Esonet

    Thule. Il sole ritrovato degli Iperborei

    Thule. Il sole ritrovato degli IperboreiTHULE. IL SOLE RITROVATO DEGLI IPERBOREI

    Autore: Jean Mabire

    Editore: Lindau – L’Età dell’Acquario

    Collana: Uomini, storia e misteri

    Pagine: 366

    Traduzione dal francese: Gianluca Perrini

    Anno: 2007

    ISBN: 88-7136-249-6

    Prezzo (di copertina): 24,00 Euro – Acquista questo libro

     

    “Se gli uomini desiderano ritrovare un giorno il mondo degli iperborei e divenire simili agli dèi, è verso Nord che devono spiegare le loro vele e agitare i loro remi. Laddove il Settentrione e l’Occidente si incontrano, il sole non tramonta.”

    Partire per Thule non significa soltanto navigare verso l’isola misteriosa che gli antichi avevano consacrato terra dell’origine e della saggezza, ma anche scoprire, al di là del mondo conosciuto, il segreto stesso della vita. Navigare verso Nord vuol dire ritrovare il segno primitivo del Sole e la fede dei nostri più lontani antenati, gli iperborei.

    “Ho lavorato sufficientemente a lungo a questo libro per scoprire quale potere magico sia contenuto in queste due sillabe fuori del comune: Thule. Pronunciandole davanti a un fuoco che arde nel camino gli occhi si riempiono di sogni che risalgono dalle profondità del tempo. Cinquemila anni di eroiche peregrinazioni sono racchiuse in un breve istante. Improvvisamente, tutto ridiventa possibile. Gli iperborei rivivono in mezzo a noi. Il progetto di questo mio libro provocava una tale sorpresa e suscitava tali speranze da farmene continuamente rimandare la scrittura. Mai nella vita avevo sentito una simile vertigine davanti alla pagina bianca. Quali parole avrebbero potuto descrivere la mia avventura? Piuttosto che imbrattar carta, ho per lungo tempo preferito vagabondare per terra e per mare, seguendo il volo dei gabbiani e delle aquile. Per cercare la risposta mi sono spinto fino all’isola sacra degli uomini del Nord, Helgoland, e mi sono inoltrato nelle nebbie di Monaco. Successivamente, mi sono recato nella città che è stata il punto di partenza dello scopritore di Thule. È proprio nella patria di Pitea, sotto il sole estivo che brucia le pietre bianche, che voglio terminare questa storia.

    Mentre mi accingevo a seguire le tracce del Massaliota verso la misteriosa Thule, credevo di imbarcarmi in una crociera della durata di alcuni mesi. Pensavo che si trattasse di un viaggio di piacere e che fosse sufficiente seguire le carte nautiche affidandomi a ben visibili mede. Non avrei nemmeno dovuto attraversare il Mar Baltico: sarebbe stato sufficiente dirigere la prua verso l’Islanda, dove credevo di scoprire il segreto delle rune nel duello cosmico del ghiaccio e del fuoco.

    Non sapevo che la mia peregrinazione sarebbe andata avanti per lunghi anni. Spesso toccavo terra, giusto il tempo di scrivere un altro libro. Poi mi rimettevo il sacco in spalla e mi imbarcavo nuovamente; riprendevo il viaggio, ma mi perdevo in banchi di nebbia, non potevo oltrepassare quel muro grigio, opaco, impenetrabile, dove cielo e terra si confondevano in un unico elemento impalpabile e glaciale, che mi sbarrava la via e difendeva per sempre i misteri di Thule.

    La mia crociera si trasformava in esplorazione e la mia ricerca diventava un incubo. Più il simbolo assumeva contorni chiari e più la realtà si annullava tra le mie dita, come schiuma che sprizza, biancheggia e muore o come neve sul mare. Come potevo trasformare in ambra, fulva e dura, quelle certezze, quei ricordi, quelle immagini?

    Non sapevo nemmeno più come dovessi condurre questa caccia incessante a Thule, non dissimile dalla ricerca degli antichi bretoni che inseguivano il Graal. Anch’io ero partito con l’intento di scrivere la saga del Sangue. Tuttavia, a poco a poco, la verità si trasformava in leggenda, pur continuando ad affermare la propria evidenza. Potevo scrivere un racconto rigoroso dal punto di vista storico o un canto lirico nel quale il mito ancestrale degli iperborei si sarebbe rivelato invincibile.

    Ogni volta, reprimevo la preoccupazione di convincere e il desiderio di stupire. Non mi restava che seguire una sola, stretta via, sulle orme di Pitea: il diario di bordo.

