25° Giorno, IX mese, Anno V.·. L.·. 5999
25 Novembre 1999
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Via Francigena o Francesca, la strada che nasce dalla Francia.
E’ questa la denominazione di una delle più importanti direttrici europee di transito che si afferma nell’epoca carolingia, quando divenne la via più frequentata fra l’odierna regione francese e Roma.
Alle sue spalle c’erano le strade consolari romane, ma con la caduta dell’impero e le invasioni barbariche, le straordinaria rete viaria che da Roma si diramava verso ogni parte dei suoi territori, rimane priva della necessaria manutenzione e decade fino ad essere in gran parte impercorribile.
Poi giungono i Longobardi i quali, parallelamente alla loro espansione territoriale, sentono la necessità di un sicuro collegamento da Pavia, capitale del regno, con la Tuscia ed i ducati di Benevento e Spoleto. Nasce così la “Via del Monte Bardone” che scavalca la dorsale appenninica al passo della Cisa (Mons Longobardorum) per evitare le vecchie strade consolari romane, controllate in modo diretto o indiretto dai rivali Bizantini, ancora padroni delle coste liguri e della Romagna.
Ai Longobardi succedono i Franchi, i quali non fanno altro che prolungare oltre le Alpi la “Via del Monte Bardone”, da Pavia fino al mare del Nord.
Nasce così la “Via Francigena”, un termine che compare per la prima volta nei documenti del IX secolo e che da allora si impone per indicare non soltanto una strada particolare, quanto piuttosto una direttrice formata da quella maglia di diverse vie di comunicazione che rispecchia la dispersione sul territorio dei centri di potere, propria dell’epoca feudale. E’ infatti la “strada-territorio” o “area-strada”, cucita insieme dalla successione di diversi segmenti locali, chiamati spesso con nomi diversi e più o meno utilizzati nel corso dei secoli, a seconda delle situazioni ambientali e delle circostanze storiche.
Il primo documento che ci permette di ricostruire con sufficiente precisione il tracciato della Via Francigena, che fino al XIII secolo avrebbe costituito la principale arteria terrestre fra l’Europa continentale e la penisola italiana, è il diario di Sigerico redatto nel 990. Nominato Arcivescovo di Canterbury, dopo essere stato per cinque anni Vescovo di Wiltshire, Sigerico – come del resto tutti i suoi colleghi a partire dal IX secolo – è costretto a recarsi a Roma in pellegrinaggio per ricevere dal papa la relativa investitura, cioè una semplice veste di lana ornata dalla croce: il pallio. Ed eccolo quindi in marcia, a piedi ed a cavallo, verso la sede del papato, presumibilmente con al seguito un folto gruppo di prelati e funzionari.
Molti lo avevano preceduto, tanti lo seguiranno per quella strada, per i più svariati motivi: monaci missionari, re ed imperatori, commercianti e semplici pellegrini. Nel Medioevo, l’abbandonare la propria casa ed intraprendere il “cammino del cielo” verso i luoghi più santi della cristianità (Santiago de Campostela, Roma, la Terrasanta) era infatti un fenomeno sociale.
C’è chi si mette in cammino verso Roma per redimersi da una colpa attraverso la sofferenza quotidiana, chi lo fa per guadagnarsi le indulgenze e chi infine perché è costretto dalla giustizia per espiare una pena. Li si riconosce dal loro tipico abbigliamento, una vera e propria uniforme che veniva benedetta e consegnata alla partenza in una sorta di cerimonia di investitura: il cappello con la falda rialzata davanti e legato sotto il mento, l’ampio mantello con il cappuccio (pellegrina), il nodoso bastone con il puntale di ferro (bordone), una borsa di pelle gettata sulle spalle (scarsella).
Esiste in questo periodo una mobilità insospettata. Assieme ai pellegrini, ai ricchi a cavallo ed ai poveri a piedi, circolano carovane di asini e muli dei mercanti che trasportano materie prime, manufatti e anche, apprezzatissime, reliquie di cui esiste un lucroso commercio. Si realizza così una rete di rapporti che lungo la Via Francigena lascia traccia nella lingua, nella toponomastica, nel costume quotidiano, nell’arte civile e religiosa, nel culto. Basti pensare alla diffusione dell’immagine di santi legati in qualche modo a storie di strade, di ponti e di fiumi e, come tali, considerati patroni dei pellegrini (San Donnino, San Cristoforo, San Giacomo).
Le strade si costellano di ospizi, spesso fortificati (gli ospedali, dal latino hospes, cioè ospite), gestiti in un primo tempo da ordini religiosi nati proprio a scopo assistenziale, come i Templari, i Gerosolimitani, i frati dell’ordine del Tau di Altopascio, nei quali i pellegrini vengono ospitati gratuitamente. Ad essi si vengono poi ad aggiungere privati proprietari di alberghi e locande che offrono ristoro a pagamento, soprattutto ai ricchi mercanti di passaggio.
