“Parlare di Cristo significa tacere; tacere di Cristo significa parlare (…) la dottrina intorno a Cristo comincia nel silenzio. Taci, raccogliti, è l’Assoluto (Kierkegaard)”. Con queste parole il teologo Don Luciano Scaccaglia esprime in modo efficace, nel suo saggio “Gesù Cristo, liberatore” (1), il sentimento con cui ci si dovrebbe porre intorno alla figura di Gesù Cristo, su cui è stato detto di tutto.
Nel corso della storia recente la figura di Cristo non fu messa in discussione, a parte i cosiddetti movimenti eretici, finché a partire dal XVIII-XIX sec. gli storici e gli studiosi di scienze bibliche cominciarono ad applicare il metodo della critica storica delle fonti bibliche per giungere ad uno studio attendibile della storia delle scritture ebraiche e dei Vangeli.
A partire dall’epoca moderna la critica esegetica sottopose la figura di Gesù Cristo a tutti i metodi di indagine che tali scienze permettevano, in modo tale da giungere ad una definizione razionale della sua figura. E qui le scienze coinvolte nell’operazione cominciarono a divergere, ovviamente, dalla dottrina e dai dogmi di fede che le Chiese cristiane predicavano da duemila anni.
Per la Chiesa (partendo dal pensiero di San Paolo) Gesù è il figlio di Dio, incarnazione del Verbo, manifestatosi in un preciso momento storico per la salvezza dell’Umanità; predicò il Regno di Dio, morì in croce e risorse secondo le Scritture. Il suo mistero è legato alla sua manifestazione trinitaria. Abbiamo tre “persone” in un unico essere che si è manifestato effettivamente nella carne, pur essendo Dio. La Chiesa attende il suo ritorno nel giorno del Giudizio universale, in cui avrà termine la storia dell’Umanità. Agli uomini di fede non occorre sapere altro (a parte gli approfondimenti dottrinali che la Chiesa comunque incoraggia per avvicinarsi sempre di più al mistero di Dio).
I risultati a cui giunsero i teologi in epoca moderna si possono, invece, sintetizzare nei due argomenti principali che hanno rappresentato una sorta di ossessione per la teologia moderna:
- da un lato abbiamo il tentativo di fornire una ricostruzione della figura storica di Gesù, partendo dalle fonti di cui si dispone (i Vangeli e altre fonti scritte del I secolo). In tal caso si parla di Gesù storico, personaggio realmente esistito, di cui la comunità cristiana predicò l’esistenza e il suo Vangelo.
- dall’altro lato c’è la negazione dell’esistenza storica di Gesù, oppure una rinuncia ad indagare in tal senso, perché le fonti non sarebbero sufficientemente attendibili per ricostruire la sua figura storica. In tal caso si parla della figura di Gesù come il Cristo predicato dalla Chiesa (si veda per esempio il pensiero del grande teologo R. Bultmann (1884-1976).
Si può ben dire che quasi tutta la Cristologia moderna ruoti attorno a questo tentativo di conciliazione tra il Cristo storico e il Cristo predicato dalla Chiesa, cercando di ottenere una continuità tra le due figure in modo tale da ridurla ad una sola figura realmente esistita. Detto questo occorre addentrarci in questo mistero, partendo dal presupposto che le fonti di cui disponiamo sono date innanzitutto dagli scritti evangelici (i quattro vangeli canonici) realizzati in una fase compresa, secondo gli studiosi, tra il 50 e il 100 d.C (l’ultimo sarebbe quello di Giovanni, il primo, forse, quello di Marco). A questi scritti si aggiunge la tradizione apostolica che inserisce, accostandosi agli scritti ispirati, alcuni importanti particolari che non sono mai stati disattesi o negati dalla Chiesa.
Tutti e quattro i Vangeli, con alcune differenze e sfumature, che sono state oggetto di indagine da parte della critica storica e spiegate con alcune necessità legate al messaggio teologico che il singolo scritto voleva trasmettere, mettono in luce le fasi salienti della vita di Gesù, della sua predicazione e della sua Passione.
