
Infante di Portogallo (Oporto 1394-Sangres 1460), figlio di Giovanni I. Trasformò la sua residenza Villa o Infante a Tercena Naval (l’attuale Sangres nell’Algalve) in arsenale ed istituto nautico, da dove diresse l’opera di navigazione e di colonizzazione africana dei suoi capitani, Gonzales Zarco, Alvise da Cadamosto, João GonHalves Zarco, Tristão Vaz Teyxeira, Bartolemeau Perestrello. Gil Eannes, Nuno Tristão, Vehlo Cabral ed altri ancora (Porto Santos, 1418; Madera, 1419; Azzorre, 1415; Capo Verde e Senegal, 1447; Sierra Leone, 1446 e Gambia, 1457). Una spedizione da lui organizzata contro il Marocco (1437), avviata allo scopo di conquistare l’importante porto commerciale di Tangeri, ebbe però un esito disastroso.
Il richiamo del Commercio
Vi furono molteplici fattori che influenzarono i viaggi d’esplorazione del principe Enrico. Accanto a questi emerse però un’altra ragione per intraprendere le esplorazioni, decisamente più pragmatica. Anche se i Portoghesi da tempo vedevano l’Atlantico come la loro maggiore area commerciale, essi ebbero meno interessi affaristici nel Mediterraneo, ed il principe Enrico vedeva l’Africa come un ricco mercato, con risorse naturali e materiali grezzi.
Il Portogallo esportava al nord Europa sale, vino, frutta fresca ed essiccata, luppolo, sughero, olio, miele, molluschi, ed altri materiali non lavorati, in cambio di cereali, farina, pesce fresco e salato, formaggi, metalli, legname e materiali necessari per la costruzione di navi, tessuti e materiali lavorati. Anche se i secoli XV e XVI sono noti come periodo dell’espansione dell’influenza europea, è importante notare che tale epoca d’espansione commerciale e coloniale non rappresentavano certo una novità. Infatti i rapporti commerciali avevano goduto di una lunga e vasta storia nel Mediterraneo e nell’Atlantico, sia in articoli di lusso che in generi di normale consumo.
Al tempo della sua conquista da parte Portoghese, Ceuta ospitava approssimativamente 24.000 stabilimenti commerciali, molti ovviamente delle dimensioni di una bottega, che trattavano metalli preziosi, sete, droghe ed armi. Ma dopo l’occupazione portoghese della città, l’attività commerciale perdeva gradualmente importanza. Vi erano due possibilità per rivitalizzare la città: i Portoghesi potevano stabilire durevoli condizioni di pace con i nordafricani, oppure potevano conquistare i territori del circondario di Ceuta per fornire alla città un entroterra economico da cui ricavare risorse e mercati. Considerato però che il conflitto tra l’Islam e la Cristianità europea impedivano una pace durevole, i Portoghesi tentarono di guadagnare il controllo dell’entroterra, ma con risultati disastrosi.
I viaggi del principe Enrico
Come s’è visto, vi erano diversi motivi per indurre il principe Enrico a sollecitare l’esecuzione di viaggi di esplorazione. Azurara, contemporaneo e cronista del principe Enrico, le sintetizzò come segue:
- Il desiderio di conoscere le terre oltre il Capo Bojador.
- Stabilire relazioni commerciali vantaggiose per il Portogallo.
- Accertare la forza dei suoi nemici nei territori africani.
- Ricercare alleati per condurre le battaglie in nome della Cristianità.
Diffondere il Cristianesimo.
Il collasso dell’impero romano (V secolo) non comportò il declino del commercio e degli scambi con il nord Africa. Il controllo degli scambi era essenzialmente finito in mani private. Allorché il Portogallo tentò di recuperare il commercio nordafricano, scoprirono che per fare affari dovevano ricorrere ad innumerevoli intermediari, vedendosi così negata la motivazione fondamentale di viaggiare per ampliare la conoscenza del territorio africano. La conquista di Ceuta nel 1415 significava però che i colonizzatori portoghesi fossero confrontati con maggiori informazioni relative all’interno dell’Africa. Essendo negata al principe Enrico la possibilità di esplorare via terra l’interno dell’Africa, egli dovette pensare ad un approccio alternativo. Anziché esplorare l’Africa direttamente, il principe Enrico avrebbe tentato un accerchiamento, esplorando l’Africa per mare.
I due capitani prescelti dal principe Enrico, per guidare le sue prime spedizioni per esplorare capo Bojador, non erano esperti marinai. Probabilmente quella scelta era stata ben ponderata, considerato che nessun esperto marinaio giunto forzatamente a contatto con miti e leggende collegati ai viaggi di navigazione, avrebbe navigato volentieri verso l’ignoto. Ancora più importante, come gli storici hanno potuto accertare, era il fatto che i marinai portoghesi non erano abituati alla navigazione in mare aperto, poiché la loro esperienza nautica era limitata alla navigazione lungo le coste, mantenendosi in vista della terra.