Ritornando a Sigerico, non sappiamo nulla del suo viaggio di andata a Roma, se non che, una volta lì giunto ed aver visitato i due giorni ben 23 chiese, viene ricevuto dal papa Giovanni VI. Dopo l’investitura l’immediata partenza, questa volta affidando l’incarico di appuntare le tappe del viaggio di ritorno ad un suo segretario, tappe forse corrispondenti ai luoghi dove, giorno dopo giorno, pernottava.
Questa scarno diario, trascritto in appendice ad un elenco dei papi del X secolo e conservato alla British Library di Londra, documenta per la prima volta il tracciato della Via Francigena, la principale via di collegamento fra l’Europa centro-settentrionale e l’Italia, almeno fino al XIII secolo.
La Via Francigena collega fra loro grandi città come Reims, Besançon, Losanna, Aosta, Ivrea, Pavia, Parma, Lucca, Siena, ma anche piccoli centri di provincia e sperduti paesi della campagna profonda, altrimenti privi di alcun luogo di aggregazione. Attraversa le piatte pianure della Francia e dell’Italia settentrionale, ma si svolge anche lungo le rive di laghi (Neuchatel e Ginevra in Svizzera, Bolsena in Italia) e di fiumi (la Marna ed il Rodano, il Ticino, il Po, l’Arno), scavalca le Alpi e gli Appennini ai passi del Gran San Bernardo e della Cisa e serpeggia nello straordinario ambiente delle colline, modellate dal secolare lavoro dell’uomo, dalla Serra di Ivrea ai monti vulcanici del Lazio. Incontra fastose cattedrali gotiche e piccole pievi romaniche, grandi aree archeologiche, come quella di Martigny, di Aosta e di Luni, e più modeste testimonianze del passato, dolmen e menhir preistorici, tombe etrusche scavate nel tufo, tratti di selciato, pietre miliari, ponti dell’antica viabilità romana. E poi le espressioni artistiche ed i segni della devozione con le figure dei santi universalmente presenti, i “Volti Santi” da contemplare, i “labirinti” incisi nella pietra, simboli della difficoltà del cammino.
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Se la meta fosse più importante del cammino, la morte sarebbe più importante della vita. Per questo la Via Francigena è essa stessa una meta: non è importante dove essa conduca, ma lo spirito che pervade il pellegrino che la percorre, la tensione che spinge il viandante verso il fine.
Da sempre l’uomo si è inventato mete irraggiungibili, si è creato fini al di sopra delle proprie possibilità. Conscio della sua finitezza ha eretto templi a ciò che lui identifica come “Infinito” e lo ha onorato con tutto se stesso nel tentativo, mai esauribile, di arrivare a capire, quindi conoscere, quel quid di ‘oltreumano’ che sente in sé.
L’arte in ogni sua forma, la filosofia, le religioni, la storia stessa sono testimonianza di questa ‘ricerca’, ansia costante di ogni spirito eletto, identificata in mille forme diverse, chiamata con mille nomi, secondo tempi e civiltà, ma tensione comune a toccare quel traguardo di conoscenza impossibile a raggiungere.
Qualunque fosse il motivo per cui si percorreva la Via Francigena, unico era lo spirito che spingeva ad intraprendere il viaggio: il desiderio di arrivare ad una meta ambita, che avrebbe elevato lo spirito oltre le terrene cose. E non solo: c’era anche il sentimento di comunione con i viandanti che insieme, e con fatica, la percorrevano.
In ogni itinerario, reale o metaforico, che l’uomo si accinge ad iniziare, egli si sente spinto dalla fiducia (fides) e dalla speranza (spes) di trovare il modo di migliorarsi, nonché confortato dalla presenza accanto a lui di suoi simili che camminano insieme e insieme condividono il progetto (caritas).
Da un punto di vista iniziatico, il Principe Rosa+Croce è il viandante della Via Francigena, come, del resto, ogni Massone. Il Fr.·. insignito del XVIII grado conosce il significato filosofico del grado che ha raggiunto ed è, allo stesso tempo, consapevole di vivere nel XXI° secolo.
La filosofia dei Principi Rosa+Croce, come si conviene al cammino della scala scozzese, si rifà a quella dei Templari e della Gnosi. Se è vero, come è vero, che tale filosofia chiama ad alti ideali quali l’eroismo, la difesa degli oppressi, l’affermazione della libertà, la ricerca della conoscenza, l’abolizione di ogni tirannide, è anche vero che il Rosa+Croce del 2000 deve dare un significato contemporaneo a questi ideali, come deve dare un’interpretazione contemporanea dei simboli del Sovrano Capitolo.
Si dice che la Luce nasce dallo scontro di idee differenti (E. Conseliet) ed è nel nostro pellegrinaggio che ci dobbiamo sempre confrontare con chi incontriamo durante il cammino.
Non è un camminare puramente fisico ciò che ci attende, perché prima di cingere le vesti del Pellegrino per andare da Settentrione a Mezzogiorno, da Oriente a Occidente, interrogare gli uomini, le religioni, i filosofi ed i monumenti, dobbiamo aver compiuto il viaggio interiore.
