Nella memoria di tutti sono sempre state tra Mediterraneo e Atlantico, ma non era quella la loro collocazione originale
Finora tutti credevano che fossero nello stretto di Gibilterra, invece si trovano tra Sicilia e Tunisia
Chi e quando ha messo le Colonne d’Ercole a Gibilterra? Davvero Ercole? E come mai laggiù? E perché tutti quei miti sono affogati là fuori, dove i Greci più antichi non arrivavano. Davvero l’Oceano Atlantico è il Far West dei primi navigatori? E quegli enigmi che affollano la prima storia mediterranea non sono forse soltanto dei malintesi?
Cos’è stato? Un sogno? O era, piuttosto, un’allucinazione? Un miraggio no, perché poi ho controllato, controllato, controllato. E controllato di nuovo. E sto controllando ancora adesso. E ne ho già parlato, in segreto, con dei saggi davvero saggi, che mi dicono che sì, che è possibile, probabile, molto probabile… E che è già capitato per tanti altri luoghi, e che, quindi…
Comunque è successo tutto all’improvviso. Ecco, è stato un flash, un lampo: roba di un attimo, di quella che, però, ti buca gli occhi, ti mette gli spilli nella schiena, ti scioglie le ginocchia, ti cambia lo sguardo.
Come raccontarlo…
Ho tolto le Colonne d’Ercole a Gibilterra. Le ho rimesse dove iniziavano le Terre di Eracle-Melqart, Dio di tutti i Fenici e dei loro mari. Le ho rimesse dove Sabatino Moscati diceva che iniziava la Cortina di Ferro dell’Antichità, dove Esiodo mette la sua Soglia di Bronzo che divide il Giorno dalla Notte. Le ho rimesse al Canale di Sicilia: la zona blindata, la Frontiera, il Confine. Al di là di Malta c’era il Far West degli antichi Greci; i fondali infidi controllati dai Cartaginesi e dalle loro navi, vietati a chiunque fenicio non fosse.
Tolte le Colonne a Gibilterra, e…
E’ bastato un attimo: è stato lo spettacolo più maestoso e possente che si possa immaginare. Come raccontarlo? Inimmaginabile se non lo si vede. Come dover raccontare le Cascate Vittoria, giù in Africa, quando d’improvviso lo Zambesi – che fin lì sembrava tutto tranquillo – si piega, invece, ad angolo retto per un fronte di un chilometro e corre a suicidarsi giù, in quel canyon stretto stretto, di basalto nero lucente.
Pure qui allo Stretto di Gibilterra, tolti – anche solo per un attimo, anche solo con gli occhi – quell’Eracle “recente” e le sue minacciose Colonne, d’improvviso – con la corrente forte che rifluisce tra i due promontori che terminano l’Europa e l’Africa – rientra nel Mediterraneo tutta la possente sarabanda di miti sconfitti che il tempo ha esiliato fuori di lì, nell’Oceano Atlantico di oggi.
E’ un flusso impetuoso. Inarrestabile: la più fantastica processione sacra a cui uno possa mai assistere. Secoli e secoli di miti, di mostri ed eroi che rientrano tutt’insieme, a riprendere possesso dei luoghi un tempo soltanto loro.
Un’alluvione di Sacro. E, per antica magia, questo mare nostro d’Occidente senza più storia, disabitato come la Luna, è tornato a essere il mare terribile di Baal e di Kronos: così, ora, si vede che erano i due nomi dello stesso dio. E’ il mare di Eracle-Melqart, che governava su tutto il Tramonto. Torna a far paura Poseidone. E Tifone. E i Titani imprigionati, proprio qui, ai confini del mondo degli antichi Greci.
E rientrano da Gibilterra, belle come sempre – abbandonando finalmente il loro confino marocchino, e correndo a posizionarsi di nuovo in Libia, proprio lì dove ce le aveva lasciate anche Tolomeo – le Figlie della Notte, le Esperidi. E ci sono anche le Amazzoni libiche che rientrano da dietro, stanche di essere confuse – persino dalle Garzantine – con quelle del Caucaso. Tutt’altra roba… E con loro c’è Atena che è davvero un po’ nera e che torna al lago Tritonide: devastato dai cataclismi, invaso dall’acqua, ma pur sempre il suo lago, quello che l’ha vista nascere. Lì, dove Diodoro ci racconta che cominciava la costa più sacra della Lybia, quella che i terremoti hanno, poi, massacrato.
Ed eccole le Madri onnipotenti: tutte insieme grasse come dee le prime; affilate come rasoi quelle di marmo bianco, che dominarono i cuori delle Cicladi, della Sardegna, della Provenza, della Catalogna. Resuscita persino il mostro dal corpo diviso in tre, Gerione dai bei tori fulvi, e si riprende Erithia, ma quella vera: le sue Baleari con Ophiussa-Formentera senza i serpenti, e Majorca, e Minorca… E ora – che non è più un incomprensibile “fuorirotta” nella saga di Eracle – finalmente Gerione si può sgranchire: ché quell’isoletta di Gades-Cadice dove l’avevano costretto finora, non era certo la sua, piccolina com’è, e ormai saldata alla terra andalusa, e troppo lontana da tutto, e senza altri re a dividere il potere con lui. Anche Ercole/Eracle, quello dei primi Greci e delle fatiche mediterranee, ora sì che ha motivo di ringraziare il Sole per la tazza che gli aveva prestato. Ché da Tartesso a Erithia, da solo, non ce l’avrebbe mai fatta: per superare il Mare Grosso tra la Sardegna e le Baleari, infatti, o il Sole ti aiuta, oppure…
E tutto l’Occidente Mediterraneo – quello a cavallo tra II e I millennio avanti Cristo, quando miti e paure si raccontavano nei porti – si anima di popoli e di commerci e di vita bella. Sorride Omero tirato, trascinato da tutti, dappertutto, fin su nel Baltico, come un elastico, a giustificare storie senza geografia. Sorride Apollo non più costretto a svernare nell’Iperborea-Inghilterra, quei tre mesi d’inverno che ogni anno lascia Delfi. E sfilano, tra antichi dèi sconosciuti, anche i padri dei loro padri: le genti immortali dei graffiti sahariani; i cacciatori di Altamira. Con gli archi – e i mantelli e i cavalli e le mani che pregano – tornano vivi i santini in bronzo dei Nuraghes; rientrano i costruttori dei megaliti di Spagna, d’Africa, di Malta.
Cadono i copyright della mitologia. Per tutto il tempo della Processione Sacra smettono di essere razze elette solo quelle all’asciutto. Stessa razza, stessa faccia… Basta guardare subito dopo: Iside l’adoravano a Verona, ad Aquileia, a Parigi. Mithra vola alto, ovunque, quanto il Sole. Come Sole. E’ il Sole. Cristo, ora, è più forte in Africa, in Brasile, in Perù.
I miti, gli dèi, viaggiano con la disperazione. Ne sono antidoto: si fondono, si parlano, si combattono, si alleano, si accoppiano, figliano. Sangue misto mediterraneo… Sangue come le correnti del mare, che basta stare fermi in una barca buona e – a conoscerne i tempi come li conoscevano loro, gli Antichi – ti portano ovunque.
E sì, si è riaperta Gibilterra!
Lento, sopraffatto da quel peso che neppure ora può lasciare, si avvicina anche Atlante. Lui non rientra mica dallo Stretto: sembra slittare lungo la catena montuosa che traversa orizzontale l’Africa del Nord dividendola dal Sahel. A guardarlo bene – e, soprattutto, a seguirne la rotta sulle mappe di Tolomeo – sta facendo a ritroso proprio lo stesso percorso che l’hanno obbligato a fare i cartografi, chissà quando. Torna su per fermarsi, poi, dove la sua catena montuosa comincia in Tunisia, giusto dietro Kairouan. Ma, forse, però, salirà ancora, ancora un po’…
Non più le Isole dei Beati alle Azzorre, né tutte quelle Atlantidi affogate finora sotto l’Oceano di Colombo e del Concorde, nel Mar dei Sargassi, alle Bahamas, a Cuba… L’Occidente dove San Brandano andò a cercare il suo Eden è un po’ più in qua, dov’era per gli Antichi che per orientarsi invece delle mappe avevano solo i miti.
Tutto qui vicino, tutto qui dentro: con le Colonne della Paura che ora sono lì, tra le secche delle Sirti che gli Arabi oggi chiamano Sahara per tutta la sabbia che c’è, acquattata sotto il pelo dell’acqua a inghiottire ancora oggi i poveracci che arrivano.
Giusto i Micenei ci sanno correre lì dentro, nel 1300 a.C., con navi veloci, ben fatte. Anzi ora, visti da vicino vicino, ti accorgi che aveva ragione Giovanni Garbini: sono i Popoli del Mare, quelli, altro che Micenei e basta. Sono i padroni di quell’Internazionale del Commercio antico che piazzava merci, droghe e bibelots lungo tutte le coste: Lebu-Libici, Shekelesh-Siciliani, Shardana-Sardi, Tursha-Tirreni che tirano su torri e che, poi, si chiameranno Etruschi. E Peleset-Filistei, e genti d’Anatolia, di Grecia, del Mar Nero… Ciurme, quelle, che la sanno lunga, brave a evitar le trappole dei fondali, a capire vento e legger stelle. Bisognerà aspettare i Fenici, nell’800 avanti Cristo, per trovarne altri così bravi.
Ma non saranno, poi, sempre loro? O figli dei loro figli?
E’ un’anamorfosi. Una strabiliante anamorfosi: con le Colonne al Canale di Sicilia – proprio lì, dove cominciavano le Terre di Eracle-Melqart – neppure Iperborea rimane su al Nord, in Scandinavia, in Inghilterra o in Siberia, a sforzarsi per mandar giù, ogni primavera, primizie di grano, e fichi, e alloro, e ulivo fino a Delo. Pure Ercole a Olimpia l’ulivo sacro lo può finalmente portare da qui, dal Mediterraneo, che più su, poi, mica ci cresce, né l’ha mai fatto. Iperborea come le altre – per prodigio e perché gli dèi così hanno voluto – s’assottiglia per un attimo, si fa serpente di mare e, da Gibilterra, da dove l’avevano fatta uscire millenni fa, rientra al suo posto. Riprende la sua forma: roccia e terra buona sulla rotta del vento del Nord, certo, ma – per i marinai che vengono dalla Grecia – subito dopo il promontorio di Borea che negli scritti di Tolomeo è a Biserta, appena passata Cirene, dove la costa comincia ad aprirsi a far quelle due Sirti che inghiottono barche.
Vale la pena di visitarle presto, Iperborea e le altre Isole dei Beati, ora che sono appena riapparse lì dov’erano per gli Antichi. Le ruspe, oggi, le stanno sbranando vive, pezzo a pezzo, giorno dopo giorno. Ne inghiottono la bellezza. Ne sputano via solo la Storia.
Prima di fare la cronaca di questo viaggio-inchiesta tra parole e mappe e resoconti degli Antichi alla ricerca di riscontri, una confessione è d’obbligo: io però, ora, credo! E a un certo punto – con uno spettacolo del genere negli occhi – uno che fa? Si converte.
Non è ancora l’inchiesta questa. Anzi chissà se lo sarà mai abbastanza: o se rimarrà solo un catalogo sudato delle cento, mille inchieste possibili che neanche dieci vite basterebbero a recuperare il tempo perduto. Ora, qui, però, questo è solo un atto di fede…
A questo punto, però, io credo. Come non credere, del resto… Io credo! E credo a loro, agli Antichi e non ai Moderni che, per 2000 anni e passa, hanno dovuto ragionare con mappe sbagliate nelle mani. E ora credo che Zeus sia figlio di Kronos. E che Kronos sia stato davvero imprigionato in una torre, su un’isola, là dove tramonta il Sole. E che inghiottisse, uno via l’altro, i suoi figli. Credo, pure, che Delfi sia stato davvero l’Ombelico del Mondo piazzato lì, annidato sul suo picco d’aquila, a dominare destra e sinistra, l’Est e l’Ovest, sul 39[ba] parallelo. E credo anche che, proprio lì, si siano incontrate quelle due aquile d’oro che Zeus aveva liberato dai confini del mondo conosciuto.
Ormai, figurarsi, credo persino che quei confini siano segnati da due Giganti pietrificati, bloccati lì, sepolti vivi. E che questi due Giganti siano tra loro fratelli come ci dice oggi quel Dna che ancora gemella Sardi e Anatolici. E che uno sia davvero Prometeo, al Caucaso dell’Alba. E l’altro, sia Atlante, al mare del Tramonto. E che Tifeo, l’altro fratello di questa genia sepolta viva, sia rimasto imprigionato laggiù, sotto l’Etna, a scandire dal basso – sotto quella sua colossale montagna di lava e fuoco e paura – il percorso che il Sole faceva nel cielo con il suo cocchio.