Il principe Enrico non si limitò a non prendere parte a queste iniziali spedizioni verso Capo Bojador, ma non prese neppure parte ad alcun viaggio successivo, un fatto che portò gli storici a furiosi dibattiti sull’interpretazione del ruolo da lui svolto nell’esplorazione africana. Il principe Enrico si è guadagnato un posto preminente nella storia, come qualcuno ha di fatto stabilito, fornendo gli stimoli intellettuali e finanziari per consentire i viaggi. Più recentemente gli storici hanno pensato che il principe Enrico non abbia affatto giocato un ruolo attivo nel corso dell’esplorazione dell’Africa. Qualcuno ha obiettato che questo significherebbe che il principe fu un codardo, timoroso di affrontare rischi e danni fisici connessi con l’esplorazione. Altri hanno però risposto che il coraggio da lui dimostrato nel corso della campagna di Ceuta sembrerebbe negare una simile possibilità.
Certamente vi sono molti aspetti che andrebbero ancora valutati a fondo, prima che possa essere trovata una spiegazione storicamente accettabile sul perché il principe Enrico non abbia mai preso parte alle esplorazioni. Forse fu il rischio d’essere catturato dai pirati nordafricani che impedì al principe di svolgere un ruolo più attivo, anche se le navi portoghesi erano ben armate e nessuna sua nave fu mai catturata dai pirati. Altri, preferendo enfatizzare gli aspetti positivi nella preferenza di Enrico di restare in Portogallo, concludono che il sacrificio da lui accettato fu straordinario. Fu compito di Enrico la pianificazione delle spedizioni e la valutazione dei rapporti portati in patria. Secondo tale prospettiva, fu solo rimanendo obiettivo che Enrico fu in grado di analizzare con cura le informazioni procurategli dagli esploratori, separando le verità dalle simulazioni, ponendosi così in condizione di organizzare a dovere i viaggi successivi. Forse la spiegazione più plausibile alla decisione di Enrico di restare a Sagres è che gli usi del XV secolo condizionavano le attività, come la difficile convivenza per lunghi mesi in ambienti molto scomodi e ristretti con numerosi marinai sottoposti ad un principe. Considerato che vari nobili presero parte a tali spedizioni, e visto che il principe Enrico aveva già ripetutamente campeggiato con le sue truppe nel corso di campagne militari, la sua schizzinosità nei confronti di stretti contatti con marinai sembra difficile da accettare.
Come si sparse in tutta l’Europa la voce delle spedizioni portoghesi in corso, marinai, astronomi, cartografi e geografi cominciarono ad arrivare a Sagres, per offrire al principe Enrico i loro servigi. Tra questi c’erano cristiani, ebrei ed anche arabi. Il principe aveva scoperto da anni, dal tempo di Ceuta, come l’abilità nella navigazione degli Arabi fosse superiore alla norma e, quanto emerse a Sagres non fu tanto una scuola di navigazione, quanto una comunità di scolari che, sotto la guida di Enrico, erano ansiosi di imparare per poi conquistare l’ignoto.
Quando le navi del principe Enrico ritornarono dalla loro prima esplorazione, i loro capitani riferirono che non erano in grado di navigare attorno a Capo Bojador secondo i piani predisposti. Subito dopo aver superato Capo s.Vincenzo, erano stati coinvolti in festeggiamenti e si erano ubriacati, per cui avevano perso ogni senso d’orientamento. Navigarono per vari giorni finché il vento cessò di soffiare. Per buona sorte l’equipaggio teneva d’occhio la terra, e gli intrepidi esploratori poterono andare avanti, scoprendo un’isola con un’accogliente baia, a cui venne imposto il nome di Porto Santo, poiché era stato davvero provvidenziale. Per quanto potevano stabilire, Porto Santo si trovava all’incirca a 500 miglia a sud-ovest di Capo s.Vincenzo. La scoperta di Porto Santo fu determinante, poiché esso fu poi sfruttato come punto di partenza per i viaggi futuri. Andrebbe però notato che resta il dubbio che siano state veramente le navi del principe Enrico a scoprire Porto Santo, perché l’ubicazione dell’isola coincide con quella riportata in una mappa genovese del 1351 circa. Nonostante tutto i Portoghesi credettero d’aver scoperto una terra mai registrata prima. Incoraggiati dalla notizia che vi erano ancora terre da scoprire, prima del 1419 fu approntata un’altra spedizione. Lungo il viaggio incrociarono l’isola di Madeira (nome portoghese del legno) nei primi mesi del 1420.
