Esonet

    La Massoneria e il male

    Nell’ interregno tra  mondo profano e iniziato
    tra Antichi Doveri esoterici e moderne tentazioni exoteriche,
    una analisi metafisica della Sorgente del Male nel mito Massonico

    di Alberto Vallini

    Incipit

    Una parola sola, taumaturgica e risolutiva che, insorgendo in armi dal cuore di una tenebra immensa, si imponesse all’ attenzione al di là dei confini e senza ulteriori indugi: una parola unica, invulnerabile definitiva e spietata che, circonfusa da un’ aureola di bagliori e dal nitore inumano della folgore, dilaniasse il cielo delle incertezze e dei pregiudizii e si autocertificasse come prova invincibile!

    Galilea dei pagani!
    Il popolo che è nell’ oscurità
    Ha visto una Gran Luce;
    sì, sulla gente che è nel paese e nell’ ombra della morte,
    una Luce si è levata!

    ( Mt. 4,15)

    Una parola mi servirebbe, che erompendo dalla notte delle confessioni, si involasse aureolata e pura verso la diuturna luce della critica, e ivi si insediasse in modo che chiunque , guardandola, ne percepisse chiaro e abbagliante il carisma, e riconoscesse che Essa è giunta nient’altro che al posto che le compete e al seggio che le spetta : come l’incoronazione di un sovrano shakespeariano, fosca e corrusca sotto i lampi di un destino disvelato e greve.

    Dispongono i mortali di una simile parola? No.

    Eppure questo io cercavo prima di essere iniziato.

    Come avrei potuto fare per accreditarmi, e sperare nell’ ascolto di una parola ancora profana, che non era capace di qualificarsi subito come verace alle soglie della diffidenza che la accoglie?

    Un Cerbero feroce, un Guardiano della Soglia, un Copritore Interno e uno Esterno vigilano ognora sull’ andito racchiuso da Colonne immemoriali, e tutto quel che vi circola innanzi è suscettibile d’esser percepito come profano, irrimediabilmente profano: e le voci profane, se non possono pretendere di risuonare addentro al Tempio, tuttavia vi serpeggiano proterve dattorno, e con il sortilegio d’una malia cercano di circuire la sorveglianza, spiando l’ occasione propizia per insinuarvi un sussurro: e questo sussurro, essendo anch’esso profano, è implacabilmente destinato ad apparire sospetto, perché nessuno saprà predire se è latore di un veneficio.

    Perciò non v’è dubbio che tutto ciò che può coinvolgere la Massoneria nel Male, sembra giocarsi su questo interstizio e situarsi su questa soglia: nello scarto che La separa dal mondo non iniziato, nei possibili varchi di mutua “contaminazione” tra questi due livelli, in tutto quell’ interminabile teorema di reciproche incomprensioni o di inconfessate complicità che affliggono e tempestano questo delicatissimo corridoio di transito, e che da esso si ingenerano.

    Del destino e di altri dèmoni

    Nella notte della mia confusione e delle mie confessioni, prima della Iniz.·., io sapevo una sola cosa riguardo a chi fossi.

    Come l’Eremita delle Lame dei tarocchi, io sentivo, e tuttora sento, di appartenere ad un archetipo di tenebra, al mito di una nobiltà tutta riconfluita nell’intimismo, irriconoscibile ed inindividuabile: la mia tunica, il mio “grembiale” preiniziatico, erano quelli di un mendicante pellegrino che postula incessante battendo con infaticabile insistenza a portali kafkiani, che si snodano interminabilmente ed immancabilmente chiusi. E, ognora assorto dalla luminosità delle mie intenzioni e ognora risbalzato dalla Forza delle Cose alla oscurità delle mie condizioni, trasformavo, e tuttora trasformo i miei progetti in soliloqui magniloquenti e le mie parole in vaniloqui; e, incerto se dolermi di me o consolarmi lamentandomi degli oltraggiosi strali di una sorte avversa, pervenivo ed infine pervengo ad albergare in me le nequizie e le incoerenze di rivendicazioni shakespeariane:

    “Ma io,

    che evidentemente non sono conformato per questi dilettosi svaghi,

    né per far la corte ad uno specchio;

    io,

    che venni fuori da un rude stampo

    e che sono privo di ogni grazia

    per potermi perdere a pavoneggiare

    davanti ai fianchi d’una svenevole ninfa;

    io,

    che mi sento usurpato del giusto merito,

    che sono deforme, non finito, inviato fuori tempo

    in questo vorticoso mondo

    senza che fossi plasmato neppure a mezzo,

    con una forma così azzoppata e storpia

    che pure i cani mi abbaiano contro

    mentre mi avvio zoppicando assieme a loro;

    Ebbene io,

    in quest’ effeminato e sulfolevole tempo di pace

    non ho altra delizia che mi soccorra per trascorrere il tempo,

    se non che quella di spiare

    la mia ombra nel sole,

    per attendere che mi restituisca

    le prove

    della mia deformità.

    E così,

    dal momento che non riesco a fare l’innamorato

    né ad intrattenere questi bei giorni con la voce soave,

    ho deciso d’ assumere per contro la parte del cattivo,

    e di arrecare ogni sorta d’ ìnvido odio

    agli oziosi piaceri di questo tempo.

    Ed ho tramato

    Complotti di ogni sorta e

    pericolosissime

    premeditazioni, e col mezzo di

    profezie da ubriaco di calunnie e di sogni,

    sono risolto a mettere l’uno contro l’altro

    sbranati da odio mortale

    mio fratello,Clarence, ed il re.

    E quanto re Edoardo

    sarà giusto, altrettanto io sarò astuto falso e traditore.

    Questo è proprio quel giorno

    in cui Clarence diventerà un falco in gabbia

    grazie ad una centuria che dice che

    la lettera G

    sterminerà gli eredi di re Edoardo.

    Arriva Clarence!

    Presto, pensieri!

    Riconfluite profondi dentro l’anima mia! ”

    (bello,vero, Shakespeare, quando è letto così? dal Riccardo III)

    Voi conoscete qualche uomo, al di qua o al di là della soglia, a cui sia estranea questa esperienza? Perché è proprio questa universale esperienza di reiezione, quella che poi conduce al Grande Male.

    In questo senso, in senso negativo, non c’è spazio, non c’è interstizio, non c’è distanza: ma mondo profano e mondo iniziato continuano ad affrontare e a fendere le onde dello stesso titanico mare.