E ogni volta che il Sole sorge, ora so che sta nascendo dall’Oceano del Mar Nero, e che mi scomparirà nell’Oceano del Tramonto che terribile ci circonda, prima delle Baleari, ma dopo la Sardegna. E so che il mio mondo – quando devo ragionare con loro, per capirli – è solo questo. E che come poi finisca l’Europa non lo devo saper più neanche io, visto non lo sa neppure Erodoto… E so bene che dopo le Colonne, che Eracle-Melqart ha messo al Canale dei Mostri di Sicilia, è follia andare. Ché lì cominciano le sue di terre… E mare su mare. Ma che da lì – da quell’Aldilà vicino vicino – gli Antichi fanno arrivare mica solo Athena Tritonia con la pelle d’ambra e quei suoi occhi azzurri come li hanno le genti di Capo Bon e del Chott el-Cherid, ma anche cento altri figli dell’Occidente, di Oceano, della Notte, di Medusa, di Teti… E pure le paure, le angosce, i tormenti arrivano dal buio del Tramonto. Sono figlie della Notte le Arpie, le Erinni, le Furie, il Sonno così simile a Morte, al Sole che affoga e risorge… E’ figlio di Oceano, Poseidone. E – e devo crederci, perché loro lo giuravano – è figlio di Poseidone e Libya, Baal, quello che i Greci chiamavano Belos-Kronos, ma che i suoi fedeli in Medioriente imparentavano con i principi della Mesopotamia, Nino, Semiramide: i Re dei Re. Ed è triste, terribile, ineluttabile ma è proprio in quest’Aldilà che, prima o poi, si finisce, lontano da tutto: nell’Isola dei Beati, tra gli asfodeli, se ci si è comportati bene. A soffrire come cani dell’Ade di fango e di buio, se c’è da espiare – com’è giusto – una colpa troppo grave. E’ Radamante a decidere tutto, la mamma di Eracle è sua sposa.
E credo a Esiodo quando mi straparla e dice che ci sono state tante generazioni sprofondate. Me lo raccontano anche le grotte di Lascaux, di Cosquer, e cento grotte affogate sott’acqua o sepolte vive con tutti quei loro colori e i disegni belli di 15 mila anni fa.
E sì, credo. E, dato che ormai credo, perché adesso – dopo la conversione – non credere anche alla banda di Platone, allora? A Solone, a Timeo, alle parole di Crizia, visto che finora li ho sempre snobbati come fabbricanti di favole per ufaroli persi? Al di là delle vere Colonne d’Ercole – e ora, ad ascoltarli, si vede bene – c’è un’isola e da quest’isola si arriva alle altre isole e al continente che tutto circonda… Il suo re è figlio di Poseidone, il Mare. Il suo nome è Atlante. Ci arriveremo…
Ci arriveremo se gli dèi lo vorranno. Se ci sarà una risposta certa al Grande Dubbio, inizio di tutto: “Chi – e quando – ha messo a Gibilterra le Colonne di Eracle?”. Ci arriveremo se la Biblioteca degli Antichi – da leggere e rileggere con questa pazza anamorfosi negli occhi – ce ne darà conferma.
Prima di mettersi a raccontare dell’Isola di Atlante, Platone non solo fa dire a Timeo queste parole: “…Se non possiamo offrirti ragionamenti in tutto e per tutto logicamente coerenti ed esatti, non ti meravigliare; ma – purché i nostri discorsi non siano meno verosimili di quelli tenuti da altri – contentiamocene pure, ricordando che, io che parlo e voi che giudicate, abbiamo natura umana: cosicché a noi basta, intorno a queste cose, accettare un mito verosimile, e non dobbiamo cercare più lontano”.
Poi fa anche rispondere Socrate, così: “Molto bene, Timeo. E la questione va certo impostata così come tu dici. Per ora abbiamo accolto il tuo preludio con grande ammirazione: seguita dunque…”.
L’Elenco della Vergogna fa impressione: i Migliori alla berlina! “Sbaglia Omero…”; “Si annebbia Esiodo…”; “Si confonde Erodoto…”; “Si perde Timeo…”. E Avieno, allora? Sbagli addirittura mare, lui… Dice che descriverà il Mediterraneo e, invece, sta mettendo in bella copia antichi peripli sulla Costa atlantica e Mare del Nord… Smarrona di brutto persino Dicearco, uno dei Padri della Geografia… Figurarsi che lui sostiene che dal Peloponneso è più lontana la fine dell’Adriatico, che le Colonne d’Ercole… Dice che sono diecimila stadi da Capo Malea alle Colonne… Una follia! Errore blu! Già Polibio gli dava contro, correggendolo: “Ventiduemilacinquecento stadi!” ci vogliono, altro che diecimila!
Ma Polibio, però, si sa, è già un moderno…
E Sileno che fa di Etna una figlia di Oceano? E i tre tragici, allora? Bravi in tutto, certo, ma zero in punti cardinali! È mai possibile? E poi: c’è qualcuno tra loro che ha davvero messo a Gibilterra quelle Colonne di Ercole? E c’è qualcuno che, invece, per caso non l’ha fatto?
Caccia grossa, anche stavolta. Il problema qui, ora, è l’ignoranza: è, davvero, quella loro? Degli Antichi? O piuttosto nostra che su certe cose, tipo le Colonne… abbiamo continuato a fraintendere gli Antichi più antichi?
Il dubbio sull’esatta posizione delle prime Colonne d’Ercole non risulta essere venuto a nessuno, così tutti sentenziano: “Loro! Sono gli Antichi che sbagliano. Erodoto? Il padre dei Bugiardi!”, sentenziano, spesso, senza appello, persino i migliori studiosi contemporanei. E ne portano le prove puntigliose.
L’Erodoto che racconta di Tartesso? Lo sistema a dovere il professor F. Javier Gòmez Espelosìn dell’Università di Alcalà de Henares con Heròdoto, Coleo y la storia de la España antigua: “È certamente probabile che Erodoto a Samo abbia ascoltato notizie vaghe sulla prodezza del navigante (tal Coleo di Samo, per l’appunto, trascinato dai venti a Tartesso, ndr)… Poco lo dovettero preoccupare le connotazioni precise che la notizia implicava, specialmente vista la sua profonda non conoscenza del Lontano Occidente e la sua dichiarata incapacità di poter offrire un’informazione attuabile e verace dello stesso”. E anche qui non viene mai un dubbio che sia solo serietà la sua: che se prima Erodoto ti dice che l’Occidente estremo non lo conosce, ma invece di Tartesso parla, può esserci il caso che Tartesso non sia, poi, in un Occidente così estremo come si pensa… Vedremo…
L’Erodoto che mette i Celti al di là delle Colonne d’Ercole? Lo bacchetta Alberto Grilli ne I Celti e l’Europa: “Il passo di Erodoto contiene poi notevoli trascuratezze, la più notevole quella di far nascere l’Istro (ovvero il Danubio, ndr) dalla città di Pirene, invece che dal monte Pirene, come molto più razionalmente farà Aristotele in Meteorologica…”. Sbagliando anche lui, però…
Ma sbaglia davvero, Erodoto, parlando di Pirene e non di Pirenei! come sorgente dell’Istro? Vedremo…
Davvero loro, gli ignoranti? L’Elenco delle Vergogne degli Antichi porterebbe via pagine e pagine… Un dubbio, però: è mai possibile che, sulla conoscenza del Mediterraneo, fossero tutti quei grandi, grandissimi dell’antichità annebbiati, disorientati come ci dicono…
Omero, Esiodo persino, più tardi, Erodoto sono, sì, le prime luci che rischiarano il mondo greco che, nell’VIII secolo, ha appena ricominciato a scrivere, ma tutt’intorno a loro nel Caucaso, in Mesopotamia, in Egitto, tutti però hanno continuato stiletto in mano a graffiar appunti di merci, commerci, viaggi, popoli… Loro stessi viaggiatori, spesso in tournée, erano questi che oggi leggiamo anche persone che tutte queste cose che andavano scrivendo, poi le rendevano pubbliche, le recitavano, le donavano ai principi, ne facevano letture alle feste comandate: le notizie dovevano essere stracontrollate…
Potevano rischiare di sputtanarsi così, con indirizzi imprecisi e rotte sbagliate, come sosteniamo noi, oggi, a cuor leggero? Avrebbe potuto pur esserci qualcuno, nel pubblico, che poi alzava la mano a protestare: “Omero, ma che cosa stai raccontando!? Come fai a dire che Corfù/Scherìa è lontana da tutti? Che è circondata da flutti infiniti, visto che è lì, a qualche bracciata dalla costa?”. Rispetto, dunque…
Leggiamo qui, un libro per altri versi fantastico per tutte le informazioni che riesce a stipare in 722 pagine. Manuale di geografia antica si chiama, e nuovo non è: l’ha scritto, a metà Ottocento, Guglielmo Smith, un geniaccio dell’erudizione (e della divulgazione) storico-geografica di scuola inglese. Barbera editore in Firenze glielo stampò. Scrive Smith: “Timeo (280 a.C.), che suppongono aver superato i suoi contemporanei nella conoscenza dell’Occidente, mette la Sardegna prossima all’Oceano, e fa sboccare il Rodano nell’Atlantico…”. E un po’ più giù, parlando di Erodoto, dell’ambra e delle sue vie commerciali: “Si faceva proveniente dall’Eridano che, secondo le notizie che si avevano, si gettava nell’Oceano del Nord”. Altro errore, dunque! Visto che per Eridano oggi s’intende il Po (anche se poi, di tanto in tanto, sopravvivono, riaffiorano schegge di antichi dubbi tra Eridano e Rodano), e che l’Oceano ha da essere l’Oceano di oggi… Così, certo, messa così solo un errore può essere… Alcuni di quegli “errori” che fecero rabbrividire il professor Smith, in questo secolo e mezzo trascorso, son pian piano, però, diventati verità, grazie all’archeologia.
Smith, comunque, parlando dell’Atlantico scrive: “Quest’oceano era cognito soltanto per vaghe notizie. Platone reputò che fosse così melmoso a cagione di un’isola sprofondata che si chiama Atlantide, che nessuna nave potesse navigarlo. Aristotele credé che fosse tanto poco fondo quanto lo era molto il Mediterraneo, e così esposto a una morte calma che il navigarlo era impossibile”. E spiega sicuro: “In tutte queste relazioni e nella ignoranza che mostrarono i Greci, possiamo riconoscere l’influenza de’ Fenici, che furono intenti a preservare per sé medesimi il monopolio del traffico nell’Oceano, e a tale scopo sparsero le più esagerate notizie. Parecchie delle voci che essi sparsero pare abbiano lo stesso fondamento: la verità fu falsata e i pericoli ingigantiti. Così le opinioni di Platone e di Aristotele probabilmente alludevano al mar Sargasso nelle vicinanze delle Azòre”.
Ignoranti anche Platone e Aristotele? O, piuttosto, satellitari (visto che, stando almeno a questa interpretazione di Smith che è ancora quella attuale, i due sarebbero addirittura a conoscenza del Mar Sargasso)? O invece, malintesi, con un Mar Atlantico per loro tutto diverso da quello che è per noi oggi? Un Mar Atlantico come quello che racconta Crizia, il Mar di Atlante al di là di quella bocca che i Greci chiamavano Colonne d’Ercole, dove c’era un’isola, e da quest’isola se ne raggiungevano altre, e da quelle la terra che tutto circonda, vero continente…
Ignoranti gli Antichi? C’è una parabola che oggi viene raccontata, però, come fosse una barzelletta. O almeno come caricatura di una verifica scientifica. È quella del pazzo in autostrada, contromano. Ha la radio accesa, il pazzo. E si sente dire: “Attenzione! Attenzione! Annuncio speciale! C’è un pazzo contromano in autostrada sul tratto…”. E lui, il pazzo: “Come uno? Sono dieci! Sono cento, i pazzi contromano!…”. All’inizio inizio pilotando questa ricerca contro ogni rotta solita e ogni ragionevole ipotesi pensavo di tenerla da conto ché si sarebbe prestata bene a un autoritratto, appena fosse finito tutto, dentro una bolla di sapone. Poi, però… Man mano, invece saltando corsia e percorrendo quella degli Antichi e leggendo di più, e di meglio, e con fiducia, e rispetto gli Antichi più antichi il sospetto è venuto sugli altri, sui Moderni. E se fossero loro, invece, contromano?
E se fossero loro a uscire, davvero, da Colonne sbagliate? E trovarsi in fila, allineati, solo rispetto alle fonti antiche più recenti? E trovarsi, invece, contromano rispetto agli Antichi più antichi? In molti non devono conoscerla… Qualche dubbio, sennò, uscendo controvento da quelle Colonne di Ercole a Gibilterra, e approdando via via a cento città o isole fantastiche senza mai un riscontro archeologico qualche dubbio, almeno, anche a loro sarebbe pur venuto.
Può la Geografia nascondere la Storia? Può una mappa sbagliata affogare i Miti più antichi – Atlantide compresa – in un mare di oblio? O nell’Atlantico? Erano davvero a Gibilterra le primissime Colonne d’Ercole? O piuttosto al Canale di Sicilia, dove mostri e fondali spaventavano i marinai più antichi? Insomma: chi e quando ha messo quelle Colonne laggiù? Davvero Ercole? E Tartesso, l’Eldorado dell’Argento che Erodoto mette “al di là delle Colonne”, era veramente Spagna? E perché mai il grande Reporter dell’Antichità ne parla insieme alla Corsica?
