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    Nella terapia analitica junghiana il simbolo è innanzitutto un’esperienza: spesso lo incontriamo nel momento in cui ci rendiamo conto che un sogno apparentemente non è interpretabile, o almeno. non nel modo consueto; non abbiamo associazioni da fare, non vediamo collegamenti con la “storia”. Non troviamo riferimenti occasionali. però, stranamente, “quel” sogno ci emoziona in modo particolare sentiamo che significa qualcosa che non riusciamo ad afferrare completamente, ma abbiamo l’impressione che quell’immagine ha cambiato qualcosa in noi; talvolta ci viene da pensare che qualcosa sta per cambiare nella nostra vita.

     

     

    E spesso qualcosa cambia davvero: nel modo di considerare una situazione, nell’atteggiamento verso una persona, nella scoperta di possibilità di cui non ci rendevamo conto, nell’attenzione a rischi che non avevamo valutato. Ma cosa è cambiato in noi? Come può un’immagine onirica trasformare uno stato d’animo, che magari ci accompagnava da lungo tempo. in un altro nuovo, diverso, senza che sia accaduto nulla, senza aver pensato nulla?

     

    Jung afferma: “‘La macchina psicologica che trasforma l’energia è il simbolo. Intendo qui un simbolo reale e non un segno” (1). Questa particolare proprietà è spiegabile in quanto il simbolo emana dagli archetipi e partecipa della loro energia.

    Gli archetipi sono definiti come ordinatori di rappresentazioni, cioè “forme presenti universalmente ed ereditate che nella loro totalità costituiscono la struttura dell’inconscio” (2), si rivelano solo indirettamente attraverso le rappresentazioni e appaiono forniti di un’energia, che non è misurabile ma può essere valutata in termini psicologici, facendo riferimento all’intensità del sentimento che suscitano nell’individuo.

    Nel corso di una vasta ricerca mitologica ed etimologica Jung ha rintracciato la presenza degli archetipi nei miti universali e, dalla ricorrenza di alcuni temi da sempre legati all’esperienza umana: l’ambiente, i pericoli, l’uomo, la donna, il corpo, il padre e la madre, ecc. ha tratto la convinzione che i miti dei popoli sono gli esponenti dell’inconscio collettivo, esprimono forme tipiche della comprensione che si ripresentano regolarmente nella psiche.

    L’archetipo produce di sé molte immagini che si differenziano per gli attributi: il sole è benefico o distruttore, la madre è generatrice di vita ma anche portatrice di morte, l’eroe solare sale allo zenit per ridiscendere nel buio e poi risorgere in un continuo alternarsi di speranza e delusione.

    Queste configurazioni rimandano ad una forma fondamentale di per sé irrappresentabile: gli archetipi sono situati oltre la sfera psichica, considerata da Jung come il “territorio” in cui si svolge il conflitto fra istinto e libertà di scelta. “Come la psiche si perde in basso nella base organico materiale, così essa trapassa in alto in una forma cosiddetta spirituale, la cui natura ci è poco nota come ci è poco nota la base or-ganica dell’istinto” (3).

    Il simbolo è una rappresentazione archetipica fornita di energia: è questa “numinosità”, proveniente dall’archetipo ordinatore, che consente la trasposizione di valori psichici da un contenuto ad un altro, la trasformazione di certe funzioni psichiche in altri dinamismi. L’umanità tramite gli archetipi, ha dato forma all’esperienza producendo i miti: ogni rappresentazione archetipica esprime sia una specifica relazione dell’individuo con un elemento significativo della sua esistenza, sia la connotazione affettiva legata a questa relazione. In questo senso possiamo considerare  l’archetipo come un insieme infinito di relazioni possibili.

    Il simbolo è una di queste immagini che si è attivata ed è emersa alla coscienza per attrarre l’attenzione su un “qualcosa” che nella sua universalità è presente negli strati più profondi della psiche umana, ma che, in quel momento, rappresenta una relazione vitale nel percorso di quell’individuo.

    L’eterno conflitto dell’umanità fra istinti e valori spirituali di cui ci parla Jung è la continua tensione fra l’esperienza orientata dagli istinti e la conoscenza dell’esperienza.

    Il simbolo è il punto di incontro fra queste polarità, si presenta quando in una certa sfera affettiva si è affermata la tendenza a dare forma all’esperienza. E un trasformatore di energia perché apporta un nuovo “sapere”, svela l’essenza. di una situazione che l’individuo sta già vivendo, ma quasi senza saperlo: e, come talvolta la conoscenza di un particolare ignoto può mutare il senso di un’intera situazione, così l’incontro con il simbolo può dissolvere vecchi equilibri psichici, indicarne di nuovi, chiarire situazioni ancora immerse nel caos iniziale.

    La trasformazione avviene in quanto i contenuti psichici introdotti dal simbolo mobilitano le forze pulsionali. orientano verso oggetti diversi, provocano nuove relazioni: è questo lavoro psichico che crea energia.

    Troviamo un esempio di trasformazione dell’energia nell’antico rituale di un popolo primitivo, descritto da Jung ne “I simboli della trasformazione”. Si tratta di una danza eseguita in primavera dalla tribù australiana dei Wakandi intorno ad una buca scavata nel terreno e modellata in modo da imitare i genitali femminili. I guerrieri danzano intorno a questa fossa per tutta la notte tenendo le lance erette dinanzi a sé e conficcandole nella buca.

    In questo incantesimo di primavera la chiara evocazione sessuale è solo l’aspetto apparente del cerimoniale, in quanto l’intero rituale è in realtà finalizzato magicamente alla fecondazione della terra. Ciò è possibile in quanto l’aspetto simbolico della buca come madre terra da fecondare prevale sulla connotazione sessuale e provoca una trasformazione della libido, cioè uno spostamento dalla sfera della riproduzione a quella della conservazione, dalla donna alla madre, dall’istinto sessuale all’istinto di sopravvivenza.

    Di fatto la concentrazione individuale e collettiva si sposta dall’appagamento istintuale alle attività legate all’acquisizione dei frutti. “Il segreto dell’evoluzione della cultura sta nella mobilità e nella dislocabilità dell’energia psichica” (4).

    Il simbolo è creatore di civiltà in quanto contrappone all’esperienza diretta individuale degli istinti una forma di conoscenza degli istinti stessi che, attraverso categorie universali, li riconduce ai grandi temi dell’umanità.

    È proprio questa universalità dell’esperienza che conferisce numinosità al simbolo: nella cerimonia Wakandi l’individuo sperimenta l’istinto di conservazione, ma al tempo stesso ne apprende il senso universale; non traspone la relazione con la propria madre sulla terra produttrice di frutti, ma condivide con la collettività la relazione dell’uomo con la natura.

    Il simbolo junghiano è vitale perché è tramite fra inconscio e coscienza, col-legamento fra mondo interno e mondo esterno dell’individuo, punto di incontro dell’inconscio individuale e dell’inconscio collettivo.


    Note bibliografiche

    (1) C.G. Jung , “ La dinamica dell’inconscio”, Boringhieri, Torino,1976, pag. 55.
    (2) C.G. Jung , “ Simboli della trasformazione”, Boringhieri, Torino,1970, pag. 237.
    (3) C.G. Jung , “ La dinamica dell’inconscio”, Boringhieri, Torino, 1976, pag. 202.
    (4) C.G. Jung , “ Simboli della trasformazione”, Boringhieri, Torino, 1970, pag. 30.

     

     

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