    Ma anche in un altro senso, in un senso positivo, il confine sfuma, e sembra non esserci più spazio, interstizio, divorzio.

    Al dio sconosciuto

    Negli anni ’60 v’ era chi credeva che Dio fosse sovietico, o comunque marxista. Ma no, gli si rispondeva: è americano!

    Ma è evidente che né un Dio né un G.·.A.·.D.·.U.·. si scomodano a creare un universo o un ordine ad usum delphini, perché in tal caso non amministrerebbero più un universo o un ordine, ma dei Favoriti: e un dio che possieda dei Favoriti e non dei credenti, non è un dio ma un idolo.

    Qualcuno fra di noi sarebbe così sprovveduto da conferire venerabilità ad un Totem? Direi proprio di no.

    Pertanto è ovvio che (così andavo peraltro riflettendo prima d’essere iniziato, mentre ero sospeso nel vero interregno) seppur io non conosca ancora la Fisionomia, il Volto, e gli Attrezzi del G.·.A.·.D.·.U.·., pure Egli deve conoscere me, e se io oggi officio al dio ignoto (mi dicevo) pure è possibile che il Suo nome sia G.·.A.·.D.·.U.·.

    Ma se è così,

    “Vocatus atque non vocatus deus aderit”

    (Oracolo di Delfi. Il F.·.lo C.G. Jung peraltro fece incidere questo motto sulla sua porta di casa)

    con un nome o senza un nome, Dio manifesterà la Sua Forza!

    E con un nome o senza nome anche io, prima di essere iniziato, pensavo di essere un Attrezzo del G.·.A.·.D.·.U.·. : un attrezzo ancora riposto in una custodia e per allora non ancora impiegato in una Officina, ma non per questo figlio di un daimon eracliteo minore.

    L’Apprendista Opportunista

    Una idea di Massoneria: questo è ciò che si fa un profano, ciò che si richiede ad un iniziando benchè egli  “cosa sa della massoneria?nulla“, e questo è ciò che si deve fare un Apprendista, benchè egli “non sa né leggere né scrivere“, e questo è ciò che deve avere un Maestro, affinchè in lui risorga davvero Hiram.

    In tal caso ci si potrebbe interrogare: quale è la mia, quale è la tua, la nostra idea di Massoneria?

    Occorrerà un attimo di pazienza.

    Sì, perché prima della mia, tua, nostra idea di Massoneria, viene la prima idea che in genere ci si fa di Massoneria. Il che è diverso.

    Infatti è proprio attorno a questa prima idea, inconfondibile quanto inconfessabile, che gravita tutto il Male con il quale la Massoneria viene accusata di non riuscire a confrontarsi.

    Quale sarebbe la prima idea che un Apprendista si farebbe, o viene comunque sospettato di essersi fatta, riguardo al suo ingresso in Massoneria? Quale sarebbe questo splendente ideale? Ma assolutamente nessuno, altrimenti non vi sarebbe tanta reticenza a confessarselo. Infatti la prima idea che viene in mente pensando alla Massoneria è (ve lo debbo rivelare?): opportunismo.

    Questa parabola è ben scolpita nelle menti dei profani (e probabilmente, scommetterei, anche in quelle di alcuni iniziati), benchè sia innegabile che una parte del discredito di cui la Massoneria italiana gode (perché, ve lo debbo rivelare? La Massoneria italiana gode di un discredito) è ascrivibile non ad una diffidenza per un interesse sospettato di corporativismo, ma ad una riprovazione per un interesse, reputato potente, che non ci corteggia.

    Ora, è ben chiaro che questo appare dantescamente “un parlar che mi parea nemico”: può darsi, cioè, che non sia da galantuomini  spiazzare le formule della cortesia in un modo così inopinato, con riferimenti malevoli ad un discredito che tuttora, rispetto al mondo profano, sussiste, e ad un movente, nel mondo profano e iniziato, che molti sono suscettibili d’ albergare, ma che tutti vogliono celare.

    Tuttavia, se è vero che “Quel che non vogliamo ascoltare ci casca lo stesso sulla testa, inascoltato” (Shakespeare, l’Enrico IV, mi pare) esperienza quest’ultima che molti FF.·. potrebbero confermare, è allora anche vero che ammettersi questa verità costituisce non un preliminare minaccioso, bensì fertile: perché situa il problema sul piano della sua vera radice. E, dal momento che “La benevolenza è incompatibile con la verità, e fecondo appare solo il dialogo muto con i nostri nemici”, come dichiarava quell’ oltranzista del nihilismo che è stato Cioran, motivo in più per sollevare questo sipario.

    Il Venerabile Opportunista

    Ora, come liberarsi da questa vocazione all’opportunismo, da questo incubo gradevole?

    E’ evidente che l’opportunismo ha connotati miserabili: infatti si pasce di briciole, di un “nonnulla grandioso” (Cioran): la raccomandazione per il nipotino, la (lecita, direi) facilitazione nello sveltire quella vecchia pratica impossibile, qualche piccola (meno lecita, direi) artefazione di un concorso per una persona non del tutto meritevole, e magari la delibazione di qualche piccolo abuso.

    Ma allora si fa palese che l’opportunismo implica una rassegnazione al basso cabotaggio. Infatti l’opportunista non fa il colpo del secolo, e chi fa il colpo del secolo non è un opportunista, ma un Mago. E quindi le grandezze morali dei due, pur essendo apparentemente collegate dalla avidità, sono e restano assolutamente incommensurabili.

    Nulla impedisce, certo, che una organizzazione che prevedesse al suo vertice il perseguimento del colpo del secolo, tollerasse poi alla sua base il brulicare degli opportunisti, de “le mene tra cortigiani e le lotte fra satrapi, in un clima ove le decisioni risolutive non vengono prese sulla base di motivazioni serie, ma sulla base di risentimenti da collegiali” (Max Weber).

    Ma è altrettanto inevitabile che, in una organizzazione siffatta, gli opportunisti arrivino poi a prevalere, a sopraffare, e a contaminare con la propria insignificanza la struttura tutta, pervadendola e trasformandola infine in un vero e proprio nido di veleni e di vipere.

    Mi intrattengo non a caso su queste considerazioni dal blando sapore sociologico, poiché credo che esse adombrino, in realtà, un fenomeno e un percorso tutt’ altro che apocalittici, bensì quantomai cogenti per la Massoneria: dacchè essi sembrano proprio esserne e descriverne le procedure che ne hanno avviato alcuni settori sulla strada di quella famigeratissima e cosiddetta “deviazione” che costituisce quanto di più spesso viene ostentato allorquando si vuole travolgere l’Ordine tornando a ricordarGli la virulenza del suo Male. (Deviazione? Da cosa?)