Nel momento in cui Gesù cominciò a manifestare la sua missione divina, così come ben delineato dai racconti evangelici (addirittura Giovanni il Battista ne annuncia l’avvento e quando è di fronte a lui afferma “Ecco l’agnello di Dio”), egli divenne oggetto di disputa e di odio da parte di svariati gruppi di persone che gravitavano intorno a lui.
I testi evangelici, a più riprese, mettono in luce il fatto che Gesù fosse oggetto di attacchi personali da parte dei gruppi ortodossi ebraici, tra i quali i Vangeli annoverano i Farisei e i Sadducei. In particolare i Farisei vengono accusati da Gesù di essere portatori di una religiosità “formale” in cui non c’è più spazio per la comunanza effettiva con il Padre celeste. Invano egli cerca di spiegare che non è venuto per abolire la Legge e i Profeti, ma a completarli (quindi Gesù, secondo i Vangeli, completa il significato delle Scritture, dando loro il compimento finale).
I Farisei, a loro volta, lo attaccavano affermando che egli insegnava nelle sinagoghe senza averne l’autorità e accusandolo anche di praticare la magia (“…è con l’aiuto dei demoni che egli scaccia i demoni…”).
Gesù decide così che, per compiere fino in fondo la propria missione, avrebbe dovuto avere un gruppo di persone intorno a sé, a cui affidare il compito di diffondere il suo Vangelo quando egli non fosse stato più fra gli uomini; proclama allora un primo gruppo di dodici apostoli, cui farà seguito la nomina di 72 discepoli (per alcuni vi è una discordanza di opinioni circa il numero effettivo di discepoli di Gesù; alcuni parlano di 70, altri di 72). Questi seguono il maestro passo per passo condividendo i momenti finali della sua vita nel breve volgere dei due, o forse di un solo anno, in cui si svolgono gli avvenimenti raccontati dai Vangeli.
Gesù comincia un viaggio attraverso la Palestina raggiungendo diverse città e sulla sua strada incontra poveri, derelitti, persone gravemente malate; applicando i suoi poteri concessi dal Padre guarisce i lebbrosi, ridona la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, resuscita i morti, proclama l’avvento del Regno di Dio, insegna ai poveri e ai semplici l’amore del Padre attraverso brevi racconti in forma allegorica, destando grande stupore tra le folle che cominciano ad avvertire che egli è davvero una persona speciale, mandato da Dio per la salvezza di noi tutti. Le autorità religiose ebraiche avvertono tutto questo come uno scandalo e un pericolo, forse pensando che essendo seguito dal popolo, Gesù avrebbe potuto davvero proclamarsi Re dei Giudei e aspirare alla guida della nazione ebraica, sia come Capo spirituale che come guida politica (il Messia inteso come Re e Supremo Sacerdote).
L’odio degli esponenti del Sinedrio (il supremo tribunale ebraico composto da 71 membri e presieduto dal Sommo Sacerdote), degli Scribi, dei Farisei, crebbe a tal punto che questi decisero di ordire una cospirazione ai danni di Gesù allo scopo di ucciderlo. In questo i cospiratori vengono aiutati da uno degli apostoli, Giuda Iscariota, che collaborando con il Sinedrio indica, in cambio di 30 monete d’argento, il luogo in cui Gesù si sarebbe trovato la sera del giovedì prima di Pasqua, per celebrare la cena pasquale con i discepoli.
