Nella mia professione di psicoterapeuta ho potuto constatare il grande valore, ai fini del processo di guarigione (raggiungimento di una maggiore consapevolezza sulle proprie intime ed autentiche motivazioni e capacità di usare, nel modo evolutivamente più efficace, le proprie risorse interiori), dell’utilizzare la simbologia astrologica, così come viene espressa nella carta del cielo del paziente, attraverso lo psicodramma, l’immaginazione, la musica ed il movimento. Credo, inoltre, che la carta del cielo natale, assieme allo studio dei transiti e delle progressioni, sia uno degli strumenti più efficaci e completi che lo psicologo possa avere a disposizione per comprendere la struttura della psiche del proprio paziente (oltre alla sua, beninteso.!) e per aiutarlo ad acquisire consapevolezza dei vari aspetti della sua personalità e di come questi interagiscano tra loro.
Nei suoi scritti sull’alchimia, Jung, scrivendo del mandala, simbolo della totalità del Sé, sembra proprio rendere il giusto posto, in modo molto chiaro e conciso, alla carta del cielo tra gli strumenti dello psicoterapeuta. Riprendere le sue parole è dunque il modo migliore e più rapido per chiarire quello che intendo (in corsivo le parole di Jung):
«Il simbolo del mandala (e naturalmente la carta del cielo di nascita è uno dei mandala più rappresentativi dell’espressione intima individuale) non è solo una forma espressiva, ma esercita anche un’azione, agendo a ritroso sul suo stesso autore (dunque possiede un forte potenziale trasformativo dei contenuti psichici). L’immagine ha lo scopo evidente di tracciare un magico solco intorno al centro della personalità più intima. si tratta in altri termini di ricondurre, con l’appoggio e la mediazione di un’azione esteriore (il mandala, carta astrologica) la propria attenzione, o meglio partecipazione, ad un recinto sacro interiore (di cui la ruota zodiacale è simbolo) che è origine e meta dell’anima, e contiene quell’unità di coscienza e vita, un tempo posseduta, quindi perduta, e che occorre ora ritrovare. La ruota comincia a girare, cioè il sole si mette in movimento ed inizia il suo corso. Da un punto di vista psicologico questa circolazione consisterebbe in un girare in cerchio attorno a se stessi, così da coinvolgere tutti i lati della propria personalità. Il movimento circolare ha quindi anche il significato di animazione di tutte le forze chiare e oscure dell’umana natura, e di conseguenza di tutti gli opposti psicologici, di qualsiasi natura possano essere. L’essere è la luce centrale senza estensione, la vita è estensione.»
Viene qui descritto il duplice aspetto dell’essere come coscienza, consapevolezza, che nella sua purezza è luce senza contenuti e che via via si struttura nello spazio-tempo in forme diverse, identificandosi con i vari contenuti della vita (astrologicamente il sole che compie il suo giro all’interno della fascia zodiacale).
Questo è quanto dice uno psicologo, ma lo stesso concetto è espresso da uno degli astrologi più rappresentativi del secolo scorso, Dane Rudyar, quando parla dell’essere come monade. Egli dice che l’uomo e la configurazione del cielo al momento della sua nascita sono entrambi espressione, a livelli diversi, di un unico atto, momento creativo – la monade (quell’unità di coscienza e vita a cui si riferiva Jung) – che nel mondo, e cioè entrando in una dimensione spazio-temporale, diventa dualità. La monade per Rudyar è come un seme che con il suo progetto evolutivo cade nel terreno dell’incarnazione. Nel suo significato di progetto, potenzialità, rimane cristallizzato nella configurazione del cielo, come totalità distinta e in sé completa. Nel suo aspetto dinamico diviene energia che sottende tutti i nostri atti, è la forza d’integrazione, individualizzante, che molti psicologi di tradizione umanistica hanno trovato essere alla base della capacità di guarigione dei loro pazienti.
La psicologia transpersonale individua questa forza d’integrazione nella dimensione spirituale, le tradizioni religiose nell’anima, la tradizione metafisica delle Upanisad nel Sé o Atman, riflesso nel cuore degli uomini di quella “luce senza estensione”, pura coscienza, di cui prima Jung ci parlava. Questa “pura coscienza”, comunque la si voglia chiamare secondo la tradizione religiosa, culturale o filosofica di riferimento – Vuoto, Dio, Brahman, Assoluto – è il sostrato e l’ultima essenza dell’intero universo, e viene definita nelle Upanisad come Coscienza, Esistenza, Beatitudine.
