L’archetipo sacerdotale nel Martinismo
di Louis I::: I::: e Claude I::: I:::
«Come sono ciechi coloro che immaginano
di non poter toccare il grande mistero,
e che questo può essere fatto solo
da sacerdoti creati dall’uomo»
(J. Böhme)
La Massoneria speculativa, vaso d’elezione delle millenarie correnti rosicruciane, ermetiche e kabbalistiche, verso la metà del Settecento vide come noto l’affermarsi nel Continente di gradi cavallereschi pseudo-nobiliari, corroborati spesso da una indimostrata successione Templare[1]; al di là dell’indubbio fascino della cavalleria, e talora dell’esigenza di creare dei gradi amministrativi, in molti casi c’era purtroppo alla base il desiderio dei Massoni borghesi di sancire la loro ascesa sociale, attraverso un illusorio “quarto di nobiltà”.
Forse per reazione a questi moventi – assai poco esoterici a dire il vero – sorsero alcuni Ordini più fedeli alla mistica iniziatica che della Massoneria costituisce a nostro parere il presupposto (per non dire la ragion d’essere): all’Operaio ed al Guerriero dovette subentrare quindi il Sacerdote[2], inteso come pontifex mediatore tra l’umano ed il Divino. Il messaggio è che l’Uomo, sacralizzandosi e purificandosi, può essere ammesso a partecipare all’opera divina (ecco il senso letterale di “teurgia”), poiché è stato emanato ad immagine e somiglianza del G:::A:::D:::M:::.
Questa tendenza, figlia del legittimo Desiderio di alcuni Uomini di essere reintegrati nelle loro primitive potestà e virtù, si riverbera in particolare nelle vicende della corrente Martinista[3], come vedremo brevemente.
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Il “culto primitivo” dei R+.
L’Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti Cohen dell’Universo viene creato da Martinez de Pasqually, ebreo di origine e massone, il quale nella metà del Settecento fonda una Loggia nella quale lavorare secondo i rituali Cohen, utilizzando una Bolla firmata dal pretendente Stuart e già utilizzata da suo padre. L’Ordine Cohen, nonostante il suo rivestimento formale sia quello di un rito massonico, è in realtà, come noto, un Ordine operativo. In effetti, Martinez tiene in così poco conto i primi tre gradi massonici, che nei Cohen era consuetudine conferirli al profano in un giorno soltanto.
La progressione dei gradi dell’Ordine culminava infine – per coloro i quali dimostravano di avere le qualificazioni per accedervi – nell’ordinazione sacerdotale al grado di Maestro Reau +. Santità di vita, zelo nell’adempiere alle prescrizioni rituali richieste, obbligo di preghiera per sei volte al giorno, svolgimento delle operazioni teurgiche nei tempi previsti, cui si accompagnavano ben precise istruzioni in merito all’alimentazione precedente le operazioni (l’inizio delle operazioni era fissato per il primo giorno del primo quarto di luna di marzo e doveva essere preceduto da una messa in onore del Santo Spirito, obbligatoriamente la conclusione dei lavori era fissata per la fine dello stesso quarto): questi i doveri degli Eletti Cohen, la cui dottrina fu fissata dal Maestro nell’unica opera che egli ha trasmesso per iscritto, ossia il Trattato della reintegrazione degli esseri nelle loro primitive potestà e virtù.
In effetti il Trattato fu dettato da Martinez – che non era francese di nascita ma, a quanto sembra, portoghese – e trascritto da un Fratello membro degli Eletti Cohen, che all’epoca era il suo Segretario: Louis Claude de Saint Martin, il Filosofo Incognito così caro a noi Martinisti. In quest’opera Martinez de Pasqually rilegge in chiave esoterica parte dei libri mosaici (il Trattato è infatti apparentemente incompiuto), spiegando in chiave magica e simbolica la creazione dell’Uomo e la sua Caduta, e mostrando ai suoi adepti la strada necessaria a pervenire infine alla reintegrazione con il nostro Creatore, ovvero la purificazione continua e costante, ottenuta mediante il compimento di pratiche operative.
