SÉDIR
L’OPERA DI STANISLAS DE GUAITA
dal punto di vista occulto
Titre original:
L’OEUVRE DE STANISLAS DE GUAITA
Au point de vue occulte
Traduzione a cura di Aurum A:::I:::
Non è senza apprensione che, per rendermi al desiderio del Dott. Papus, io vengo a scrivere queste pagine, troppo insufficienti, alla memoria di uno dei primi miei maestri e dei miei più cari amici. Lontana da me la pretesa di voler giudicare l’opera imposta del pensatore, l’edificio perfettamente bello -sebbene la morte sia venuto ad arrestarne il completamento- elevato alla gloria della Tradizione occidentale; io non sono nulla che il più piccolo dei servitori di una falange di spiriti ammirabili, di cui la Provvidenza mi propone quotidianamente come esempi la scienza e la sanità: io non son dunque nulla che Ella non m’ha appreso che per loro bocca e se queste pagine possono aiutare i cercatori sinceri per meglio comprendere il pensiero di Guaita, questo sarà grazie ai frammenti che ho potuto tenere delle lezioni di questi apostoli attraverso i primi dei quali egli fu secondo la scienza e secondo l’anzianità.
Un Francese, ricevuto tanti anni fa nelle cripte misteriose dei templi di Shiva, mi raccontò un giorno le sue prove iniziatiche e mi riferì i consigli del Collegio dal quale fu elevato: ”Va, gli avevano detto; ritorna nella tua patria, resta da te stesso, dimora sconosciuto, e non lasciarti sedurre da alcun riflesso e da alcun serpente”. Eh bene, Stanislas di Guaita, era, per diritto di nascita, sembra, il cervello potente, la volontà reale davanti lo sguardo diretto di cui tremano e spariscono tutte le volute del Gran Serpente. E infatti, tutto il suo lavoro fu consacrato da definire, da illuminare, da mettere un giorno all’essenza, la natura e la biologia di questa forza misteriosa nel suo aspetto radicale. Tutta l’opera della scienza occulta, così anche quella di scrivere in una lingua profana, come la nostra, contiene, per il solo fatto che essa riflette le forme essenziali del Verbo, un senso naturale, un senso comparativo e un senso geroglifico.
Senza pretendere qui di scoprire quali insegnamenti più nascosti si trovano sotto il brillante velo filosofico e pitagorico del Tempio di Satan, noi possiamo almeno riguardare sotto un’angolo più diretto come non lo fanno di solito i lettori usciti dal Mondo o dalla Scuola. Lo geroglifismo vivente delle antiche sintesi ci serve da guida, e attraverso i suoi simboli ultimi, è quello del serpente che noi andiamo a studiare.
Noi vediamo un animale che sembra appartenere alle specie più primitive che la terra abbia creato. È contemporaneo delle epoche antidiluviane, della asprella gigantesca, delle felci arborescenti; egli cresce la ove la terra impura sembra più dolorosamente pressata dai raggi di un sole divorante, o sotto l’azione torturante di questo fuoco che trapassa le sue viscere, gli humus, le escrezioni vegetali, i terreni in fermentazione, tutte queste forme del nero Satan si vedono condensare nell’essere rettiforme l’essenza de li loro veleni e tutte le collere malvage delle loro anime oscure.
Il serpente è legato alla terra, cioè un essere celeste a cui furono tagliate le ali; nella luce di gloria fu il serafino bruciante d’amore; non è più che una creatura di repulsione e spavento, divorata dal fuoco collerico dell’Odio, alla superficie dell’Inferno zodiacale; nella sua sostanza, vi è il Mercurio universale; è perché esso è il segno di Hermes e di Esculapio; il suo principio divino, è lo Spirito Santo.
Ecco come, secondo la tradizione preziosa, menzionata l’altro giorno per il dottore Marc Haven, Stanislas de Guaita fece, prima di ricevere la Corona degli Eletti con il bacio mistico dell’Eterno, che l’ha rapito ai suoi fratelli e ai suoi allievi, di questa Chiave della magia nera, un commentario al Shirhashirim al canto dello Spirito Santo.
Nella sua esposizione dei misteri cosmogonici e fisiogonici, il marchese de Guaita ha preso come guida colui che il Fil…Scon… chiamava “ la più grande luce che sia apparsa sulla terra dopo Colui che è la Luce stessa”, io voglio dire l’umile calzolaio di Gorlitz, Jacob Boehme. Egli ne schiarì le sublime tenebre con il candeliere a sette braccia, del Bereschit; egli confrontò l’oscuro artigiano spettatore delle stesse magnificenze eterne dal fondo della sua botteguccia, attraverso i pensieri e preoccupazioni terra a terra della vita domestica, con il taumaturgo del Sinai, tutto un popolo gettato nella polvere ai suoi piedi, tanto che si svolge nei fulgori della Luce di Gloria, l’epopea formidabile di Colui di cui egli preparò il Tempio.
