RENÈ GUÈNON (1886 – 1951)
René Guénon
(di Martin Lings)
Per quel che riguarda la prima parte della vita di René Guénon la nostra conoscenza è assai limitata a motivo della sua estrema reticenza. La sua oggettività, che è un aspetto della sua grandezza, gli fece comprendere i mali del soggettivismo e dell’individualismo nel mondo moderno, e lo portò forse toppo lontano nella direzione opposta; nel modo più assoluto, evitava di parlare di se stesso. Dal giorno della sua morte libri e libri sono stati scritti su di lui e gli autori, senza meno, si sono trovati spesso in condizioni estremamente frustranti nel non riuscire a scoprire granché, e gli errori che si trovano in quei libri ne danno testimonianza.
Quel che sappiamo sicuramente è che nacque a Blois in Francia nel 1886, che era figlio d’un architetto ebbe un’educazione cattolica e che a scuola eccelleva in filosofia e Matematica. Tuttavia all’età di 21 anni era già a Parigi nel mondo dell’occultismo, che era in pieno fermento a quell’epoca, intorno agli anni 1906/8. Tuttavia i pericoli di quel mondo furono forse attenuati per lui dal fatto che egli era aperto a prospettive più ampie. Pare che proprio in questo periodo, a Parigi, venne a contatto con alcuni induisti di scuola Advaita Vedanta, uno dei quali lo iniziò alla loro particolare linea spirituale Shivaita. Non abbiamo dettagli riguardo al luogo e al periodo preciso e sembra che egli non abbia mai fatto menzione con alcuna persona di induisti né sembra che agli abbia avuto ulteriori contatti con loro per alcuni anni a seguire. Tuttavia quel che imparò da loro emerge dai suoi libri e il suo incontro risultò quindi chiaramente provvidenziale. Il suo contatto con essi deve essere stato estremamente intenso nel periodo che durò. I suoi libri sono proprio quel che era ed è necessario come antidoto alla crisi del mondo moderno.
All’età di 30 anni, la sua intelligenza fenomenale gli aveva dato la possibilità di capire perfettamente quel che non andava nell’Occidente moderno, e quella stessa intelligenza gli aveva peraltro permesso di prenderne le dovute distanze. Io stesso ricordo quel mondo, nel primo decennio successivo alla Grande Guerra, in cui e per cui Guénon scriveva i suoi primi libri, un mondo mostruoso, reso impenetrabile dall’euforia: la Prima Guerra Mondiale era stata la guerra per finire la guerra. Ora non ci sarebbe stata più alcuna guerra; inoltre la scienza aveva dimostrato che l’uomo discendeva dalla scimmia, cioè si era evoluto dallo stato di scimmia, ed ora tale progresso sarebbe continuato senza che nulla potesse impedirlo; ogni cosa sarebbe andata migliorando sempre di più. Ero a scuola in quel periodo e, ricordo, mi insegnavano tutte queste cose, mentre un’ora a settimana, durante la lezione di religione, veniva affermato il contrario. Tuttavia la religione nel mondo moderno era stata già da tempo accantonata, e da un cantuccio protestava contro tale euforia, tuttavia invano.
Oggi la situazione è notevolmente peggiorata e considerevolmente migliorata. È peggiorata perché gli esseri umani sono ulteriormente degradati; se mi è consentito dirlo, si vedono più brutte facce di quando era negli anni 20, quantomeno per quella che è la mia personale impressione. È migliorata perché quell’euforia è andata a scomparire; L’edificio del mondo moderno sta cadendo a pezzi, le enormi crepe si notano ovunque, e attraverso di esse si riesce a capire assai meglio di prima la gravità della situazione. Tuttavia è assai peggiore poiché la Chiesa, preoccupata di non figurare al passo coi tempi, ha ceduto alla modernità.