Se non siamo riusciti a lasciare lungo l’argine di un fosso il “vecchio uomo” delle nostre trasgressioni, delle nostre viltà anche se innocenti, dei nostri compromessi, sarà forse difficile giungere ai tre traguardi di Luce che attendono l’iniziato: Santiago – Roma – Gerusalemme.
Tutti i viaggi hanno bisogno di una strada e la via Francigena è una di esse. Ma per viaggiare, sia fisicamente e, più che mai, interiormente, occorre un punto di orientamento: una stella. Una stella che gli Ermetici individuavano nella Vergine Mistica (stella del mattino) che è contemporaneamente Nostra Madre e Mare Ermetico, che con la Verità ci conduce alla Saggezza. Il francese mère (madre) e mer (mare) sono, secondo la cabbalà fonetica, pronunciabili nello stesso modo e sono dello stesso genere femminile!
Ecco la gerarchia del pellegrino. “Nosce te ipsum”: conosci te stesso e compi il tuo viaggio interiore che ti riconduca all’Uomo Primigenio, all’Adam Kadmon.
Che cosa se ne fa l’umanità di un Dio che muore, o peggio ancora, di un Dio che vuole la morte del sua Figlio? Non è forse più bello un uomo della levatura di Gesù che muore come “uomo” e non come Dio, perché in Lui l’umanità possa riconoscersi e come Lui essere spinta a comportarsi ed a risorgere.
Gli Iniziati di tutti i tempi sanno della nascita di Gesù, ma a noi non interessa il riferimento storico o quello dei libri religiosi canonici ed apocrifi, ma quello del Salvatore che può e deve nascere nel cuore di tutti noi, sotto le forme del Sacro Nome, del Santo Graal, della Pietra Filosofale, della Parola Smarrita.
Per far nascere in noi questo Salvatore occorre però viaggiare, senza sosta, senza pigrizia, senza fretta, accompagnati dalla fiaccola della nostra intelligenza, alla scoperta di noi stessi, non come solo uomini, ma come emanazione di Dio.
Come l’antico pellegrino iniziava il cammino sacro col tipico abbigliamento già descritto, il viaggio rosa+cruciano è accompagnato dagli invisibili supporti che, nell’interpretazione simbolica, sostituiscono la pellegrina, il bordone e la scarsella. Le virtù teologali Fede – Speranza – Carità sono le compagne di tale viaggio. Esse sono intese ed interpretate secondo la filosofia massonica, non quale trasferimento automatico del significato teologico che il Cristianesimo ha loro conferito. Sono virtù teologali perché s’ispirano alla perfezione del G.·.A.·.D.·U.·., ma nell’interpretazione rosa+cruciana esse sono davvero le insostituibili compagne del pellegrino.
Con la Fede si deve credere fermamente a ciò che può anche non essere conforme né alla natura, né alla ragione, ma che possa comunque costituire elemento di concordia universale e vincolo di unità. Ciò che divide e lacera non merita di essere creduto oltre la natura e la ragione. Quante volte nel nostro cammino iniziatico abbiamo dovuto attingere a questa virtù per evitare lo smarrimento!
Con la Carità intendiamo la nostra incondizionata disponibilità all’Amore universale, lontano dall’ingannevole abbinamento del significato di elemosina. La carità si fonda sul diritto e la giustizia per conferire a tutti la dignità di essere uomini fatti a somiglianza di Dio. Anche per questa virtù, quante volte nella nostra vita avremmo preferito non costringere la nostra coscienza alla sofferenza di un amore difficile, ma liberarci dal nostro impegno massonico con l’elemosina e la delega ad altri. Il pellegrino è solo, non ha compagni nel suo viaggio, ma la carità gli apre tutte le porte, tanto è potente.
Infine la Speranza. Nel cammino rosa+cruciano la speranza non è mai acquiescenza o ignavia per la propria limitazione. E’ il desiderio intimo di accrescimento, motore agente che ci impedisce la disperazione; è l’impossibilità allo scoramento se l’erta del nostro viaggiare è aspra e desolata, è il sicuro antidoto alla paura per il nostro solitario peregrinare. La speranza è il nostro bordone al quale ci appoggiamo quando le bufere dell’esistenza agitano nubi minacciose attorno a noi.
Il nostro pellegrinaggio continua, sereno e protetto lungo questo itinerario sacro: la strada della Fede, della Carità, della Speranza, la Via Francigena della nostra esistenza, la via di quel cammino iniziatico che abbiamo deciso di intraprendere e proseguire.
Il Principe Rosa+Croce contemporaneo avrà dunque una profonda formazione iniziatica, che farà di lui un uomo nuovo, libero da schiavitù interiori. Attiverà un sistema di conoscenza di se stesso che gli permetterà di non accondiscendere alla mistificazione, con il coraggio di esporsi per quello che è e di combattere per quello che può.
Sovr.·. Capitolo dei Principi Rosa+Croce
Francesco di Marco Datini
Or.·. di Prato, Valle del Bisenzio