L’opera di Guaita, non è dei libri, è un palazzo, con delle sale solenni, o oscure o gaie, con le sue cantine, i pozzi dei suoi trabocchetti, e il giro, già! Incompiuto, di un torrione che egli prevedeva maestoso; nelle sue stanze sono stati convocati tutti i maestri dell’Esoterismo e anche i suoi allievi.
Ecco il laboratorio eteroclita del soffiatore, ecco i modesti strumenti del venerabile alchimista, su questa terrazza l’astrologo osserva le stelle; nel fondo delle fosse le streghe fanno la caccia ai rospi e colgono le piante velenose; nella cappella prega il mistico, ecco l’oratorio che il mago dispone secondo sette Forme, ecco la vasta biblioteca dove il saggio prende in esame gli in-folio.
Da tutti questi frammenti chiusi, le serrature obbediscono a una sola chiave, dalle ramificazioni doppie, tripla nei suoi usi, ed è qui che conviene richiamare l’attenzione su una particolarità importante nello studio intellettuale dell’Occultismo.
Il nostro intendimento, benché suscettibile di uno sviluppo indefinito, ha bisogno, per vivere, delle nozioni del Tempo e dello Spazio. Cioè diremo che il migliore metodo per svilupparlo consiste nel non rifiutare alcun nutrimento, cioè l’accettare le idee, perché contengono tutta una parte di verità e una parte di errore, e perché errore e verità sono termini relativi.
Così nessun esoterismo dev’essere trascurato; l’occulto è dappertutto; e ogni maestro ce l’ha presentato sotto un giorno differente. Lo spettacolo al quale ci invita Stanislas de Guaita fa apparire l’Universo sotto l’aspetto della Polarità universale. Nessuno ha così bene compreso, se non Eliphas Lèvi, che il nero e il bianco hanno bisogno l’uno dell’altro per esistere, e si necessitano reciprocamente; e soprattutto nulla non fa così ben comprendere ai suoi lettori questo principio di tutta la manifestazione temporale.
È nell’ omniverso[1], Abele e Caino, è nel nostro sistema zodiacale, Ionah e Hereb, ed è in francese lo Spazio e il Tempo, presso i Greci, Rhea e Saturno, per Boehme, l’espansione e l’astringenza, per Saint-martin, il movimento e l’inerzia; è Michele e Satana; è lo Spirito Santo e il Serpente; è nella meteorologia, il giorno e la notte; in alchimia lo Zolfo e il Sale.
Così le miriadi di fenomeni, di forme, di esseri, di leggi, di passioni, vengono ad allinearsi nell’uno o latro di questi campi, e non v’attendono più che il posto che deve riunirli di nuovo, reazionarli, sforzare le loro forze latenti e farli morire per dare il giorno a dei nuovi esseri. Questo posto, è il Grande Hermes, e noi lasceremo al lettore il piacere di ritrovare in ogni pagina dei libri di Guaita la figura del Messaggero degli Dei, corrente dell’attivo al passivo e ritornante dal passivo all’attivo.
Questi ci conduce direttamente al termine dell’omniverso, alla sorgente inconoscibile da dove esso deriva senza fermarsi, alla teogonia.
Quello che ci espone il Grande Maestro della R C cabalistica, è la stessa faccia di Dio della sintesi ortodossa, è il Nome Incomunicabile, da cui la rivelazione del Cristo ha permesso di sollevare ancora un velo.
Sotto il velo d’Aesch, del fuoco divino che irradia dall’alto “e che dissimula l’essenza stessa dell’incomunicabile unità” , lo sguardo ardito dell’iniziato si eleva fino alla sorgente nascosta dove riposa la virtù del Padre, fino allo splendore vivente che ne effluvia come il Verbo, Ihoah Elohim, fino all’Amore supremo, Rouach Hakadosh, che procede dall’uno e dall’altro, che è l’agente delle loro meraviglie, l’inesplicabile mediatore tra la loro essenza irrivelata e le loro multiple manifestazioni.
È nel terzo volume del Serpent de la Genèse che Guaita si era riservato il compito di sondare le profondità abbaglianti del primo Ternario, ma la Provvidenza non ha voluto che tali luci ci pervenissero; rispettiamo l’oscurità misteriosa dei suoi disegni.