    Mi pare allora di parlare un linguaggio responsabile se dico che è proprio sotto questo risvolto che l’opportunismo va stanato in ogni quartiere e sgominato senza quartiere.

    Perché esso non costituisce solo una puerilità egotistica cullata da chi si sarebbe arenato su di un narcisismo di stampo pre-orale , idoneo ad interpretare il mondo e la realtà solo sulla base di livori infantili incapaci di mirare a creare e consolidare obbiettivi di elevato cabotaggio ; ma esso costituisce una forza addirittura capace di eclissare e far collassare anche il Male di elevato cabotaggio, il Male miltoniano, che se guardava a questi pargoli con l’ indulgenza di un Sovrano Luciferino al di là del bene e del male nella profondità delle sue macchinazioni, lo ha fatto solo per accorgersi a suo maggior danno che non erano pargoli bensì scorpioni, e che come tutti gli scorpioni essi ti pungono anche quando sono in mezzo al guado sulla tua schiena : e questo semplicemente “perché”, ti risponderanno candidamente secondo la celebre e ben nota fiaba “questo è nella loro” (fottutissima e miserabile aggiungo io) natura!!!

    Pensare e fare Massoneria

    Pensare e fare: politica, secondo Dahrendorf.

    Pensare e fare: il Massone.

    Ma nell’ambito politologico il pensare è un prerequisito, tanto obliato quanto indispensabile, strettamente funzionalizzato al fare.

    E’ pertanto insuscettibile di intrattenersi nell’ alveo del pensiero stesso per dilatarvisi fino ad ignire la nouminosità di un lume archetipico, di una luce intonsa che, assurgendo al rango di un nume tutelare insensibile ed indifferente al finalismo degli scopi, imploda nella mente  pervenendo a captarne tutte le energie e a richiamare da tutte le latitudini dello spirito i contingenti del pensiero in un Esodo drammatico e repentino.

    Così invece, proprio così, per la Massoneria.

    Giacchè la Massoneria appare essere prima di tutto, e forse esclusivamente, il palpito di un grande ed incessante riflettere, che una volta accesosi si autoalimenta e sembra mai più volersi  spegnere o placare.

    E’ esperienza quotidiana, credo, di ogni iniziato l’ accudire nel proprio intimo non tanto un pensare e rielaborare costante del cosa sia “Massoneria” e che cosa possa significare essere “Massoni”, bensì il condividere con altri FF.·. l’esperienza molto più acuta e sintomatica di sorprendersi con una impressione fin allora indecifrata ed innominata la quale, svaporando al calore della attenzione che finalmente le si rivolge, dissipa le nebbie che l’ avvolgevano per rivelare la presenza di un intero esercito di retropensieri, sottili e sottesi, perennemente intenti a pensare la Massoneria.

    Non v’è dubbio che siffatta fenomenologia, apparendo come l’esacerbarsi di un nostro squilibrio, sembri appartenere alla psicologia degli invasati, e partecipare delle ossessioni funeste dei fanatici.

    Tuttavia dovrà ammettersi che vi è in essa un connotato che non rende facilmente agibile l’ accesso alle risoluzioni liquidatorie di una simile interpretazione.

    E’ infatti evidente che il senso intimo e tepido del cullarsi ognora in tale astrazione, consiste nel fatto che essere o volersi Massoni è un qualcosa che trascende la mera appartenenza ad una categoria professionale, deontologicamente indirizzata in modo indefettibile verso finalità exoteriche, per essere piuttosto qualcosa che pertiene all’ esoterico, e che si qualifica in questa pertinenza e si differenzia dall’ altra ,da quella professionale cioè, solo in quanto, poiché e nella misura in cui, è idonea a coinvolgere e pervadere il sentimento di una identità personale ontologica e occulta: cioè che ci pervade secondo tutte le latitudini e longitudini. Un medico, quando rincasa, smette di essere un medico. Un Massone no: i fantasmi lo inseguono.

    In tal caso, essere e volersi Massoni, significa ripercorrere e rivedere ognora, come un Sisifo grato al suo destino, il significato ed il senso della appartenenza ad un etnos reale, vissuto come irriducibile e coeso. Dinamica, questa, della quale non può sfuggire la portata simbolica e auto-analitica. E’ infatti su questa chiave, su questa tonalità, che si innesta la possibilità mutua e sillogistica di poter crescere assieme alla Istituzione e non a dispetto o a danno della Istituzione. Perché il senso di appartenere ad un etnos che contribuisce alla definizione di una identità esoterica (e tutte le identità lo sono) implica l’ impossibilità che Esso prescinda da te e che tu possa prescindere da Lui, così come è impossibile che quella che viene ad essere una evoluzione personale, stimolata dalla appartenenza all’ Ord.·., possa poi non sortire retroazioni benefiche sull’Ord.·. stesso.

    Massoneria e religione

    Ed è anche qui che sorge e si determina la inevitabilità metafisica (trascurando cioè quella storica) della differenziazione dalla Chiesa cattolica.

    Essere Massoni infatti, se è vero quanto suesposto, non richiede affatto l’ abdicazione alle singolarità della propria individualità per sacrificarle alla impersonalità di un Dio protocanonico e inesorabile, ma al contrario postula l’ esaltazione di queste peculiarità fino alla determinazione di un firmamento di monadi animiche e fulgide, realizzate e compiute nelle loro Unicità, consistenti e compartecipi in tale stato alla gravitazione sinergica su un medesimo piano – o su una medesima volta Stellata.

    Come tali, si è Massoni completamente e al tempo stesso non lo si è affatto, perché non si è e non si resta altro che sé stessi. Ed è ovvio che una tale conclusione è munita di una tale forza grazie alla Verità sulla quale trasparentemente si poggia e si fonda, che se lo scontro con la Chiesa cattolica lascia aperta l’ insanabilità di un vulnus percepito come scandaloso e incurabile, al tempo stesso da tale ferita non si esala né si diffonde alcun panico destrutturante della propria personalità o del Grande Oriente, ma al contrario si consolida il sentimento di una autorità fattasi oramai adulta, perfettamente autoconsapevole e impavida, e come tale abilitata a trattare su di un piano paritetico con ogni altra Magnitudine esoterica.