L’operatività è senz’altro il cuore del lavoro che il Cohen deve compiere su se stesso. Al dubbioso Willermoz, che gli scriveva sconsolato di non riuscire a vedere la manifestazione della Chose – un glifo luminoso di forma cangiante, culmine delle operazioni teurgiche del Reau + – il Maestro rispondeva serafico che in effetti non di vedere si trattava, bensì piuttosto di operare fino ad ottenere. Si è diffusa nei secoli una vulgata secondo cui la Teurgia, descritta nelle lettere che il Martinez inviava ai suoi discepoli, illustrata nei frammenti dei rituali che ci sono stati trasmessi – ad es. il Manoscritto di Algeri – e che viene soltanto vagamente accennata nel Trattato, altro non sarebbe che una sorta di kabbalà operativa, e come tale è insegnata, sia consentita la forzatura, anche in numerosi Ordini Cohen moderni: non è così.
È infatti sufficiente leggere gli scritti di Martinez per comprendere che la Teurgia, ovvero la magia divina, la magia della Luce che si differenzia dalla magia naturale, altro non è che una serie di pratiche senz’altro ispirate anche alla kabbalà, ma che risente soprattutto delle dottrine gnostiche ed esseniche diffusesi nell’ebraismo immediatamente post cristiano, nonché dell’ermetismo alessandrino. In più, forse per sfuggire alla censura della Chiesa cattolica, o forse perché il Cristo è l’avatar che da oltre duemila anni ha segnato la tradizione religiosa occidentale, Martinez dà alla rituaria Cohen una veste spiccatamente cattolica.
L’ultimo grado dell’Ordine, quello di Maestro Reau +, è comunque il culmine del lavoro operativo dell’Eletto Cohen: trasmesso mediante una cerimonia rituale molto complessa ed a tratti abbastanza impressionante, conferisce all’adepto la potestà sacerdotale del Culto primitivo, ovvero ciò che Martinez considerava fosse davvero l’Ordine: l’essenza dei Cohen in realtà era proprio quella di essere gli autentici continuatori di un culto sacro ed esoterico di origine divina. La stessa parola “cohen” si ricollega al termine ebraico cohanim, caratterizzante la tribù sacerdotale.
Il termine Reau +, del resto, è un neologismo: sovente tradotto in modo improprio come rosa-croce, in realtà la parola “reau” non ha un significato apparentemente intellegibile, anche se secondo la specifica ghematria martinezista la lettera R corrisponde al numero 17 e significa “beatitudine, successo d’operazione spirituale divina”, mentre la croce richiama il numero 4, indicante “l’anima, o uomo-Dio”[4]. Il Reau + sarebbe dunque l’uomo reintegrato…
2. La professione dei Cavalieri Benedicenti della Città Santa
Senza dilungarci troppo in esposizioni cronologiche di fatti che sono ben noti a tutti i Martinisti, ci limitiamo ad osservare che, dopo la messa in sonno degli Eletti Cohen, J.B. Willermoz si propone come catalizzatore dei confratelli orfani del Maestro, continuando la sua opera su un piano squisitamente massonico e filosofico. Ad un Ordine che, mirando altissimo, inevitabilmente finiva col trascurare le forme (le formalità?) delle Obbedienze massoniche propriamente dette, subentra il Rito Scozzese Rettificato, figlio del “mistico pragmatismo” di Willermoz (che fu ardente cattolico) e di una Stretta Osservanza Templare ormai allo sbando, ma pur sempre fedele alla sua impostazione militare.
Si crea così un Ordine massonico in quattro gradi, da cui si accede ad un Ordine interiore di ispirazione cavalleresca e cristiana, sia pure rinunciando alla discendenza Templare millantata da Von Hund. Per quel che qui interessa, segnaliamo l’esistenza dei gradi segreti di “Cavaliere Professo” e “Cavaliere Gran Professo”[5], dedicati all’approfondimento delle dottrine martineziste: sulla base di tale nomenclatura è verosimile che, con l’accesso a quest’ultima classe di cui non conosciamo i rituali di ricezione, il Cavaliere Beneficiente “prendesse i voti”, come il novizio che si accinge ad entrare in un Ordine religioso[6].