Il libro di Sergio Frau (Le Colonne d’Ercole, un’inchiesta, in libreria dalla settimana prossima) dopo una lunga sosta lì, a Tartesso, per capirlo davvero quel paradiso dei metalli che gli archeologhi spagnoli cercano da secoli senza trovarlo (e che biblisti famosi come Ravasi ipotizzano in Sardegna), e dopo aver constatato che nessuna vera prova lega la Tartesso di Erodoto alla costa iberica sull’Atlantico di oggi, parte per un censimento delle altre Colonne di Ercole & Erodoto trovandone alcune assai sospette.
L’Atena Nera dei Tunisini; la Tartesso dei vecchi vecchissimi e dell’argento; i Celti, ma di Spagna; il favoloso popolo degli Atlanti che non ha mai nomi propri e che non sogna mai… Sembra Macondo. E’ Erodoto. Tre volte Erodoto parla di Tartesso. Una sola volta, però, ne racconta la posizione “al di là delle Colonne di Ercole” che, per lui, sono sì a Occidente, ma in un Occidente Rompicapo, scombussolato, sconfinato, senza segnaletica, né indirizzi precisi. Quindi, questa nuova tappa è tutta dedicata a verificare Erodoto e le sue Colonne: quando ne parla, dove le mette di preciso?
Dieci volte Erodoto le nomina. Una doppia coppia le abbiamo già viste (piazzate prima di quel Capo Solòeis, che lui giura “sulla costa settentrionale di Lybia”, le prime due; dopo Cirene ma prima di arrivare a Tartesso, le altre due). Ora siamo a caccia di tutte quelle che mancano. Erodoto ne accenna sempre di striscio, le dà per scontate. Quasi a dire: “chi non le conosce?”. Un po’ come facevamo noi con la Cortina di Ferro o il Pericolo Giallo… Vallo a trovare, poi, il ferro della Cortina… O il giallo della Paura… Per quest’inchiesta, le Colonne di Erodoto, a trovarle davvero, sono importanti quanto quelle d’Ercole, forse di più: fondamentali per stabilire, perlomeno, la sua visione del mondo, per segnare dove iniziava – secondo lui che la sapeva più lunga di tutti – il Far West dei Greci antichi più antichi.
Erodoto scrive nel V secolo prima di Cristo. E’ vissuto, all’incirca, tra il 485 e il 425. Ha viaggiato molto. Capiva la gente che incontrava. L’ascoltava. E la rispettava. Si serve, quasi sempre, di fonti buone… E, così, succhia da Delfi quanto e quando può, facendosi sempre dettagliatissimo, minuzioso, ogni volta che le sue Storie intersecano storie che riguardano e coinvolgono la città della Pizia, sacra ad Apollo. Per un autore, sciacquare le proprie informazioni lì, a Delfi, era sempre una garanzia. Erodoto deve averlo fatto. Anche per questo è così importante, ora, qui, la sua testimonianza.
Il suo Mar di Atlante. Altro giro, dunque, altre Colonne, da rintracciare in giro, zigzagando con Erodoto, in Erodoto. Eccolo, nel suo primo libro, che sta giusto finendo di separare i mari di allora. Dà per sottinteso che le Colonne di cui sta parlando siano quelle d’Eracle: “Il Mar Caspio sta a sé, senza mescolarsi con l’altro mare. Tutto il mare che i Greci navigano, infatti, e quello fuori dalle Colonne (exo steleon), chiamato Atlantis (ovvero “di Atlante”, o “Atlantico”, ndr), e il Mare Eritreo (ovvero: bruciato, Rosso, ndr) sono un mare solo”.
Leggi e che fai? Corri di corsa alle note. Ma ci trovi solo: “L’idea è che Oceano circonda tutte le terre emerse, dal che si deduce che l’Atlantico e l’Oceano Indiano dovrebbero comunicare circondando l’Africa”. Ma non è così! Quello è Omero che fa circondare tutto da Oceano… Di Oceano, sì, che Erodoto ne parla, ma in tutt’altri termini (II. 23) come a distinguerlo da quell’Atlantico che lui piazza, sicuro, al di là delle Colonne e su cui si sente di poter testimoniare senza dubbi. Mentre invece: “Chi poi, parlando dell’Oceano, ha portato il racconto su cose sconosciute, non può neppure essere confutato; da parte mia non conosco l’esistenza di un fiume Oceano; credo, invece, che Omero o uno dei poeti vissuti prima, abbia inventato il nome e lo abbia introdotto nella poesia”.
“Atlantis”, dunque… Mar Rosso dunque… Ma un “Atlantis” come isolato e, comunque, ben distinto da Okeanòs, pare. E un Mar Rosso strano che non sai ancora bene qual è, dov’è, quant’è. Va be’, vedremo…
I Liguri ma di Spagna. Secondo libro (par. 33), seconde Colonne. Sempre Colonne di Eracle & Erodoto insieme: “Il fiume Istro (il Danubio, ndr), infatti, che nasce dal territorio dei Celti e dalla città di Pirene, scorrendo divide a metà l’Europa. I Celti stanno oltre le Colonne di Eracle e confinano con i Cinesii, che sono gli ultimi verso Occidente degli abitanti dell’Europa. Scorrendo per tutta Europa, l’Istro finisce in mare, nel Ponto Eusino (il Mar Nero, ndr), là dove i coloni di Mileto abitano l’Istria”.
L’affollamento al di là di Gibilterra di queste genti celtiche che – si sa – hanno fatto da cuore all’Europa appare assai bizzarro, sospetto. Avendo già in testa dei dubbi, poi… Lo diventa ancor più quando uno cerca d’informarsi su chi fossero mai, di preciso, questi Cinesii, loro confinanti. Nelle enciclopedie e nei dizionari di Antichità classiche i Cinesii sono ormai in via di estinzione. Anzi, di fatto, sono estinti. Spariti dalla Utet, dalla Garzantina, dalla vecchia Pomba, dallo Zingarelli… Nel dizionario di greco Schenkl-Brunetti giusto un cenno: “Popolo iberico. Erod.”. Nel Gemoll: lo stesso…
La Treccani? Dio la strabenedica la Treccani!
Cinèsii? “Antica popolazione di origine ligure (!!!), della parte sud occidentale della penisola iberica nella regione odierna dell’Algarve. Per Erodoto i C. al di là delle Colonne d’Ercole erano l’ultimo popolo d’Europa a Occidente. Dopo l’espansione iberica (III sec. a.C.) scomparvero”. Sopravvivono, i Cinesii, anche in cinque righe del Devoto-Oli che ne parla, con la loro “s” diventata “t”: “Cinèti: s. etnico. Antica popolazione di origine ligure (!), costituente secondo Erodoto l’ultimo popolo di Europa ad Occidente, scomparsa dopo l’espansione iberica”. Devoto era uno che sui popoli antichi d’Italia la sapeva lunga… Dev’essere merito suo, se anche qui i Cinesii-Cineti ci sono ancora. Senza questa testimonianza di Erodoto a spingerli ai confini del mondo, al di là delle Colonne d’Ercole, questi Cinesii tenderebbero quindi a starsene, più o meno tranquillamente in Liguria.
I Celti di Spagna? Proprio così. Proprio come i loro vicini, quell’Internazionale dei Celti che – di suo – starebbe bene lì, dove davvero nasce il Danubio, e dove ce li siamo sempre immaginati finora: a far da cuore al Vecchio Continente visto che lì anche l’archeologia ce ne dà testimonianza… Tanto è vero che poi, invece, piazzati laggiù, al di là delle Colonne di Gibilterra, in Spagna, stupiscono un po’ tutti.
Persino José Luis Maya González, titolare della Cattedra di Preistoria a Barcellona, strabilia… Maya González ha scavato e frugato un po’ ovunque in Spagna. Ne ha bucato i millenni: Neolitico, Età del Bronzo, del Ferro… E scrive: “Nonostante il termine Celti venga associato di solito all’Europa a Nord delle Alpi e alle fonti del Danubio, paradossalmente alcuni dei più antichi riferimenti a queste popolazioni segnalano la loro presenza nella penisola iberica. E’ questo il caso di Erodoto, al quale abbiamo già accennato parlando della presenza celtica oltre le Colonne d’Ercole o Stretto di Gibilterra e, pertanto, vicino alle coste atlantiche e in prossimità della popolazione più occidentale”. Quindi: i Celti sono paradossalmente finiti lì, solo in quanto Erodoto li mette al di là delle Colonne d’Ercole che – normalmente, abitualmente – indicano Gibilterra, pertanto…
Cerchi i Celti anche nel Superdizionario di Venceslas Kruta (Les Celtes, Bouquins Laffont) e prima ti ritrovi, sì, catapultato tra tanti Spagnoli celteggianti alla lontana, ma poi frughi meglio e vedi che anche a lui – che, poi, è il Gran Sacerdote del Mondo Celtico – questi altri Celti finiti laggiù, da un punto di vista reperti archeologici datati al V secolo (che sarebbe quello giusto), mica lo convincono poi così tanto…
Kruta, dunque, pagina 123: “Le migrazioni storiche dei Celti in Italia e nelle regioni danubiane avevano fornito agli specialisti i fondamenti di un modello di popolamento celtico dell’Europa che si sarebbe effettuato attraverso l’espansione progressiva a partire da un nucleo centrale, identificato nell’area hallstattiana centro-occidentale che copre il Nord-est e l’Est della Francia attuale, il Sud del Belgio, la Germania meridionale, la Svizzera, la parte occidentale dell’Austria e la Boemia”.
E la Spagna, no?
Prosegue così Kruta: “E’ a partire da questo nucleo iniziale che i Celti avrebbero proceduto a partire dal VI secolo a. C., non solamente verso sud e il sud-est ma ugualmente verso ovest e il sud-ovest”.
Sì, ma la Spagna?
Continua Kruta: “Gli indizi delle tappe di questa espansione, che non erano attestati nelle fonti, dovevano dunque essere cercati nella diffusione di materiali hallstattiani propri di quest’area culturale o in quella di materiali del tipo La Tène più recenti. Si è potuto stabilire il modello radiale, a prima vista molto soddisfacente, che figura nella maggior parte delle sintesi consacrate ai Celti, anche di data molto recente”.
Un irradiamento dal cuore dell’Europa, dunque. Ora, però, ci sarà la Spagna… Eccola, infatti: “E’ vero che il caso dei Celti della penisola Iberica si integra abbastanza male in questo schema, ma ci si accanisce a segnalare elementi hallstattiani o di La Tène adatti a perorare l’esistenza di legami diretti che li avrebbero uniti ai Celti storici o ai loro antenati hallstattiani… Il risultato non fu mai molto convincente…”.
Insomma: neanche Kruta riesce a vederli laggiù, questi Celti di Spagna. Niente di definitivo, certo… Soprattutto, poi, dovendo capire se è corretto usarli come leve per spostar Colonne.
Resta comunque agli Atti: 1) il fatto che i reperti archeologici danno, per lo più, i Celti nel cuore dell’Europa; 2) che uno spagnolo che la sa davvero lunga dice che è “paradossale” che Erodoto glieli piazzi lì, da lui, quei Celti e che lì ci azzeccano pochissimo; 3) che – fatto questo, però, ancora più paradossale – li piazzi soltanto lì, “al di là delle colonne d’Ercole” proprio dove nasce anche quel “suo” Danubio dei Pirenei.
Chiaro no? No. Ma è, pur sempre, Erodoto… Ed Erodoto, ovviamente, è Erodoto… Come non credergli?
Si può ammettere, magari, che sbagli sulle sorgenti dell’Istro-Danubio. Che non sappia nulla di quelle sorgenti nella Selva Nera… Ma con condiscendenza come si fa sempre con i geni che, si sa, poi, con le cose pratiche… Ma, certo, non sui popoli che sono il suo forte…
Quindi – dovendo proprio scegliere, e sacrificare una parte della sua testimonianza – si preferisce farlo sbagliare su quella città di Pirene (a far da sorgente all’Istro), piuttosto che sui Celti e i Cinesii-Liguri talmente spaesati lassù, in Algarve, che neppure chi li studia, poi, riesce a immaginarseli lì, davvero…
Così i Celti, però – pur di dar ragione al grande storico, pur senza riscontri archeologici sostanziali – vengono trascinati in Spagna a far la parte – impapocchiati un po’ – di “Celtiberi” termine questo che, però – secondo Maya González – compare soltanto a partire dall’invasione romana della Spagna… E quei Liguri d’esportazione, allora? Anche quei Liguri-Cinesii sono finiti laggiù – ma solo per sparire subito – al di là di Gibilterra, dove nessuno, però, ne ha mai trovato traccia.
Pausa di riflessione! E’ mai possibile, però, che appena Erodoto mette qualcosa (come Tartesso) o qualcuno (come questi Cinesii) al di là delle Colonne di Ercole, questi finiscano sempre per sparire? E, per di più, senza mai lasciare nessuna traccia? Chiaro che, poi, le Colonne facessero tanta paura… Che nessuno s’azzardasse mai al di là… Appena le superi scompari! Ma, davvero, Erodoto metteva “là” le sue Colonne? A Gibilterra? E chi lo dice? Finora lui no! Se c’è una cosa chiara a noi moderni è che le Colonne d’Ercole sono i Confini del Mondo degli Antichi, il Finis Terrae, il Limite Estremo, il Non Plus Ultra… Erodoto, ora, invece – almeno a leggerlo con quel dubbio degli inizi in testa – ce ne sta affollando il suo Aldilà con popoli, e genti, e ciglioni abitati che punterebbero dritti dritti verso le Americhe…
Strano. Strano ma vero!