Affinché ciò che sto esprimendo non venga considerata pura teoria, un’astrazione che non riguarda la nostra natura umana, avulsa cioè dal potenziale di coscienza di ciascuno di noi, vorrei riportarvi la testimonianza di Santa Ildegarda di Bingen, mistica medioevale, (l’esperienza estatica e mistica permette la conoscenza per identità di questa “luce”) medico naturista e psicosomatico, nonché astrologa anch’essa: «Sin dalla mia infanzia vedo sempre una luce nella mia anima, ma non con gli occhi esteriori e neppure con i pensieri del cuore; e neanche i cinque sensi esterni partecipano a questa visione. La luce che io percepisco non nasce da un luogo preciso, ma è molto più luminosa della nuvola che avvolge il sole. Non posso distinguerne l’altezza, la larghezza o la lunghezza. Ciò che vedo o apprendo in una tale visione mi resta a lungo nella memoria. Io vedo, odo e so allo stesso tempo, e ciò che so in quello stesso attimo anche lo apprendo. Non riesco a riconoscere in questa luce alcuna forma, talvolta tuttavia vedo in essa un’altra luce, che mi viene di chiamare la luce vivente. Mentre mi beo nella contemplazione di questa luce, ogni tristezza e dolore svaniscono nel ricordo.»
In questo stato di coscienza, dunque, senza forma e privo di contenuti, non vi è sofferenza. Mentre è causa di grande sofferenza esserne separati, oltre ad originare una partecipazione alla vita con modalità egocentriche, separative e distruttive, come la psicologia integrale – cogliendo la drammaticità per l’uomo della dimenticanza e quindi della separazione dalla propria dimensione spirituale – ha messo in evidenza.
Einstein ci dice: «L’essere umano è parte di un intero chiamato Universo. Egli sperimenta i suoi pensieri e i suoi sentimenti come qualcosa di separato dal resto, una specie di illusione ottica della coscienza. Questa illusione è una prigione per noi, che ci restringe ai nostri personali desideri e all’affezione verso le poche persone vicine a noi».
Nei testi sacri indù e nella tradizione buddista, così come in quella cristiana, la causa prima della sofferenza umana è dovuta alla nostra ignoranza nel crederci separati dal Tutto. Percepiamo la realtà attraverso la mente pensante, che non può che riferire ciò che percepisce a sé stessa. Viviamo dunque nella errata percezione che la nostra esistenza sia limitata a quella del corpo-mente. Al contrario il grande maestro vedantino Nisargadatta ci dice: «non noi siamo nel mondo, ma l’intero mondo è in noi».
Astrologicamente è Nettuno che ci parla della sofferenza dovuta alla separazione dalla propria fonte. Nettuno è l’anelito in ciascuno di noi alla riunificazione con una dimensione più vasta che ci trascenda. Negli individui più fragili, con un Io debole (è la relazione di questo pianeta con Saturno e la Luna che può darci indicazioni in tal senso), questa aspirazione può cercare soddisfazione in strade distruttive come la dipendenza dalla droga, o la depressione, o la regressione in stati pre-personali e dunque la psicosi. Un Io integrato e sano è la condizione indispensabile per poter accedere a livelli di coscienza che lo trascendono.
Lasciamo però questi concetti che esulano dal tema della conferenza (che riguarda, infatti, più specificatamente il livello egoico), ma ai quali è stato necessario fare accenno poiché parlano del paradigma – la psicologia integrale di Ken Wilber, insegnata in Italia all’AIPT – al cui interno mi muovo sia come psicoterapeuta che come astrologa. E’ essenziale inoltre sottolineare che senza la funzione integrante del Sé, di cui l’Io è un riflesso e da cui è guidato, il processo di integrazione della personalità non sarebbe possibile.
Vorrei qui soffermarmi su una particolare fase del processo terapeutico: quella fase durante la quale il paziente arriva a scoprire di non essere un Io unitario, ma di contenere in sé una molteplicità di subpersonalità (auto-rappresentazioni investite di pulsioni, sentimenti e pensieri, a volte in conflitto tra loro) che condizionano la percezione della realtà producendo sentimenti e emozioni spesso dolorosi e inadeguati al contesto in cui egli si trova a vivere e alle relazioni con gli altri.
Con l’emergere dell’Io cosciente, da un tutto psichico indifferenziato pre-personale, la mente si struttura in subpersonalità, che possono essere esemplificate nella famosa ripartizione individuata da Freud: l’Es, dove regnano le pulsioni aggressivo-sessuali che si muovono secondo il principio del piacere, il Superio, che si esprime secondo un principio di realtà e rappresenta la voce del dovere, modellato sulle introiezioni dei modelli comportamentali genitoriali, e l’Io, quell’area dotata di capacità riflessiva e che attraverso il pensiero e i meccanismi di difesa tenta di mediare tra le esigenze dell’Es e del Superio; la psicologia transazionale parla di bambino, genitore, adulto. All’inizio in conflitto tra loro, queste subpersonalità, a seguito del lavoro dell’Io mediatore, si integrano in una autopercezione di sé, spesso distorta e limitata, infatti il prezzo da pagare per arrivare ad una specie di tranquillità “in casa propria” è quello di lasciare fuori dalla porta parecchi “familiari” (desideri, impulsi, percezioni, ecc.) indesiderati o disturbanti. ma pur sempre familiari!