Ma per ritornare al mondo degli anni 20, ricordo che un politico proclamava, come pochi avrebbero il coraggio di farlo oggi, che “Siamo dinnanzi alla gloriosa alba del mondo”. E allo stesso tempo, Guénon scriveva di questo meraviglioso mondo: “È come se un organismo con la testa mozzata continuasse a vivere una vita intensa e disordinata” (da Oriente e Occidente pubblicato per la prima volta nel 1924).
Sembra che Guénon non abbia avuto ulteriori contatti con quegli induisti, i quali senza meno erano tornati in India. Nel frattempo era stato iniziato in un ordine Sufi che sarebbe diventato la sua dimora spirituale per il resto della vita. Tra i mali che vedeva attorno a lui era assai preoccupato del generale pregiudizio anti-religioso che era particolarmente vivo tra la cosiddetta intellighenzia francese. Era certo che alcune di queste persone fossero non di meno virtualmente intelligenti e sarebbero state in grado di rispondere alla verità se solo fosse stata posta innanzi a loro. Il pregiudizio antireligioso sorse poiché i rappresentanti della religione erano gradualmente diventati sempre meno intelligenti e sempre più votati a considerazioni sentimentali. Soprattutto nella Chiesa Cattolica, dove la divisione della comunità in clero e laicato è stata sempre accentuata, una figura laica doveva comunque far riferimento alla chiesa, e non spettava a lui preoccuparsi di questioni spirituali. I laici dotati d’intelligenza avrebbero fatto domande a sacerdoti, i quali non sarebbero stati in grado di rispondere e alla fine si sarebbe alimentata l’idea che intelligenza e orgoglio dovessero essere necessariamente in stretta relazione. Quindi non è difficile capire come proprio tale pregiudizio ebbe a svilupparsi soprattutto in Francia.
Allora Guénon si pose la domanda: dal momento che la gente ha rifiutato il Cristianesimo, sarà in grado di accettare la verità se espressa nei termini islamici del Sufismo? Dedusse che non vi sarebbe riuscita, e avrebbe affermato che si trattava sempre della solita religione. Tuttavia l’Induismo, la più antica delle religioni esistenti, è in superficie assai diversa dal Cristianesimo come anche dall’Islam, e quindi decise di mettere il mondo occidentale di fronte alla verità utilizzando come piattaforma di base l’Induismo. A tal fine scrisse la sua generale Introduzione allo studio delle dottrine indù. Il saggio fu pubblicato in francese nel 1921, per essere seguito nel 1925 da quella che forse è la maggiore di tutte le opere di Guénon: L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta.
Non avrebbe potuto scegliere migliore modalità per il suo messaggio di verità all’Occidente poiché 1’Induismo ha una immediatezza che risulta dal fatto di essere stato rivelato all’uomo in un’epoca remota in cui non c’era ancora necessità di fare distinzione tra esoterico ed essoterico, e tale immediatezza sta a significare che la verità non doveva essere velata. Già nell’antichità classica, i Misteri, ovvero l’esoterismo, erano per pochi. Nell’Induismo tuttavia erano la norma e le più alte verità potevano essere pronunciate in modo diretto. Non v’era alcuna preoccupazione di “Non gettare le perle ai porci” e di non “Offrire ai cani cose sante.” Le religioni sorelle all’Induismo, ad esempio le religioni della Grecia e di Roma, si erano da tempo estinte. Tuttavia grazie al sistema delle caste, coi Bramini a salvaguardia della religione, abbiamo oggi un Induismo che è ancora vivo e che fino al presente secolo ha prodotto fior fiore di santità.