Il principe Enrico mise in mostra una notevole perseveranza, organizzando una spedizione dopo l’altra verso il Mare delle Tenebre, com’erano allora definite quelle acque sconosciute, in 15 anni di tentativi effettuati per doppiare il Capo Bojador. Anche se egli stimolava i suoi capitani con promesse di compensi e di gloria, si doveva attendere fino al 1434, quando Gil Eanes (od Eannes) riuscì nell’impresa. La distanza fisica navigata non rappresentò la parte significativa di questa grande impresa. Fu invece determinante il fatto che Gil Eanes aveva navigato oltre Capo Bojador ritornando poi in Portogallo, sfatando così definitivamente oscuri miti e secolari terrificanti leggende riguardanti il Mare delle Tenebre.
Sono state trovate varie spiegazioni sulla ragione per cui ai Portoghesi costò tanto tempo il conseguimento di questo risultato. I due problemi più significativi erano che le navi che navigavano a vista lungo le coste africane rischiavano d’incagliarsi sul fondo, mentre quelle che tentarono di deviare verso il mare aperto, si allontanarono troppo perdendosi poi definitivamente. Eanes ebbe successo perché non tentò mai di navigare a vista. Al contrario, egli tracciò una rotta oceanica prima di cambiare rotta per dirigersi nuovamente verso l’Africa. Quando Eanes avvistò nuovamente la terra, era ormai giunto ben oltre Capo Bojador.
Le Realtà finanziarie dell’Esplorazione e della Colonizzazione: la disfatta di Tangeri
L’esplorazione dell’Africa occupò gran parte del tempo e delle attenzioni del principe Enrico, ed ogni successo rappresentava un pressante incentivo per imprese successive. La colonia portoghese di Ceuta diventava rapidamente una perdita per il tesoro nazionale, e si cominciava a capire che senza la città di Tangeri il possesso di Ceuta diventava insignificante. Con il passaggio di Ceuta sotto il dominio portoghese, le carovane di cammelli, che facevano parte delle precedenti rotte commerciali dell’entroterra, cominciarono ad usare Tangeri come nuova destinazione. Questo privava Ceuta dei materiali e dei beni che ne avevano fatto un attraente mercato ed un attivo centro di smistamento, e la città divenne rapidamente una comunità isolata. Il costo della guarnigione generava ulteriori perdite, ed la sola alternativa per cambiare la situazione era la conquista di Tangeri. C’era comunque un’ulteriore ragione per avviare una campagna militare contro Tangeri. Il principe Fernando, fratello minore del principe Enrico, aveva solo undici anni quando i Portoghesi conquistarono Ceuta, per cui lui non aveva condiviso le gloria in battaglia di cui aveva beneficiato il fratello maggiore. Dopo molte pressioni e qualche intrigo di corte, nel 1436 il principe Enrico riusciva a convincere il fratello a partecipare alla preparazione di un attacco a Tangeri.
In netto contrasto con l’attacco sferrato a Ceuta anni prima, l’assalto a Tangeri venne predisposto male ed eseguito ancor peggio. Quando la flotta portoghese salpò nell’agosto 1437, comprendeva soltanto 4.000 uomini di truppa, mentre gli strateghi portoghesi avevano calcolato la necessità di disporre di 14.000 soldati, onde costituire una valida unità d’assedio. Inoltre il principe Enrico non aveva affatto tenuto nascosta la sua intenzione di attaccare la città, per cui i nordafricani erano ben preparati per respingere i Portoghesi. Per tre volte le sue armate vennero respinte, e finalmente il principe Enrico arrivava a comprendere la futilità di quei suoi attacchi. Perduta ogni speranza di successo, Enrico chiedeva al capo saraceno, Sala-ben-Sala, di dettare le sue condizioni di resa. I termini nordafricani su rivalavano decisamente duri. Non solo imponevano uno scambio di ostaggi, il principe Fernando contro uno dei figli di Sala-ben-Sala, ma richiedevano ai Portoghesi la restituzione di Ceuta. Lo scambio degli ostaggi fu una spettacolare dimostrazione di buona fede concordata tra i due capi, ma presto divenne chiara l’intenzione di Sala-ben-Sala di liberare con le armi Ceuta dai Portoghesi. Sala-ben-Sala dichiarava che i Portoghesi dovevano lasciare Ceuta prima che fosse rilasciato il principe Fernando. Quando i Portoghesi protestarono, ricordando a Sala-ben-Sala che trattenevano ancora come ostaggio un suo figlio, questi replicava di avere molti altri figli, per cui non era poi così importante quello che loro trattenevano. Fu così che il principe Enrico venne costretto ad adottare una importante decisione: infatti doveva sacrificare la colonia di Ceuta per ottenere la libertà del fratello, oppure tenersi Ceuta condannando Fernando alla prigionia. La città di Ceuta significava molto, nel contesto del contrasto tra cristianità ed infedeli, e perfino il Papa si opponeva al suo scambio per la vita di Fernando. La città non poteva essere sacrificata per un solo uomo, anche se fratello del re del Portogallo. Inutile aggiungere che il povero principe Fernando doveva morire quattro anni più tardi nella sua prigione di Tangeri.