    Ed è per questo che il Massone, pur potendo conservare il proprio credo religioso, non può esimersi, una volta nel T.·., dal riconoscere la presenza non di un dio, ma di un G.·.A.·.D.·.U.·..  Perché un dio non può che essere un dio e come tale geloso : sentite cosa diceva Cioran : “Il Cristo, si è sostenuto, non fu un saggio. Ne fanno testimonianza le Sue parole durante l’Ultima Cena: fate questo in memoria di Me. Ora, il saggio non parla mai a titolo proprio: il saggio è impersonale.Ammettiamolo. Soltanto, che il Cristo non ha preteso di essere tale. Egli si considerava un Dio, il che esigeva un linguaggio meno modesto: un linguaggio personale,appunto”

    Invece un G.·.A.·.D.·.U.·. non è un dio, è un architetto!

    Il Suo irrompere sulla scena non è costellato e coronato da un corteo di apoteosi, di santi militanti, di cherubini fumiganti, di crociati patentati, e di fedeli, bensì è un dispiegarsi felpato di allusioni asettiche e impersonali alla perfezione degli asintoti, alle purezze iperboliche, alle neutralità iperuraniche delle grandezze algebriche, alle tensioni leonardiane di parallassi alla china, alle ascese e al declino non di uomini e cattedrali, ma di parabole, e al tradursi silenzioso di seni in coseni, al quieto disquisire di analisi geometriche sottese su tavole millimetrate.

    Il che è esattamente quanto si impone come indispensabile allorquando ciò che si voglia perseguire non sia la abolizione o la mortificazione delle individualità, bensì il loro sviluppo e perfezionamento, in un contesto di parametrizzazioni idonee a garantire, con la loro anonima neutralità, la tutela da ogni coartazione e il libero dispiegarsi di qualsiasi valore si voglia ascrivere alla equazione.

    Per questo

    Gloria per il G.·.A.·.D.·.U.·.

    Grandezza per il M.·.V.·.

    e Geometria per tutti i FF.·.

    Per questo il G.·.A.·.D.·.U.·. è un “dio” che non fa rumore.

    E dico “per questo” perché  pensare che non ne faccia o -peggio- che non ne “debba” fare per qualche diverso motivo, significa solo avere confuso la invisibilità con il buio:

    “Gadshill <(.)noi commettiamo=”” delitti=”” i=””>

    come se fossimo a casa nostra, tranquilli e sereni:

    abbiamo la ricetta per camminare invisibili>

    Cameriere

    più che alla ricetta,

    se camminate invisibili>”

    (Shakespeare, stavolta senz’altro l’Enrico IV)

    Il fatto che sia così silenzioso sollecita infatti questo equivoco: che Egli taccia perché abbia qualcosa da nascondere, che si voglia invisibile per derubare bene, e che sia impalpabile per abusare anche meglio.

    E questo è certamente il frainteso più dozzinale di cosa sia il G.·.A.·.D.·.U.·. e dell’essere e volersi Massoni. Ancora una volta torna l’ ascrizione del male Massonico a questa radice, a una possibile contaminazione nel momento di contatto sul liminare tra sfera iniziatica e profana.

    Tuttavia, essendo un frainteso che promana dal G.·.A.·.D.·.U.·., sarebbe miope dire che non appartenga anche al G.·.A.·.D.·.U.·. e che chi lo postuli, sostenendo che tramite di ciò egli parteciperebbe alla credenza nel “G.·.A.·.D.·.U.·.”, dica con ciò anche il falso: infatti anche chi la pensa così crede al G.·.A.·.D.·.U.·. e dice la verità sul G.·.A.·.D.·.U.·.; e Vi crede e Ne dice la verità esattamente come sosteneva s. Giacomo, che possiamo citare giacchè nella nostra ottica sincretica noi non rifiutiamo alcuna religione bensì sono alcune religioni che rifiutano noi :

    “C’è chi dice che chi ha la fede può anche non compiere le opere degne della fede: ma allora mostrami come può esistere la tua fede senza le opere! Ebbene, io ti posso mostrare la mia fede per mezzo delle mie opere, cioè con i fatti! Ad esempio: tu credi che esiste un solo Dio? Fai bene: infatti anche i demoni cicredono, ed è perquestoche tremano di paura!”.

    Pertanto non ci sarà alcun bisogno, come con gli Ugonotti la notte di s.Bartolomeo, di “ucciderli tutti affinchè poi Dio riconosca i suoi”. Li possiamo riconoscere tutti noi.

    Dalle opere.

    Conversioni e rivoluzioni

    Quindi, a costo di acquisire una sfumatura pedante, ribadiamolo un’ ultima volta: volersi Massoni significa, istantaneamente ed immancabilmente, esporsi su di un piano ove si è vulnerabili al riduttivismo spregevole di un’ unica insinuazione (sempre la stessa,monotona) : che lo si farebbe per un non meglio precisato “interesse”.

    Ma così come è impossibile che possa esistere una struttura il cui obbiettivo consista unicamente nell’ elargizione sistemica di favoritismi ai proprii affiliati o ad acconsentire che essi glieli estorcano ( poiché una struttura siffatta non sarebbe in grado di autoalimentarsi tramandandosi nei secoli come fa la Massoneria, ma solo di esaurirsi, e di esaurirsi molto rapidamente) , altrettanto chiaro dovrebbe essere che il percorso intrapsichico che conduce alla maturazione di questa vocazione, segue una strada che con il riduttivismo non ha proprio nulla a che spartire.

    Chiunque di noi si fosse avvicinato alla Massoneria nutrendo un’ ottica espoliativa e opportunistica, avrebbe con ciò stesso ammesso di avere una visione molto ingenua ed angusta della propria vita.Infatti tale aspettativa implica ammettere che si è optato per una esistenza che si svolge non sul crinale del vivere ma su quello del sopravvivere, di una accidentalità ognora intenta a mendicare una agevolazione, votata a trascinarsi con espedienti nel regno dell’ episodico e dell’ estemporaneo, accerchiata dalle incertezze della occasionalità, plagiata dal perpetuo miraggio di un colpo di fortuna che assomiglia molto alla attesa del Messaggio dell’ Imperatore in Kafka. Forse i FF.·. possono anche prestare un soccorso, in caso di reale necessità: ma ricapitolare la Massoneria su tale piano, significa perdere la Massoneria.