Uno dei punti da menzionare in primo luogo è la questione della distinzione che è stata fatta a livello divino – e che viene fatta in tutti gli esoterismi ma che non può essere fatta essotericamente, cioè nelle religioni così come sono offerte alle masse oggi – tra l’Assoluto e gli inizi quindi della relatività. L’Assoluto che è Uno, Infinito, Eterno, Immutabile, Indeterminato, Incondizionato è rappresentato nell’Induismo dal monosillabo sacro Aum, e viene denominato Atma, che significa Sé, e Brahma che è una parola neutra e serve ad enfatizzare che sta al di là di una qualsiasi dualità di maschio e femmina. Inoltre viene anche chiamato Tat (Ciò), proprio come nel Sufismo, l’Assoluto viene talvolta definito Huwa (Egli). E poi, abbiamo quel che corrisponde in altre religioni al dio personale Ishvara, che già rappresenta l’inizio della relatività. Poiché ha a che fare con la manifestazione, il termine Ishvara (che gli induisti utilizzano per esprimere il Creatore, e la creazione è chiaramente l’inizio di una dualità: Creatore e creato), si trova a livello divino ma, tuttavia, è già l’inizio della relatività.
In ogni esoterismo si trova la medesima dottrina. Meister Eckhart venne a trovarsi in difficoltà con la Chiesa, poiché insisteva a fare la distinzione tra Dio e Divinità — Gott und Gottheit. Usava il secondo termine per l’Assoluto, ovvero per l’Assoluto assoluto, ed usava Dio per l’Assoluto relativo. Avrebbe potuto usare anche la terminologia al contrario, comunque sentiva la necessità di evidenziare una differenza. Nel Sufismo si parla di Essenza Divina e di Nomi Essenziali di Dio come l’Uno, la Verità, il Santissimo, il Vivente, e il Bene Infinito, al Rahman, che contiene le radici di tutta la bontà e che è anche un nome dell’Essenza Divina. Al di sotto ci sono i nomi delle qualità, come il Creatore, il Misericordioso, nel senso di uno che ha Misericordia di altri, e anche qui siamo chiaramente all’inizio della dualità. In ogni esoterismo tale distinzione viene fatta persino a livello della Divinità. Ma al di sotto dell’esoterismo, non può esistere, poiché produrrebbe l’idea di due divinità; e una divisione della Divinità risulterebbe assai pericolosa nelle mani della massa dei credenti. L’Unità Divina deve essere mantenuta ad ogni costo.
Ora Guénon, in questo libro, traccia con grande chiarezza la gerarchia dell’universo a partire dall’Assoluto, attraverso il Dio personale, sino ad arrivare al logos creato, che è buddhi, cioè la parola che significa intelletto e che ha tre aspetti: Brahma (questa volta il termine è di genere maschile), Vishnu e Shiva. Strettamente parlando, nella gerarchia degli universi questi devas (parola che a livello linguistico corrisponde al termine latino deus) hanno un grado di ciò che potremmo definire arcangeli. L’Induismo è tuttavia così sottile che sebbene essi siano creati possono essere invocati come Nomi dell’Assoluto poiché discendono dall’Assoluto e ritornano all’Assoluto. Possono essere invocati nel senso dell’Assoluto Brahma, nel senso di Atma, nel senso di Aum.
La dottrina Indù, come la Genesi, parla delle due acque. Il Corano parla dei due mari, le acque superiori e le acque inferiori. Le acque superiori rappresentano l’aspetto più elevato del mondo creato, cioè, del mondo manifestato, che corrisponde ai diversi cieli in cui vi sono differenti paradisi. Dal punto di vista di questo mondo, è tutto ciò che fa parte dell’aldilà. Le acque inferiori rappresentano il mondo del corpo e dell’anima, e tutto è manifestazione dell’Assoluto.