Il regime rettificato aveva senz’altro molti pregi, tra cui un orientamento dottrinale di fondo ben definito, esplicato in termini meno allegorici a coloro che arrivavano alla classe segreta; vi sono però dubbi che Willermoz sia riuscito in questo modo ad assicurare la continuità di quel culto primitivo dei R+ che egli praticò per tutta la vita, arrivando a vedere i “passi” diversi anni dopo la morte di Martinez. In una lettera del del 12/10/1781 ad Hesse-Casselle, Willermoz è piuttosto esplicito: «Per quanto riguarda le istruzioni segrete, scrivendo il mio obiettivo era quello di risvegliare i massoni del nostro sistema dal loro sonno fatale, per far loro sentire che non è invano che sono stati sempre entusiasti nello studio dei simboli, che con il loro lavoro e con una maggiore assistenza possono aspettarsi di squarciare il velo. Di riportarli allo studio della loro stessa natura, per far loro percepire il loro lavoro e la loro destinazione. Infine, di prepararli a voler diventare uomini. Legato in parte dai miei impegni, e trattenuto dall’altra dal timore di fornire alimento a una curiosità frivola o eccitare l’immaginazione se gli si presentassero dei piani di teoria che annunciassero una pratica, mi sono visto obbligato a non fare alcuna menzione e addirittura a non presentare che un quadro molto abbreviato della natura degli esseri, delle rispettive relazioni e delle divisioni universali»[7].
A prescindere dalla sopravvivenza delle rituarie imposte da Martinez agli Eletti Cohen, i rituali del Rettificato che abbiamo visionato presentano un carattere marcatamente religioso (per certi versi devozionale), legato ad un’accettazione del Divino per fede più che per esperienza, cui si sommano i rispettabilissimi doveri di carità e beneficienza impliciti nel titolo dei cavalieri. Malgrado ciò, neppure i Cavalieri Beneficienti furono insensibili al “fenomeno” dell’epoca, a quel magnetismo che sedusse lo stesso Saint Martin: basti pensare che fu proprio Willermoz a fondare una “Società degli Iniziati” (S:. I:.) sulla base delle istruzioni dettate da un “agente incognito”, che poi si sarebbe rivelato essere la medium Marie-Louise de Monspey. La Società peraltro ebbe vita breve (dal 1785 al 1788), dato il carattere fortemente contraddittorio e sconclusionato dei “messaggi”[8]; resta però, come retaggio di questa esperienza, l’apparizione del monogramma S:. I:., destinato ad una grande celebrità con l’avvento dell’Ordine Martinista di Papus.
3. Il “Ministero dell’Uomo-Spirito” e la Società degli Indipendenti
L’Ordine Papusiano non avrebbe peraltro avuto vita senza l’opera infaticabile (anche dal punto di vista editoriale) di Louis Claude de Saint Martin, altro luminoso discepolo di Martinez. È nota la crescente perplessità di Saint Martin di fronte alle peraltro estenuanti rituarie Cohen, perplessità che non tardò a manifestare al suo stesso Maestro. Salito all’Oriente Eterno Martinez de Pasqually, Saint Martin prosegue con rinnovato vigore il suo apostolato laico, istruendo discepoli in tutta Europa pur senza strutturarli in un ordine vero e proprio. Il perché lo spiega lui stesso: «La mia setta è la Provvidenza, i miei proseliti, sono io; il mio culto, è la giustizia»; ovvero ancora «La sola iniziazione che cerco con tutto l’ardore della mia anima è quella attraverso cui possiamo entrare nel cuore di Dio e fare entrare il cuore di Dio in noi, per creare un matrimonio indissolubile, che ci renda l’amico, il fratello e lo sposo del nostro divino riparatore».
Noi siamo convinti della veridicità di queste parole; tuttavia, merita un cenno un curioso romanzo iniziatico – “Il Coccodrillo o la guerra del bene e del male” – pubblicato dal Filosofo incognito nel 1799, pochi anni prima della sua morte. Nella vicenda un ruolo preponderante è affidato ad una misteriosa Società degli Indipendenti (ancora S:. I:.), i cui membri si incontrano solo in astrale e combattono le forze del male usando lo strumento della preghiera. Il capo visibile di questa strana Società – in cui ciascun membro è invero una società a sé stante – è Madame Jof, che per inversione diventa “Foi” ovvero “Fede”. Anche Eleazar, mago ebreo che interviene a supporto della fazione buona, alla fine verrà ammesso nella Società, e potrà così fare a meno dei suoi strumenti magici. Difficile non pensare a Martinez de Pasqually.