    Così, questo libro è il racconto della mia navigazione e della mia scoperta: in essa, come il lettore vedrà, anche il caso ha fatto la sua parte. Contro la forza delle tempeste, delle maree e delle correnti, non c’era che la parola Thule a farmi da guida; essa ha brillato durante tutto il lungo viaggio, come una stella polare amica. Ma il vento soffiava dove voleva il destino, obbligandomi ad armarmi di buona volontà e tenacia.

    “La Terra del Nord”, confine del mondo e scopo della vita Dunque, in fin dei conti, come punto di partenza non avevo altro che una parola sola: Thule. I dizionari non mi davano molte informazioni e, all’inizio della mia ricerca, non trovavo nemmeno un’etimologia che potesse soddisfarmi. Sull’argomento sono stati scritti molti articoli; alcuni eruditi tedeschi hanno pensato a un’origine germanica, senza tuttavia essere in grado di fornire una spiegazione soddisfacente. Bisognava volgere lo sguardo agli elleni? Si è pensato a parole greche come tholos, nebbia, o al prefisso tele-, indicante lontananza. Anche in questo caso, però, non riuscivo a convincermi. Mi mancava quello slancio istintivo che costituisce forse la prova definitiva della verità scientifica. Il cuore non basta per spiegare tutto, specialmente nel campo dell’etimologia. Ma non c’è Storia senza passione.

    Si può immaginare con quale gioia io abbia infine scoperto ciò che presentivo leggendo L’Or de l’Islande di Samivel. Questo viaggiatore pieno di meraviglia ci propone un’etimologia celtica: thual, che vuol dire “terra del Nord”. Io l’ho adottata senza esitare, poiché confermava in pieno tutte le mie intuizioni e tutte le mie speranze: Thule è dunque il Nord, quel Nord dal quale proviene ogni luce. Il fatto che la parola fosse di origine celtica mi faceva ancor più piacere, perché provava la stretta parentela di tutti gli iperborei dal tempo della grande dispersione (1).

    La sostanziale unità del nostro mondo europeo non aveva mai smesso di farmi da guida nelle mie ricerche e avrebbe trovato presto conferma e risalto in una lunga inchiesta condotta con una sincerità, una minuzia e un entusiasmo di cui vorrei fare partecipi i lettori. Ben presto ho finito per abbandonare ogni riferimento cronologico. Rinunciando al tempo, giungevo ad abolirlo del tutto. Contava soltanto conservare i meccanismi della logica e del caso, che vanno d’accordo più spesso di quanto non credessi quando mi sono messo in viaggio.

    Thule non è solamente l’isola misteriosa scoperta da Pitea di Marsiglia. Essa è anche il simbolo di tutta la realtà scomparsa dell’antica Iperborea che ne custodisce la forza tellurica. Mi sono a lungo attardato sulle banchine, senza sapere in quale momento della storia mi sarei imbarcato portando il lettore con me in questa esplorazione. Essendo per passione uno storico assai più che un esoterista, ritenevo che la miglior cosa da fare fosse attenersi ai fatti sicuri.

    Sarebbe dunque stata la spedizione stessa del navigatore a permettermi di giungere alle rive brumose del Nord. Mi sarebbe bastato seguire le tracce.

    Grazie al viaggiatore massaliota diventava possibile afferrare la realtà fisica di Thule. Il salto indietro nel tempo non mi dava ancora le vertigini. La mia storia cominciava circa 330 anni prima di Cristo. Il mare possedeva già lo stesso colore caldo, un blu che diviene quasi viola al morso del sole. Vicino alle rive rocciose, quando non si sente il leggero brusio secco del maestrale si può distinguere il fondo, con le conchiglie e le alghe. Nulla era cambiato. Sollevavo lo sguardo e d’un tratto vedevo spuntare, come dallo scenario di un film, le case bianche di Marsiglia. Circondata da colline e da pinete, la città brulicava di febbrile animazione. Sembrava che il mare aspirasse tutti quei greci; davanti alle botteghe dei mercanti c’erano soprattutto marinai, gente che non aveva ancora gettato l’ancora.

    Nel IV secolo a.C., la potenza di Marsiglia si estendeva da Monaco a Peniscola in Catalogna, unendo così, attraverso una fascia costiera larga meno di due chilometri, la Liguria alla Spagna, tagliando fuori da un accesso diretto al mar Mediterraneo i celti, che vivevano a nord dei domini massalioti.

    Volevo sentire il nome di Thule, più familiare ai greci di quanto credessi, proprio sulle banchine del grande porto ellenico. Nessuno, nel mondo antico, dubitava dell’esistenza di quell’isola, tanto più presente nei sogni quanto più sembra inaccessibile. Tra tutte le terre iperboree, l’ultima Thule possiede un fascino incantatore che appartiene all’ignoto. È alla fine del mondo, ma è anche il fine della vita.