Ne L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta, Guénon, essendo risalito alla manifestazione dell’uomo ed avendo mostrato quale sia la natura dell’uomo in tutti i dettagli, procede quindi ad evidenziare come, secondo la dottrina Indù, l’uomo può ritornare alla sua fonte assoluta. Conclude il percorso con la suprema possibilità spirituale di unità con l’Assoluto, un’unità che è già in potenza. Un giovane bramino all’età di otto anni viene iniziato dal padre e le parole che gli vengono pronunciate all’orecchio: “Tu sei Ciò“, significano che egli è l’Assoluto, tat tvam asi. Ciò dimostra quanto siamo lontano dalla religione così come viene intesa nel mondo moderno. Tuttavia quella verità che viene chiamata nel sufismo il segreto, al-sirr, è necessariamente presente in tutti gli esoterismi al giorno d’oggi, altrimenti non meriterebbero il nome d’esoterismo.
Un altro aspetto dell’Induismo che l’ha reso un perfetto veicolo per il messaggio di Guénon è l’ampiezza della sua struttura. Nelle religioni più tarde è come se la Provvidenza avesse guidato il gregge dell’umanità in una valle sempre più stretta: l’apertura verso il cielo è sempre la stessa ma la prospettiva orizzontale è sempre più stretta poiché l’uomo non è più in grado di assimilare più di tanto. La dottrina Indù del samsara, cioè quella dell’infinita catena di innumerevoli mondi che sono stati manifestati, e di cui è fatto l’universo, porterebbe ad ogni sorta di distrazione. Non di meno, quando si parla di Assoluto, di Eterna Divinità, l’idea che quell’Infinità ha prodotto soltanto un singolo mondo nella sua manifestazione, non soddisfa l’intelligenza. La dottrina del samsàra riesce, d’altro canto, a soddisfarla, coi suoi innumerevoli mondi che sono stati manifestati.
Un altro punto a favore è che l’Induismo possiede un’enorme versatilità. Ciò dipende prima di tutto dalla Rivelazione Divina. I Veda e le Upanishad sono rivelate; la Bhagavad Gita viene generalmente considerata come rivelata ma non il Mahabharata nella sua interezza, l’ispirata epopea a cui appartiene la Gita. Nell’Induismo tale distinzione tra rivelazione, sruti, e ispirazione smriti, è resa in maniera assai chiara, come lo è anche nel Giudaismo e nell’Islam: il Pentateuco, i primi cinque libri dell’Antico Testamento, furono rivelati a Mosè, i Salmi a David, il Corano a Muhammad. Ciò è qualcosa che di norma i Cristiani non capiscono. Hanno difficoltà a comprendere, ad esempio nel Vecchio Testamento, la differenza tra il Pentateuco e i Libri dei Re e delle Cronache, che sono semplicemente storia sacra, senza meno ispirata, ma non di certo rivelata. Per i Cristiani la Rivelazione è Gesù Cristo, il Verbo fatto carne; il concetto del ‘Verbo fatto libro’, che è una rivelazione parallela, non entra nella loro prospettiva.
Inoltre l’Induismo ha gli avatara, e questo il Cristiano dovrebbe riuscire ben ad intenderlo, cioè le manifestazioni, le discese, della Divinità. Naturalmente un Cristiano non riconoscerà le discese degli avatàra indù poiché per il Cristiano medio c’è stata soltanto una discesa, quella di Cristo in Persona; tuttavia l’Induismo riconosce la discesa come possibilità inesauribile, e parla di dieci avatàra che hanno aiutato a conservare il vigore della religione sino ai nostri giorni. Il nono avatàra, che viene chiamato l‘avatàra straniero, è proprio il Buddha, dal momento che, sebbene apparve in India, non fu per gli Indiani, ma comunque per il mondo orientale. L’ampio respiro dell’Induismo si può notare anche nella sua prefigurazione dell’essoterismo, che è il riconoscimento delle Tre Vie. Si tratta di Vie sicure che riconducono a Dio: le tre margas – la via della conoscenza, la via dell’amore, e la via dell’azione – tre vie che corrispondono alle inclinazioni e alle affinità di differenti esseri umani.