Ed ecco, dalla penna di Saint Martin, il cerimoniale di ammissione: «Eleazar, Eleazar, voi siete ammesso alla Società degli Indipendenti. Il lavoro che deve essere compiuto e che dovrete dirigere, richiede che questo rango vi sia accordato e tutto quello che avete dovuto patire fino ad oggi costituisce il titolo che ve lo ha fatto ottenere; perché in questa Società sono le opere che ne sollecitano l’attenzione, nello stesso modo in cui è la saggezza che, facendosi sentire intimamente e annunciando quali opere sono degne di ricompensa, prepara tutto il cerimoniale di ammissione. Non ho altre istruzioni da darvi. La vostra nuova dignità porta con sé ogni chiarimento e la conoscenza di tutto quello che dovrete fare in ogni momento».
Da quanto sopra pare di poter intravedere le linee essenziali di quello che più avanti Saint Martin definirà, nella sua ultima opera, il “ministero dell’Uomo-Spirito”, attraverso cui l’Uomo di desiderio «può migliorarsi e rigenerare se stesso e gli altri, restituendo la Parola o il Logos all’uomo ed alla natura. È in questa parola che l’autore, pieno della dottrina e dei sentimenti di Jacob Böhme, attinge la vita di cui anima qui i suoi ragionamenti ed il suo stile: ragionamenti miranti a rinnovare il proprio pensiero, in modo che dalla sua forma dialettica, in cui da tutti viene comunemente usato, possa esso ritrovare la sua luce originaria, e che, come accadde a Teseo con il filo di Arianna, consenta la risalita dal labirinto della mente alla soglia della Libertà della spirito, eliminando così, per usare i suoi termini, l’opposizione della causa inferiore alla causa superiore»[9].
Non è dato sapere se questa Società sia mai stata istituita dal Fil. Inc. o da qualche suo allievo, o magari semplicemente da qualche suo lettore intraprendente: fatto sta che nel 1882 il giovane Papus riceve per imposizione delle mani una imprecisata iniziazione martinista, contrassegnata da «due lettere ed alcuni punti»: di nuovo S:. I:.. Sul significato di questo monogramma molti si sono esercitati, ma per quanto si è appena detto esso ha, per noi, un’origine ben precisa.
Sia quel che sia, il sacerdozio dell’Uomo Spirito differisce da quello del R+ solo in relazione alle tecniche da usare, dacchè lo strumento proposto dal Filosofo Incognito non è più il “culto”, bensì la “preghiera”: «Purificati, chiedi, ricevi, agisci, tutta l’opera è in questi quattro tempi». In due testi postumi («Frammenti d’un trattato sull’ammirazione» e «La Preghiera»), Saint Martin sottolinea che la preghiera permette di sperimentare verità che la conoscenza e lo studio non fanno che mostrare. Si tratta naturalmente della preghiera di contemplazione, che ci fa partecipare ai misteri divini[10] trascinandoci in «questo magismo divino che è la vita segreta di tutti gli esseri».
Tale partecipazione al mistero della Creazione, Saint Martin la chiama “ammirazione”, considerandola un nutrimento essenziale al punto che «l’anima dell’uomo non può vivere che d’ammirazione». Il Fil. Inc, ritiene di rendere loro un gran servizio, incitando gli uomini a «fissare i loro sguardi su un tesoro abbondante che è sotto le loro mani, che può procurare delle luci alla loro intelligenza e dei godimenti al loro essere essenziale: in una parola, sull’ammirazione».
Se la preghiera dava dunque luogo a lunghe invocazioni e giaculatorie con Martines, quella di Saint-Martin si preoccupa poco delle parole: è il cuore che dobbiamo romperci, non la testa. Dalla ferrea logica dei cerchi operatori martinezisti si passa al puro slancio del nous (intelletto intuitivo) e del cuore dell’Uomo di Desiderio, secondo una rotta già tracciata, tra gli altri, da Ermete Trismegisto: «Tu sei santo e più forte d’ogni potere, Tu sei santo e più grande d’ogni maestà, Tu sei santo e sopra a ogni lode. Ricevi il puro sacrificio verbale dell’anima e del cuore che sale verso di te, o Indefinibile, Ineffabile, che il solo silenzio può nominare»[11].