Chi e quando ha messo le Colonne d’Ercole a Gibilterra? Davvero già nel V e IV secolo a. C. erano laggiù? Iniziava lì il Far West dei primi Greci? E quelle loro Isole Incantate? I testimoni di epoca alta, a spingerli nell’Atlantico di oggi, suonano strani, falsi, spaesati. Talvolta assurdi… Tutti gli indizi, invece, conducono qui: al Canale di Sicilia! Dopo aver rischiato con gli Argonauti il naufragio nelle Sirti, l’enorme pozzanghera tra Libia e Tunisia… Dopo essersi imbattuti nei primi Giardini delle Esperidi (sempre lì in zona, prima che, con Roma, finissero sulla costa oceanica del Marocco)… Dopo aver constatato che – in quel mare subdolo tra Sicilia e Africa – si affollano disastri e paure dei naviganti di 2500 anni fa… Dopo aver verbalizzato anche che sia l’Aristotele più certificato, come il Platone di Atlantide parlano di basse profondità “al di là delle Colonne d’Ercole”… Dopo aver misurato lo Stretto di Gibilterra che nel punto meno fondo ha pur sempre 300 metri d’acqua… Dopo tutto ciò, il libro trova quella che tutti considerano la Cortina di Ferro che spartiva il mondo tra Greci e Fenici: erano lì le Colonne? Dal libro di Sergio Frau “Le Colonne d’Ercole. Un’inchiesta” – edito da NurNeon, pagg. 672, euro 30, in uscita a fine settimana – anticipiamo oggi, parte del capitolo “La Frontiera”.
Fernand Braudel: “Grandi contrasti spezzano l’immagine una del mare: il Nord non è, non può essere il Sud; e ancor più, l’Ovest non è l’Est. Il Mediterraneo è troppo allungato secondo i paralleli e la soglia di Sicilia lo spacca in due, più ancora che riunirne i frammenti”.
E Sabatino Moscati: “Cartagine, sembra evidente, volle calare come una Cortina di Ferro a metà del Mediterraneo, per sbarrare ai Greci la via dell’Occidente: di tale Cortina di Ferro possiamo ormai seguire la dislocazione dal Capo Bon, su per Pantelleria e Malta fino alla Sicilia occidentale e al territorio sardo: queste sono le premesse dello scontro con Roma”. E Moscati, sempre nello stesso Quaderno N. 238 dell’Accademia Nazionale dei Lincei (del 1978), ma solo un po’ più giù: “Forte di quei punti di appoggio, Cartagine esercitò un controllo finora insospettato nella zona centrale del Mediterraneo, fortificando il Capo Bon, insediandosi a Pantelleria e a Malta, dominando il triangolo occidentale della Sicilia e, sostanzialmente, tutta la Sardegna. Al di là di questa zona, la sovranità politica di Cartagine sulle coste mediterranee fu piena fino allo scontro con Roma”.
Moscati allo studio e allo scavo del mondo fenicio-punico ha dedicato la vita. Se lo dice c’è da credergli.
Mica è un sogno, questo.
E neppure un abbaglio.
Non è neanche un flash: è solo geopolitica. Archeo-geo-politica…
Ed è proprio una Frontiera, quella di cui parla Moscati! E per di più fortificata! Limite per i Greci! Controllo assoluto del resto del Mar d’Occidente! Che senso hanno, allora, a quel punto, proprio in quegli anni delle altre Colonne/Frontiera a sorvegliare Gibilterra? Che senso può avere cominciare a provar paura a Gibilterra, se poi, invece, era, da qualche parte qui, al Canale, in mezzo a tutti gli antichi mostri, la Cortina di Ferro più rischiosa dell’Antichità?
Greci, Fenici…
Stessa razza, stessa faccia?
Tutti parenti di Cadmo, quindi tutti fratelli?
Neanche per idea! Non se ne parla proprio. Soprattutto quando si tratta di fare affari d’oro o traffico d’argento! Le fonti – basta cercarle, le hanno indagate studiosi attenti – raccontano di guerre, tensioni, distruzioni, scaramucce, prepotenze, e sempre lì. Due, tre secoli di guerra a “bassa intensità”, ma con fiammate improvvise e terrori costanti.
E’, ancor oggi, una Fortezza, Malta. Ha le mura più belle, più possenti, più dorate del mondo. Di un tufo che, se il Sole vuole, e ci si mette d’impegno a colpirle, e tramonta bene, e le carezza nella maniera giusta, s’accendono tutte di uno strampalato color arancio, che ci sembra passato Andy Warhol a dipingerle.
Anche il Numero Uno dell’Archeologia tunisina M’hamed Hassine Fantar, subito di là dal Canale, scrive a pagina 99 de Les Phéniciens en Méditerranée: “Conficcata nel cuore del Mediterraneo, Malta, agli occhi dei Fenici, rivestiva un altissimo valore strategico. Essa era fondamentale, indispensabile alla protezione delle loro zone d’influenza”. E Michel Gras, nel suo splendido Il Mediterraneo nell’età arcaica, edito dalla Fondazione Paestum: “Cartagine, al fondo del grande golfo sorvegliato da Capo Bon, ad est, e dal Capo Farina, ad ovest, si trova in una posizione nello stesso tempo centrale e marginale. Centrale, perché è situata nel punto di massimo restringimento del Mediterraneo; ciò nonostante è marginale, dal momento che non fa pienamente parte né del bacino orientale né di quello occidentale…”.
E, comunque, da lì sorvegliava tutto. Riusciva persino a vedere le navi che mettevano in mare quelli di Sicilia, dicono tutti…
Insomma: potrebbe anche essere successo che la Frontiera fosse qui, e che invece le Colonne d’Ercole fossero laggiù, a Gibilterra…
Ma allora perché non ce ne è uno – dei Sapienti perquisiti finora – che ce lo dica! Che lo giuri. Che – almeno a parole – te la blindi Gibilterra, quant’era blindato il Canale!
Ma allora, se davvero così è stato – se, davvero, le prime Colonne fossero state laggiù – be’, allora si sarebbe trattato davvero di una trappola, un altro dei famosi sotterfugi di quei subdoli Fenici: un Mediterraneo d’Occidente dove si entra tranquilli tranquilli e…
Poi, a sorpresa – zac! – la tagliola fenicia!
E sei ingabbiato lì, nel territorio nemico…
L’hanno fatto, davvero?
Le fonti più antiche – quelle fino a metà del III secolo a.C., almeno – non lo dicono. Anzi…
Nessuno degli autori più importanti di epoca alta – li abbiamo perquisiti insieme – piazza con certezza le Colonne più famose della Storia e della Geografia – a Gibilterra. Anzi…
Più ci si informa, più le Colonne si avvicinano. Del resto la linea di guerra era proprio qui, al Canale. Mario
Attilio Levi: “…Nella parte occidentale dell’isola (della Sicilia, Ndr), e soprattutto a Lilibeo e sul monte Erice, vi erano posizioni imprendibili, contro le quali i Greci non riuscirono mai a compiere azioni che potessero mettere in pericolo il dominio cartaginese. Le posizioni insulari cartaginesi di Malta, Gozo e Lampedusa rafforzavano il predominio del Mediterraneo centrale e il controllo sul Canale di Sicilia”.
Un po’ più su… Un po’ più giù…
Ma dov’erano, le Colonne, di preciso?
L’importante per Cartagine è sempre stato di non lasciare mai, in mani altrui, quella tenaglia formata dal Lilibeo e Capo Bon.
E, a Ovest di quella soglia, il Far West degli Antichi. Oggi ci vai a Capo Bon e sul telefonino ti si scrive: “Trapani”. E’ il Paradiso, per loro, Trapani. Perché lì, in Tunisia, 12 ore di fatica – e sei giorni a settimana – te le pagano 400 mila lire al mese, e di là dal Canale – se ce la fai ad arrivarci vivo, e non ci anneghi dentro – vali cinque volte tanto e, allora sì che puoi mandare i soldi a casa. E quando sei vecchio te la sei pure costruita tua, la casa…
Lì, Kelibia e le altre fortezze, s’impennano possenti a guardia del mare. Ancora poggiano su massi ciclopici di chissà quando… Punteggiano Capo Bon, pronte, un tempo, ad avvertirsi l’un l’altra con il fuoco o il fumo, o sparandosi addosso il sole negli specchi. E ad avventarsi su chi non avrebbe dovuto passare di lì. Strabone un secolo e mezzo dopo la fine dell’Impero Punico (XVII.1.18) scrive: “I Cartaginesi solevano affondare le navi degli stranieri diretti verso la Sardegna o le Colonne d’Ercole”.
I bastioni punici di Kelibia, con quei loro grandi antichi massi, oggi stanno a far da fondamenta ad altri bunker più recenti. Ricordano che è sempre stata zona dura, quella. Con quel mare loro, poi, pronto lì a intervenire, a far da alleato.
Che quell’acqua infida del Canale fosse una vera arma da guerra, un segreto militare di Cartagine – e che per di più lo fosse da secoli, sorvegliato dai mostri più mostruosi, prima ancora che da fortezze o da Colonne scacciagreci – ormai, non ci sono dubbi.
Lo era diventato, di sicuro, poi, dopo quella terribile vittoria-boomerang dei Focei nel Mare Corso. La battaglia di Alalia: importante come Maratona, come Waterloo, come… Fosse andata diversa, allora, il Nord-Africa sarebbe stato tutto greco già dal VI secolo, forse. Una Magna Grecia grande quanto l’intero Occidente…
(Si tratta, infatti, proprio di quei Focei d’Asia Minore, fedeli di Artemide Efesia che, solo qualche generazione prima, e prima ancora di stanziarsi in Corsica, avevano conosciuto Argantonio, Re della Tartesso sarda). “Da allora i confini del mondo greco non oltrepassarono la Sicilia e la costa orientale della Spagna” giura John M. Cook, l’ex direttore della Scuola Britannica di Archeologia di Atene, nel suo I Greci dell’Asia minore.
Mare vietato ai Greci, quindi! Anche per lui…
E sta scrivendo proprio di quel 540 a.C.
Anno 540 a.C….
E i Greci dal Canale di Sicilia già non passano più.
Mare vietato anche ai Romani dal 509, se è giusta quella datazione – che vien presa per buona – del trattato tra Roma e Cartagine….
Una sconfitta di Cartagine, battuta dagli Agrigentini, infiamma l’intera zona. E’ ormai il 480, la vigilia: quattro
anni dopo, Pindaro – nelle sue tournée cortigiane lì in Sicilia – comincerà a puntellare le sue odi con quella selva di Colonne d’Ercole che, d’improvviso, fanno da Altolà ai marinai greci e ai loro sogni di grandi rotte. Suo, a quel che risulta – di Pindaro, cantore fidato di Delfi e della sua politica coloniale – il copyright di quel segnale per indicare Finis Terrae… E qui, comunque, al Canale c’era una Frontiera. La Frontiera! Anzi: una Cortina di Ferro!
Tutti loro, i Sapienti – da Platone a Braudel, a Moscati, a Gras – lo sapevano già! Siamo solo noi che ci dicono “Gibilterra!” e ancora ci crediamo. Ci crediamo, ci fidiamo, ci crediamo e continuiamo a crederci e fidarci fino a prova contraria, almeno. ..
Era qui, comunque, invece, però che cominciavano le Terre di Milqart, Padrone dell’Ovest. Milqart: il dio letto, detto, fatto Herakles dai Greci. L’Ercole che fu padrone dell’Occidente, giurava Aristotele.
Nel suo libro Gras scrive: “Gibilterra fu considerato, probabilmente sin dal secolo VIII con le prime navigazioni dei Greci d’Eubea, un punto di riferimento essenziale. Di fatto la tradizione greca più antica dette allo Stretto il nome di Colonne di Briarèo, dal nome di un eroe euboico che era oggetto di culto nella città euboica di Calcide; in seguito, e probabilmente attraverso l’assimilazione con il Melqart fenicio che aveva un tempio non lontano, fu ad Eracle che si fece riferimento e, durante tutta l’antichità, si parlò di “Colonne di Eracle” e, poi, di “Colonne di Ercole””.
Potrebbe lo stesso identico ragionamento essere applicato a un altro Stretto? E, anche, a un altro Briarèo? Perché c’è Callimaco che, nella prima metà del III secolo a.C., in un suo Inno a Delo, scrive: “…Come quando dell’Etna sono scossi tutti i recessi tra le fiamme e il fumo, poiché si gira sopra l’altro lato il Briarèo che giace sotto…”.
Non sarà mica quest’altro il Briarèo giusto?
Erano qui al Canale di Sicilia anche le prime Colonne d’Ercole? Quelle di Briarèo? Se non c’erano, un segnale di pericolo, comunque, avrebbero potuto pur mettercelo…
Che fai, lo metti a Gibilterra il segnale “Pericolo!” – Non plus ultra! – e poi non lo metti qui? Qui dove tutto e tutti ti vogliono inghiottire? Dai mostri alle sabbie? E che spesso, poi, ci riescono anche. Che gente, però, questi infidi Fenici: Volpi Rosse dai cartelli sbagliati…
Qui, a Malta, comunque, quando si scava non si trova, né mai si è trovata, roba greca. Forse qualcosina, ma – si sa – anche i vasi, però, viaggiano… Qui l’isola, se la vedi nelle mappe degli archeologhi, ed è tutta a pois per le tombe che son solo fenicie o puniche.
