E’ davvero curioso ed inquietante al tempo stesso osservare come, a volte, idee ed affermazioni senza alcuna base documentale, e talvolta nemmeno logica, possano essere veicolate nella nostra società ed a causa della velocità con cui girano “le informazioni” al giorno d’oggi finiscono col prendere corpo, consistenza, sino a diventare una sorta di dogmi, di cui magari non si conoscono neppure le cause, ma che vengono assorbite per il fatto stesso di essere condivise e reiterate da una non meglio definita collettività.
Accanto al fiorire delle note stranezze promulgate dalla New Age, che nulla di nuovo ha inventato, se non un metodo à la page pronto a banalizzare e rendere digeribili alle masse alcuni concetti chiave della Tradizione, è sorta da tempo una tendenza a coinvolgere in una sorta di turpiloquio mediatico, sul web ma anche altrove, duraturo ed incessante, anche la Massoneria.
In verità, se non si ha la memoria labile, quando mai, da che mondo è mondo, chi ha avuto o chi si è arrogato la facoltà di farlo, si è mai risparmiato di lanciare tutti i suoi strali verso di essa?
E una lunga riflessione potrebbe aiutare chi ha la buona volontà di farlo a capire il perché. Non voglio togliere il gusto della ricerca né quella del buon uso di quell’arnese adoperato troppo poco a vantaggio di altri più infimi che è il pensiero e quindi non lo dirò, anche perché è diverso lo scopo che mi propongo con questo mio modestissimo scritto.
Causa latet, vis est notissima. La causa si nasconde ma l’effetto è evidentissimo. L’effetto di chi calpesta idee, dottrine, simboli e parole che vengono inesorabilmente
snaturate dal loro significato primevo, è un effetto che si ripercuote come colpo di balestra a ferire, a straziare la carne e le membra di vite umane; sono strali che sconvolgono e mortificano, che portano a discriminazioni, a vessazioni sui luoghi di lavoro, a fobie, a odi e a pericolose derive persecutorie.
Mi riferisco alla compagine di affermazioni scriteriate che hanno innescato una identificazione della massoneria ma anche di termini “nobili” ed ancestrali quali “illuminazione” ed “illuminati” con oscure trame di potere, di controllo mondiale, di maleficio, di alieni rettiliani travestiti da massoni e scemenze varie che non mi dilungo ad elencare.
Si obietterà che proprio la paradossalità di simili affermazioni le può rendere credibili solo ad un pubblico di creduloni e sprovveduti. In realtà non è così semplice. E la machi natio – perché di tale cosa si tratta – è molto più complessa e da non sottovalutare. In realtà la manipolazione delle parole, il loro deturpamento semantico è un’operazione che ha sempre prodotto tristissimi ed imprevedibili risultati. Per questo la prima mossa di ogni regime totalitario (e quello che viviamo atto alla massificazione ed all’intorpidimento delle coscienze non è da meno di tutti gli altri) è proprio quella che inocula attraverso un certo uso delle parole, il suo veleno.
Le parole sono enti logici e non hanno colpe. Le colpe sono da attribuire all’uso distorto che ne hanno fatto gli uomini. Esiste un intero vocabolario dimidiato di termini che sono diventati tabù per questo cattivo uso, voluto e non casuale; parole che non vengono più usate perché collegate ad una serie di pregiudizi e di amari ricordi. Un giorno qualche scrittore coraggioso dovrebbe scrivere un libro usando tutta questa miriade di termini anche a costo di sembrare out o di essere colpito da ostracismo a vita.
Certo, un motivo c’è sempre quando qualcuno, armato solo della propria “anima magica” naviga verso un rotta mai battuta da altri, verso laghi di alghe o verso marine coste solatìe e scopre e capisce di non desiderare di pensare il pensiero degli altri, di non volere più parole per descrivere, ma solo parole per creare. Desidera che gli venga restituita la Parola creatrice e in quanto tale si rifiuta di accettarne il senso attribuito da sedimentazioni forse faziose, come si rifiuta una moneta fuori corso o un fondo di bottiglia scambiato per brillante. Rifiuta questa sorta di descrizione del mondo e non vi partecipa più. Si ravvede di aver perso il dono della Parola creatrice sacrificata per sempre alle poche divinità preposte ai molti noiosi offici della interminabile, minuziosa descrizione del mondo; non più la parola per fare ma solo quella per descrivere. Per descrivere questo polveroso cosmo come un esercito dimesso, che più diventa inutile e più ci convinciamo che ci aggradi e ci interessi.
La grandezza del creare contro la vana soggezione al descrivere. Solo questa può rappresentare il baluardo contro la deriva semantica di parole e simboli e significati e con loro, trascinati assieme, tradizioni e idee e valori.
Certo, un potere occulto tuttavia esiste.
Considerato il termine “occulto” nella sua accezione di “nascosto”. Ma chi lo cerca in una definita categoria di persone sta solo perdendo tempo.
Il potere occulto, da che mondo è mondo, è quello che soggioga il più debole al più forte, in diverse circostanze e sotto diverse forme. E’ quello che faceva ben dire ai latini: verum est non ius sed vis et ubi maior minor cessat, è vero che talora la forza prevale sul diritto e che laddove c’è il più forte il debole soccombe. Anche se poi il detto conclude emblematicamente : sed etiam nemo lacessat impune, ma è anche vero che nessuno mi ferisce impunemente; considerato che il silenzio è la migliore vendetta e il miglior perdono ma che rispondere agli attacchi, quando è d’uopo, è necessario.