L’Io dunque non assume una posizione centrale rispetto ai contenuti mentali, ma secondo le circostanze del passato, o le aspettative future, si identifica ora con uno ora con l’altro di questi. Spesso questa identificazione assume carattere involontario ed inconscio.
«Ogni cosa nuova – mi dice una paziente – mi mette paura». Ed altri: «per me gli altri non esistono, mi circondano ma non ci sono, vedo gli altri come se non avessimo niente in comune»; «non sono pronto ad essere felice, è tutto un grande lavoro di preparazione»; «io ero la pecora nera, mi sentivo cattiva, ho sempre pensato di avere qualcosa che non andava»; «quando mi sento potente, grandiosa, c’è la sensazione della vendetta, gongolo, se faccio ingelosire qualcuno è perché mi sento potente»; «mi sento un frigorifero vuoto».
Dice il maestro vedantino Ramana Maharsi: «La mente è come un fiume che scorre nel letto del corpo, per un momento ti identifichi con un’onda e la chiami il mio pensiero».
Noi percepiamo attraverso la mente. Non percepiamo la realtà così com’è, ma ciò che pensiamo della realtà, filtrata dalla nostra memoria (cioè dalla trama del nostro passato, non realtà anch’esso, nonostante lo crediamo tale, ma percezione di un contenuto mentale che esiste nel presente, reinterpretazione attuale di un evento del passato, chissà come percepito. in un gioco a spirale veramente illusorio) e dal nostro futuro (desideri, aspettative, motivazioni presenti proiettati in un futuro immaginario esistente solo nelle nostre menti e solo nel presente). La sofferenza è provocata non tanto dalla realtà, quanto dall’interpretazione che ne facciamo, dalla percezione unilaterale che di questa abbiamo, poiché paradossalmente manca proprio la percezione di colui che percepisce, cioè del pensiero o l’affetto che fa da filtro alla nostra percezione.
C’è una parabola che Ramana Maharsi utilizza per far comprendere come la sofferenza nasca da una errata percezione della realtà dovuta alla dimenticanza di sé stessi.
«Nella parabola – egli scrive – dieci stolti guadavano un fiume e raggiunta l’altra sponda si vollero assicurare che fossero tutti sani e salvi. Il primo iniziò a contare, dimenticando se stesso: “siamo solo nove, qualcuno di noi si è perso, ma chi è?”. “Hai contato in modo giusto?”, chiese il secondo che ricominciò a contare, ma anche lui ne contò solo nove. Uno dopo l’altro gli stolti si contarono commettendo lo stesso errore: “è vero, siamo solo nove” concordarono, “ma chi è che manca?” continuavano a chiedersi e ogni tentativo di percepire chi fosse scomparso fallì. “Chiunque sia, sarà annegato” affermò il più pessimista, “lo abbiamo perso!”. Così dicendo scoppiò a piangere e tutti gli altri dietro. Vedendoli piangere così, un traghettatore che passava sulla riva del fiume, sollecito si informò; gli stolti gli narrarono l’accaduto e gli riferirono anche che, nonostante avessero contato diverse volte, scoprivano di essere sempre e solo nove. Vedendo davanti a sé dieci persone il traghettatore capì cosa era successo. Per far loro comprendere che erano tutti e dieci sani e salvi, disse: “ognuno di voi si conti scandendo il proprio numero, uno, due, tre e così via, io colpirò ognuno dopo che si sarà contato affinché tutti possiate esser sicuri di essere stati inclusi nel conteggio solo una volta, così troveremo il decimo che manca”. Ascoltandolo tutti si rallegrarono nella prospettiva di ritrovare il compagno perduto e accettarono subito la proposta suggerita dal traghettatore. E mentre il disponibile traghettatore li colpiva uno alla volta, la persona colpita si contava ad alta voce. “Dieci!” disse l’ultimo nel momento in cui venne colpito. Sorpresi si guardarono l’un l’altro: “siamo dieci!” esclamarono all’unisono, e ringraziarono il traghettatore per averli liberati dalla loro pena. »
Gli stolti vengono dunque liberati dalla loro sofferenza, scaturita da un errore di percezione. Errore di percezione dovuto all’aver dimenticato sé stessi, dall’aver dimenticato cioè il soggetto che percepisce la realtà.
Diventa quindi essenziale osservare colui che vede, che riflette, che pensa. Con quale subpersonalità siamo identificati? Quale porzione della realtà possiamo permetterci di vedere dalla nostra visuale?
«La consapevolezza è lo stato in cui la mente è colta nella sua interezza», dice sempre Ramana Maharsi.
Ma possiamo davvero cogliere la mente nella sua interezza? Possiamo se ci poniamo fuori dalla mente, come il traghettatore ha potuto vedere tutti e dieci gli stolti poiché era in una posizione centrale rispetto ad essi. Ma se possiamo assumere una posizione centrale e dunque distaccata dai contenuti mentali, allora vuol dire che non siamoquesta mente, questi pensieri su cui fondiamo la nostra identità. Allora chi siamo?