Un altro punto che rende i termini dell’Induismo assai adatti ad offrire il messaggio agli Europei è che, quali Ariani, hanno un’affinità con l’Induismo poiché sono radicati nelle religioni dell’Antichità Classica che sono religioni sorelle all’Induismo; la loro struttura è stata chiaramente la stessa di quella Indù. Naturalmente, esse sono degenerate nella più completa decadenza e ad oggi sono scomparse. Tuttavia la nostra eredità sta in esse, e si potrebbe dire che Guénon ci dia la possibilità di una misteriosa rinascita in senso puramente positivo, attraverso il suo messaggio della verità espressa in termini Induisti. Tale affinità non va tuttavia esagerata, tanto che Guénon non raccomandò mai a nessuno che non fosse un indiano di diventare Induista.
Il suo messaggio è sempre stato di stretta ortodossia rispetto ad un essoterismo, ma allo stesso tempo nell’eguale riconoscimento di tutte le altre ortodossie. Ma il suo scopo non era affatto accademico. Il suo motto era vincit omina Veritas, la Verità conquista ogni cosa, tuttavia implicitamente il suo motto era “Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. Nei suoi scritti è implicita la certezza che essi risulteranno provvidenziali per coloro che sono qualificati a ricevere il suo messaggio, e imporrà di cercare e quindi trovare la via.
Guénon era consapevole di avere una funzione e conosceva ciò che era parte di tale funzione e ciò che n’era estraneo. Sapeva che non era la sua funzione quella di avere discepoli; infatti non ne ebbe alcuno. La sua funzione era d’insegnare a preparare una via che le persone avrebbero trovato per conto proprio, e tale preparazione consisteva nel sopperire a quelle lacune prodotte dall’istruzione moderna. La prima di queste lacune è il non essere riusciti a capire il significato del trascendente e di conseguenza il significato del termine intelletto, una parola che continua sempre ad essere usata, ma l’intelletto nel senso tradizionale della parola, che corrisponde al termine sanscrito buddhi, era andato semplicemente dimenticato nel mondo Occidentale. Guénon insisteva nei suoi scritti ad offrire a tale parola il suo vero significato, ovvero quello di percezione delle realtà trascendenti, di una facoltà che può percepire le cose dell’altro mondo e i cui prolungamenti nell’anima sono ciò che potrebbero essere chiamate intuizioni intellettuali che sono i preliminari bagliori che precedono l’intellezione vera e propria.
Si ha l’impressione che Guénon in persona debba aver avuto un’illuminazione intellettuale in età abbastanza giovane. Deve aver percepito direttamente le verità spirituali con l’intelletto nel vero senso della parola. Egli colma le lacune spiegando il significato dei i riti, il significato dei simboli, la gerarchia dei mondi. Nell’istruzione moderna l’altro mondo rimane del tutto fuori mentre nel Medio Evo agli studenti venivano insegnate le gerarchie delle facoltà, e in modo corrispondente la gerarchia dell’universo.
Ma ora, per un momento piuttosto, mi sento di parlare a livello personale, e credo che ciò non sarà privo d’interesse. Quando lessi i libri di Guénon nei primi anni trenta era come se fossi stato colpito da un fulmine ed avessi capito che la verità era quella. Precedentemente non avevo mai visto la verità messa nero su bianco come in quel messaggio di Guénon: che c’erano molte religioni e che dovevano essere tutte trattate con lo stesso rispetto; religioni diverse perché rivolte a popoli diversi. Tutto era più chiaro e allo stesso tempo era per la gloria di Dio anche perché una persona intelligente, istruita da ciò che ci veniva insegnato a scuola non poteva che chiedersi inevitabilmente: va bene, ma per quel che riguarda il resto del mondo? Perché le cose stavano così? Perché prima di tutto la verità è stata data soltanto agli Ebrei, solo ad un unico popolo? E poi al Cristianesimo fu chiesto di diffonderla nel mondo, e perché così tardi? E nelle epoche precedenti, come stavano le cose? A queste domande non era mai stata data risposta, ma quando lessi Guénon sapevo che quel che diceva era la verità e sapevo che era necessario che io facessi qualcosa al riguardo.