    Il primo grande storico greco conosciuto, Erodoto, menziona già Thule, in termini molto strani: “Si tratta di un’isola di ghiaccio, situata nel grande Nord, dove un tempo vissero uomini trasparenti”.

    Ciò che le biblioteche hanno potuto salvare dal maremoto cristiano ci informa abbastanza bene sul viaggio di Pitea, ma permangono ancora vaste zone d’ombra. Le incertezze hanno avuto se non altro il merito di ravvivare un dibattito dagli effetti senz’altro corroboranti: il mistero non fiacca l’uomo, lo esalta

    Sui porticcioli di Marsiglia nel 330 prima di Cristo Quando ho cominciato a scrivere questo libro, non sapevo sulla realtà di Thule molto più di quanto si può leggere nelle storie delle esplorazioni marittime – che soltanto i terrestri trovano monotone, mentre sono i racconti che più affascinano gli uomini attratti dall’oceano. Chi non conosce la gioia di vedere a poco a poco svelati sopra le onde i contorni di una terra incognita, mentre si infrange la linea retta dell’orizzonte, nel punto dove il cielo divora il mare, ebbene, costui rischia di non capire nulla del mio libro.

    L’avventura del mondo iperboreo appartiene al vento, alle brume e alle tempeste così come appartiene al sole. Il Nord è luce, ma è anche freddo e ghiaccio. Il mare è ancora la nostra vera patria, che non conosce più confini e cede alla nostra forza e alla nostra paura. Infatti, il viaggio di Pitea è pur sempre una vittoria della volontà sul freddo, sul terrore e sull’oscurità.

    Conoscevo la ragione “ufficiale” del periplo intrapreso verso il 330 a.C. dal celebre massaliota: egli era incaricato di trovare una via diretta per portare in patria lo stagno della Cornovaglia e l’ambra del Baltico. Coloro che all’epoca governavano la città ritenevano che l’interminabile e rischioso trasporto via terra attraverso l’Europa celtica fosse troppo oneroso per il commercio. Marsiglia era rosa dalla corsa al guadagno: la grande città conservava l’ambizione di regolare un giorno i conti con Cartagine, sua rivale.

    Ma lo spirito mercantile non bastava a spiegarmi tutto. Gli arconti a capo del governo aristocratico della città si domandavano se non esistesse, in direzione del mare aperto e del Nord, qualche continente misterioso, il cui controllo potesse dar loro il potere materiale e spirituale. L’ambizione degli elleni di Marsiglia era smisurata. In questa città era presente una sete di avventure e di potere che distingueva i colonizzatori greci dagli iberi e dai liguri che vivevano sulle rive europee del Mediterraneo. Esisteva una confusa nostalgia della grandezza dorica, un sogno trasmesso unicamente dalla tradizione di una terra misteriosa e sacra, nella quale era forse nato il popolo da cui aveva avuto origine il loro. Gli iperborei erano considerati assai più come antenati che come contemporanei. Per i massalioti, scoprire il loro paese equivaleva a ritrovare le proprie radici mitiche.

    Arconti, commercianti e armatori sognavano tutti di esplorare un mare aperto.

    L’ambra e lo stagno giustificavano il viaggio assai meno del desiderio di riannodare il legame, interrotto dalla notte dei tempi, del quale tuttavia parlavano ancora gli elleni quando accennavano a lontane terre nordiche da cui erano partiti i loro antenati conquistatori. Vedendo rivivere gli abitanti di Marsiglia in quell’epoca di splendore, cominciavo a rendermi conto che l’Oriente non era da essi percepito come la culla della loro razza, ma, al contrario, come il suo nemico. La rivalità secolare che li opponeva ai cartaginesi attualizzava lo scontro di due mondi in opposizione. Grazie a Pitea e ai suoi compatrioti, potevo già capire che nell’antichità, due millenni e mezzo fa, nel periodo tra la decadenza di Atene e il dominio di Roma, ciò che noi oggi chiamiamo Nord e Sud delimitavano i confini di una stessa avventura umana. Cavalieri dori e marinai massalioti diventavano dunque per me i discendenti meridionali degli iperborei. La Costa Azzurra era ancora una Costa di Bronzo. Nella mia inchiesta appassionante, nulla più separava Creta da un’altra isola sacra: Helgoland. Gli scavi archeologici mostrano una parentela, naturalmente non comprese da coloro che si ostinano a negare la realtà ancestrale di Thule.