Qui, proprio qui – e lo assicura Giorgio Casti, l’inventore del mensile Bolina, che è ormai uno strumento di bordo per chi va per mare – arrivando in barca dall’Oriente, vorresti una Capitaneria di Porto, o un tempio di Milqart/Herakles, a darti le dritte su una rotta, che da qui, in poi, si fa terribilmente rischiosa. Del resto è qui che le antiche carte di Tolomeo posizionano due isolotti davvero importanti. Uno sacro a Giunone, che prima era stata Hera, prima ancora Ishtar-Astarte, e forse prima ancora la Luna. L’altro sacro ad Ercole, che per i Greci era Herakles e per l’Internazionale dei Fenici, Milqart. Erano qui anche quei due isolotti di cui narra Euctemone, in Avieno? Quei due isolotti sono considerati la testimonianza più antica, insieme alle poesie di Pindaro, sulle Colonne di Ercole. E sono davvero frutto dell’ignoranza, come dicono? Uno era sacro alla Luna, e l’altro a Eracle. ma – attenzione lì! – i fondali son bassi e pericolosi: per arrivarci bisogna prima svuotare la nave…
Lo ripete anche Aristotele: bassi fondali e niente vento.
Gibilterra? Un fuori tema, un fuori luogo: serve sabbia e fango insieme alle Colonne d’Ercole. Quel fango e quella sabbia che a Gibilterra – neppure mettendocela tutta – non riusciresti mai a trovare…
E’ qui al Canale che ci sono quei banchi di sabbia che raccontano i testimoni migliori. Quel Pindaro della III Nemea proprio così dice di Eracle e delle sue Colonne, nel 476 prima di Cristo: “Questo eroe, questo dio le pose come illustri testimonianze del termine estremo della sua navigazione. Sul mare, egli aveva domato enormi belve; per il proprio amore di avventura aveva esplorato le correnti dei bassi fondali…”.
Incontrovertibile: bassi fondali firmati Pindaro, firmati Aristotele, firmati Platone… Qui sì, mica a Gibilterra che è larga 13 chilometri dov’è più stretta, e che – dov’è più bassa – ci sono almeno 300 metri di correnti che ti fanno schizzar via la nave con il contamiglia impazzito…
E’ Malta, con il suo arcipelago, comunque, l’ingresso dell’imbuto: entri e ne esci – se ne esci – solo dopo la tenaglia Lilibeo-Capo Bon.
Ma, se sei un Greco di quegli anni, che ne esci a fare?
Per andare dove? Se sei Greco dovresti avere tutto a posto: carte, lasciapassare, sigilli… E poi, comunque, rischi uguale. Ne vale la pena? Se sei Greco, anzi, non entri proprio… Tanto, poi, a sinistra c’è Cartagine, per giorni e giorni, per sempre, fin giù a Lixus. Dritto, o a Nord-Ovest, c’è invece il Mar Grande della Sardegna e delle Baleari che, poi, non solo comunque è Cartagine anche lì, ma se ci vai, nelle acque alte, la costa non la vedi più. E la costa – se sei Greco e del VI, V, IV secolo – mica la molli… Te la tieni, lì, a vista, a farti da salvagente…
E Malta sembra davvero messa lì apposta per segnalartelo che, con lei, cominciò il viaggio in un al dil là.
Davvero, da sempre, a Gibilterra? O, prima, al Canale di Sicilia? Come molti testi antichi fanno sospettare? Dov’erano, davvero, le primissime Colonne d’Ercole? La posta in gioco, ormai, è davvero alta: c’è la credibilità di Platone e dei suoi racconti su Atlantide da verificare tra poco. Perché lui ci ha lasciato scritto che al di là di quella bocca che gli Ateniesi chiamavano Colonne d’Ercole c’era un’isola. E che da quell’isola si raggiungevano altre isole e il continente che tutto circonda… Uscendo ora dalla tenaglia Lilibeo-Capo Bon, quella “favola” platonica assume connotati di sorprendente realismo… Il problema è: come, quando e perché le prime Colonne d’Ercole dal Canale di Sicilia – lì dove Sapienti di ieri e di oggi raccontano esserci stati fondali maledetti e anche la Cortina di Ferro dell’Antichità che spartiva il Mar Greco da quello Fenicio – possono essere slittate a Gibilterra? E chi è stato? Tutti gli indizi – 300 pagine di indizi – obbligano a perquisire la Biblioteca di Alessandria. Indiziato Numero Uno è, infatti, il suo Magnifico Rettore: Eratostene di Cirene, Padre della Moderna Geografia.
Il libro di Sergio Frau – “Le Colonne d’Ercole, un’inchiesta” (che arriva oggi in libreria edito dalla NurNeon, pagg. 672, euro 30) – trascina quel Genio del Mondo Nuovo davanti a un ipotetico Tribunale della Geografia. Lì, ascoltati i migliori testimoni dell’Antichità – da Polibio a Strabone che gli rovesciano addosso cento accuse di superficialità – e i migliori esperti dell’Evo Moderno – da Prontera alla Aujac (il Verbale del processo è agli Atti, nel libro) – si chiede la condanna del Grande Geografo per aver spostato i Confini di un mondo diventato più grande, criptando così la Prima Storia mediterranea… Da quella sezione del libro oggi anticipiamo L’Arringa dell’Accusa.
L’arringa la riportiamo tale e quale come era nelle fotocopie dell’Accusa. “Che tutto cambi – dopo Eratostene e la potenza comunicativa irradiata dalla sua Biblioteca di Alessandria – non v’è dubbio. Il problema che voi Giurati dovreste porvi qui, ora, è solo questo: fu colposo o doloso l’operato di Eratostene? Un malinteso su quale fosse il Mare Esterno? O, invece, una scelta fatta a freddo per amor di simmetria? Perché fu proprio così che, da allora, l’Ordine Nuovo di Alessandria trionfò sulla Tradizione.
E, da Alessandria, quell’Ordine contagerà il mondo. Un mondo che, di lì a poco, diventerà tutto Roma. E sì: con lui, l’Ordine regna ad Alessandria. Tutt’intorno, però, era ancora un gran casino… La battaglia di Zama è del 202: l’agonia di Cartagine iniziata 40 anni prima con le perdite di Malta e della rocca di Lilibeo, è proprio da allora che si fa irreversibile. Con il trattato del 201. Herakles/Milqart, dio e dominatore dell’Ovest, tira in secco quella decina di navi che Roma, ormai, gli permette: la sua poderosa flotta non dominerà mai più il Mar Grande d’Occidente. Ricordiamolo: la Sardegna l’aveva persa, insieme alla Corsica, nel 238. Malta e Sicilia erano già romane dal 241, insieme alle Egadi. Eratostene è proprio in quegli anni che ridisegna il mondo. La Cortina di Ferro che strozzava il Mediterraneo era ormai svanita.
E le Colonne d’Ercole? Un buon titolo, certo, ma ormai senza senso: un toponimo scintillante, evocativo, magico da riutilizzare alla prima occasione. Ovvero: subito! Per tutt’altra storia, per la Nuova Geografia. Una geografia che ribattezzasse l’Occidente Fenicio con tutti quei suoi nomini impossibili, scritti da sgorbietti senza vocali e, per di più, all’incontrario. Come se a noi ci arrivasse addosso, d’improvviso, tutta l’Urss, vinta, da tradurre dal cirillico…
Colonne d’Ercole in via di deportazione… Il conto alla rovescia è già iniziato! Decolleranno tra poco, proprio come l’Omphalos da Delfi, del resto…
“L’Ombelico del Mondo, ancora bloccato a Delfi? E solo perché Zeus aveva fatto incontrare là, su quel picco sacro, due aquile d’oro liberate ai confini delle terre conosciute? Ma siamo pazzi?” deve essersi chiesto, spazientito, Eratostene.
“Neanche per idea!” deve essersi risposto. “Mondo nuovo? Ombelico nuovo! Fatto!”.
Queste sono realtà già certe! Stradocumentate, Signori della Corte… Fu, infatti, proprio così che la sacra Delfi venne privata del suo titolo, e Rodi ebbe l’onore improvviso di diventare il Nuovo Omphalos, il Centro della Terra Grande ridisegnata – creata – da Eratostene.
No! Rodi mica ce li aveva meriti particolari! Né sacralità da vantare! La sua vera, unica fortuna era di essere da sempre come Malta e Gibilterra su quello che noi oggi chiamiamo – anche grazie a Eratostene – il 36[ba] parallelo: il Parallelo Fondamentale.
Un po’ come Greenwich… Toglile quel suo meridiano e…
Era stato costretto a farlo, Eratostene, quello sfregio sacrilego a Delfi, ai suoi sacerdoti, ad Apollo figlio di Latona, a Zeus?
Tutta colpa di Alessandro… E della Simmetria…
Il Grande, infatti – con quella sua smania aristotelica di misurare, archiviare, possedere, anche mentalmente, spazi e tempi – il Mondo fino all’India, fino a Samarcanda dove arrivò nel 329 a.C. (giusto un secolo prima dei grandi lavori cartografici di Eratostene), fino al Gange, mica l’aveva solo conquistato…
L’aveva anche misurato passo passo, bêma per bêma. Bematisti, infatti, si chiamavano gli uomini-contachilometri dell’Imperatore Macedone. Loro compito era di fare passi sempre uguali, contarli per bene, tenerli a mente e riferire ai cartografi. Nell’Alessandria di Eratostene – erede ed archivio di tutti quei dati raccolti da Alessandro & C. in Oriente – dovevano avere, ormai, le misure più o meno esatte del mondo fino al Gange, mentre prima di Alessandro si sapeva, sì e no, dell’Indo.
Mille dati, notizie confuse, ma idee chiare, e tutto il mondo da rimontare: il più fantastico puzzle della storia! Da perderci la testa a rimetterlo insieme: il confine orientale del mondo conosciuto – quello di Zeus e della sua aquila d’oro liberata dai Paesi dell’Alba – era sempre stato ai monti del Caucaso, proprio dove Prometeo era stato incatenato a far da segnale.
Al confine occidentale – luogo di partenza dell’altra aquila d’oro, quella del Tramonto – ci pensava invece suo fratello Atlante, bloccato anche lui ma, nel mare, a reggere il Cielo del Tramonto. Sempre lì, nel mezzo, tra il 38[ba] e il 39[ba] parallelo, il “parallelo di Delfi!”, e probabilmente – almeno a misurare le equidistanze su una carta d’oggi – in Sardegna. Così sì, che Delfi – lì al centro, sotto il Sole del mezzogiorno, del mezzo cammino – aveva un senso…
Ma provaci a rimettere tutto in bella copia, ora – con tutta quell’India nuova – su una mappa… Il Mondo conosciuto fa impressione. L’ecumène ora ti pende tutto a Oriente, ti si slarga verso il Gange: è tutto disordinato, disorientato, asimmetrico, inguardabile, non degno di Alessandria…
Servirebbe… Serve un aggiustamento di tiro!
“Fatto! L’abbiamo appena fatto a Zeus e a quelle sue due aquile, figurarsi se non lo possiamo fare anche a Herakles/Milqart, dio sconfitto, e a quei suoi due patetici pilastri obsoleti ed ormai inutili, monumento ai caduti commerci di Cartagine…”.
Ed eccole, finalmente, le Colonne d’Eratostene a Gibilterra. Eccole laggiù, d’improvviso! Solide, giuste, giustificate, autorevoli, incontrovertibili, definitive, teoriche, geometriche. Colonne Nuove di zecca a tener ben disteso il Mondo nuovo di zecca. Il Mondo Grande di Alessandro il Grande, finalmente tutto ben stirato sulle carte appena disegnate per regalare certezze a un pubblico vergine, ignorante di geografia, scienza nuova che ti spara contro paroloni come sfragide o dodecaedro o, che so, gnomone tanto che nessuno osa più mettere in discussione nulla. Chi avrebbe potuto farlo poi?
E sì: son le Scienze Esatte, ormai, queste! Già roba per addetti ai lavori… E chi osa più metterci bocca… Se le Colonne, ora, stanno lì, avranno le loro buone ragioni… Se ce le hanno messe – quelli di Alessandria, poi, che la sapevano così lunga – perché toccarle? Così ora sono lì – simboli inquietanti di geometrica potenza – a chiudere l’Ovest di Gibilterra. Niente segnala più che quei fondali del Canale, se non li sai, ti possono anche ammazzare di acqua e fango.
Sono simboli satellitari, ormai, le Colonne di Eratostene. Laggiù, lontano lontano, a criptare gli antichi testi. A non farti capire più niente del Mondo com’era stato fino allora. A render cretini gli svolazzi dei Miti. A spegnere la luce sugli Anni Bui.
Ad accendere l’insegna Dark Age.
Sono slittate a Occidente. Come niente fosse. Come un cartello stradale. Come frontiere sacre solo a pellerossa che, poi, un Custer qualsiasi e i suoi che arrivano lì, si permettono di ribattezzare sacrileghi, a cuor leggero – su quello stesso 36[b0] parallelo che ora da Rodi, infilza prima Malta e il Canale dov’erano le antiche Colonne d’Ercole, e poi Gibilterra, nuova Regina dei Confini.