Nel frattempo Gesù, che già preannuncia la sua Passione agli apostoli increduli, celebra la Pasqua riunendo per l’ultima volta i discepoli per la cena pasquale. Qui egli divide il pane e beve il vino, insegnando ai discepoli il rito liturgico con cui verrà ricordato nella Messa il suo sacrificio. Terminata la cena, mentre Giuda si allontana per chiamare i soldati, si ritira nell’orto del Getsemani dove inizia a pregare e qui avverte, mentre i discepoli si addormentano, l’angoscia della morte che lo sfiora. Giunge all’improvviso una moltitudine di persone che viene per arrestarlo e per trascinarlo davanti al Sinedrio. Qui Gesù viene tradito e abbandonato da tutti i discepoli, avendo egli predetto che l’avrebbero rinnegato. Egli si lascia arrestare e, portato dinanzi al Sinedrio, viene accusato di bestemmia per essersi proclamato Figlio di Dio. La condanna è la morte; dopo essere stato flagellato dai soldati viene costretto a portare sulle sue spalle la croce di legno su cui viene crocifisso. La tradizione ricorda questo episodio con la pratica di pietà della Via Crucis, in cui attraversando 14 “stazioni” si ricordano altrettante fasi della sua Passione. Dopo essere stato crocifisso Gesù resta in agonia per poche ore e, secondo i Vangeli, nel primo pomeriggio del Venerdì santo spira, dopo aver gettato un ultimo grido.
Giuseppe d’Arimatea, membro del Sinedrio, che segretamente era divenuto discepolo di Gesù, chiede che gli venga restituito il corpo di Gesù per dargli degna sepoltura. Il corpo viene sepolto in una tomba davanti alla quale viene posta una enorme pietra circolare (di quelle che si usavano per le macine dei frantoi). La domenica successiva le donne, che erano al seguito di Gesù, si recano sulla sua tomba per compiere alcuni riti funerari e qui vengono avvertite da un angelo che Gesù è risorto e che comparirà agli apostoli.
Gesù si manifesta dopo la sua Resurrezione agli apostoli incaricandoli di compiere l’opera di evangelizzazione di tutta la terra, con la promessa del dono dello Spirito Santo e del suo ritorno nel giorno del Giudizio finale. Termina così la sua missione terrena e ascende al cielo per sedere alla destra del Padre.
Queste sono le fasi salienti della cronaca storica di cui i Vangeli ci parlano, riguardo la vita di Gesù.
A questo punto il compito dello studioso, togliendo di mezzo qualunque imbarazzo che la religione comporta, è quello di studiare il fenomeno che si trova davanti, di qualunque natura esso sia, cercando di comprendere le origini di questo fenomeno.
Nell’ambito della teologia cristiana, in rapporto alla figura di Cristo, uno degli studiosi che meglio, a mio modesto parere, ha saputo cogliere il fenomeno rappresentato da Gesù, è stato R. Bultmann, anche se le sue tesi sono state superate, ma superate poi da chi… visto che il pensiero di ogni uomo che dà un contributo alla cultura è sempre da accogliere.
Bultmann ha cercato di farci capire che i Vangeli raccontano un mito, ma che dietro a questo mito c’è un insegnamento autentico e universale da accogliere per la salvezza dell’Umanità. I Vangeli sono cioè caratterizzati da elementi mitici che vanno analizzati, estrapolati ed eliminati, per cogliere l’autentico insegnamento del Cristianesimo e il messaggio evangelico ad esso connesso.
A questo punto è necessario chiedersi di quali elementi mitici parlasse Bultmann. A quale mito fa riferimento questo grande studioso?
Provo a sforzarmi e a guardarmi intorno in cerca di una soluzione a questo genere di enigma e mi sembra di scorgere un’ipotetica soluzione in quello che è il più diffuso dei miti antichi, per universalità e profondità di insegnamento, che ha dato origine a scuole di pensiero misteriosofiche e per il quale grandi scrittori come Plutarco di Cheronea hanno scritto pagine memorabili: il mito di Osiride.
Lo scrittore greco Plutarco, che visse nel I secolo d.C. e che viene ricordato anche per aver scritto molte biografie di personaggi importanti dell’epoca, viaggiò molto per il mondo, visitando anche l’Egitto e conoscendo le culture e le tradizioni religiose di molti popoli. Essendo entrato in contatto con gli addetti e i sacerdoti dei templi egiziani, fu evidentemente colpito da tale mito raccontato nella lontana terra d’Egitto e decise di raccoglierne la versione più comune, in modo tale da realizzarne un’analisi che gli studiosi moderni definiscono di stampo neoplatonico.