Siamo lo spettatore di questa mente, ne siamo il Testimone. Nelle Upanisad, viene proposta l’immagine di due uccelli, uno accanto all’altro sul ramo di un albero. Uno dei due uccelli vola, pigola, si agita e l’altro osserva immobile e silenzioso. Possiamo dunque, attraverso un processo di disidentificazione percepirci quale consapevolezza distinta da qualsiasi contenuto mentale, in una posizione centrale, che guarda ad essi come l’uccello immobile e silenzioso sul ramo abbraccia il movimento e l’agitarsi del compagno a lui vicino e di tutto ciò che lo circonda. Noi siamo quella luce senza estensione, pura coscienza, consapevolezza che però si identifica con porzioni sempre più piccole di sé e le chiama Io, strutturandosi a diversi gradi di identità, che può andare da una ridottissima e frammentaria visione di sé limitata da forti necessità difensive o espandersi oltre i confini della mente e del corpo e abbracciare l’intero cosmo.
Più si allarga la consapevolezza alle varie subpersonalità, più prende corpo un soggetto che si autopercepisce centro della visione; un Io integrato, che nulla ha a che vedere con il limitato Io freudiano, ma è quel centro di consapevolezza invece dell’intero potenziale psichico, dotato di autonomia e autenticità, che Ken Wilber, padre della psicologia transpersonale e codificatore della più ampia psicologia integrale, designa con il nome di Centauro. Un Io che Assagioli, fondatore della psicosintesi, definisce come «un centro di coscienza e di volontà dotato – e dunque non dominato – di determinate funzioni psicologiche: emozione-sentimento, impulso-desiderio, immaginazione, pensiero, intuizione, volontà, che concorrono al sentimento di essere una persona originale».
La volontà cosciente non può però da sola, tramite la disidentificazione, raggiungere una tale unità. A livello conscio si richiede la collaborazione dell’Io nel processo di guarigione, ed una collaborazione consapevole e vigile. Ma non basta, questo serve a comprendere le identificazioni, non a romperle. Essendo l’identificazione un processo inconscio, l’inconscio deve necessariamente essere coinvolto nel processo di disidentificazione. Ma il linguaggio e la possibilità di comprensione dell’inconscio non è razionale, analitica, lineare come il linguaggio conscio. L’inconscio esprime i suoi contenuti attraverso simboli e analogie. Simboli come sono anche le immagini astrologiche.
Se dovessimo descrivere astrologicamente il processo a spirale di identificazione, disidentificazione e successiva identificazione ad un più ampio livello di coscienza, fino alla completa dissoluzione delle identificazioni – l’uscita dal samsara buddista, il riconoscersi per un atto di identità Pura Coscienza – possiamo pensare a Saturno, preposto alla costruzione dell’identificazione. Proprio per questo Saturno è chiamato anche “signore del karma”. Il karma, infatti, non è altro che l’identificazione della coscienza con determinate impressioni psichiche (desideri, pulsioni, ecc.), identificazione che non essendo stata sciolta al momento della morte (il bellissimo libro Tibetano dei Morti è centrato sulla descrizione di questi contenuti mentali affinché la coscienza, nel regno del Bardo, se ne liberi, prima di incarnarsi nuovamente spinto da esse) inchioda la rinascita in una successiva incarnazione al livello di coscienza ad essa corrispondente. E le cosiddette prove nefaste di Saturno sono occasioni e possibilità di riconoscere e rompere queste identificazioni.
Urano, il cui geroglifico – due semicerchi separati da una croce posta sopra un nuovo piccolo cerchio – rappresenta questo processo di rottura dell’identificazione, in una condizione spaziotemporale, per identificarsi ad un diverso e più ampio livello di coscienza. Plutone, nelle cui profondità maceratrici si dissolve la vecchia forma, crea nuove feconde dimensioni di coscienza nel segreto della propria oscurità. Nettuno infine porta a completa e definitiva dissoluzione le identificazioni nel riconoscimento di essere Pura Coscienza.
E’ necessario il simbolo, ci dice Jung, che agisce “magicamente” e che contiene quel primitivo analogismo che parla all’inconscio. Solo attraverso il simbolo è possibile raggiungere ed esprimere l’inconscio. Il processo di individuazione non può fare a meno del simbolo poiché questi è da un lato l’espressione primitiva dell’inconscio, ma dall’altro è anche un’idea che corrisponde all’intuizione più profonda della coscienza. Ma non è nuova l’intuizione junghiana scaturita dalla sua pratica clinica: quasi a rafforzare la significatività di ciò, anche il filosofo greco Plotino ci dice che il pensiero del cuore si esprime solo attraverso i simboli, ed il cuore è il luogo dell’immaginario sacro che riflette il microcosmo nel macrocosmo. I simboli si presentano a noi attraverso l’immaginazione che agisce come uno specchio e veicola il pensiero del cuore; è un potere della mente che ci mette in contatto sia con i contenuti psicologici inconsci, sia con ciò che supera la mente (l’anima). E’ ponte dunque tra il finito e l’infinito, cioè tra l’io e l’anima.
