Esonet

    Dall’intervento di Marc Fumaroli al Convegno sugli studi umanistici
    promosso dall’istituto italiano per gli studi filosofici.

    Come abbiamo appreso da Eugenio Garin, l’essenza dell’umanesimo, delle litterae Humaniores, le lettere che rendono più uomini, è un programma educativo. Si tratta di un programma educativo fedele alla paideia dei Greci, all’institutio oratoria dei Romani, al programma delle scuole di Chartres del XII secolo e alla Villa Giocosa di Vittorino da Feltre del XV, vale a dire basato sullo studio degli autori classici. Gerardo Marotta e l’Istituto Filosofico di Napoli si battono a finché quest’idea di educazione umanistica, oggi confutata e in dissolvimento da tutte le parti, torni ad essere l’idea europea di educazione. Sottoscrivo questa campagna.. Per cominciare, chiediamoci:che cos’è un autore classico? Perché a partire da Quintiliano e fino ai nostri giorni l’educazione presupponeva lo studio e la lettura dei classici? Perché da mezzo secolo a questa parte, un declino generale a emarginato e disdegnato vieppiù questa educazione tradizionale dello spirito, dell’immaginazione e della sensibilità per mezzo dei classici, relegandone lo studio ai soli seminari per specialisti? Dobbiamo forse presumere di aver individuato inopinatamente, al di là dei concetti di “cultura e comunicazione”, una panacea sostitutiva all’educazione delle giovani menti tramite i classici, diventati a un tratto obsoleti nelle nostre democrazie commerciali?

    Lo spazio sempre più esiguo destinato ai classici negli studi dei giovani è equipollente alla diminuzione del tempo che gli adulti dedicano alla lettura dei libri in generale. Declino riscontrato un po’ ovunque in Europa dalle case editrici. La comprensione dei capolavori dell’arte antica europea, e di conseguenza l’interesse che il pubblico dedica loro, è oltretutto ridotta dall’ignoranza della mitologia, della storia cristiana e della Sacra Bibbia che così spesso hanno prestato i loro soggetti all’arte. I conservatori dei musei lo constatano. Alla radice di questo impoverimento della memoria simbolica c’è l’esiguo spazio destinato ormai ai classici nell’insegnamento scolare. Un lungo articolo di giornale è il massimo che si possa chiedere al lettore. Il più delle volte, il libro è rimpiazzato dai videoclip, dagli sms, dal rock in sottofondo nell’ipod, dalla televisione. L’estromissione dei classici dall’insegnamento spiega questo calo della memoria e dell’attenzione, ma è soprattutto conseguenza del trionfo di un’anti-educazione assai precoce e universale: l’assimilazione sin dalla più tenera infanzia delle immagini squallide e assordanti dello zapping televisivo.

    Lo schermo della televisione è la bambinaia dei nostri tempi, la salvezza delle famiglie divise o dei genitori impegnati lontano da casa: le sue immagini preconfezionate ostacolano l’evolversi naturale dell’immaginazione, sgretolano di primo acchito la capacità di concentrazione, fuorviano il senso del reale e circoscrivono l’ambito del gusto, prima ancora che subentri la scuola. I pediatri ne sono testimoni. Il raccoglimento che esige la lettura di un vero libro, la concentrazione dello sguardo o dell’udito che un capolavoro artistico sollecita diventano difficili da ottenere da bambini esposti sin da piccolissimi a questa antiscuola, che è al contempo un “anti-natura.”

    Non stupisce dunque che le produzioni di quella che si è convenuto definire «l’arte contemporanea» siano ormai limitate all’ambito circoscritto e apatico che la percezione televisiva passiva crea: non sono fatte per essere contemplate, meditate, conservate e nemmeno memorizzate, ma si appagano di colpire di passaggio la curiosità indifferente dei loro spettatori. prima di passare di moda. Sin dal 1936 Joseph Roth. lungimirante, si era chiesto: «Dove si andrà a finire, se con materiali senza valore si incominciano a produrre oggetti che hanno l’aria di averne?».

    Il regime culturale-comunicazionale nel quale siamo sprofondati non è esente da «danni collaterali» assai gravi sia per l’esercizio liberale della democrazia, sia per l’indipendenza di giudizio dei suoi cittadini e per la qualità delle produzioni dello spirito. Sarà meglio esaminarli con franchezza, perché soltanto così si potranno individuare i rimedi opportuni. Per valutare opportunamente ciò che si è compromesso, incominciamo a intenderci sulla definizione delle parole, e prima di tutto della parola «classico» . Essendo francese, il mio primo istinto è quello di consultare il dizionario per antonomasia della lingua francese, quello di Emile Littré. Al lemma «classico» trovo la seguente definizione: «Un autore ad uso delle classi». Nel nostro tempo questo può sembrare assurdo, ma così non era invece in Francia fino a soltanto trenta anni fa. Gli autori che si studiavano uno dopo l’altro nelle classi dell’ istruzione primaria e secondaria – La Fontaine, Molière, Corneille, Racine, Voltaire, Diderot, Hugo, Balzac, Baudelaire, Flaubert – avevano goduto del consenso unanime di molteplici generazioni, erano considerati alla stregua di «modelli»: erano «autorità» in fatto di lingua, stile, conoscenza dell’animo umano, come precisa Littré. La stessa cosa valeva per Terenzio Cicerone, Virgilio e Orazio per gli studi secondari di latino, e per Omero, Isocrate, Demostene e gli altri poeti tragici negli studi di greco, per Shakespeare, Jean Austen e Dickens negli studi di inglese. Poiché i classici europei avevano studiato a loro volta i classici latini e greci, questi ultimi a giusto titolo erano ritenuti indispensabili per comprenderne l’opera. Nessun autore del XX secolo rientra in questo elenco. Aperto sul mondo simbolico della letteratura, l’indirizzo educativo di ascendenza umanistica, quello che godeva di maggior fascino e di più elevato prestigio, si distaccava dalle «realtà» contemporanee, oppure le guardava a rispettosa distanza. Gliene abbiamo fatto un crimine. I nostri insegnanti di allora non credevano che scopo dell’insegnamento migliore fosse immergere i giovani e gli adolescenti nel contingente e nei suoi modelli. L’educazione doveva mirare, secondo loro, a dotare, prima del loro ingresso nella vita reale, le giovani menti ancora impreparate al turbinio del mondo culturale comunicazionale, di solidi riferimenti e raccomandazioni del gusto che avrebbero guidato senza costrizione la loro personale capacità di giudizio.