Nello scritto di Plutarco spicca la tendenza a effettuare comparazioni con la religione misterica dell’antica Grecia, nonché un confronto sulle corrispondenze tra il pantheon eliopolitano e quello greco.
Per quanto riguarda le origini del mito di Osiride, che viene considerato dagli studiosi come un antichissimo mito naturalistico tramandato nel tempo, possiamo dire che esso si perde nella notte dei tempi. Occorre considerare che i Testi delle Piramidi, che tramandano delle formule e delle invocazioni al dio dell’oltretomba e a suo figlio, incisi sulle pareti della piramide di Unas, risalgono intorno al 2300 a.C. (ciò significa che quando Plutarco scrisse il suo trattato tale mito era antico almeno di 2300 anni). Il mito racconta, in una prospettiva cosmologica, che il dio Geb e la dea Nut diedero alla luce Iside, Osiride, Nephtys e Seth (detto Tifone da Plutarco).
Osiride e Iside si amavano e divennero la prima coppia di sovrani semidivini che governò, in un tempo lontanissimo, la terra d’Egitto.
Secondo Plutarco, Osiride era un benefattore dell’Umanità; liberò il suo popolo dall’ignoranza, insegnò alla sua gente l’agricoltura, divenne legislatore e insegnò ad onorare gli dei. Egli era odiato dal fratello-cognato Seth e il suo odio crebbe a tal punto che Seth, durante l’assenza di Osiride, che era in viaggio, ordì una cospirazione insieme a 72 membri della sua corte, allo scopo di ucciderlo. Seth organizzò un fastoso banchetto in onore del Re, mettendo in palio come premio un bellissimo sarcofago che sarebbe stato donato alla persona il cui corpo si fosse adattato perfettamente alle misure dell’oggetto (Seth, astutamente, aveva preso di nascosto le misure di Osiride).
Quando il Re tornò dal viaggio ebbe luogo il banchetto in suo onore e quando venne il momento di regalare il premio, i convitati, ad uno ad uno, si calarono dentro il sarcofago per verificare se fossero stati loro i fortunati a cui andava il premio; quando venne il turno di Osiride egli si stese dentro il sarcofago e subito tutti i cospiratori si avventarono su di lui chiudendo il coperchio della cassa e gettando la cassa nel fiume Nilo scagliandola verso il mare attraverso la bocca Tanitica.
Plutarco sostiene che tali avvenimenti accaddero il 17 del mese di Athyr (un venerdì, da cui sarebbe derivata la tradizione nefasta del venerdì 17). La dea Iside, allora, disperata, iniziò la ricerca del suo amato, nella speranza di trovarlo ancora vivo e dopo diverse vicissitudini riuscì a trovare la bara di Osiride e a nasconderla in un luogo appartato.
Ma il feroce Tifone (Seth) trovò la bara durante una battuta di caccia notturna, la aprì e squarciò il corpo di Osiride in 14 pezzi che sparse tutt’intorno. La dea allora, saputolo, si mise ancora alla ricerca del corpo del suo amato e riuscì a trovare i suoi pezzi, tranne il membro virile di cui modellò una figura. Qui il mito racconta che la dea praticando i suoi poteri magici fece risorgere il corpo di Osiride, il quale, successivamente, giungeva dall’Ade (il mondo ultraterreno) per esercitare il figlio Horus (Horo) che doveva vendicarlo. Dopo un furibondo duello con lo zio Seth il concilio degli dei stabilì che la successione spettasse ad Horus che divenne il sovrano e legittimo successore del padre Osiride.
Il dio Osiride subì quindi un processo di resurrezione astrale trasfigurandosi nella costellazione di Orione, per la quale gli antichi egizi abbinavano l’immagine della costellazione ad Osiride e Horus e la stella Sirio (Sothis) alla dea Iside.