I simboli sono dotati di propria carica energetica e possono venire usati nel processo psicoterapico come vere centrali energetiche di trasformazione e guarigione: hanno infatti una duplice funzione.
- Una funzione conoscitiva: essi portano alla consapevolezza contenuti psichici appartenenti sia all’inconscio personale, cioè a quei contenuti rimossi dalla coscienza o mai resi accessibili dai meccanismi difensivi, sia all’inconscio collettivo, che è il sostrato comune della psiche e si esprime attraverso gli archetipi, disposizioni latenti a reazioni identiche comuni a tutta l’umanità al di là dello spazio e del tempo. Ogni rappresentazione e azione conscia individuale, dice Jung, si sviluppa su queste immagini archetipiche inconsce, con cui la psiche rimane in costante relazione.
- Una funzione trasformativa: evocarli con l’immaginazione e lasciarli agire nell’interiorità o esprimerli attraverso il movimento fisico è fonte di una profonda trasformazione nella psiche, scioglie i condizionamenti del passato e crea nuovi sbocchi all’energia psichica.
E’ proprio attraverso il lavoro con i simboli che è possibile aiutare il paziente a riconoscere e sciogliere i meccanismi difensivi, per lo più inconsci (astrologicamente la posizione di Saturno nella carta di nascita può dirci molto), ad integrare aspetti opposti della personalità (le opposizioni tra pianeti, ma anche i segni o le case vuote, opposte ad un troppo pieno limitante), a liberare energie cristallizzate, a sondare diverse e insospettate modalità di essere. La simbologia astrologica può venirci in aiuto proprio in questo lavoro di integrazione della psiche poiché la posizione dei pianeti per casa e segno, e i loro rapporti angolari possono delineare le tante subpersonalità che affollano il nostro spazio psichico, veri e propri attori del nostro spazio mentale. Un processo integrativo che deve vedere coinvolte tutte le funzioni-elementi attraverso cui l’Io si esprime: l’Aria, il pensiero e la sua possibilità di riflessione intelligente; la Terra, l’esperienza dei sensi; l’Acqua, il sentimento, l’emozione; il Fuoco, la passione, l’energia. E nel paziente lavoro di riconoscere ed ascoltare la voce di ogni subpersonalità, cioè di indagarne i bisogni, sentimenti, impulsi, pensieri e motivazioni, è importante che l’atteggiamento del “ricercatore” sia accogliente ed equanime; egli osserva ogni contenuto mentale come uno spettatore guarda uno spettacolo. Non c’è una subpersonalità “più valida o più giusta” di un’altra. Ogni giudizio, preferenza, censura infatti è uno spostamento dal centro, non è altro che l’identificazione con un particolare punto di vista, con un contenuto mentale, e dunque con una delle subpersonalità; in quanto tale diventerà nel processo psicoterapico un altro oggetto di indagine.
Direi che ogni pianeta nella carta del cielo rappresenta simbolicamente non solo una, ma varie subpersonalità, che per definizione appartengono all’area individuale, sia conscia che inconscia; di alcune di esse siamo consapevoli (in particolare le conosciamo attraverso lo stato di tensione e conflitto che provocano e che per lo più si riflette in una paralisi o in una compulsività del comportamento), mentre altre non le riconosciamo come nostre ed entriamo in contatto con loro solo attraverso la reazione emotiva quando, dopo averle proiettate all’esterno, ritornano a noi sotto forma di comportamento, richiesta, sentimento. altrui (gli altri-settima casa).
Ma è necessario ricordare che le subpersonalità poggiano, ad un diverso livello di coscienza, sugli archetipi dell’inconscio collettivo, ponte tra la nostra storia individuale e l’ancestrale patrimonio collettivo; solo per questo è possibile utilizzare nel lavoro psicoterapeutico, come griglia di riferimento, la simbologia astrologica, che ricopre ovviamente una dimensione archetipica (proprio in questo consiste la sua funzione simbolica trasformatrice ed evolutiva). Gli archetipi sembra abbiano la funzione di accompagnare l’Io nel suo cammino di individuazione. Queste forme psichiche collettive, che quindi trascendono l’Io, originariamente dotate di una forte energia evolutiva autonoma, sono però per così dire velate dai nostri contenuti personali, come una lampadina che è impossibilitata ad illuminare direttamente di luce propria poiché è stata velata con “tessuti colorati” la cui trama è composta di esperienze, desideri, ferite personali.