Scrissi a Guénon. Tradussi in lingua inglese uno dei suoi primi libri, Oriente e Occidente, e rimasi in corrispondenza con lui. Nel 1930 Guénon lasciò Parigi, dopo la morte della prima moglie, e si diresse al Cairo, dove visse per venti anni sino alla sua morte nel 1951. Una delle mie prime idee riguardo alla lettura dei libri di Guénon, fu di spedire copie al mio più grande amico che era stato mio compagno di studi ad Oxford, poiché sapevo che avrebbe avuto sicuramente la mia stessa reazione. Tornò infatti in Occidente ed intraprese la stessa via che avevo già trovato, una via del tipo indicato da Guénon nei suoi libri. In cerca di lavoro, ottenne un dottorato all’Università del Cairo, e quindi gli inviai il numero della casella postale di Guénon. Guénon era estremamente riservato e non avrebbe dato il suo effettivo indirizzo a nessuno; voleva come scomparire. Aveva nemici in Francia e sospettava che essi volessero attaccarlo con strumenti di magia nera. Non ne sono certo, ma so che Guénon era assai preoccupato di essere oggetto di attacchi da parte di alcune persone e desiderava quindi rimanere nell’anonimato, per immergersi nel mondo egiziano dove si trovava, il mondo dell’Islam. Quindi il mio amico dovette attendere lungamente prima che Guénon acconsentisse d’incontrarlo. Tuttavia quando finalmente avvenne l’incontro, Guénon s’affezionò immediatamente a lui, e gli disse che avrebbe potuto sempre venire a trovarlo a casa sua, ogni qual volta lo desiderava.
Nell’estate del 1939 andai a visitare il mio amico al Cairo e quando fui lì, scoppiò la guerra. In quel periodo, avevo un dottorato in Lituania, ed essendo impossibile tornare là, fui costretto a rimanere in Egitto. Il mio amico, che era entrato in intimità con la famiglia di Guénon, raccogliendo i contatti postali dalla casella postale e facendo per lui tante altre cose, mi fece incontrare Guénon. Un anno dopo ero a cavallo nel deserto, col mio amico, quando una reazione improvvisa del suo cavallo lo portò a cadere accidentalmente di sella e a morire. Non potrò mai dimenticare quando dovetti andare a riferire a Guénon della sua morte. Quando glielo dissi, restò a piangere per almeno un’ora. Non ebbi altra scelta che prendere il posto del mio amico. Mi era già stato accordato libero accesso alla sua casa, e assai presto divenni come un membro della famiglia. Naturalmente ciò fu per me motivo di grande privilegio. La moglie di Guénon non sapeva leggere e parlava soltanto arabo. Imparai rapidamente l’arabo e fui quindi in grado di parlare anche con lei. Il loro era un matrimonio davvero felice. Erano sposati da sette anni senza figli e Guénon, che stava diventando piuttosto vecchio – aveva molti più anni di lei – non aveva avute figli con la sua prima moglie, quindi fu una sorpresa quando venne della. figliolanza: in tutto quattro figli. Andavo a trovare Guénon quasi ogni giorno. Fui la prima persona a leggere Il regno della quantità, l’unico libro che scrisse durante la mia conoscenza, dal momento che gli altri
libri erano tutti stati scritti precedentemente. Mi diede capitolo per capitolo. Per conto mio fui in grado di dargli il primo libro che scrissi, The book of Certainly, che gli consegnai anch’ io capitolo per capitolo.