La tradizione egiziana vuole che il dio Osiride divenisse dio dell’oltretomba e fosse protagonista di un giudizio finale sulla vita di ogni essere umano, prima di entrare nell’aldilà, attraverso la “pesatura dell’anima” nella sala del giudizio.
Questo è, secondo Plutarco, ciò che gli antichi egizi reputavano come beato e incorruttibile, ed è degno della più alta considerazione perché il mito non è altro che il riflesso di una verità superiore, che la mente umana stenta a comprendere, perché ne ha una visione distorta.
La prima sensazione che si prova dalla lettura del saggio plutarcheo è quella di trovarci di fronte a qualcosa di molto familiare, che ha sempre fatto parte di noi ma a cui non abbiamo mai rivolto il nostro sguardo. Tuttavia, il lettore attento si chiederà che cosa ha a che fare tutto questo con Gesù; cerchiamo di capirlo.
L’unico strumento di cui disponiamo è quello dell’analisi comparata del mito, che ci permette di estrapolare gli elementi comuni ai due racconti che abbiamo visto più sopra, quello dei Vangeli canonici e quello plutarcheo del mito di Osiride.
Che cosa abbiamo individuato dalla lettura dei due racconti? Quali sono gli elementi comuni che si possono riscontrare?
Cominciamo col dire che è possibile individuare una serie di elementi narrativi comuni. Infatti si può notare che:
- Entrambi erano odiati ferocemente da persone o gruppi di persone con cui erano stati in rapporti.
- Sia nella tradizione cristiana che in quella egizia esiste la trinità: nel mito di Osiride abbiamo una triade composta da Osiride, da Iside e dal figlio Horus, mentre nel Cristianesimo abbiamo tre persone in una sola che procedono nel seguente modo: il Padre, il Figlio (che è consustanziale al Padre), il quale figlio opera per mezzo dello Spirito Santo.
- Interessante inoltre notare l’accostamento tra la triade egizia e quella cristiana della Sacra Famiglia (Giuseppe, Maria e Gesù). A dir il vero il concetto di trinità è presente anche nella tradizione induista, attraverso le tre figure divine che reggono il Cosmo: Brahma, Shiva e Vishnu.
- Entrambi caddero vittima di una cospirazione ordita da 72 persone (almeno questo è l’elemento che spicca dall’analisi). Infatti Osiride fu tradito dai 72 commensali ispirati da Seth, Gesù invece fu vittima della cospirazione del Sinedrio (71 membri) a cui si aggiunse Giuda. Non solo, ma Gesù nel momento della cattura fu abbandonato da tutti e 72 i discepoli.
- Entrambi caddero vittime della cospirazione dopo aver partecipato ad una cena o banchetto: la cena pasquale di Gesù, il banchetto in onore di Osiride.
- Entrambi morirono in modo violento: Gesù flagellato e posto sulla croce, Osiride ucciso e fatto a pezzi da Seth.
- Entrambi morirono, secondo la tradizione, di venerdì.
- In entrambi i racconti e nella tradizione è presente il numero 14. Gesù attraversa 14 stazioni lungo la Via Crucis, Osiride viene ucciso e il suo corpo straziato in 14 pezzi. Nel caso di Gesù, nel Vangelo di Matteo è possibile riscontrare la presenza del numero 14 nella genealogia del popolo ebraico che permette di giungere a Gesù (si tratterebbe di un espediente per dimostrare la sua discendenza davidica, riscontrabile dalla somma del valore numerico delle lettere dell’alfabeto ebraico daleph, vau e daleph, cioè DVD la cui somma è pari a 14).
- Entrambi risorsero dalla morte.
- Entrambi saranno protagonisti, secondo le rispettive tradizioni, di un giudizio finale sugli uomini. Osiride attraverso la “pesatura dell’anima” nella sala del giudizio, Gesù con il suo secondo ritorno nel giorno del Giudizio universale.