L’ammirazione per il Fil. Inc., sulla scorta del suo secondo Maestro il Venerabile Jacob Böhme, consiste in sostanza in un distacco dalla volontà umana creaturale, per lasciar circolare la volontà divina, la Parola: il ministero dell’Uomo Spirito non è altrove se non nell’aprire il proprio cuore per lasciarvi entrare colui che non domanda che di entrare nel suo santuario, il cuore dell’uomo. In questa comunione, non è più l’uomo che prega Dio, ma Dio che prega nell’uomo.
«Il cristianesimo – prosegue coerentemente il Fil. Inc. – è il compimento del sacerdozio di Melchisedec; è l’anima del Vangelo, è esso che fa circolare in questo Vangelo tutte le acque vive di cui le nazioni hanno bisogno per dissetarsi». Questo sacerdozio, nel Fil. Inc come in J. Böhme, è opposto a tutte le chiese esteriori: «Il cristianesimo può essere composto solamente dalla razza santa che è l’uomo primitivo, o dalla vera razza sacerdotale. Il cattolicesimo, che si basa particolarmente sulla messa, non era al momento dell’ultima Pasqua del Cristo, che ai gradi iniziativi di questo sacerdozio, perché quando il Cristo celebrò l’Eucaristia con i suoi apostoli, e disse loro: “Fate ciò in memoria di me”, essi avevano già ricevuto il potere di scacciare i demoni, di guarire i malati, e di resuscitare i morti; ma non avevano ancora ricevuto il compimento più importante del sacerdozio, poiché la consacrazione del sacerdote consiste nella trasmissione dello Spirito santo, e lo Spirito santo non era ancora stato dato, perché il riparatore non era ancora stato glorificato (Giovanni: 7, 39)»; «Il cristianesimo diviene un continuo accrescimento di luci, fin dall’istante che l’anima dell’uomo vi è ammessa; il cattolicesimo, che ha fatto della santa cena il più sublime e l’ultimo grado del suo culto, ha lasciato i veli estendersi su questa cerimonia, ed anche […] ha finito con l’inserire nel canone della messa i vocaboli “Mysterium fidei”, che non sono nel Vangelo, e che contraddicono l’universale evidenza del cristianesimo»; «Il cristianesimo appartiene all’eternità; il cattolicesimo appartiene al tempo»; «Il cristianesimo è la meta; il cattolicesimo, nonostante la maestà imponente delle sue solennità, e nonostante la santa magnificenza delle sue ammirabili preghiere, non è che il mezzo».
Gli fa eco Jakob Böhme, che fu tra l’altro perseguitato per tutta la vita da un pastore luterano: la sua opinione in materia di confessioni religiose è ancora più aspra. «Tutta la nostra religione consiste nell’apprendere come uscire dal dissenso e dalla vanità e rientrare nell’unico Albero, da cui deriviamo in Adamo, e che è Cristo in noi[12]»; «L’Anticristo è colui che afferma che Dio è al di fuori di questo mondo, così da poter lui stesso governare il mondo come Dio[13]»; «Per lungo tempo sono stati compiuti sforzi per trasformare una sgualdrina in una vergine, ma il suo essere di sgualdrina è stato solo adornato e incrementato. Se tale sgualdrina deve perire, allora tutte le sette dovranno perire, insieme all’animale che lei cavalca, poiché esse sono tutte solo immagini della sgualdrina»[14].
4. L’Ordine Martinista come scuola di cavalleria cristiana. I legami con la chiesa gnostica e la questione della successione apostolica
Dopo la morte del Fil. Inc., per lunghi anni la tradizione Martinista resta nelle mani di Willermoz (che dopo la Rivoluzione francese riesce con fatica a rimettere in piedi i Cavalieri Beneficienti) e di sparuti gruppi di allievi diretti di Saint Martin; ma è come detto grazie a Papus se, alla fine del XIX secolo, i Martinisti vengono riuniti sotto il vessillo di un inedito “Ordine Martinista”.
