour Regnabit». 1927, febbraio: «A propos du Poisson». Non ripreso in altra collezione postuma. Serve da complemento a questo testo un post scriptum di mezza pagina apparso nell’articolo di aprile del 1927.
L’articolo «Quelques aspects du symbolisme du poisson» pubblicato in « Etudes traditionnelles », febbraio del 1936 è una rielaborazione del presente ed è riassunto come capitolo XXII di «Symboles de la Science Sacrée».
- René Guénon: “Sul significato delle feste carnevalesche” - 28/02/2019
- Quaderno n. 29 – René Guénon – Contro il miscuglio delle Forme Tradizionali - 05/03/2017
- L’iniziazione e i mestieri - 10/10/2016