È difficile, davvero difficile, a mio modesto parere, capire cosa abbiamo davanti ai nostri occhi. Che cos’è tutto questo?
Sicuramente non è uno scherzo della storia, perché gli elementi narrativi dei vangeli e del mito di Osiride sono sotto gli occhi di tutti e non possono essere facilmente alterati o modificati. Perché vi sono tutti questi elementi comuni alle due tradizioni?
E qui, al di là delle opinioni del singolo studioso, bisogna cercare di trovare una spiegazione oggettiva per tutto questo.
Generalmente gli studiosi impiegano, per spiegare delle similarità tra diversi miti sacri antichi, un termine che permette di fornire una ragione per tali analogie: si parla del fenomeno del sincretismo religioso. Questo fenomeno, che avrebbe radici antiche, consisterebbe nella tendenza, da parte di popoli diversi, ad armonizzare e a compenetrare elementi mitici provenienti da altre tradizioni sacre nelle proprie (esigenza che deriverebbe dagli scambi culturali e dall’evoluzione della vita culturale di un popolo); a volte viene impiegato anche per sottolineare il tentativo di armonizzare dottrine apparentemente inconciliabili tra di loro.
Secondo gli studiosi questo fenomeno avrebbe sicuramente avuto un forte impulso nell’età ellenistica, dal III sec. a.C. in avanti, quando l’espansione politico-militare della civiltà macedone permise la diffusione della cultura e della religione misterica greca, i cui elementi si sarebbero fusi con quelli della religione persiana, con i miti dell’area sumero-babilonese e con quelli egiziani. La conseguenza ovvia di tale fenomeno sarebbe stata quella del passaggio di elementi mitici da una tradizione all’altra.
Gli studiosi parlano anche di “temi vaganti” per indicare la presenza di temi mitici che verrebbero esportati e riadattati a diversi contesti culturali e sociali, divenendo elementi fondanti di una nuova religione o mito sacro.
Mi chiedo: è possibile invocare solo il sincretismo per spiegare queste strane e numerose analogie tra i Vangeli e la tradizione cristiana, da un lato, e la tradizione egizia dall’altro? O se, piuttosto, sia possibile tentare di fornire un altro genere di spiegazione.
La sensazione che si prova di fronte a queste numerose analogie è piuttosto quella di un tentativo di trasmissione dell’impianto stesso del mito da una tradizione all’altra. Sotto questo aspetto poco importa (tra virgolette si intende…) che Gesù sia morto in croce, perché ciò che importa è che gli elementi narrativi della vita e Passione di Gesù siano uguali a quelli di Osiride.
Se Gesù fosse un personaggio realmente esistito, egli avrebbe vissuto una vicenda esattamente uguale a quella del dio Osiride, ritagliandola su se stesso. Per alcuni può essere una questione di sfumature, ma a mio parere non vi possono essere sfumature sul Figlio di Dio.
La conclusione, parziale, come parziale è questa analisi, è che gli elementi che hanno dato origine ai Vangeli e alla tradizione cristiana provengano dalla tradizione egizia.
Se è ovvio che il Cristianesimo è nato in seno al giudaismo, e ne condivide gli insegnamenti e le dottrine dalla matrice comune dell’Antico Testamento ebraico, è pur vero che Gesù appare come un soggetto estraneo all’ortodossia ebraica del suo tempo, per cui egli, pur rifacendosi agli insegnamenti della legge mosaica, finisce con lo scardinare il sistema di insegnamenti appartenenti a tale contesto culturale e propugna delle dottrine che provengono da altre realtà culturali che non siano quella ebraica (vi sono brani del Vangelo in cui si racconta dei dialoghi di Gesù con i Sadducei che negavano la resurrezione dei corpi).