Negli anni in cui riceve la citata iniziazione martinista, Papus è assai impegnato su vari fronti: giovane e brillante studente di medicina, membro critico della Società Teosofica, partecipa alle prime attività dell’Ordine Kabbalistico della Rosa Croce, insieme agli altri “compagni della ierofania”, tra cui Stanislas de Guaita e Joséphin Péladan. Tra gli scopi di questo augusto Ordine, troviamo testualmente «la lotta per rivelare alla teologia cristiana magnifici esoterismi di cui essa è piena a sua insaputa». Si tratta insomma di far rifiorire una tradizione occidentale, la cui sopravvivenza è minacciata non solo dal materialismo imperante e dai dogmi della chiesa romana, ma anche dalla “concorrenza interna” dell’esoterismo orientale; da qui l’idea di un Ordine Martinista come cerchio esterno, come brodo di coltura in cui selezionare i Rosacroce.
Con la morte di de Guaita nel 1897 come noto l’OKRC subisce un rapido declino, mentre l’Ordine Martinista conosce un’evoluzione decisiva anche grazie all’incontro di Papus con Maitre Philippe, uno straordinario adepto naturale che lo convince a mettere in un angolo i suoi dotti studi di magia a favore della Via Interiore già tracciata, tra gli altri, da Jacob Böhme e da Louis-Claude de Saint Martin[15].
I dottori della legge – che nel nostro ambiente non mancano mai – storsero e storcono tuttora il naso di fronte alla “Via Cardiaca” seguita da Papus, che osserva: «Giovanna d’Arco non aveva mai letto un trattato di strategia né visto un campo di battaglia, ma sconfisse al suo primo tentativo i più grandi strateghi del suo tempo! Come può essere? È abbastanza semplice: perché si arrese completamente alla Volontà Divina […] Il percorso di sviluppo spirituale è semplice e diretto: “Vivi sempre per gli altri e mai per te”,” Fai agli altri ciò che vorresti essere fatto a te”,” Non parlare o pensare mai male degli assenti “,” Fai ciò che è difficile prima di fare quello che ti piace “; queste sono alcune delle formule del cammino mistico che conduce all’umiltà e alla preghiera».
In effetti Papus, come già Saint Martin, ricevette comunque un’ordinazione sacerdotale, non negli Eletti Cohen bensì nella Chiesa Gnostica, di cui fu acceso promotore: a consacrarlo Vescovo fu Jules-Benoît Doinel – anch’egli martinista – fondatore della Chiesa Gnostica moderna, di cui fu Patriarca con il nome di Valentino II. La summa teologica della Chiesa Gnostica è così riassunta in questa risposta, contenuta nel Catechismo della Ecclesia: «sono Gnostico Valentiniano. Ho il Pleroma per Padre, Christo per Salvatore, Simone e Valentino per dottori, Elena e Sophia per appoggi, e attendo l’avvento di Nostra Signora Pneuma-Agion, l’Eterno Femminino».
I legami tra l’Ordine Martinista e la Chiesa Gnostica furono dunque particolarmente forti sin dal principio, e si rinsaldarono negli anni a venire: Jean Bricaud (1881-1934), che era stato consacrato vescovo gnostico nel 1901, era al tempo stesso anche Gran Maestro dell’Ordine Martinista e del Rito Antico e primitivo di Memphis-Misraim. «Dal 1913 Bricaud decide di utilizzare una carta in più. Nell’ambiente delle “piccole Chiese” si considera importante detenere una linea di successione apostolica considerata valida secondo i criteri del diritto canonico cattolico. Il 21 luglio 1913 Bricaud riesce a farsi consacrare vescovo da Louis-François Giraud (1876-1950), che a sua volta era stato consacrato nel 1911 da Julien-Ernest Houssay (1844-1912), noto nel mondo dell’occultismo come “Abbé Julio”, la cui linea di successione apostolica risaliva a Joseph-René Vilatte (1854-1929), il quale era stato consacrato a Ceylon nel 1892 da tre vescovi della Chiesa siro-malankarita, i cui ordini sono riconosciuti come validi dalla Chiesa cattolica. Alla morte di Bricaud, Constant Chevillon (1880-1944) viene eletto suo successore»[16].
È questa la genesi del “trittico sublime”, che sarà continuato dopo il secondo conflitto mondiale da Dupont e Ambelain: il Gran Maestro dell’Ordine Martinista è sovente al tempo stesso Patriarca della Chiesa Gnostica e del Rito Antico e Primitivo di Memphis-Misraim. Il legame con la chiesa gnostica è del resto testimoniato dal fatto che in un messale gnostico è presente la preghiera di protezione per l’Ordine Martinista. Negli anni a seguire, l’intreccio tra Gnosi e Martinismo ha avuto fortune alterne, per volontà di entrambe le parti, ma il legame di fondo resta forte.