Regina senz’anima e senza storia. Regina, ma senza mostri né fango. Regina, solo perché così almeno quadra tutto.
Slittano. E, slittando fin laggiù, le Colonne si trascinano lontano lontano la Storia, e le storie, e la dignità del Mediterraneo d’Occidente. Succhiano via sangue e vita all’antico Mare di Herakles/Milqart, quello che con il vento buono ti portava da Tiro a Cartagine, da Cartagine a Tharros, da Tharros a Ibiza, da Ibiza fin su a Cadice, città santa, potendo continuare a parlare sempre la stessa lingua, a pregare sempre gli stessi dèi, in templi sempre tutti uguali.
Il Mare di Herakles/Milqart, al di là delle sue Colonne, quel mare che tanta paura ha sempre fatto ai Greci, non c’è più: è alla deriva con tutti i suoi miti. Lui stesso annacquato, dissolto in questo Oceano nuovo di zecca. Un Oceano che, certo, non è più quello di Omero e che finirà ben presto per succhiargli via persino il suo antico nome: Atlantico. Mar di Atlante e di tutte quelle sue nuove Esperidi marocchine.
L’Ordine regna ad Alessandria. E da Alessandria sul Mondo. Ci penserà poi Roma a farlo suo e torchiarlo a dovere.
L’Impero di Herakles/Milqart non c’è più. Anzi: non c’è mai stato.
Persino Atlantide è scomparsa. Si sono sciolti come sale nei nuovi mari di quelle mappe che riempiranno di stupore, riverenza e ammirazione gli occhi del mondo fino a oggi. Annegano lì dentro i Miti: non servono neanche più. Non ti aiutano più a capire i popoli fratelli. O a metterti in guardia da quelli nemici.
Diventano solo strane, lontane, ridicole storie di un litigioso Pantheon mezzo pazzo, mezzo scemo, affogato nel Mar Nuovo e nel ridicolo.
L’Occidente sono le Bahamas, ormai. Il Sole scende tra i Sargassi.
Gli dèi del Tramonto galleggiano, boccheggiano, lontano da tutto. Sballottati. Come resti di un altare distrutto, di un crocefisso in cento pezzi. Ho torto io? Cacciateli fuori voi, di nuovo, tutti quegli dèi, ora che sono appena rientrati, tutti insieme.
Assolverlo, Eratostene? Sarebbe annegarli tutti di nuovo.
Nel 146 Roma sparge sale sulle macerie spianate di Cartagine. Migliaia di sigilli – saltati fuori dagli scavi – ricordano quei papiri cartaginesi bruciati allora. Dovevano scrivere tutt’altre storie.
Tutt’altra Storia.
Milqart si è sciolto in mare. Ogni sua parola è cenere. Quel mare in cui si specchiava il suo nome è in pezzi: Milqart è in frantumi, c’è solo Herakles, ormai… Assolvere Eratostene? Pensateci. Pensateci bene prima di farlo”.
Il Giudice: “Finito?”.
L’Accusa: “Finito”.
***
Assolverlo Eratostene? Chi davvero lo assolve si fermi pure qui. Non la varchi neppure questa pagina: ora che le Colonne son tornate al loro posto, in quel Canale di Sicilia che strozzava il mondo piccolo degli Antichi più antichi, lasceremo il mare magnum di quest’inchiesta per azzardare le acque infide dell’ipotesi.
Ipotesi, sia chiaro! Mica fantasticherie! Ché altrimenti si cominciava subito a lavorar di fantasia e a cuor leggero… E, allora, tutta questa roba, e quella che ora segue, poteva esser buttata giù pure in due mesi, senza farsi staccar via un pezzo grosso di vita… Del resto è ineluttabile, purtroppo: impossibile non andare oltre.
Arrivati a questo punto, poi…
E sì, perché appena più in là, al di là di queste Colonne di Ercole, c’è – sì, certo… – il rischio dello sputtanamento. Ma c’è anche Platone, però, messo lì a far da sirena… Quel Platone settantenne del Timeo e del Crizia che, nel IV secolo a. C. – cent’anni prima di Eratostene e della sua Rivoluzione cartografica – ci scriveva: “Davanti a quella bocca che gli Ateniesi chiamano Colonne d’Eracle c’era un’isola, e da quest’isola si raggiungevano le altre isole, e il continente che tutto circonda…”.
Come tapparsi le orecchie con la cera, ormai? Farsi legare? Da che? Da chi? E’ Atlantide, quella di cui Platone sta parlando, l’Isola Fiaba, il Paradiso Rompicapo sacro a Poseidone, Trono di Re Atlante (che regge il cielo del Tramonto) e di quel suo gemello Gadeiro, che ha tutte le sue coste del Sud blindate dalle fortificazioni e da torri.
C’è già naufragata gran bella gente, andandola a cercare… Nessuno di loro, finora, però, era mai uscito da queste qui, di Colonne d’Ercole, queste del Canale di Sicilia, appena tornate – senza licenza alcuna, per la prima volta, dopo 2200 anni – al loro antico posto…
Proviamo? Proviamo. L’inchiesta, però, finisce qui. Ora, ormai, è davvero tutto un azzardo osare al di là di queste Colonne d’Eracle del Non plus ultra… Tutto vero: solo i pazzi lo fanno. Male che vada, però, ci ritroveremo, a boccheggiare, di nuovo in alto mare ma, almeno, non più soli, come finora che c’erano soltanto gli Antichi a tenerti a galla. Naufraghi sì, ma, anzi, d’ora in poi, in buona, straordinaria compagnia: con Bacone che negli anni Sessanta del Seicento, Atlantide, la giurava in America; con Frost che, nel 1909, ci vedeva Creta; con Frobenius che, nel 1910, la metteva in Nigeria; con Bérard che, nel 1929, disse Cartagine; con Luce & Marinatos che nel 1969 e 1971 scommisero su Santorini e tutti ci credettero; o con il Cnr tedesco che ora sta frugando vicino Troia. Con… Chissà, se anche tanto tanto tempo fa, prima di varcare le Colonne d’Ercole – queste Colonne d’Ercole qui, qui al Canale di Sicilia – qualcuno, vedendoti preoccupato, teso, spaventato, ti si avvicinava per dirti: “Buon vento!”.
Dal libro di Sergio Frau, Le Colonne d’Ercole, un’inchiesta (NurNeon, pagg. 672, euro 30), anticipiamo alcuni brani dal Forum su Atlantide, Enigma degli Enigmi .
Roma (XXI secolo d.C.).
CRIZIA: “Allora: davanti a quella bocca che voi chiamate Colonne di Eracle, c’era un’isola. Chi ci arrivava poteva passare da quest’isola, alle altre isole e raggiungere il continente che tutto circonda…”.
COORDINATORE: Un attimo! Serve un’introduzione… Cominciamo oggi con l’unico testimone esistente: Crizia. Del resto è lui che, questa storia di Atlantide, se l’è sentita raccontare da suo nonno – Crizia anche lui – figlio di Dròpide, parente e amico caro di Solone, il quale a sua volta se l’era sentita raccontare a Sais in Egitto, nel 560 a.C., da un sacerdote di lì. Fu proprio lui, Crizia che, riferendola a Socrate, permise a Platone di farcene avere quella trascrizione-rompicapo che, seppur incompleta…
Gran bella gente partecipa a questo Primo Forum Mondiale dedicato all’Isola del Re Atlante. Altro che videoconferenza: qui, ora, siamo collegati con il Tempo e con lo Spazio. E’ anche la prima volta, in 2200 anni circa – da quando, cioè, secondo la nostra inchiesta (e l’ipotesi cartografica che ne è, poi, conseguita) Eratostene le spostò a Gibilterra – che le Colonne di Ercole da oltrepassare per sbarcare ad Atlantide, nel pieno del Far West degli antichi Greci, sono di nuovo al Canale di Sicilia, dove – presumibilmente – erano ancora nel 356 a.C. a indicare l’inizio del Mondo cartaginese.
COORDINATORE: La parola torna a Crizia. Proporrei, però, di saltare ogni altra premessa – di tagliare tutta la parte che voi Greci siete sempre fanciulli, senza memoria perché i cataclismi ve l’azzerano di tanto in tanto lasciando in vita solo gli analfabeti – e il problema della localizzazione di Atlantide.
CRIZIA (riportando le parole dette dal sant’uomo egizio a Solone): “Davanti a quella bocca che viene chiamata, come voi dite, Colonne di Eracle, c’era un’isola. Quest’isola, poi, era più grande della Libya e dell’Asia messe insieme e coloro che ci arrivavano, allora, potevano passare da questa alle altre isole, e dalle isole al continente opposto che circonda quel vero mare”.
COORDINATORE: In che senso “vero mare”?
CRIZIA: “Perché tutto questo mare che sta al di qua della bocca che ho detto, sembra un porto di angusto ingresso, ma l’altro potresti chiamarlo vero mare, e la terra che per intero l’abbraccia, un vero continente… Ora, in quest’isola di Atlante, vi era una grande e mirabile potenza regale che possedeva l’intera isola e molte altre isole e parti del continente. Inoltre dominavano, al di qua dello Stretto, le regioni della Libya fino all’Egitto, e dell’Europa fino alla Tirrenia (ovvero, letteralmente, inizialmente, Il Paese delle Torri o l’Isola delle Torri; solo in seguito l’Etruria, ndr)”.
SPETTATORE: “Attenzione, però: qui Crizia con queste sue dieci paroline soltanto, ha appena smontato l’impianto della vostra ipotesi”.
COORDINATORE: In che senso?
SPETTATORE: “Quando dice che “al di qua dello stretto dominavano l’Europa fino alla Tirrenia”, sembrerebbe tener ferme le Colonne e la loro bocca a Gibilterra. O no?”.
COORDINATORE: Ma quando prima, invece, ci ha parlato di un’isola e di un continente che tutto circonda, non stava certo parlando dell’Oceano Atlantico di oggi…
SPETTATORE: “L’unica sarebbe che – almeno in certi anni – sia stato usato il termine Tirrenia in un’accezione più vasta… Che so: comprendendovi insieme alla Sardegna e alla Corsica con le loro torri nuragiche anche le Puglie, la Sicilia, le sue isole… Ma non è attestato da nessuno, e neppure dall’archeologia… O sbaglio?”.
DIONIGI DI ALICARNASSO: “In quel tempo il nome Tirrenia risuonava per la Grecia e tutta l’Italia occidentale, tolte via le denominazioni delle singole popolazioni, assunse quell’appellativo”.
COORDINATORE: Questa sì che è una notizia! Prosegua pure, Crizia.
CRIZIA: “…E tutta questa potenza, unitasi insieme, tentò una volta, con una sola mossa, di sottomettere la vostra regione (la Grecia, ndr) e tutte quelle che stanno al di qua dello Stretto”.
COORDINATORE: Disse proprio così, il sacerdote: al di qua dello stretto?
CRIZIA: “…tutte quelle che stanno “al di qua” dello Stretto! Allora, dunque, Solone, la potenza della vostra città (Atene. Ndr) apparve eroica per virtù e vigore a tutte le genti. Infatti, superando ogni altro per forza d’animo e in tutte quelle arti che servono in guerra, in parte guidando i Greci, in parte procedendo da sola per necessità quando gli altri defezionarono, dopo aver affrontato estremi pericoli, vinse gli invasori e innalzò il trofeo della vittoria. E così impedì che venissero sottomessi coloro che non erano stati ancora sottomessi, e liberò con generosità tutti gli altri che abitano al di qua delle Colonne di Eracle”.
COORDINATORE: Il racconto – secondo Massimo Pallottino e altri grandi studiosi – sembrerebbe fotografare l’invasione dei Popoli del Mare contro l’Egitto: anche lì – agli inizi del XII secolo a. C., però – un’aggressione da Ovest; anche lì una federazione di popoli* – * i Lebu libici, gli Shekelesh siculi, i Tursha (Tirreni?), gli Sherden sardi. .. – poi sconfitti… Il tutto, però a ridosso del 1200. A che periodo lei datò l’intera vicenda, raccontandola a Socrate e agli altri convitati?
CRIZIA: “Nel complesso erano passati novemila anni…”.
COORDINATORE: Leggendo il resoconto che proprio lei, Crizia, affidò alla penna di Platone si parla di scrittura, e bronzo, e armi, e carri, e triremi, e cocchi per gli arcieri… A noi moderni, però, non risultano testimonianze di questo tipo in epoca così alta. La data del 9399 a. C. lei la considera certa?
CRIZIA: “Solone tradusse in greco quel che diceva il sacerdote…”.
SPETTATORE: “C’è stato chi ha ipotizzato che Solone abbia interpretato male il sacerdote proprio su questo punto: che il sant’uomo di Sais intendesse parlare di “mesi” e che invece Solone l’abbia interpretato, male, traducendo “anni”…”.