Secondo Guaita, ecco la chiave dell’Androginia, e di conseguenza il mezzo come il fine dell’Evoluzione iniziatica:
L’uomo-essenza e Dio manifestato sono identici.
Dal punto di vista della Natura-essenza, il Verbo, lo Ihoah-Elohim di Mosè è l’uomo tipo, l’Adam-Kadmon, o il principio originale di tutti gli esseri viventi.
Dal punto di vista della Natura fisica, questo Verbo è Dio manifestato: è Colui che noi adoriamo sotto il nome di Ieshouah.
Così il dogma dell’Incarnazione del Verbo possiede un significato reale e preciso, specialmente in ciò che concerne l’anima umana essenziale; essa attraversa tutti i centri del mondo, passando dai più spirituali ai più materiali, rivestendosi di guaine progressivamente opache, fino a ciò che infine arriva alla fine della sua corsa, alla nostra terra, da dove per la legge eterna del binario essa rimonta verso il suo punto di partenza.
La legge della polarità trova la sua espressione bene anche nella costituzione anatomica del sotto-multiplo umano, maschio o femmina, nella fisiologia, nella psicologia, che nelle relazioni dei sessi, che nella costituzione dello stato sociale, infine nell’acquisizione dei poteri dell’Adeptato.
Guaita parla molto poco di tutta la parte pratica dell’occultismo, se non per condannarla finch’essa è completamente istintiva, come lo spiritismo o spesso il magnetismo; per mostrarne i pericoli quando si parla di Magia cerimoniale, o per non esporne che i principi più generali quanto ai lavori più segreti e i più sacri del Neofita.
Gli ierogrammi d’Hereb e di Ionah gli servono ancora a stabilire la doppia via dell’Iniziazione totale.
Nella prima, il Neofita si fa Centro: egli edifica laboriosamente la sua individualità, la difende con grande senno contro l’assalto senza fine rinnovato dei mezzi distruttori, procede dal basso in alto, portando alla loro perfezione relativa il corpo fisico, poi il corpo astrale, poi l’intelletto. È quello che Guaita chiama Via attiva, che sbocca all’Estasi dello stesso nome, che si effettua per mezzo del corpo glorioso.
Stanislas de GUAITA
Il secondo procedimento è tutto inverso: il suo solo sforzo risiede nell’abbandono della volontà; attorno a questo movimento capitale si raggruppano tutti i lavori della cultura animica, le purificazioni, i dolori, i desideri d’amore, gli atti di carità. Molti dicono che è la via più difficile da seguire; i pericoli ci presentano soprattutto dall’inizio, nei risultati della forza; tanto che , nel primo, il nemico attende che si sia già forti perché l’orgoglio possa precipitarci nell’abisso più profondo.
Le preferenze del marchese de Guaita non andavano esclusivamente né a l’una né all’altra di queste vie, ma una terza consistente nell’uso alternativo dell’attivo e del passivo. Qui troveranno la loro spiegazione, i misteri dell’Aum e quelli di Ieschouah; ma noi imiteremo su questi punti la riserva prudente di colui di cui noi studiamo l’opera con rispetto, e, dopo questa rapida e troppo incompleto colpo d’occhio sulla sua dottrina, noi andiamo a provare di fare una conclusione che sia un insegnamento per il nostro spirito e che dia un nuovo slancio al nostro cuore.
Nella sua essenza, la Dottrina esoterica è immutabile, poich’essa esprime la Gnosi totale e che questa qui non è che l’immagine di Dio nell’intelligenza umana. Ma essa si manifesta diversamente nel corso dei secoli, e la storia dei suoi aspetti non è altro che la metà superiore, il lato reale, della storia dello spirito umano di cui la storia della scienza esoterica è l’immagine riflessa.
Non saremo dunque affatto stupiti di vedere un occultismo materialista, un occultismo ateo, un occultismo naturalista o panteistico o puramente idealista, o puramente filosofico; sono delle facce della pietra cubica che bisogna studiare con lo stesso senno, fino a che la pietra possa essere aperta. La legge generale di queste variazioni è scritta da molte centinaia di secoli negli geroglifici zodiacali, e, senza pretendere spiegarne qui gli sviluppi, lo studio di una completa piccola porzione della storia ci convincerà presto della sua esattezza.
