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    L’airone dal ventre bianco e dalle piume grigie, dal lungo becco grigio e senza il ciuffo in testa, nel contesto della simbologia esoterica egizia ha una sua connotazione peculiare e non va assimilato al più noto simbolo della fenice (Benu) che invece ha il ciuffo in testa e anche sulla coda. Quest’ultima, come ho annotato in altro articolo si relaziona alla precessione equinoziale nella trasfigurazione luminosa relata al fuoco solare del primo tempo, nel quadro della cosmologia egizia; l’airone invece ha connotazioni lunisolari e la sua luminosità ha splendore terreno e destino di potere attuale.

    La parola egizia che lo identifica è Shenty, che è a sua volta molto vicina a Shent – ur, voce che nei dizionari è tradotta con il significato temporale di “apertura di un ciclo”. Proprio questo riferimento temporale della parola Shent ritorna nel campo di radianza dell’airone egizio. Leggiamo la Formula 84 del Libro dei Morti: <   Formula per operare la trasformazione in airone Shenty> nel contesto della quale l’Osiride, che incarna il cammino dell’uscire al giorno, dichiara: ” Sono progredito per tappe, mi sono fermato ad Hermopoli, ho incontrato gli dèi sulla loro strada, io abbraccio quelli della Terra dei Sicomori[1]. La rinnovata potenza in atto dell’Osiride si conclude con la dichiarazione: “Io conosco il dio Heka.” Nel contesto del Libro dei Morti questo dio maneggia una treccia magica con la quale avvolge le sequenze delle tappe di rigenerazione. Heka infatti è detto: ” Colui che anima l’Enneade divina”. A questo punto entriamo nel merito della numerologia del Libro dei Morti e nuovamente, come già per la Formula 125, registriamo una sequenza coerente di evidenze.

    La prima è che per cicli settenari si dà la trasformazione in fenice, come dalla Formula 83: <Formula per compiere la trasformazione in Benu>. “Io sono i quattro Ieri[2] di questi sette urei che hanno preso forma nell’amenti[3].”

    La seconda è che se intrecciamo con il dio Heka, per cicli settenari sopra citati, il cammino dell’airone Shenty con le dodici ore magiche preposte ai rituali, otterremo 7×12= 84; 84×4=336. Ora diremo che questo numero è compiutamente rivelato nella tradizione tantrica nella quale si annoverano 84 maha-siddha, maestri illuminati, testimoni dell’immortalità fisica in un corpo trasfigurato (kaya-sadhana) con allusione esplicita alla coltivazione di un corpo virtuale, che avrebbe avuto dimora, secondo l’Aryabhatya – trattato di astronomia del IV secolo – a Siddhapura, la Città degli Adepti, nella quale sorge un sole sovratemporale che ruota su quattro assi ortogonali, intesi quale ipostasi prima del tempo, in un mandala in chiave sessagenaria in cui il sole si unisce alla luna e che ha rapporto con il numero 5, numero del mutamento.

    Infatti 84×4=336, numero che corrisponde ai giorni delle lunazioni, tradizionalmente di 28 giorni, che in ragione dei 12 mesi di un anno rituale (12×30=360) sono 28×12=336. Quindi 336×5 = 1680; 1680/28= 60. Plutarco, che fu sacerdote a Delfi, in “Iside e Osiride, 74” annota: “Questo numero  corrisponde alla prima unità di misura impiegata nello studio dell’astronomia”.

    Questa evidenza di un computo lunisolare, che si rinnova per altra cultura, riporta in ambito egizio una comprensione meno velata, dato per certo che anche in Egitto gli astronomi dell’epoca consideravano un mese lunare di 28 giorni. E di ciò riferisce Plutarco, in “Iside e Osiride, 63”. Citiamo ancora un’analogia riguardante la simbologia delle penne frammiste degli animali simbolici annotata  da  Plutarco  in   “Iside e Osiride, 75”  : “Nell’Ibis la distanza fra una zampa e l’altra in relazione al becco forma un triangolo equilatero; inoltre la varietà delle penne bianche e nere e il loro rapporto di mescolanza riproduce il primo quarto di luna”.

    Sappiamo che l’Ibis è sacro a Thoth, dio preposto al calcolo e capo della Città degli Otto, Ermopoli, nella quale quattro coppie di deità animano gli assi cartesiani che la costituiscono. Ne consegue che l’airone Shenty, che si manifesta alla Formula 84 del Libro dei Morti nelle sue connotazioni lunisolari, rimanda ad un ambito di manifestazione terrena la cui manifestazione ci è dato attuare in un vero e proprio mandala[6] animato dai numeri delle città magiche di Ermopoli – per chiave ottonaria – e poi di Eliopoli – per chiave novenaria -, connesse mediante la treccia del dio Heka, e di cui parleremo successivamente. Ancora una volta i riscontri incrociati tra simbolo e numero svelano i rapporti che animano le tappe del cammino dell’Osiride espresso nel Libro dei Morti o Libro delle Formule per uscire al giorno, che ripropongono la lettura del testo egizio in chiave di testo iniziatico il cui compimento dei riti, alle scadenze attese dei miti, ha valenza terrena.

    Umberto Capotummino

    – Tratto dal libro “L’occhio della Fenice” di Umberto Capotummino – Sekhem Editore


    [1] Albero sacro che in alcuni papiri è rappresentato alimentare il defunto e in questa valenza luogo di manifestazione di Hathor [4] e Iside [5] con valenza rigenerativa.

    [2] Nome di uno dei due leoni che sorvegliano in coppia la rinascita del sole mistico: Ieri e Domani = Osiride e Ra.

    [3] L’al di là dalla luce velata.

    [4] Dea col capo sormontato di corna riferite alla sacra vacca che creò il mondo e il sole.

    [5] Sposa di Orsiride, figlia di Nut di Geb.

    [6] Parola sanscrita che indica un disegno, cui sono sottesi numeri, che rappresenti simbolicamente il cosmo.

    Umberto Capotummino

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