    Questo tipo di educazione tramite i classici risponde alla definizione che Aristotele dà della scholè, l’età breve del piacere di studiare nel corso della quale si acquisiscono le abitudini e le risorse necessarie a rendere luminosa l’età adulta e degli affari, e ad addolcire la vecchiaia e la melanconia che adesso ci accompagna. Gli studi superiori lasciavano campo libero a coloro che avevano la vocazione di studiare le specializzazioni di cui poi ciascuno avrebbe fatto il proprio mestiere o la propria professione.

    La voce del Littré include un sezione riguardante l’Etimologia, che riguarda il pedigree dell’insegnamento letterario, che io, essendo nato alcuni anni fa, h avuto la fortuna di ricevere prima dell’era culturale – comunicazionale. Classicus, ci spiega Littré classifica in senso letterale ciò che è di pertinenza della classe superiore dell’esercito, gli ufficiali. In senso figurato questo termine appare nelle Notti Attiche di Aulo Gallio, racconto aulico di viaggio nel Mediterraneo e di conversazioni in nave tra eruditi nel corso del II secolo della nostra era. Egli qualifica gli autori di prima classe “non proletari”. Così si insinua in latino il concetto di capolavoro classico, concepito in greco ad Alessandria e di cui il Pseudo – Longino, nel suo trattato sul Sublime, fa al contempo la matrice di qualsiasi alta creazione dello spirito, la pietra di paragone dell’educazione, della grandezza dell’anima, e della libertà in epoche di schiavitù e di decadenza. Tralasciamo un momento il mondo dell’educazione, per occuparci di quello dell’invenzione letteraria. L’autore alessandrino del trattato sul Sublime non li disgiunge: la creazione di capolavori alla pari della semplice elevazione dello spirito presuppone l’assimilazione di capolavori antecedenti.

    Volendoci attenere ad un esempio francese, sono occorsi classici del calibro di Commentari di Cesare e delle Mémoires di Philippe de Commynes per rendere possibile la prolificità del genere francese dei Mémoires, ed è stato necessario che Saint – Simon e Chateaubriand diventassero loro stessi dei classici perché il genere dei Mémoires, innestandosi sui generi dell’autobiografia e del romanzo, pervenisse a quello straordinario risultato che è La Recherche du Temps perdu. Nel frattempo, è spesso capitato che le Mémoires di autori dilettanti si elevassero, ben dopo la morte di chi le aveva scritte, al rango di capolavori letterari. Ciò è avvenuto perché questi autori, permeati dei «classici» del genere, avevano composto le loro variazioni originali personali su una trama convenzionale, su motivi e situazioni già sperimentate, che hanno guidato l’approfondimento della loro indagine retrospettiva. Più un’opera letteraria si avvicina alla «prima classe», più antico è il suo pedigree, più sfogliato il suo palinsesto: gli schemi simbolici e formali dei classici precedenti vi traspaiono in filigrana, al di sotto del nuovo testo.

    La concatenazione dei classici,.nel senso inteso da Aulo Gellio, costituisce la letteratura, il suo spazio definito, l’aria che essa respira, l’atelier nel quale essa lavora, l’oratorio di quella forma di felicità che lei unica sa donare. E per mezzo di questa aristocrazia del capolavoro, vittoriosa sul tempo, che essa affranca dal tempo contingente sia i suoi autori sia i suoi lettori. E per questi sommità che essa raggiunge l’universale: la convergenza dei classici, quando è compresa da un autore o da un lettore, li fa accedere in un luogo nel quale le frontiere, le credenze, i pregiudizi campanilistici o d’epoca, non falsano più lo sguardo; da quel punto di contemplazione, si vede più chiaro, in se stessi e nell’ essere umano. Aver percepito in giovane età, a scuola, l’esistenza di quell’orizzonte in fondo al quale la vita, le sue sorprese e le sue sofferenze acquisteranno un loro significato è un vero lusso, la bussola che ci si rammarica di veder scomparire tutto intorno a sé. Charles Péguy ne ha evocato l’alba in parole esemplari: «Ecco di cosa mi piacerebbe parlare, di ciò che fu per me l’inizio della classe sesta a Pasqua, la novità davanti al rosa-rosae, l’aprirsi di un mondo completamente diverso, di tutto un altro mondo. Ma ciò mi trascinerebbe in un turbine di teneri ricordi”.

    Traduzione di Anna Bissanti

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