È stato un grande privilegio aver conosciuto una simile persona. Durante questo periodo era stata risolta una questione piuttosto importante Gli induisti coi quali Guénon era entrato in contatto a Parigi, gli avevano dato un’idea sbagliata del Buddismo, peraltro un’idea non strettamente induista. L’Induismo riconosce il Budda come nono avatàra di Vishnu ma alcuni indù ritengono che egli non fosse un avatàra, che fosse soltanto uno kshatriya ribelle, cioè un membro della casta regale contrario ai Bramini, ed era proprio quest’ultima la prospettiva recepita da Guénon. Di conseguenza, aveva scritto sul Buddismo come se non si trattasse di una delle grandi religioni del mondo. Cosicché Ananda Coomaraswami, Frithjof Shuon e Marco Pallis decisero assieme di affrontare la questione con Guénon. Egli si dimostrò assai disponibile ad essere persuaso e nel 1946 accompagnai Marco Pallis dinnanzi a lui col risultato che Guénon ammise di essersi sbagliato e che l’errore doveva essere rettificato sui suoi libri. Marco Pallis non tardò a spedirgli la segnalazione di molte delle pagine che richiedevano correzione.
Guénon non usciva quasi mai, tranne quando veniva a visitarci. Mandavo un’automobile a prenderlo e lui veniva con tutta la famiglia a casa nostra almeno due volte all’anno. Vivevamo a quell’epoca proprio accanto alle piramidi appena fuori del Cairo. Uscii con lui soltanto una volta, quando ci recammo a visitare la moschea di Sayyidna Husayn vicino ad Al-Azhar. La sua presenza era nobile; era impressionante vedere il modo rispettoso con cui veniva trattato. Non appena entrò nella moschea si poté avvertire la gente che da entrambi i lati diceva “Allàhumma salli ‘ala Sayyidna Muhammad“, che vuol dire “Che Dio inondi di benedizioni il Profeta Muhammad”, che è un modo di esprimere grande riverenza per qualcuno. Egli aveva una presenza luminosa e i suoi splendidi occhi, una delle sue caratteristiche che colpivano maggiormente, conservarono la loro luce sino a tarda età.
Sullo stesso validissimo livello del suo libro sul Vedanta v’è il suo studio sui simboli, intitolato Simboli Fondamentali della Scienza Sacra, che fu pubblicato dopo la sua morte, dagli articoli che erano stati scritti sui simboli nella sua rivista Études Traditionnelles. Era meraviglioso leggere questi articoli quando mese per mese venivano pubblicati, e questo libro ci riporta indietro quasi al periodo preistorico come fa L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta, tuttavia in senso più ampio. Naturalmente ogni cosa è un simbolo, non potrebbe esistere nulla che non fosse un simbolo, ma i simboli fondamentali sono quelli che esprimono eloquentemente aspetti della Verità Suprema e della Via Suprema. Ad esempio, uno di questi aspetti sia della Via che della Verità è ciò che viene chiamato “l’asse del mondo”, l’asse che, dal centro di questo stato, passa attraverso gli stati superiori. Questo è il significato di quel che viene chiamato l’Albero della Vita. L’Albero della Vita viene simbolizzato da molti particolari alberi: la quercia, il frassino, il fico ed altri in tutto il mondo. L’asse è la Via stessa, la via di ritorno all’Assoluto. È stato anche simbolizzato da manufatti umani: la scala a pioli, l’albero maestro di una nave, armi come la lancia, ed il pilastro centrale degli edifici. Come ben sanno gli architetti, molti edifici vengono costruiti attorno ad un asse centrale che in realtà non c’è, non è materializzato. Assai spesso nelle case tradizionali il focolare è il centro della casa, e il camino attraverso cui sale il fumo è un’altra immagine dell’asse. Inoltre le cose che normalmente sono orizzontali sono simboli dell’asse: un ponte è anche un simbolo dell’asse del mondo. Lo testimonia il titolo di Pontifex, ovvero di costruttore del ponte, che viene dato alla più alta autorità spirituale della Chiesa — il ponte che collega Cielo e terra.