COORDINATORE: Vedrà – se lei, però, ce ne darà modo – che anche noi, per vie del tutto più serie, arriveremo più o meno a quell’ipotesi di datazione. Massimo Pallottino, studioso rigoroso, e certo non sospetto di azzardi fantarcheologici, nel 1951 scrisse: “Sembra anzitutto da rilevare che il luminoso parallelo istituito nel 1913 dal Frost tra le tradizioni sulle guerre di arginamento del XIII e XII secolo contro la incombente minaccia del Popoli del mare ed alcuni aspetti del racconto, atlantideo di Platone sia, ormai, più che una semplice possibilità. Esistevano, invero, ed esistono tuttora, quei gegramména (ovvero “scritti”, ndr) come Timeo, 24; libri (Papiro Harris) o iscrizioni (Stele di Karnak, di Athribis, di Israele; Medinet Habu, ecc.), nei quali era narrata la disfatta sotto i Faraoni Merenptah e Ramses III di due potenti coalizioni straniere provenienti da terra e dalle “isole del mare” e prementi non solo sull’Egitto ma, almeno per ciò che concerne la seconda, anche su tutte le altre terre fatta eccezione per quella degli Ittiti”. Sentito? Ed è Pallottino, mica Maga Magò… Eravamo ad Atene che vince gli invasori. Proseguiamo pure con il racconto, Crizia, prego.
CRIZIA: “In tempi successivi, però, essendosi verificati terribili terremoti e inondazioni, nel corso di un giorno e di una terribile notte, tutti i vostri guerrieri (di Atene. Ndr) sprofondarono insieme dentro la terra e allo stesso modo fu sommersa e scomparve l’Isola di Atlantide. Per questo ancora oggi (intorno al 560, quando si svolge il colloquio di Sais, ndr) quel mare è diventato impercorribile e inesplorabile, essendo d’impedimento i bassifondi fangosi che produsse l’Isola, sprofondando”.
ARISTOTELE (dei Meteorologica): “Il mare al di là delle Colonne è poco profondo a causa del fango, ma non è ventoso perché si trova come in un avvallamento…”.
COORDINATORE: Crizia, può ripeterci la frase esatta del sacerdote. Da dove di preciso lui faceva arrivare quegli aggressori dell’Egitto?
CRIZIA: “…una grande potenza che con tracotanza aveva invaso contemporaneamente l’Europa e l’Asia, uscendo fuori dal Mar Atlantico. Infatti, a quel tempo, era possibile traversare quel mare”.
COORDINATORE: Quindi usa Mar Atlantico! Cosa poteva intendere Solone in quegli anni – nel 560 a. C. – per Mar Atlantico? E cosa intendevate voi, più tardi, quando ne parlavate, nel 399?
APULEIO: (del De mundo, pubblicato a metà del II secolo d.C.): “I mari più grandi sono l’Oceano e l’Atlantico, che delimitano il confine del nostro globo”.
GIUSTINO (che – copiando da chissà chi nel II d.C. – nelle sue Storie filippiche racconta dei Focei che fondarono Massalia-Marsiglia fra i Liguri): “E così, avendo osato spingersi fino agli estremi lidi dell’Oceano, giunsero infine nel Golfo Gallico, alla foce del Rodano e, presi dalla bellezza del luogo…”.
COORDINATORE: Quindi, nonostante la solita burrasca sui nomi dell’Oceano/Mar Grande d’Occidente, ora seguendo l’ipotesi di questa ricerca non solo potremmo piazzare l’Isola Mito, davanti all’uscita del Canale di Sicilia, ma anche far arrivare quella masnada di invasori dall’Ovest e per di più proprio intorno al 1200 a. C. Chi erano?
SERGIO F. DONADONI: “Di due di questi Popoli del Mare le fonti egiziane più antiche fanno menzione. Dei Luka, anzitutto, che appaiono nelle tavolette di Tell el Amarna, con tratti pirateschi e ricompaiono poi fra i federati hittiti contro cui si batté, a Qadès, Ramses II. Degli Sherden, poi – e più ampiamente – che compaiono anch’essi a Tell el Amarna, in due lettere di Ribaddi di Biblo che li ha al suo servigio. Ma più notevole è una stele di Ramses II, nota come la Stele degli Sherden, dove è detto di loro: “Per quanto riguarda gli Sherden dal cuore ribelle, non si era capaci di combatterli dall’eternità. Essi venivano, possenti (di cuore – ?-…) su navi da guerra in mezzo al mare, e non si era capaci di tenere loro testa…”. Oltre questa chiara descrizione dell’attività piratesca degli Sherden, è qui notevole la posizione che essi hanno nella composizione generale della stele: si parla dei popoli del Settentrione, di quelli del mezzogiorno, dell’Oriente, dell’Occidente, e si aggiungono infine, secondo la regola degli elenchi geografici egiziani, questi “del mezzo”. Se consideriamo ad esempio la Stele poetica di Tuthmose III, si hanno, meno ordinatamente, elencati in serie i quattro punti cardinali e si aggiunge a loro il Centro, rappresentato da “Quelli che sono nelle Isole in mezzo al Mare”; e così anche nell’Inno ad Aton si parla di “Mezzogiorno e Settentrione, Occidente e Oriente, e le Isole che sono nel Centro del Mare”. Nel testo di cui parliamo, gli Sherden assumono una funzione analoga: vorrà dire un’analoga situazione geografica? E’ difficile dire di no”.
COORDINATORE: Quindi lei, professore, gli Sherden, non li fa arrivare dall’Anatolia – come si è fatto per tutto il secolo scorso – ma dalle Isole nel Grande Verde?
DONADONI: “Degli Sherden non si parla nei testi hittiti: non si può perciò localizzarli in Asia Minore”.
COORDINATORE: Due date segnano la presenza di questi pirati nelle terre di Ramses III: all’arrembaggio in una battaglia nilotica (nel 1178), e furono sconfitti; con donne e figli, nel 1175 a.C. e, lì, fu una vera mattanza. Come finì, poi?
DONADONI: “I due gruppi furono annientati. La rappresentazione dello scontro porta un testo breve e per di più assai ridotto per lacune e guasti, e che non dà altro che frammenti di celebrazione del valore regale”.
COORDINATORE: E allora come siete riusciti, voi egittologi, a interpretarli?
DONADONI: “C’è la parte figurativa: mostra le tipiche acconciature a penne sul capo degli invasori, gli elmi cornuti e ornati di un disco (o di una sfera) degli Sherden dell’esercito egiziano, e – nella confusione della mischia – i pesanti carri, trainati da quattro bovi l’uno, che si trovano implicati nella zona della battaglia, e dove donne e bambini sono insieme con i guerrieri barbari: in una situazione, cioè assai diversa dal vecchio tema “di genere” che accompagna le scene di guerra”.
COORDINATORE: Cioè?
DONADONI: “Angosciosamente migratoria! Su questo punto i testi, malgrado le scorie retoriche, sono abbastanza espliciti”.
GIOVANNI GARBINI: “Se i Popoli del Mare, che per tanto tempo avevano intrattenuto con gli Egiziani pacifici rapporti commerciali, cercarono a un certo momento di insediarsi in Egitto con la violenza, vuol dire che si era creata alle loro spalle una situazione tale da spingerli a quel gesto disperato”.
COORDINATORE: “Gesto disperato” è un’espressione che di solito si usa per un suicidio?
GARBINI: “Gesto disperato!”.
COORDINATORE: Il professor Donadoni ha parlato di “angosciosa migrazione” con carri, donne e bambini e usa questa locuzione per la seconda invasione ai tempi di Ramses III, nel 1175. Ora lei ora dice “gesto disperato”. Potrebbero davvero esserci stati dei cataclismi all’origine di quegli spostamenti di popoli…
DIODORO: “Posso?”.
COORDINATORE: Prego, Maestro!
DIODORO: “Le Amazzoni (quelle libiche, alleate degli Atlanti secondo quel che scrive Diodoro, subito prima di questa frase nella sua Biblioteca, ndr) sarebbero state completamente distrutte da Eracle, all’epoca in cui, percorrendo le regioni occidentali, piantò le colonne della Libya…”.
COORDINATORE: Sa, veramente, sulle Colonne d’Ercole…
DIODORO: “…Eracle riteneva che sarebbe stato terribile se, essendosi egli proposto di beneficare tutto quanto il genere umano, avesse lasciato alcuni popoli dominati da donne. Si dice che anche il lago Tritonide (in Tunisia, dove le Amazzoni avevano la loro città, ndr) sia scomparso in seguito a terremoti, con il rompersi delle parti rivolte verso l’Oceano”.
COORDINATORE: Una testimonianza che ne vale tre! Anzi: quattro! I terremoti a Ovest dell’Egitto! In zona Tritonide, ovvero nell’entroterra delle Sirti… Con Eracle che sta, giustappunto, mettendo colonne da quelle parti. E, per di più, l’Oceano lì davanti…
E se riaffiorasse ora? E d’improvviso. Se, da mezzo al mare, riapparisse d’incanto un’isola? E se succedesse proprio al di là delle Colonne di Eracle, quelle appena tornate al Canale di Sicilia? E se fosse al centro di tutte le rotte più antiche? E se quest’isola ci si ripresentasse ora, ma com’era 3200 anni fa? Viva, ricca, verde e strabiliante? Con 8000 gigantesche torri? E con quelle altre che ora non ci sono più? Con le necropoli “anatoliche” rosse e gialle del 3000 a.C.? E con quella ziggurat strampalata messa lì, vicino a Sassari, da 4300 anni? E con tutti i metalli del mondo? E con un clima che – si sa – è, quasi sempre, primavera? Con le palme, i cervi, l’oricalco? E fiumi d’argento, isole di piombo, e monti di ferro, e pietre di fuoco, e sorgenti di acqua calda? E con i vecchi più vecchi del Mediterraneo? Se riapparisse all’improvviso un’Isola, in mezzo al Mare d’Occidente? Già antica anche per gli Antichi. Se riaffiorasse ora, la Sardegna?
Al di là delle Colonne d’Ercole che tra V e III secolo a. C., quando Platone scrive di Atlantide, piantonavano il Canale di Sicilia facendone la Cortina di Ferro dell’Antichità, c’era un’Isola che divenne Mito. Da quell’isola si raggiungevano altre isole e il continente che tutto circonda… Mica era un enigma, Atlantide! Era solo un malinteso: la prima Storia criptata, dalla nuova Geografia. Secondo l’ipotesi di Sergio Frau, sviluppata nel libro Le Colonne d’Ercole, un’inchiesta (NurNeon.it pagg. 672, euro 30), quando Platone scrive mirabilia e cataclismi di Atlantide, le Colonne non erano ancora a Gibilterra, dove Eratostene le traslocherà nel III secolo a.C.
La rotta per Atlantis, così, si fa obbligata: verso un’isola che, dominando l’Africa fino alle frontiere occidentali dei Faraoni, minacciò l’Egitto. Fu Massimo Pallottino a segnare le somiglianze tra l’aggressione narrata da Platone e gli assalti che i Popoli del Mare/Abitanti delle Isole sferrarono contro Ramses III: il primo nel 1178 militaresco, con navi all’arrembaggio; il secondo nel 1175 a.C. disperato, con carri donne e bambini. Come se fuggissero qualcosa di terribile, successo in Occidente. L’isola da cui arrivavano era davvero la Sardegna? Quel Paradiso in mezzo al mare, nel 1175, divenne Inferno? Dal volume di Frau anticipiamo due brani tratti dal finale.
“Come – e, soprattutto, perché – è sparita la Sardegna dal Mare di Atlante? E dov’è finita?”. Come può scomparire, così, com’è successo, un reperto colossale che è lì, in mezzo al mare, a spezzare le rotte, sotto gli occhi di tutti? Dubiti di una collina di fango. E, poi, c’è dentro Barumini, Gigante Abbattuto… Delle sue 8000 torri, 60 sono state indagate, frugate, perquisite. Che percentuale è? Lo 0,000, boh… Sembra davvero Osiris, la Sardegna: squartata, smembrata e sepolta, qua e là… “Qua e là”, sì. Ma “qua e là” dove? E’ come se tutti le avessero sbranato via un pezzo di storia, di gloria, di geografia. Come pezzi di carne. Viva. Tartesso le ha tirato via l’argento. Se l’è portato in Spagna, la Spagna. Iperborea, trascinata lassù, fin nelle nebbie, le ha rubato l’eterna primavera, e i vecchi più vecchi, e pure il buen retiro dei primi dèi: la mamma di Apollo, i genitori di Hera, il papà di Zeus che, poi, sempre Baal/Kronos è.
Atlantide, poi, affogata ai Sargassi, o giù di lì… Le masnade dei primi Tyrsenoi – quel Popolo antichissimo delle Torri, delle trombe tirrene fatte bucando conchiglie e dei Pirati nelle prime tradizioni orali – che, da un certo punto in poi, dal 750 a.C., circa, in poi, sono diventati soltanto i Tirreni/Etruschi di tre, quattro secoli dopo.
E se, invece, fosse proprio la Sardegna – o almeno la sua assenza dalla Prima Storia e dalla Seconda Geografia – l’anello che, mancando, ha poi squinternato tutto? E se quel “Tutto” – che è, poi, la Protostoria del Mediterraneo – fosse stato rimontato a perfezione, ma in maniera sbagliata? Come rimontare una collana che poi, però, ti accorgi inanella troppi enigmi, a catena. E, per di più – enigmi e frammenti – proprio tutti allacciati, stretti stretti, intrecciati cronologicamente; vicini vicini, tutti così vicini a quegli anni, intorno al XII secolo prima di Cristo. Un Big Bang di roba nuova. Misteriosa. Dark Age, la chiamano, la fine del Bronzo, l’inizio del Ferro. E’ l’Età del Fango.