Gli archetipi agiscono dunque a diversi livelli secondo il nostro grado di identità. L’astrologia esoterica, per esempio, ne riconosce tre e distingue il significato del simbolo astrologico a seconda che la persona si trovi sulla croce mobile, fissa o cardinale. La prima (la croce mobile: Gemelli/Sagittario – Vergine/Pesci ) è quella condizione in cui la personalità non riconosce altro che sé stessa, vivendo in una separazione soggetta però alla volubilità degli accadimenti, ora piacevoli, ora spiacevoli, che appaiono avvicendarsi all’esterno di sé e sulle quali crede di avere il controllo, anche se necessariamente effimero ed illusorio. Questo apparente avvicendarsi di esperienze mutevoli e spesso dolorose ha lo scopo di risvegliare la consapevolezza alla realtà dell’anima e dunque all’esistenza di una dimensione più profonda, non mutevole, non soggetta a morte e rinascita.
La coscienza nasce dunque alla dualità. L’Io si riconosce dimensione diversa e separata da una dimensione più vasta che lo contiene e trascende e che ha una propria finalità. Astrologicamente questa consapevolezza di dualità è rappresentata dalla croce fissa (l’asse Leone/Acquario – Toro/Scorpione). E’ a questo punto del cammino che l’anima individualizzata può invertire il verso del proprio cammino sulla ruota zodiacale; ciò corrisponde all’inizio del discepolato, cioè all’assunzione come proprio progetto di vita di quella che viene chiamata la “via del ritorno”.
Il terzo livello di consapevolezza è di nuovo quello dell’unità, dove questa volta non è la personalità ad essere percepita quale unica dimensione dotata di esistenza, ma il Sé o anima che tutto contiene. A questo livello, quello della croce cardinale (Cancro/Capricorno – Ariete/Bilancia), gli archetipi possono agire con tutta la loro potenza trasformatrice.
Diverse sono le tecniche in psicoterapia che permettono di lavorare con i simboli, e accennerò ad alcune di queste prima di proporvi un’esperienza pratica di lavoro su uno degli archetipi più importanti per la costruzione psichica di un Io separato e autonomo, l’archetipo del guerriero, espresso in astrologia dal pianeta Marte, nei miti dalla figura del Guerriero o dell’Eroe.
Lo psicodramma è una tecnica psicoterapeutica che permette ai partecipanti di agire, in un contesto accogliente e protetto, i contenuti del proprio mondo interiore. Aiuta la persona, attraverso la messa in scena attiva, a scoprire, dare voce e quindi identità alle sue diverse componenti psichiche e ad integrarle in un Io non più frammentato.
La persona avrà così la possibilità di armonizzare creativamente le sue esigenze con le richieste della realtà ed imboccare la via che conduce all’autonomia e alla spontaneità. Sulla scena può mettersi in relazione, da una posizione di centralità, con i propri blocchi, le carenze, i dubbi, ma anche i bisogni, i talenti, le risorse, e le proprie autentiche motivazioni di vita. Verrà aiutata dalle proposte del terapeuta e dal sostegno del gruppo, che avrà la funzione di essere il suo “materiale di scena”, a scoprire in sé prima il desiderio e poi il coraggio di ricoprire ruoli temuti o sconosciuti, a dialogare con fantasmi del proprio passato, a sbloccare così situazioni interiori cristallizzate che richiedendogli un pensiero e un comportamento ripetitivo gli impediscono di essere veramente sé stesso nel mondo.
Un laboratorio di psicodramma astrologico può essere concepito in tre tempi:
- visualizzazione dei propri simboli planetari attraverso l’esplorazione guidata delle immagini che emergono in stato di rilassamento profondo;
- messa in scena dei contenuti emersi;
- scambio verbale e interpretazione psicodinamica ed evolutiva dell’esperienza, anche in relazione a ciò che è espresso nella carta di nascita.
Il dialogo tra subpersonalità: è possibile mettere tra loro a confronto due subpersonalità. Considerando la carta del cielo come mappa psichica del paziente, è possibile decidere con lui quale dei pianeti – autorappresentazioni di sé in conflitto tra loro per posizione zodiacale o per aspetto o, come nel caso delle opposizioni, dissociate o rimosse – egli desidera esplorare. Il terapeuta non ha l’obiettivo di mettere queste parti in accordo, ma bensì quello di permettere ad ognuna di esprimersi fino in fondo, di chiarire il proprio punto di vista, di fornire quante più notizie di sé sia possibile. Per arrivare a questo il paziente viene invitato a spostarsi fisicamente di posto quando parla una o l’altra di queste subpersonalità. Egli potrà così lentamente cominciare a distaccare il proprio senso di identità dall’una o dall’altra. Non è più la subpersonalità che parla, nel momento in cui esprime una delle due, ma è il soggetto che si sposta, letteralmente, da una all’altra. Acquista una sua centralità rispetto ai propri contenuti mentali, e questi a loro volta venendo alla luce liberano energia cristallizzata nei meccanismi difensivi, che si sciolgono, e che viene resa disponibile per sviluppare creatività ed essere investita affettivamente.