    Viceversa, volersi Massoni in un’ ottica matura, non può che denotare la volontà di trovare e dare finalmente una canalizzazione complessiva e capiente (anche se, certo, non onnicapiente) alle proprie energie individuali, in modo da poterle veicolare verso una prosprettiva creativa strutturante e integrante.

    E la “fede”  che si può nutrire nella struttura corrisponde, a tal punto, alla traduzione sul piano affettivo del moto pulsionale di soddisfazione e commozione che si prova allorquando balena e saetta l’ idea di avere individuato quel che da così tanto si andava cercando: vox clamans in deserto.

    E’ evidente, in tal caso, che ci si trova di fronte alla vocazione, alla chiamata, alla metanoia.

    Allora è chiaro che la fase istruttoria e delibativa di un postulante alla Porta del T.·. viene ad essere, se possibile e per paradoxa, ancor più risolutiva, critica e cruciale della Iniz.·. stessa. Infatti la Iniz.·. non viene a porsi come altro che la formalizzazione e certificazione di una immanenza sostanziale preesistente alla Iniz.·. stessa, in assenza della quale l’ Iniz.·. non avrebbe più alcun significato se non che quello di sfoggiare una cerimonialità tanto sofisticata e suggestiva quanto frigida, poiché destinata a conservarsi incompresa nei suoi contenuti.

    Probabilmente non sarebbe del tutto ortodosso concluderne che la fase di postulanza, trovandosi su un liminare così decisivo, si muove anche su un confine quantomai ambiguo, popolato da chimere anfibie, laddove se con una metà si è ancora fuori dal T.·. e profani, con l’ altra metà si è già “dentro” e iniziati.

    Tuttavia alla delibazione spetta il riconoscimento di un requisito che la antecede, la cui indispensabilità è tale perché è destinata a conservarsi per l’ intero corso post-iniziatico: la sincerità della vocazione, la disponibilità alla esperienza di una rinascita interiore imminente, profonda e revulsiva, e con tutto ciò la implicita inferenza e l’implicito riconoscimento che l’iniziando apparteneva alla Massoneria, o meglio al mitologema che viene rappresentato dalla Massoneria, fin da un tempo misterioso, astrale e inaudito, che precedeva quello attuale e nel quale, forse, gli iniziati condividevano appieno la titolarità e la spiritualità di una massoneria ante-litteram.

    Questa conclusione appare irresistibile, seguendo l’ arco argomentativo predetto. Ma il suo portato consiste nel fatto che, essendo condivisibile, essa azzera l’idea di una distanza incolmabile tra mondo profano e iniziato, e la azzera su di un piano positivo, non più su di un piano negativo. Il confronto con il mondo profano, in entrambi i sensi, qui non produce più una idea del Male.

    “Una potenza tenebrosa e ironica”

    Ora prima di passare al simbolismo delle Col.·., al parallelismo che esse esprimono, e al significato che è alluso nel parlare della loro Ombra, io voglio parlare di un altro elemento che è stato fonte di tanti fraintesi ed è stato spesso impugnato come un segno emblematico del Male all’Oriente. Voglio parlare del vincolo Massonico e della sua (peraltro piuttosto presunta, comunque sopravvalutata) inscindibilità una volta contrattolo.

    Ammesso che esista non tanto una codificazione in tal senso, quanto piuttosto che sia auspicabile una connotazione del genere, cioè che una simile prescrizione, più che esistere, si percepisca come possibile o plausibile, come un qualcosa cioè che l’appartenenza all’ Ord.·. non obbligherebbe a condividere ma che comunque almeno invocherebbe in qualità di implicito sottinteso, ebbene che cosa una eventuale siffatta inscindibilità del legame implicherebbe?

    Ricordate Teresa Raquin di Zola? La madre era rimasta paralizzata per una  malattia invalidante, e il figlio e la moglie dopo svariate vicende alle quali ella doveva assistere impotente, si uccidono a vicenda in una sorta di doppio suicidio alla Kleist : “I cadaveri restarono tutta la notte sul pavimento della sala, contorti e rannicchiati, rischiarati dai riverberi giallastri che la luce delle lampade gettava su di loro. E per circa dodici ore, fino all’ indomani a mezzogiorno, la madre, muta e rigida, li contemplò ai suoi piedi, non potendone saziare i suoi occhi, schiacciandoli con l’ inesorabilità del suo sguardo”.

    Credo proprio che si tratti di questo. Voglio dire che l’ inscindibilità del vincolo sfuma i suoi connotati in quelli d’ una condanna dolce, che non per essere dolce smette d’ essere una condanna: voluta, ricercata, quel che si vuole: ma condanna. A cosa?

    A dover tenere forzatamente aperti gli occhi davanti al male che più ci ripugna. Infatti è ovvio che la ideazione di una irrecidibilità del legame è fatta per essere operativa nelle circostanze sfavorevoli, giacchè non vi sarebbe stato motivo di escogitarla per quelle favorevoli. Sembrerebbe voler insinuare che non si è legati solo nel bene, giacchè questo appare ovvio, ma che soprattutto si è legati nel bene e nel male, e cioè quasi in ispecie nel male.

    Quale male, e il male di chi? E’ il male che insorge dall’ Ombra delle Col.·., tra le quali serpeggia, inavvisato e fatale.

    Ora, sia chiaro che il male è una grandezza cosmogonica che preesiste ad ogni Massoneria, operativa o speculativa. Per cui nessuna venatura di autocompiacimento trascorre o si assapora nell’ immaginarsi epigoni e discepoli del maligno, assisi su scranni satanici: la Massoneria non è, appunto, una setta satanica. E siccome nemmeno l’ inquisizione ai tempi di Crudeli si è mai spinta a simili corbellerie, è evidente che il male che si aggira all’ ombra delle Col.·. non è il male cosmogonico ma un male specifico.

    Se “il bene è ciò verso cui ogni cosa tende” (Aristotele,Etica Nicomachea), il Male dovrebbe esserne dedotto come ciò dal Quale ogni cosa rifugge.

    Rifugge dove?

    Rifugge da cosa?

    Perché se se ne rifugge, allora il Male è.

    Non è il Nulla o la privatio boni, poiché allora rifuggendone non si farebbe altro che dilatarne ed incrementarne il dominio, lasciando che sia il Nulla laddove prima era qualcosa: il bene.

    Ad ogni modo, per quanto se ne rifugga, si direbbe che il Male esiste e ci insegue, poiché va a segno e non gli si sfugge.