E il più grande potere occulto che io conosca, in definitiva, è sempre quello delle tenebre dei pregiudizi e dell’ignoranza in senso lato. Dell’ignoranza che non scioglie i nodi della nostra materia, che non serve a svincolarci dai solidi e rocciosi nodi dell’oggi e del domani; una sequela indefinita di fortuite circostanze di cui siamo diventati ormai nel contempo oggetto e dileggio, il nostro essere qui, distaccato dalla sua identità, ridotto ad un frammento di senescenza cosmica.
La massoneria, come tutte le scholae iniziatiche, perché di questo e nient’altro si tratta, non ha interesse a controllare le masse (semmai questo può essere l’interesse precipuo di qualcun altro) perché non alle masse ma all’individuo si rivolge.
All’individuo come “persona”, non alla maschera sociale che ognuno di noi indossa più o meno nella vita di tutti i giorni.
Anche se originariamente le leggi fiorite in seno ad una comunità sociale, da quelle di Licurgo a quelle di Solone, alle XII Tavole dei mores maiorum che stanno alla nascita del diritto romano, miravano a strutturare l’individuo nel proprio contesto sociale, contesto rigido e ligio alle consuetudini, trasmesse per “traditio” da generazione a generazione, in realtà, nelle società tradizionali l’individuo rivestiva un ruolo che gli era consono per naturale disposizione e derivazione. La massificazione è invece un concetto moderno, contro-iniziatico, che tende allo svuotamento dell’individuo, al suo inserimento inerte in una società che non è basata sulle regole inveterate riposte negli arcani recessi dei pontefici (repositum in penetralis pontificum) ma auto forgiandosi in una continua e diuturna attività plastica e fagocitante, acefala, che tutto modifica, ingloba e trasforma. Più che mai, polverizza.
E’ una tendenza contro-iniziatica perché l’iniziato, in quanto tale, vi si oppone strenuamente, come uomo e come destino titanico della sua evoluzione.
Vi si oppone come uomo, perché il suo destino è l’e-mancipazione, che si distanzia notevolmente dal res mancipi , tanto per tornare al diritto romano, dell’uomo-schiavo che a tradurlo nel lessico moderno, è praticamente l’uomo comune che lavora, produce e consuma.
L’iniziato non usa le parole secondo il pre-giudizio dei retaggi sociali ad esse attributo, non le usa in questo modo perché è svincolato dalle strutture che ci sovrappongono dalla nascita, e prima di costruire sta ben attento a de-strutturare dacché nulla di proficuo viene se si costruisce su impalcature pregresse.
Se lo specchio è terso, l’immagine delle parole, delle idee è pura, non è contaminata da ciò che non deve contaminarla.
Tuttavia, oggi più che mai chi dà l’iniziazione ha la sua bella responsabilità nonché le sue possibili colpe. E la colpa che io vedo in essi è soprattutto quella di iniziare ed aver iniziato, talvolta, recipiendi che non sono all’altezza di essere iniziati.
L’iniziazione è un peso greve da sostenere.
La saggezza iniziatica non può essere appresa dai libri e nemmeno trasmessa se il “recipiente” non è in grado di contenerla. La si possiede o meno; è un’intuizione che alcuni hanno, altri no, come i doni artistici e i talenti, ed il perché è molto semplice.
La natura non fa salti, e questo vale sia per le leggi fisiche che per quelle spirituali.
Ogni creatura segue un proprio percorso evolutivo ed iniziare chi non è pronto per essere iniziato è un grave errore, che si ripercuote con una reazione a catena su chi lo compie, su chi lo subisce e su chi è collegato al loro eggregore.
La luce iniziatica illumina. Ma illumina ciò che ognuno possiede in latenza. Se si possiede un sacco di oro zecchino è questo a venir fuori ma se si possiede un sacco di fagioli, saranno i fagioli a venir fuori, nel modo migliore certo, ma pur sempre fagioli, per quanto anche loro hanno la loro buona sostanza specie se si vuol rivisitare, poi, la tradizione culinaria dell’Oca e la graticola…
L’esperienza iniziatica è terribile; la sensazione dello spalancamento dell’abisso, della perdita di ogni sostegno, dei porti sicuri costruiti da un’educazione che è atta a valorizzare e creare l’uomo della e per la collettività anziché il singolo soggetto, l’uomo nuovo, della spersonalizzazione di tutti i sentimenti, dall’odio all’amore, sono tutti passi che, per chi non è pronto, per chi non sa o non può disancorarsi dai moltissimi viluppi dell’ego e della realtà fenomenica, possano causare più danni, confusione, fraintendimenti che altro.
E a nulla servono le guide dei maestri, perché è solo alla potenza individuale raggiunta che l’elevazione cede il passo, senza intermediari.
Francamente io mi chiedo con quanta sincerità e senso di responsabilità oggi si diano le iniziazioni, e spero che la risposta, se risposta dev’esserci, non si perda nell’eco di una domanda senza fine.
Tecla Squillaci.
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