    Venne poi Alessandro, che riannodò il legame solare che un tempo aveva unito le montagne della Macedonia alla valle dell’Indo. Il grande conquistatore tentò di ricongiungere Fratelli dispersi. Per quanto tempo la nostalgia di quell’epopea sarebbe rimasta in tutto il mondo ellenico! A sua volta, Marsiglia voleva fornire il significativo contributo della sua grandezza marinara alla riscoperta alessandrina dei legami di sangue e fede. Ormai, bisognava partire per l’Occidente. Al di là delle colonne d’Ercole, che separano il Mediterraneo dal mare aperto, si apriva la rotta verso il proprio sé.

    Per chi conosce l’origine comune dei popoli d’Europa, la navigazione di Pitea si iscrive nel grande ciclo dell’Eterno Ritorno. Malgrado i pericoli dell’oceano e dell’ignoto, il viaggio avrebbe rappresentato assai più una scoperta che un’esplorazione.

    Il personaggio di Pitea si rivelò allora in tutta la sua vera dimensione: era un astronomo, un matematico, un geografo, un letterato, un dotto e un marinaio in ugual misura. I timuchi, i mercanti che lo spingevano a partire alla ricerca dell’ambra e dello stagno, gli diedero infine l’occasione di verificare i suoi calcoli: egli, comunque, sapeva che gli offrivano soprattutto la possibilità di ritrovare le proprie radici.”

    La parola tula, in sanscrito, significa “bilancia”. Secondo René Guénon, nel suo Il re del mondo, questa bilancia, oltre al segno zodiacale, si riferisce a una costellazione polare: l’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore sono state assimilate a due piatti di una bilancia, ed è effettivamente sul polo che poggia l’equilibrio del mondo. Ritroviamo quindi il simbolo nordico primordiale.

    Il percorso che Jean Mabire racconta in queste pagine non è un semplice viaggio, ma una vera e propria ricerca, profonda e personale, di Thule e delle nostre origini. Accompagnando Pitea di Marsiglia verso un paese che, per lui, non può che essere l’Islanda, l’autore tenta di risolvere il grande mistero del nostro mondo: l’Atlantide. Senza esitare, egli situa il continente scomparso nel luogo dove sorge un’altra isola sacra, Helgoland; e sempre seguendo le orme di Pitea, che diventa il suo fidato timoniere, ripercorre le tappe salienti della nostra civiltà, i momenti cruciali della nostra storia, e descrive l’evoluzione della coscienza religiosa occidentale, che ci ha progressivamente allontanato dai nostri antenati nordici.

    Ma l’universo di Atlantide e di Iperborea non è sparito in seguito a qualche cataclisma cosmico. Lo spirito di Thule continua a vivere nei segreti degli ordini cavallereschi o dei gruppi iniziatici, il più misterioso dei quali è senza dubbio la famosa Società Thule, che svolse un ruolo di grande importanza nella vicenda della rivoluzione di Monaco del 1919, e che raccolse attorno a sé un gruppo eterogeneo di individui, tra cui Hitler e altri futuri gerarchi nazisti. C’è anzi chi sostiene che il nazismo nasca da lì. Ma è vero il contrario: fu proprio il nazismo a perpetrare ai danni di Thule l’ultimo tradimento.

    Jean Mabire ne rivela qui i segreti, ricostruendo i caratteri essenziali del paganesimo nordico e rievocando l’aspra lotta tra il Martello di Thor e la Croce di Cristo.

    Jean Mabire (1927-2006) è stato un importante storico e giornalista politico appartenente all’estrema destra francese.

    INDICE

    PARTE PRIMA. IL SOLE D’AMBRA

    • Verso la misteriosa terra del Nord
    • L’isola del sole e della vita
    • Dal mito di Thule al mistero di Atlantide La ricerca di una tradizione primordiale Helgoland, importante luogo sacro atlantidico I visitatori dell’alba Il mondo del coraggio e dell’onore Il prodigioso tempio del sole nordico

    PARTE SECONDA. IL SOLE DI FERRO

    • Thule rinasce a Monaco
    • L’albergo Quattro stagioni
    • La conclusione dell’anno 1918
    • Lo straordinario passato del barone
    • Gli uomini di un’organizzazione tentacolare Preludio alla guerra civile Nascita del Freikorps “Oberland”
    • L’assassinio di sette ostaggi
    • Primavera di vendetta
    • Tre strani personaggi
    • Adolf Hitler rompe con Thule

    PARTE TERZA. IL SOLE DI FUOCO

    • Indispensabile ritorno all’anno zero
    • Trionfo della croce di Cristo sul martello di Thor
    • La sopravvivenza segreta di Thule
    • I normanni ritornano alle origini
    • Con Richard Wagner Thule rinasce
    • Rinascita della religione iperborea
    • La fondazione dell’Ordine dei germani
    • Nell’attesa del ritorno del sole
    • Nota dell’autore

    Lascia un commento

    Traduci la pagina

    Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

    Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

    Chiudi