    E’ proprio come uno splendido brano esoterico in Castaneda:

    “disse Don Juan.

    dissi

    Pensai che fosse matto e lasciai perdere. Dopo un po’ , rassicurato, gli feci notare che l’auto non c’era più”

    In tutti i casi: sia la morte come metafora del male, o il male come metafora della morte, o sia il male come Assoluto, il male è qualcosa: qualcosa che insegue il bene per farlo a brani. E non se ne induce alcuna teodicea relativista, dacchè il bene non è vicendevolmente interessato a fare a pezzi il male, ma solo a svilupparsi indisturbato da esso: la ambizione a sovvertire non appartiene al bene, ma al male, e -naturalmente- solo quel che è incompleto coltiva ambizioni.

    E’ ovvio che tutto questo sragionare appare ozioso e inconcludente, perché il male non è riducibile alla ragione, e sembra poi che uno parli in nome del bene e del male in quanto li conosca di persona.

    Tuttavia v’è in esso, se si guarda attentamente, un elemento incontestabile e concludente: e cioè che, eppure, il Male esiste: “Opinione, questa, che come l’opinione di essere seduto su una sedia oppure che 2+2=4 può essere messa in dubbio da poche persone, salvo che da coloro che hanno una lunga preparazione filosofica” (un tipicamente caustico Bertrand Russel, non ricordo più dove).

    E siccome il Male non è qualcosa che esiste soltanto in noi uomini ma anche al di fuori di noi, la domanda corretta non è tanto se esista il Male o cosa esso sia, ma: dov’è? 

    Dov’è il reame del Male?

    E’ una stella nera incastonata nel fulcro di una gravità collassata, o una quasar immersa nell’oceano galattico? Oppure il Male è un tarlo che zigzaga introvabile nei cunicoli del tempo?

    Potrà apparire incredibile, ma la Massoneria costituisce una incredibile risposta al problema.

    Lasciate che io argomenti.

    Nella realtà oggettiva non vi sarebbe solo un ordine patente, ma anche un sottordine latente: esattamente così come il male fronteggia il bene con l’aspettativa di un contrordine completamente diverso e ristrutturato con il quale lo insidia da un sottolivello, subordinato perché ancora incompleto, e incompleto perché ancora inattuato.

    In effetti, poco conterebbe che questo sottordine esista obbiettivamente, perché la Massoneria -vedremo- ambisce ad incarnarne la contrapposizione come aspirazione metafisica che essa presceglie. Ma, nella fattispecie, un sottordine esiste e sembra tendersi immancabilmente ed effettivamente al di là del tutto, e lo si avverte in ispecie in quei momenti in cui il tutto ci appare ostile ed ostinatamente incomprensibile, informato e trapassato dal pneuma di una volontà estraniata, collocata in un altrove misterioso ed inaccessibile:

    “Un genio malefico presiede ai destini della storia, una provvidenza particolare, è vero, e quantomai sospetta, i cui disegni sono meno impenetrabili di quella originaria (reputata benefica) solo perché essa agisce in modo che le civiltà di cui guida il cammino divergano sempre dalla direzione primitiva, per raggiungere l’opposto delle proprie mire, per cadere nel baratro con una pervicacia ed un metodo che manifestano molto bene le trame di una Potenza tenebrosa e ironica” (Cioran) che sogghigna sulle nostre tombe, e si ingegna e si gratifica nell’ ultima trappola che ci sottende, solo per passare subito alla successiva.

    Ordine e sottordine

    Al di là della precedente ipotesi, che ascrive le prove della sussistenza di un sottordine alla conclamazione di una nequizia nebulosa ed infausta, esso è fin troppo chiaramente desumibile da circostanze meno viziate dalla negatività.

    Definisco come sottordine una disposizione di elementi anche genericamente intesi, organizzati e teleologicamente orientati secondo proprie prospettive e scopi, la cui caratteristica è di disporsi parallelamente alla realtà, cioè capaci di esibire una corrispondenza speculare e simmetrica con essa in tutti i suoi punti nodali e cruciali, pur procedendo su un binario e secondo una direttiva differenziata, con l’effetto precipuo di poterla manipolare tramite queste corrispondenze onde volgerla a finalità e disposizioni che non appartengono alla realtà stessa, giacchè essa nelle sue intenzionalità e nelle sue sostanzialità ne dichiarava altre.

    In tal modo è chiaro che se un sottordine esiste, esisterà pure ma noi non abitiamo lì: esso è ciò che conferisce alle cose sia il loro senso che i loro malintesi, diversamente dal che non potrebbero più esservi né l’uno né gli altri.

    Se infatti io dico: “pentagono!”, non ci possono essere equivoci: il pentagono è una figura con 5 lati.

    Ma se io dico “buono!”, l’aria pullula di incantesimi.

    “Buono” è una denominazione edonistica, alle spalle della quale può sollevarsi un intero impianto euristico, implicito e non avvisato, ma assai ben strutturato e che impone subdolamente la coerenza al suo canone, al suo nomos, a tutto ciò che ne segue.

    “Buono” è una significazione etica, che implica tutta una dottrina del giudizio e della ermeneutica che ci conduce a formularlo ed applicarlo, suscettibile d’essere quanto di più controverso possibile.

    “Buono” è un portato metafisico che indica il desiderabile, e con ciò dischiude le porte di un immenso regno libidico del quale neppure i più sofisticati approcci pluridisciplinari riescono tuttora ad avere ragione.

    “Buono” è una valutazione utilitaristica, che introduce le problematiche della critica alla ragion pratica.

    Perciò in tutti i casi se quando dico “pentagono” mi avvedo che mi viene trasmessa una mera informazione cibernetica (dacchè non esistono due “definizioni incompatibili” della parola pentagono) e che quindi posso recepirla senza esitazioni, al contrario quando mi dicono “buono” “avvertiamo subito che ci stanno dicendo qualcosa che ha un’importanza filosofica, e che è completamente al di là della mera portata informativa di un dizionario” (B.Russell).

    Ovvero mi accorgo che mi stanno propinando, di là della parola “buono”, un universo semantico tutt’altro che scontato ed indiscutibile, in una sorta di mercimonio dove, al di sotto di una superficie semiologica apparentemente neutra e condivisa, si mimetizza e si svolge un ampio quanto turbolento e promiscuo contrabbando di sensi.

    “Tutte le volte che una definizione ci induce a pensare se è vera in realtà, e non se corrisponda all’uso verbale, c’è motivo di sospettare che non abbiamo a che fare con una definizione” (B.Russell) bensì proprio con questo famigerato sottordine parallelo alla realtà che esso esalta o contraddice, pur convivendovi sempre.