5. Conclusioni
Alcune società iniziatiche si propongono l’erezione di templi alle virtù e prigioni al vizio, altre hanno per mira l’elevazione ed il progresso della società umana, altre ancora promettono poteri straordinari, le più miserabili promettono semplicemente potere: il Martinismo, per parte sua, si propone la riconciliazione dell’uomo col suo Creatore al fine della sua completa rigenerazione e reintegrazione nello stato edenico. Non è forse un compito sacro, così luminosamente divino e così intimamente umano?
Tale è, a nostro parere, il filo rosso che lega i Superiori Incogniti di oggi ai R+ di Martinez, a prescindere dalle tecniche e dalle differenze amministrative: ed è precisamente in questo senso che il Martinista è chiamato ad essere sacerdote, pontefice tra l’assoluto ed il relativo, immagine del Dio degli esseri.
[1] Si veda il notissimo Discorso di Ramsay, che peraltro non menziona mai i Templari ma solo i Cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme o – più genericamente – i Crociati.
[2] Ovvero Vaisya, Ksatriya e Brahmin.
[3] Questa faticosa evoluzione è testimoniata dalle “scale” di tutti gli Ordini più spiccatamente spiritualisti, tra cui merita una menzione il Rito Antico e Primitivo di Memphis-Misraim: nella sua forma moderna troviamo infatti dapprima i gradi simbolici ed il cosiddetto “Rito Adonhiramita” (4°-14°), poi i gradi cavallereschi comuni al RSAA (dal 15° al 19° e dal 21° al 33°, il 20° essendo il “Cavaliere Templare” della Stretta Osservanza), ed infine la serie gnostico-ermetica (l’episcopato gnostico al 66°, seguito dagli Arcana Arcanorum).
[4] V. La teurgia dei Cavalieri Massoni Eletti Cohen dell’Universo, a cura di O. La Pera, Firenze Libri, 2004, p. 124.
[5] I gradi complessivi sono dunque 8, che è anche il numero del Cristo secondo Martinez de Pasqually.
[6] È peraltro interessante notare come, mentre nei Cohen ai candidati veniva richiesta un’esplicita confessione di fede cattolica, nel Rettificato era sufficiente professarsi cristiani: il che si spiega con la presenza della componente tedesca protestante.
[7] «Quant aux instructions secrètes mon but en les rédigeant fut de réveiller les maçons de notre régime de leur fatal assoupissement ; de leur faire sentir que ce n’est pas en vain qu’on les a toujours excités à l’étude des symboles, dont par leur travail et un plus de secours ils peuvent espérer- de percer le voile. De les ramener à l’étude de leurs propres natures; de leur faire entrevoir leur tâche et leur destination. Enfin de les préparer à vouloir devenir hommes. Lié d’une part par mes propres engagements, et retenu de l’autre par la crainte de fournir des aliments à une frivole curiosité ou de trop exalter certaines imaginations si on leur présentait des plans de théorie qui annonceraient une Pratique, je me vis obligé à n’en faire aucune mention et même à ne présenter qu’un tableau très raccourci de la nature des êtres, de leurs rapports respectifs ainsi que des divisions universelles».
[8] Ricordiamo che Saint Martin scrisse “Ecce homo” nel 1792 proprio per mettere in guardia contro queste manifestazioni paranormali.
[9] Dall’introduzione a “Il ministero dell’Uomo spirito” a cura di O. La Pera, MIR, su http://www.philosophe-inconnu.com.
[11] Così la splendida invocazione che chiude il Pimandro, e che viene utilizzata anche al l’apertura dei lavori in primo grado nel Rito di Memphis-Misraim. Sarebbe molto interessante confrontare le opere del Fil. Inc. con i trattati del Corpus Hermeticum: si troverebbe una coincidenza sorprendente di tematiche e perfino stilistica.
[12] Rigener., VIII, 2.
[13] Tre Princ. IV, 22.
[14] Myst. Magn. XXXVI, 69.
[15] Si veda http://www.maitrephilippe.it.
[16] Tratto da www.iltibetano.com.