Un altro fondamentale simbolo è il fiume. Vi sono tre aspetti del fiume: l’attraversamento del fiume simbolizza sempre il passaggio da questo mondo ad un mondo superiore, ma poi c’è il fiume in sé. C’è la difficoltà di muoversi controcorrente che sta a significare le difficoltà del cammino spirituale, di ritornare alla propria fonte risalendo la corrente. C’è anche il simbolismo del muoversi nell’altra direzione che porta all’oceano, di ritornare finalmente all’oceano; cioè un altro simbolo della Via. In questo libro tra i molti altri simboli, Guénon tratta anche quello della montagna, della grotta, e del ciclo temporale. Nel ciclo temporale i solstizi d’estate e d’inverno, secondo l’Induismo, sono le porte degli dei. La porta degli dei è il solstizio d’inverno, nel segno del Capricorno; la porta degli antenati è il solstizio d’estate, nel segno del Cancro.
Come abbiamo detto, a Guénon non piaceva parlare di sé, ed io rispettai tale sua reticenza; non gli facevo domande, e credo che lui l’abbia apprezzato. Per riassumere quella che fu la sua funzione, si potrebbe dire che, in un mondo sempre più pieno d’eresia e di pseudo-religione, il suo compito fu quello di ricordare all’uomo del ventesimo secolo la necessità d’ortodossia che presuppone in primo luogo un intervento divino, e in secondo luogo una tradizione che trasmette con fedeltà di generazione in generazione quel che il Cielo ha rivelato. Riguardo a ciò, siamo profondamente indebitati a lui per aver restaurato nel mondo il termine “ortodosso” nel pieno rigore del suo significato originale, cioè rettitudine d’opinione, una rettitudine che obbliga l’uomo intelligente non solo a rigettare l’eresia, ma anche. a riconoscere la validità di tutte quelle fedi che si conformano a quei criteri su cui la propria fede dipende per la sua ortodossia.
Sulla base di tale universalità, che viene spesso definita religio perennis, la funzione di Guénon fu anche di ricordarci che le grandi religioni del mondo non sono soltanto i mezzi di salvezza dell’uomo, ma offrono, persino in questa vita, due possibilità esoteriche che corrispondono a quelli che erano conosciuti nell’Antichità Greco-Romana come mysteria parva e mysteria magna, i “Misteri Minori” e i “Misteri maggiori”. La prima delle due è la via di ritorno alla perfezione primordiale che andò persa nella caduta. La seconda, che presuppone la prima, è la via della gnosi, il completamento del precetto, “conosci te stesso”. Quest’ultimo fine viene definito nel Cristianesimo deificatio, nell’Induismo yoga, unione, e moksha, liberazione, nel Buddismo nirvana, cioè estinzione di ciò che è illusorio. Inoltre nel misticismo islamico, ovvero nel Sufismo, tahaqquq, che significa realizzazione, e che fu glossato da uno shaykh Sufi come auto-realizzazione in Dio. I Misteri, e soprattutto i Grandi Misteri, sono esplicitamente o implicitamente il tema principale degli scritti di Guénon, anche ne La Crisi del mondo moderno e ne Il regno della quantità. Le problematiche in questione vengono evidenziate sino al recente proliferare dalla perdita di dimensione misterica, cioè della dimensione dei misteri dell’esoterismo. Egli riconduce tutti i problemi del mondo moderno alla dimenticanza degli aspetti superiori della religione. Egli era ben consapevole d’essere un pioniere, e per concludere citerò qualcosa che scrisse riguardo a se stesso: “Tutto quel che faremo o diremo servirà a dare a coloro che verranno delle facilitazioni, che per noi non ci sono state. Qui, come altrove, si tratta dell’inizio d’un lavoro che è molto difficile.“
Tratto da: Gli esegeti della Tradizione, a cura di Edoardo Ciampi – Collana “Tradizione e traduzione”, edizioni Terre Sommerse
- René Guénon - 25/11/2017