L’origine del cristianesimo va ricercata proprio nell’enigma rappresentato da queste analogie messe in luce tra le fonti della mitologia cristiana e i miti più antichi, di cui quello di Osiride è il più rappresentativo. Sotto questo aspetto anche teologi illuminati come Hans Kung hanno messo in luce l’influsso di determinate mitologie antiche sul cristianesimo (egli ci fa riflettere sulle analogie esistenti tra il parto verginale di Maria e quello della principessa madre del Faraone che diveniva gravida per intervento miracoloso del dio Ammon-Ra); influsso, quindi, che non si può escludere a priori.
Se noi ragioniamo in questa nuova prospettiva, che deve essere notevolmente approfondita, allora ci rendiamo conto di come vengano meno, almeno in linea di principio, tutte quelle questioni scottanti che hanno tenuto banco negli anni ’50 e ’60 relative alle scoperte dei manoscritti di Qumran, dove si parlava di alcuni frammenti in cui è trattata la morte e la deposizione dalla croce di un inviato del Signore (Maestro di Giustizia), scritti circa un secolo prima di Cristo, e in cui sarebbe stato trovato un frammento in cui sarebbe stato visibile un passo dei Vangeli canonici molto tempo prima della loro redazione, avvenuta nel I secolo.
Questioni che dipendono più dalla malafede degli uomini, anche di quelli che dovrebbero coprire ruoli importanti, come studiosi che fanno parte di commissioni di studio che cercano più il proprio tornaconto personale che l’effettivo risultato della ricerca, piuttosto che da effettive motivazioni legate alle scoperte oggetto di studio.
Di fronte alla prospettiva di un’interpretazione delle origini del Cristianesimo nella matrice culturale della tradizione esoterica egiziana vengono meno tutte quelle ipotesi che fanno ricadere il Cristianesimo nell’area di riferimento di Qumran, perché semmai occorre capire da dove provenga Qumran e i movimenti monastici di stampo esoterico.
Inoltre possiamo sbizzarrirci e dire tutto quello che vogliamo su Gesù; che non morì in croce, che all’età di 30 anni sposò la Maddalena, che ebbe dei figli, che aveva delle mire politiche, che viaggiò per il mondo recandosi, nei 17 anni della sua vita nascosta, nel Kashmir, fino a raggiungere il Tibet, dove la sua presenza sarebbe stata vergata dai papiri dei monaci buddisti. Tutto questo non cambia la prospettiva originaria da cui dobbiamo partire; che è quella dei Vangeli canonici. Attenzione! Dico i Vangeli canonici, non quelli apocrifi e gnostici che vanno in tutt’altra direzione. È nei Vangeli canonici che noi troviamo quelle analogie di cui abbiamo parlato con il mito di Osiride.
Questo è l’elemento determinante, perché se è vero che la Chiesa vinse la sua guerra contro le eresie e contro la gnosi (almeno apparentemente) è pur vero che se la Chiesa avesse voluto eliminare le tracce delle origini egizie del Cristianesimo avrebbe dovuto eliminare i Vangeli Canonici, che ne sono la prova determinante.
A mio modesto parere gli studiosi di tutte le epoche sottovalutano notevolmente questo argomento e non hanno mai affrontato seriamente la questione. Gli studiosi contemporanei sono troppo impegnati a seguire le nuove mode sincretistiche per cui occorre a tutti i costi inviare Gesù nell’estremo oriente, quando il Vangelo afferma che per salvarsi dalla strage degli innocenti si rifugiò sotto l’ala protettrice della terra d’Egitto. Non esistono elementi nei Vangeli che siano casuali. Tutto quello che viene detto negli scritti neotestamentari è un indizio che ci aiuta a capire da che parte rivolgere il nostro sguardo per capire le nostre radici.
Gli elementi che sono stati oggetto di questa breve analisi sono sotto gli occhi di tutti. Spetta a noi saperli cogliere per arrivare a capire quella verità enigmatica che ancora ci sfugge e che è legata a questo insondabile mistero che ci avvolge da tempi immemorabili.
Note:
1. Ed. Parrocchia di S. Maria Cristina di Parma, 1999