La meditazione costituisce, potremmo dire, la tecnica più raffinata, la via privilegiata per giungere alla consapevolezza della nostra reale natura, per stabilizzarci in quel centro di pura coscienza di cui abbiamo parlato in precedenza, per metterci in contatto con l’energia sottile degli archetipi. Vi sono vari tipo di meditazione. Meditare può voler dire semplicemente concentrare l’attenzione sul ritmo del respiro e “essere”; i sensi ritirati in sé stessi, i pensieri che scorrono senza che venga data loro attenzione. Senza intenzionalità alcuna. Questa modalità pone la mente in uno stato di quiete e ricettività, pronta ad accogliere quanto può arrivare dall’inconscio superiore. Avvicinarci ai simboli espressi dalla Carta del Cielo nel silenzio della meditazione, ci permetterà di aderire con la mente intuitiva al loro significato, e a lasciare che essi, con la loro forza energetica, lavorino direttamente dentro di noi, esplicando, senza l’interferenza della mente pensante, tutta la loro azione trasformatrice.
Della tecnica della visualizzazione guidata vi darò direttamente un esempio pratico. Vorrei proporvi dunque un lavoro di esplorazione dell’archetipo del Guerriero e di come esso sia presente dentro ciascuno di noi. Questa proposta è una mia rivisitazione e sintesi di alcuni esercizi di autoindagine proposti da Piero Ferrucci nel suo libro “Crescere” e da Carol S. Pearson in “Risvegliare l’eroe dentro di noi”, nonché frutto della mia partecipazione al bellissimo lavoro con gli archetipi che la dott.ssa Laura Boggio Gilot conduce all’Associazione di Psicologia Transpersonale di Roma. La musica che utilizzo è il “Moderately fast della Symphonia Serena” di Paul Hindemith.
Una prima parte dell’esperienza è dedicata proprio alla funzione conoscitiva del simbolo: dunque vi invito a lasciarvi guidare dalle mie parole per prendere contatto con questa energia e diventare consapevoli di come essa si manifesti nella vita “di tutti i giorni”. Attraverso una visualizzazione guidata, potrete poi, a livello immaginativo, lasciare agire questa energia e osservarla nella sua funzione trasformativa, mentre si mette al servizio del progetto dell’Io.
L’archetipo del Guerriero simboleggia la fondamentale energia aggressiva/volitiva che accompagna e permette l’emergere dell’Io dal magma psichico indifferenziato, e si traduce nell’acquisizione di un sentimento di identità autonomo e separato dal rapporto simbiotico genitoriale. Il Guerriero interiore (astrologicamente rappresentato da Marte) sostiene l’Io, difendendone i confini e mettendosi al suo servizio per soddisfarne i bisogni. Per far questo usa strategie, tattiche, si dota di difese e di armi per attaccare.
Ad un livello più evoluto, cioè quando i primi due punti sono stati soddisfatti, il Guerriero comincia a lottare per sé e gli altri non più al servizio di scopi egocentrici, ma in obbedienza a principi universali, con intenti essenzialmente altruistici. Lotta per ciò che è veramente importante, e per far questo non usa la violenza, ma la forza della propria affermatività: sostiene il conflitto aperto con sincerità e coraggio alla luce del sole.
Ad un livello ancora superiore il Guerriero è impegnato nella lotta più importante, quella contro i propri nemici interiori, cioè le tendenze distruttive della mente che gli indù chiamano Guna e la tradizione cristiana chiama “vizi capitali” (torpore, accidia, desiderio, disperazione, irresponsabilità, negazione, orgoglio ecc.); quelle energie cioè che essendo consustanziali alla natura dell’essere umano – pensate al Sagittario e all’esperienza della nona casa – impediscono il manifestarsi dell’intelligenza intuitiva e della dimensione spirituale o, per dirla secondo il paradigma dell’astrologia esoterica, di “salire sulla Croce Cardinale”
Nel cammino dalla dipendenza infantile, alla trasgressività adolescenziale, all’affermatività adulta, all’individuazione e autorealizzazione di colui che si riconosce infine parte di un tutto che lo trascende nella sua completezza, il Guerriero può trovare molti ostacoli nella sua espressione (ed in questo la lettura della carta del cielo è naturalmente di grande aiuto): ecco allora che l’energia diventa impotenza, il bisogno di vincere diventa amorale ed ossessivo, un uso del potere a fini di conquista a scapito degli altri, e la scoperta delle differenze anziché un arricchimento viene visto come una minaccia.
Esercizio di consapevolezza sul guerriero interiore
Porta l’attenzione nello spazio interiore e osserva le sensazioni che provengono dal tuo corpo. Rilassa progressivamente tutti i muscoli del corpo, mentre il respira diventa lento e profondo.
Per iniziare, poni l’attenzione sulla qualità della tua volontà:
succede a volte che si pieghi alla volontà delle altre persone?
che sia sopraffatta dalle tue emozioni, come per esempio depressione, rabbia, paura?
che sia paralizzata dall’inerzia?
o addormentata dall’abitudine?
o disintegrata dalle distrazioni?
o corrosa dai dubbi?
Le ancestrali energie archetipiche del Guerriero interiore sono energie maschili al servizio della volontà dell’Io, e agiscono in noi sotto forma di aggressività e coraggio.