Si conosce con quale intensità, verso la fine del XVIII secolo , si sviluppa in tutta l’Europa il gusto dell’occultismo e le sue manifestazioni sperimentali. Magia, necromanzia, evocazioni, alchimia, tutte le arti occulte furono messe al contributo per il più grande malore della gran parte degli adepti; furono la Germania e il Nord Europa che fornirono il più grande contingente dei tutti questi prestigi.
Dopo questa effervescenza astrale, bisognava ci fosse una ripresa sintetica nell’intendimento che permise di classificare tutti questi elementi disparati, messi in opera per una moltitudine, e destinati ad essere centralizzati in un solo cervello. Questo movimento parallelo a quello della Rivoluzione francese nell’ordine sociale, sboccò con Fabre d’Olivet come l’altro sboccò con Napoleone. Questo pensatore geniale, questo metafisico straordinario, potè riunire la più completa enciclopedia dell’occultismo intellettuale che l’Occidente abbia mai visto apparire. La Cina, l’India, l’Egitto, la Caldea, il Tibet, ,la Scandinavia, la Celtide, aprirono a questi veggenti i loro segreti nascosti nelle profondità della Luce segreta che permisero di rappresentarli nel mondo sotto il giorno di una filosofia pitagorica,coronamento necessario di tutti gli studi scolastici.
Ciononostante l’aspetto umano delle arti occulte rappresentate per il suo rudimento, il magnetismo animale, continua ad occupare qualche pioniere; l’Invisibile preparava segretamente, per una atmosfera più elettrica che la nostra , una manifestazione della sua potenza complementare della precedente, cioè chiedendo piuttosto della passività; lo spiritismo popolare andò a turbinare l’America, in Inghilterra e in Francia.
Allora, l’Angelo della Gnosi segreta che aveva dato già agli sforzi dei filosofi un canone per l’opera di Fabre d’Olivet, suscita per il governo dei temerari avventurieri dell’Astrale, il magista Eliphas Lèvi. Il carattere di questo maestro, è la scienza pratica del Grande Agente magico, è la divinazione delle sue correnti, sui suoi flussi e riflussi, è il maneggio delle due polarizzazioni della Luce, è infine l’esaltazione della volontà o l’iniziazione dell’anima fino ai misteri dell’Androginia.
Questo lungo preambolo ci conduce a questa doppia constatazione: che dal lato della corrente filosofica rappresentata da Fabre d’Olivet, l’equilibrio del candidato all’iniziazione è rotto a detrimento della pratica, come lo dimostrano d’altronde gli atti personali del teosofo del Gange; e , dal lato della corrente intuitiva, artistica, se lo si può dire, rappresentata, sotto una terminologia ebraica da Eliphas Lèvi, l’equilibrio è ugualmente distrutto a detrimento della scienza intellettuale; bisogna, dunque, sempre nella stessa scuola teorica, un nuovo ierofante che sappia conciliare l’esclusivismo dei due maestri sopracitati, equilibrare la filosofia con la biologia, e la metafisica con l’alchimia; bisognava un cervello formato alle rigorose deduzioni delle scienze esatte e un’anima di poeta vibrante a tutti i ritmi della bellezza; bisognava, infine, per il fine speciale dell’insegnamento dell’Alta scienza, una erudizione di filosofo enciclopedico, una volontà fissata sempre sulle forme abbaglianti del Verbo supremo, una intelligenza perfettamente equilibrata e capace di afferrare l’unità in tutte queste diversità.
Tale fu Stanislas de Guaita, tale fu il maestro che noi rimpiangiamo tutti, colui di cui le nobili frasi furono guida dei miei primi studi, l’amico infine che io rimpiango, con cui le ore dei vecchi studi si svolgevano così rapide attraverso gli incunaboli e i vecchi in-quarto dalle sontuose rilegature!..
O piuttosto no, fermiamo il nostro dolore, tutti voi, fratelli, a chi mi indirizzo e che comunicate sotto lo stesso segno augusto e me, che, io lo sento, esprime la vostra ardente convinzione; all’esempio di questi popoli dei paesi lontani dove si è conservata la fede dei culti ancestrali,non gemiamo la perdita di un essere caro, gioiamo della sua gloriosa ascensione, rivestiamo gli abiti bianchi delle anime che planano sulle onde di Shamaim , eleviamo nelle nostre mani entusiaste le bende purpuree degli ierofanti e la bacchetta reale dell’adepto; uno di noi viene a ricevere la Corona, egli è nato alla vita beata.
Che il Santo Nome del Padre ne sia benedetto per sempre.
[1] Nel testo è “omnivers” cioè onni-verso e non, precisamente, universo.