    Esso è il tarlo che zigzaga imprendibile nei cunicoli del tempo! Esso è come uno SNAFU (Situation normal all fouled up – Situazione normale completamente stravolta) dei videogames, dove interminabili anellidi voraci si snodano a velocità temeraria nei meandri di un labirinto fatale, minacciando ad ogni svolta di imbattersi in pacman per fagocitarlo in un boccone solo.

    Esso è come un uomo che, affacciatosi alla feritoia di un muro fuligginoso e oscuro, scorga non le tristi ombre platoniche, bensì un panorama vertiginoso e rapinoso, fatto di cascate, foreste pluviali, distese di chimere al pascolo, e atolli di un lussureggiante sfarzo disseminati a perdita d’occhio su di un oceano che si infrange contro vette ripide ed innevate, che feriscono un cielo vespertino e purissimo facendone sgorgare le porpore e gli ori del Sole che muore.

    Orbene, tutti questi sensi noi ce li passiamo l’un l’altro ogni giorno e con la massima disinvoltura. Questo cosa significa: che ne abbiamo la padronanza?

    Se così fosse il mondo non sarebbe quello che è e cioè un abisso di incomprensioni e incomprensibilità :

    “La vita è un racconto fatto da un idiota,

    pieno di grida e di furore,

    e che non significa niente”

    (Shakespeare, Macbeth)

    Devota e coerente conclusione, questa, che piuttosto ci porta ad ammettere quanto la disinvoltura sia sintomatica della nostra totale inconsapevolezza di tutti i sotto-intesi che alberghiamo e che, non avendone la padronanza poiché essa non si coniugherebbe altro che con l’ averne la consapevolezza, ci portano a tutti i fra-intesi che ci assediano e, spesso, ci rovinano : facciamo scelte infelici, arrechiamo danno agli altri pur di riuscire ad arrecarlo a noi (cioè in perfetta buonafede), e senza scopo affondiamo dentro tragedie autentiche alle quali sappiamo dare un nome ma non, appunto, un senso; è il sotto-ordine che ci ghigna in faccia, è il sotto-ordine che torna a farsi “Una potenza tenebrosa e ironica”.

    Un racconto fatto da un idiota, e che non significa niente

    Quanto antecede porta alla enucleazione della consapevolezza quale criterio risolutivo dei pericoli insiti nell’essere prede dei nostri sottordini. Tuttavia alla consapevolezza andrebbero aggiunti ben altri requisiti, tra i quali eminentemente sono da annoverarsi la volontà e la capacità, una volta giunti alla cognizione del sottordine, di incanalarlo e laddove necessario di piegarlo e plasmarlo. Non basta infatti che la Sapienza illumini il nostro Lavoro né che la Bellezza lo irradi e lo compia, ma occorre anche che la Forza lo renda saldo.

    Infatti il sottordine s’infiltra da ogni varco, e rischiamo, chiusa una falla, di trovarne continuamente aperte delle nuove, secondo una modalità che ci porta ben presto all’ esasperazione solo per restituirci, alfine ed ancora, alla potenza tenebrosa e ironica che ci ghigna in faccia. Da qui ci rimane una sola chance: suicidarsi od arrendersi, e svolgere in tal caso la vita dei farabutti che, come tutti i farabutti, sono infelici tali e quali agli uomini probi, e perciò sono farabutti al quadrato.

    Bel risultato: dover scegliere tra essere un suicida onesto o un farabutto esponenziale, per non essere altro, in entrambi i casi, che un idiota che racconta una storia colma di grida e di furore, che danneggia tutto, e che alla fine non significava proprio un bel nulla: “il grande nulla” come Federico II, Massone, definì la Massoneria.

    E’ come ironizzava Woody Allen nel suo apocrifo di un discorso accademico : “Mai come ora ci siamo trovati davanti ad un bivio così drammatico ed epocale: l’ una strada ci conduce alla rovina più assoluta, l’ altra alla catastrofe più totale: una scelta si impone!”.

    Tuttavia ci sarebbe poco da ironizzare se il frutto delle nostre opzioni è quello scelto per noi dalle nostre disfatte ante-litteram. Dice Flaiano: “La prostituzione ci interessa perché è la nostra condizione. Il delitto perché è la nostra aspirazione”: “prostitute in un mondo senza marciapiedi” (Cioran) andiamo ognora mendicando l’occasione di delinquere onde esprimerci meglio, con un risultato nel quale, sinceramente, non riesco a rintracciare cosa vi sia da vantarsene tanto.

    E parlo del vantarsene e del compiacersene, perché si trovano sempre degli illusi che, pensando di essersi disincarnati dalle pastoie umane, immaginano di poterne dare la prova assumendo e scimmiottando il ghigno che il sottordine gli fa, poiché pensano che, facendosene discepoli, il Ghigno li risparmierà. Oppure che, non risparmiandoli comunque, questo non costituisca un buon motivo per differenziarsene bensì uno ancor più buono per immedesimarvisi con addirittura maggior fervore. E si adduce a conforto che con gli anni si arriva senz’altro ad una qualche disincantata maturità filosofica che si aggirerebbe, in qualche modo, dattorno a questo terreno.

    “Ma la cosa sta così”, dice Kierkegaard, “con gli anni l’uomo, in senso spirituale, non arriva senz’altro a un bel niente; è invece molto facile perdere senz’altro qualcosa con gli anni: forse si perde con gli anni quel po’ di passione, di sentimento, di fantasia, quel po’ di inferiorità, e si arriva senz’altro (qui, infatti, si arriva senz’altro) a comprendere la vita secondo la determinazione della trivialità. Questo stato migliorato e che veramente è venuto con gli anni, l’uomo lo considera disperatamente un bene.

    Appunto, come Vi dicevo: disperatamente. Cioè egli ne è convinto. Siamo di fronte ad un convertito e, come Voi ben capite, non potrà essere questa la metanoia da accudirsi in Massoneria, perché per questo vi assicuro che non c’è bisogno della Massoneria più di quanto ve ne sarebbe d’un pennacchio sul cappello d’un disgraziato.