L’aggressività è un impulso prepotente verso l’autoaffermazione e la manifestazione di ogni elemento del proprio essere.
Evoca e lascia emergere nel tuo spazio interiore la tua aggressività. Permettile di espandersi, sotto qualsiasi forma essa si presenti. Può darsi che sia colorata da rabbia, risentimento, irritazione.
Dalle spazio, senza giudicarla, senza difendertene. osservala, come uno spettatore osserva uno spettacolo.
Percepiscine il vigore, l’intensità.
Osserva come il tuo corpo reagisce alla tua aggressività. in quale parte del corpo puoi percepirne la presenza e quale forma assume.
Rifletti su come usi questa energia nella tua vita quotidiana.
Quali sono i canali preferiti. le tue modalità abituali di espressione. Lascia emergere situazioni o persone della tua vita che tendono a suscitare in te aggressività. e osserva come la esprimi.
Osserva ora come stai osservando questo impulso aggressivo dentro di te. ti fa paura, la disprezzi o ne godi e ne vai fiero. tendi ad esprimerlo o ad accumularlo dentro di te. Queste energie sono energie potenti e preziose a tua disposizione, se liberate ed indirizzate possono diventare la forza propulsiva al servizio della tua volontà.
Il coraggio è la capacità di lottare per gli scopi definiti dalla tua volontà. tollerare e superare difficoltà e asperità. è la capacità di accettare le tue debolezze e la tua fragilità. è a fondamento della capacità di pazienza e sopportazione. è il coraggio che ti fa tollerare ansia e frustrazione. è l’impulso che ti spinge a superare i tuoi limiti per espandere la coscienza verso mondi superiori.
Evoca e lascia emergere nel tuo spazio interiore il tuo coraggio. Permettigli di espandersi, sotto qualsiasi forma esso si presenti.
Dai spazio alla potente energia del coraggio, senza giudicarla, senza difendertene. osservala, come uno spettatore osserva uno spettacolo.
Percepiscine il vigore, l’intensità.
Osserva come il tuo corpo reagisce all’energia del coraggio. in quale parte del corpo puoi percepirne la presenza e quale forma assume.
Rifletti su come usi questa energia nella tua vita quotidiana.
Quali sono i canali preferiti. le sue modalità abituali di espressione.
Lascia emergere situazioni o persone della tua vita che tendono a suscitare in te coraggio. e osserva come lo esprimi.
Osserva ora come stai osservando la forza del coraggio dentro di te. ti fa paura o senti che ne puoi disporre. te ne senti privo e lontano o ne godi e ne vai fiero.tendi ad esprimerlo o a vanificarla nella fantasia.
Queste energie sono energie potenti e preziose a tua disposizione, se liberate ed indirizzate possono diventare la forza propulsiva al servizio della tua volontà.
Immagina ora qualcosa a cui tieni molto. qualcosa che desideri realizzare. ed immagina di dover mobilitare per la realizzazione di questo progetto tutte le tue energie.
Davanti a te si snoda una strada. osservala. osserva il panorama intorno. quella è la strada che dovrai percorre per realizzare il tuo obiettivo. Guarda come sei vestito. quali oggetti hai con te che ti accompagnano nel tuo cammino.
Quando ti senti pronto puoi iniziare il tuo viaggio. incontrerai lungo la strada molti personaggi o situazioni che cercheranno di distoglierti e di ostacolarti. può darsi che le forze ti vengano meno. o che tu perda di vista l’obiettivo. sviato da ciò che ti circonda. o da uno dei molti ostacoli che incontri. osserva bene di che tipo sono le situazioni che si frappongono tra te e la tua realizzazione. come reagisci tu di fronte a questi ostacoli. comincia ad esprimere tutta la volontà, il coraggio e la forza del guerriero. immagina di utilizzare ogni arma. risorsa. ogni possibilità a tua disposizione per raggiungere l’obiettivo che ti sei proposto. ed abbattere gli ostacoli che te lo impediscono.
Quando arrivi al tuo traguardo ascolta come ti senti.
Bibliografia
- Ramana Maharsi, Il Vangelo di., Associazione Italiana Ramana Maharsi
- C.G.Jung, Studi sull’alchimia, Opere complete, vol. 13, Boringhieri
- Laura Boggio Gilot, Crescere oltre l’Io, La cittadella Editore
- Laura Boggio Gilot, Forma e sviluppo della coscienza, Asram Vidya
- Laura Boggio Gilot, Il Sé transpersonale, Asram Vidya
- Carol S. Pearson, Risvegliare l’eroe dentro di noi, Astrolabio
- Piero Ferrucci, Crescere, Astrolabio
- Alan Oken, Astrologia centrata sull’anima, Edizioni Crisalide
- Dane Rudhyar, L’astrologia della personalità, Astrolabio
- Il simbolo Junghiano - 16/05/2010
- L’uso dei simboli in psicoterapia - 16/05/2010
- I pianeti del Collettivo - 16/05/2010