Il Mare, stavolta, si è davvero spezzato in due. La farfalla s’è rotta. Il Mediterraneo-clessidra di Gras si è spaccato nel mezzo, al Canale di Sicilia: ha buttato fuori, lì, tutta la sua sabbia. E’ tutta sabbia e fango, l’Età del Fango. E navi ferme. E rimpianti. E’ allora – nel XII – che il mondo degli Antichi più antichi scompare per sempre. Meglio farlo depositare tutto quel fango prima di rimettersi in mare a trafficare. Ci vorranno, poi, tre secoli almeno per rattoppare la rete degli antichi commerci e delle mille rotte. E, a sorpresa – a navi ferme, con il piombo e lo stagno dell’Occidente che non arrivano più nei porti – un’eruzione portentosa di tecnologia del ferro. Lapilli di metallurgia che volano in giro, piombano dappertutto. Accendono il mondo e i forni, tutt’insieme.
Prendi un compasso. Puntalo in Sardegna. E tutt’intorno – il più possibile distante dal mare, all’inizio – appollaiàti su rocche, o protetti da altipiani, o barricati dietro le Alpi, o a fare i principi su a Verucchio, o a far monete su a Sardi, o a fare i preti su a Delfi – tutti su su, su quei nidi d’aquila – se vuoi, se li cerchi, li trovi i Popoli degli Enigmi. Come risacche – scorie di una mastodontica mareggiata sul bagnasciuga, dopo la tempesta forte – quelle genti.
Prendi le rotte del II millennio, quelle che ti facevano ricco. Prendile ora, ma solo per scappare. Lascia il mare. Fuggilo il mare. Va all’interno. Bruciali ora i tuoi morti, ché sono troppi. E va, dentro, arrampicati su, su quelle rocche. Lì il mare, almeno, non ti arriva.
Prometeo di Eschilo: “Il Tartaro nasconde, nelle tenebre fonde del suo abisso, Kronos l’antico e chi lottò al suo fianco”. Omero dell’Iliade (c’è uno Zeus che fronteggia Hera, nel Libro VIII): “E io non mi curo di te, se t’adiri, neppure se giungi agli estremi confini della terra e del mare, dove Kronos e Giapetos seduti, non dei raggi dell’altissimo sole, non godono dei venti, ma tutt’intorno è Tartaro fondo…”.
D’improvviso, poi, dappertutto, succedono cose davvero strane. C’è chi lo chiama, ancora, Diffusionismo indoeuropeo. Con tutti che dicono tutto e il contrario di tutti. Credere a tutti? Impossibile. Non credere a nulla? Una pazzia. Sceglierne uno? Peccato, però, rinunciare agli altri. Scavarci dentro come una miniera di roba buona? Individuare i filoni giusti? Tirarne fuori tutte quelle loro schegge di verità – o di dubbio – che poi, fuse insieme, si mutano in ipotesi, in indizi preziosi?
E’ oro? O è argento, quel che scrive Venceslas Kruta ne L’Europa delle Origini: “Le antiche culture dell’Età del Bronzo si trasformano o subiscono l’impatto di movimenti di popolazioni. Senza avere l’ampiezza che un tempo era loro attribuita, questi spostamenti sono però importanti e sconvolgono radicalmente il quadro di certe regioni. Non si tratta di un fenomeno di breve durata, bensì di un processo complesso, legato forse a mutazioni climatiche. Il risultato è il formarsi di complessi culturali che si possono considerare come i nuclei iniziali dei popoli storici. Infatti, a partire dalla fine dell’Età del Bronzo può essere seguita l’evoluzione costante, senza soluzioni apparenti di continuità, del substrato detto villanoviano degli Etruschi, dei Celti della cultura detta di Golasecca dell’Italia del Nord, dei loro parenti dell’Europa centro-occidentale, dei Veneti, dei Liguri e degli altri popoli italici, così, come quella degli Illiri. Questa constatazione non potrebbe risolversi in una serie di coincidenze fortuite…”.
Trovarle schegge così. Filoni preziosi. Vene di pensiero solido… L’unica è provarci… A ciascuno il suo di mistero. Però, quasi tutt’insieme, dal 1100 a.C. in poi. E quasi tutti abbastanza simili: Metalli&Misteri, fusi insieme. Come se, d’improvviso, una formula segreta avesse perso il copyright. Come se i migliori cervelli di un laboratorio nascosto, protetto, inattaccabile, fossero dovuti scappare di corsa, in giuro per il mondo. E arrangiarsi.
Ricchi solo del loro know how: ferro, fuoco e grandi mura. Si salvi chi può. Con quel che sa. Omero scrive: “Come qualcuno un tizzone nasconde fra molta cenere nera, laggiù, all’orlo dei campi, perché non ha intorno vicini, serbando il seme del fuoco, per non andare poi, chissà dove a cercarlo così…”. Chi sa il fuoco, chi sa il ferro, mangia ovunque, nell’antichità. Basta guardare gli Sciamani dell’Africa. Basta dar retta al nome “siderurgia”, roba che ti porta ancor oggi alle stelle. Basta toccar ferro, ché è ancora magico. Basta leggere Omero: “…Qui stavano i tesori del re: bronzo, oro e faticosissimo ferro”.
Basta anche, solo, star a sentire quel che ne scrive Mircea Eliade: “Il fabbro è il principale agente di diffusione delle mitologie, dei riti e dei misteri legati alla metallurgia”. Se hai imparato a capirle, a saperle scegliere le pietre giuste, quelle che le batti e gli fai scoccare la scintilla, e che ti fanno il fuoco con niente, se quelle pietre le sai, te la cavi ovunque. Anche se il Mare ti si gira contro.
Puoi pure far finta di essere dio, a quel punto… Se, poi, conosci il Cielo, e sai le eclissi, e leggi le stelle… Allora, se poi ci azzecchi, sei Voce di Dio, a quel punto… Puoi persino inventarti che sei finito laggiù, incatenato al Caucaso, solo perché regalavi il fuoco alla gente, e che ora ti mangi il fegato dal rimpianto. E che te lo mangia pure un’aquila, ma che quella fa parte della punizione, e che te la manda addosso Zeus. Sì, puoi persino dire di essere Prometeo. E di avere un fratello sepolto vivo proprio lì dirimpetto, dall’altra parte del mondo, lungo la rotta del Sole, a reggere il Cielo. E che si chiama Atlante.
E, se sei Prometeo, puoi anche far volare la tua fama con Eschilo: “Chi prima di me scoprì i doni nascosti della terra, il bronzo, il ferro, l’argento, l’oro? Nessuno, lo so bene, a parlare onesti. Sappilo in breve: tutto ciò che gli uomini conoscono, proviene da Prometeo”.
Ferro, fuoco, droga e dio: tutt’insieme. Ti crederanno… Rubargli il Sole. E, poi, ridarglielo. Prevedigli un’eclisse. Fallo tutto nero il Sole. E poi fallo d’oro, di nuovo. Drogali, di tanto in tanto, come sai fare tu, in nome di dio. Fagli sgorgare l’acqua, come per magia; regalagli il ferro; dagli le armi; curali con medicine, erbe, miracoli, buchi in testa e – vedrai – ti crederanno.
Senti ancora cosa dicono le Figlie di Oceano a Prometeo: “Tutto il paese grida il suo pianto. E gli uomini dell’Occidente rimpiangono il solenne onore e l’antico splendore tuo e della tua gente”. C’è tutto un mare di gente a crederti. A piangerti. Ti crede Eschilo: ti crederanno tutti., Crederanno. D’improvviso. Dappertutto.
Eliade: “Prima ancora di modificare la faccia del mondo l’Età del Ferro ha generato un grandissimo numero di riti, di miti e di simboli, che hanno avuto notevole risonanza nella storia spirituale dell’umanità”. Ferro, fuoco, droga e dio: tutt’insieme. D’improvviso. Dappertutto.
C’è l’Enigma di Urartu, i metallari dell’Ararat, il vulcano sacro che oggi si visita facendo campo base a Sardar. Primo re di quei Sari: Sardur I. Poi Sardur II. Poi Sardur III… Cos’è un’apocalisse? O una dinastia di Pesci d’Aprile? Arriveranno a Sardi di Lidia. Riprenderanno il mare. Erodoto e venti altri autori giurano che da lì ci vengono – ci tornano? – gli Etruschi/Tyrsenoi, quelli di lì. Dionigi dice è gente nostra, che sa per certo che da qui è partita. Strabone i suoi Tirreni, Costruttori di Torri ce li mette in Sardegna, prima ancora dei Fenici. Hanno ragione tutti e tre? Hanno ragione tutti e tre!
C’è l’Enigma dei Traci, apparsi a sorpresa a fonder, dopo tanto bronzo, ferro – e tirar su roba ciclopica – intorno al 1050, sul Mar Nero. Con Sòfia che si chiamava Sàrdica ancora al tempo dei primi Concili ecumenici. A un certo punto svaporano le sicurezze… E finisci per sospettare assai, pure dei Filistei: anche loro niente affatto chiari, in quanto a origini doc. Superstiti delle Isole li battezzano nella Bibbia – i Resti di Kaphtor – quando verso l’XI secolo iniziano a farsi case e accendere forni giù a Tzur (la “Roccia”, ovvero la Tiro del Libano) che, poi, solo Alessandro riuscirà a vincere davvero, ma sette secoli dopo.
Son fabbri che la sanno lunga, i Filistei/Palestinesi… Tengono la bocca cucita su come si fa ferro, su come poi si tempera, su come lo si tratta. E chi ci sa arrivare a 1500 gradi lì in zona, in quegli anni… La bocca la aprono solo per dirti, poi, quanto costa il tutto. Dicono tutti – perché lo dicono i testi antichi – che arrivino da Kaphtor, i Filistei, i Superstiti delle Isole… Ma su che isola sia, poi, realmente questa Kaphtor, nessuno è pronto a giurarci davvero. Spesso – quando i saggisti vanno di corsa, perché stanno puntando qualcos’altro – trovi scritto, sbrigativo: Kaphtor = Creta… Poi, però – appena c’è il tempo delle analisi un po’ più serie e lo spazio per dei dubbi – arrivano a raffica le controprove per cui potrebbe anche non essere Creta…< /FONT >
Comunque: se diaspora c’è stata, questo che segue può esserne il ricordo…
“Sulla spiaggia di Sidone un toro tentava di imitare un gorgheggio amoroso. Era Zeus. Fu scosso da un brivido, come quando i tafani lo pungevano. Ma questa volta un brivido dolce. Eros gli stava mettendo sulla groppa la fanciulla Europa. Poi la bestia bianca si gettò in acqua e il suo corpo imponente ne emergeva abbastanza perché la fanciulla non si bagnasse. Lo videro in molti. Tritone con la sua conchiglia sonora, rispose al mugghio nuziale. Europa, tremante, si teneva aggrappata a uno dei lunghi corni del toro. Li vide anche Borea, mentre fendevano le acque. Malizioso e geloso, fischiò alla vista di quei seni acerbi che il suo soffio scopriva…”. Testimonianza di Roberto Calasso (da Le nozze di Cadmo e Armonia, XX secolo d.C.).
Bando a poesia e belle parole, però, ora. Qui c’è da verificare, nel dettaglio, tappa tappa, il tragitto che dice il mitografo: il sequestro di Europa – secondo la nostra fonte che si sa sempre ben documentata – avviene a Sidone. (Molti altri – vedremo – dicono Tiro. Altri ancora – più generici, come Omero – accennano alla Fenicia).
Comunque siamo là, sulla costa siro-palestinese… Da Sidone, poi, si passa davanti a Tritone e presumibilmente al suo lago, si supera Borea e il promontorio, si sta andando – si sa a Creta, poi in Licia che Asia Minore pur sempre è… Ma allora, però, non è vero che siamo “là”! E’ una rotta da Occidente a Oriente, questa! Anche questa: proprio come quella delle Fenicie di Euripide! Identica! Non mica uno strampalato zigzag di un toro pazzo d’amore come farebbero pensare a colpo d’occhio, a prima vista, le tre tappe principali: Fenicia/Libano (ovvero 35[ba] meridiano) – Creta (25[ba], quindi verso Ovest) – Licia (30[ba], quindi, di nuovo, verso Est)…
Certo, uno, un po’ ridicolo, comunque si sente. Non solo a sforzarsi di capire la logica di un bovino ingrifato, seppur – sotto sotto – è Zeus. Non tanto a dover trascurare i seni acerbi di Europa, per mettersi di buzzo buono a misurar meridiani. Ma, soprattutto, a eccitarsi nel perquisire le cose più segrete della fanciulla appena rapita, profanare la sua vera intimità: quell’etimologia oscura quasi dimenticata di Tramonto/Erebu che Europa nasconde…
Del resto Calasso – distico del suo fascinosissimo libro – mette il Salustio de Degli dèi e del mondo che avverte: “Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre”. Mentre qui, invece, finora, si è sempre creduto tutto vero… E che avvennero sempre, ma che – a un certo punto, solo da un certo punto in poi – non si capirono mai. Mai più… Del resto se nessuno – a parte il linguista tedesco Max Leopold Wagner – ti ha mai fatto sapere che sia la Tiro del Libano che la Tharros dei Sardi, erano entrambe chiamate Tzur dai Fenici, come si può riuscire a immaginare una Tiro anche in Occidente?