    Questo frainteso, che ha portato anche alla accezione negativa del termine “Massone”, deriva interamente dal substrato archetipico della Massoneria. E tale substrato consiste esattamente nel fatto che la Massoneria assume e decide di ipostatizzare ed avocare a sé un ruolo temerario e prometeico, che la rende una grandezza metafisica di proporzioni potenzialmente spettacolari: quello del sottordine stesso, del ricettacolo dove la vera vita, dove la (testualmente) vera luce si trova. Essa vuole incarnare l’ordine parallelo al reale, insediandosi nel suo stesso seno e prendendo posto nel cuore stesso di questa entità così immaginificamente profonda e capace di sommuovere il reale da un maniero remoto, invisibile ed invalicabile, dal quale Ella potrebbe scagliare saette apollinee: apollinee, non tenebrose, perché Apollo è, secondo l’etimologia che ricorda Giorgio Colli in La nascita della Filosofia, “colui che colpisce da lontano”: infatti la sua vista, essendo relata al mito solare come peraltro, dichiaratamente, lo stesso rito Scozzese, è non tanto acutissima, quanto penetrante.

    Questo sono le Col.·. : sono il parallelismo! L’ essere paralleli! E il fronteggiarsi. E l’Ombra ne è il male: il male che come il sottordine la insidia da ogni lato e da ogni spiraglio, e che non è sufficiente conoscere e incarnare (fuor di metafora: essere Massoni) per scongiurare, ma occorre averne la forza e la capacità (ancor più fuor di metafora: essere Massoni con le palle e non con i vizi e, magari, pure i vezzi).

    E non ci indurre in tentazione ma

    A tal punto, nessuno può più meravigliarsi delle incomprensioni da parte del mondo profano né delle tentazioni nel mondo iniziatico: la suggestione è potentissima, è quasi un incantesimo.

    Una mitologia che ha scelto di muoversi su questo terreno, ne ha scelto uno dei più grandiosi in senso assoluto. La Massoneria non è il male e non ha alcuna intrinseca tendenza al male, ma è plausibile che possa essere percepita, da uno sguardo profano, come abitata o agitata anche da questa dimensione. Questa, per la verità, non le conferisce affatto un alone di disprezzo ma anche un notevolissimo, nonché avvertibilissimo, alone di rispetto: si capisce, cioè, che il mito che la ha fondata ha una sua potenza folgorante. E vi si indossano guanti bianchi, per accorgersi subito della minima macchia, e la forza che se ne sprigiona è tale che spesso incenerisce e paralizza i FF.·. stessi: la Mass.·. diviene il Grande Nulla di Federico II.

    Per questo, perché occorre padroneggiare appieno il sottordine se si vuole incarnarlo meritoriamente (infatti “il vero motivo per cui si perde il potere, è che non si era più degni di esercitarlo”Tocqueville), il simbolismo degli alti gradi voluti da Ramsay include negli ultimi gradi neri e in quelli bianchi delle figure ancipiti e degli abbattimenti.

    E in realtà il Male, in Massoneria, non sta nel parallelismo, giacchè al contrario in esso si annida una mitologia apollinea, come abbiamo visto, e non tenebrosa. Che questo non meravigli: non è tutto oro quel che luccica, e non è tutto tenebra quel che non si lascia vedere.

    Piuttosto se il  male può insorgere, vi insorge dalla deviazione, ma  deviazione da cosa? Esattamente dalla linearità di questo parallelismo.

    Un impianto del genere è infatti sfidato precisamente sia dal rischio ad esso fisiologico di poter allontanarsi dal parallelismo costituito, sia dall’ azione malvagia deliberatamente e scientemente intrapresa in tal senso. Come distinguere le due evenienze?

    Ebbene, è certamente possibile che la deviazione possa riguardare il parallelismo nella sua totalità, ovvero essere una deviazione assoluta non tanto per entità e grado di divergenza, quanto per la sua sistematicità o ricorrenza.

    In tal caso si tratterebbe di una deviazione endemica e strutturale, che dunque conserverebbe al corredo semantico della parola deviazione il senso di “aberrazione”, ma le sottrarrebbe quello di “eccezionalità” o “episodicità” che invece indispensabilmente le pertiene.

    Tale fenomenologia è quella alla quale ascrivere le responsabilizzazioni generalizzate che si imputano alla Massoneria qualora ne emerga una deviazione; fenomenologia calunniosa e manichea, della quale tuttavia al tempo stesso non ha molto senso lamentarsi, rammaricarsi, o davanti alla quale esibire del vittimismo: poiché essa è sostenuta da un aspetto logico corretto: infatti, in presenza di una deviazione, quel che si chiede è proprio di fornire una prova inequivoca e inequivocabile che il frainteso conclamato era il frainteso di una fazione e non già di una totalità, poiché solo nel primo caso una deviazione è veramente considerabile tale dacchè ancora trattiene presso di sé il suo integrale patrimonio semantico.

    Diversamente, non se ne potrebbe che indurre che la deviazione apparteneva all’intero apparato e che, con ciò, non era affatto una “deviazione” bensì un eufemismo mimetico della norma, giacchè è evidente che quando un intero apparato è deviato non siamo più in presenza del parallelismo ma di una mistificazione. E, invero, non siamo nemmeno più in presenza della Massoneria.

    Questi sarebbero il pericolo e il male legati al mito del mondo parallelo.

    Ora, ogni mistificazione è tale perché è, fondamentalmente, una tautologia. Ed ogni tautologia, appartenendo alla indistinzione uroborica che ripiega e ritorna su sé stessa impedendo l’ evoluzione, è una patologia.

    Con questa patologia ci si troverà potenzialmente in perenne contatto, poiché essa è la maledizione specifica insita nella peculiarità del seme prescelto: e perennemente andrà estirpata, ma prima che arrechi danno e non dopo.

    Se accade prima, ci si mantiene comunque nell’ ambito del fisiologico.Se avviene dopo, vuol dire che si è già sconfinati nella patologia, che il Male ha aperto le porte, vuol dire che è già troppo tardi: l’ idiota sta già incominciando a raccontare la sua storia, piena di grida e di furori, e che fondamentalmente non significherà proprio niente, se non che qualcuno, investito di titolarità iniziatiche, compirà gesti prettamente controiniziatici, che sono già fuori della Massoneria, che non sono già più Massoneria, con l’ unica conseguenza empirica di lasciare a titolo di eredità “una sempiterna infamia” (Machiavelli) alla sua persona, e alla Massoneria una macchia indelebile che non Le appartiene affatto.

    A.·.G.·.D.·.G.·.A.·.D.·.U.·.

    Or.·. di Firenze

    G.·.O.·.I.·.


    bibliografia

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