Il principe Enrico ritornava distrutto dalla disfatta di Tangeri. Dopo circa un anno riesumava i suoi interessi per l’esplorazione dei mari, e molti tra quelli che gli erano vicini pensarono che il suo rinnovato vigore fosse la naturale reazione allo smacco subito a Tangeri. Era quasi come se il principe Enrico pensasse di compensare la sconfitta subita conquistando l’intera Africa. Inoltre, per combattere direttamente i suoi nemici egli s’impegnava a rintracciare il favoloso Prete Gianni. Un incredibile mosaico di dicerie e pettegolezzi avevano costruito la leggenda di Prete Gianni, ma ciò che era significativo per Enrico non era tanto una terra di ricchi che erano presenti nel regno di prete Gianni, quanto la credenza che un re cristiano avesse potuto costituire e sostenere un impero nel cuore dei territori musulmani. Quindi l’individuazione di Prete Gianni significava poter provocare una ventata devastante contro i musulmani.
Un’altra spedizione fu inviata nel 1441 per avviare un processo di pace con il Nordafrica. Ma anziché far pace con gli Africani come aveva ordinato il principe Enrico, furono fatti dieci prigionieri. Uno dei prigionieri era il capo di una tribù, di nome Adahu. Fortunatamente per i Portoghesi Adahu parlava l’arabo, e poteva quindi comunicare con il loro interprete beduino. Il capitano decideva di portarsi appresso Adahu come premio per Enrico. Prima di ritornare in Portogallo, il comandante della nave navigò ancora su e giù lungo la costa, incontrando un bianco promontorio roccioso, che battezzò Cabo Branco (Capo Bianco).
Durante il ritorno a Sagres, Adahu descrisse quanto sapeva dell’Africa e delle rotte commerciali terrestri. Le rivelazioni di Adahu rappresentarono indubbiamente un eccitante esercizio per il principe Enrico, in quanto per la prima volta dalla cattura di Ceuta, poteva verificare l’attendibilità delle informazioni riferite dai suoi esploratori confrontandole con le conoscenze dirette di Adahu. Inoltre la cattura di Adahu doveva rafforzare ulteriormente l’impiego delle popolazioni indigene in qualità di interpreti per tutti i viaggi successivi.
Fu inviata una missione al Papa per riferire le informazioni ottenute dal principe Enrico, e per richiedere che al principe portoghese fosse garantita la giurisdizione spirituale sulle terre da lui scoperte nel meridione. Enrico inoltre chiedeva che i caduti durante le spedizioni fossero considerati alla stessa stregua dei martiri delle crociate. La Chiesa acconsentiva, e queste concessioni vennero formalmente garantite al sovrano portoghese. Il principe Pedro concesse al principe Enrico una patente (ved. figura), con la quale garantiva ad Enrico un quinto dei profitti delle spedizioni, una prerogativa di norma riservata alla sola Corona. Infine il principe Pedro decretava che tutti i capitani naviganti lungo la costa africana dovevano prima ottenere la specifica autorizzazione del principe Enrico.
L’esplorazione europea delle terre lontane avviò una nuova era politica, economica e di contatti sociali; certo si può obiettare che i viaggi intrapresi in nome del principe Enrico rappresentarono il primo sostanziale tentativo di espansione al di fuori del territorio europeo, provocando i viaggi successivi. Si può anche dire che, con il XVI secolo, gli imperi d’oltre mare portoghesi e spagnoli avevano finalmente superato i traguardi conseguiti dalla Grecia e da Roma. Resta comunque elusiva una valutazione definitiva sul contributo dato dal principe Enrico al rafforzamento delle potenze del suo tempo. Il principe Enrico fu un capo esperto, capace di ispirare i suoi subalterni a più grandi dimostrazioni di coraggio e di abilità nella navigazione, o non fu più semplicemente un amministratore capace di accaparrarsi i meriti altrui?
Certamente il Portogallo era interessato allo sviluppo dei mercati e delle risorse per migliorare le condizioni della propria economia. In realtà per i primi vent’anni i vantaggi acquisiti attraverso tali viaggi furono quasi insignificanti, implicando da parte di qualcuno il sospetto speculativo che il finanziamento di tali viaggi fosse d’origine privata, compreso il patrimonio personale del principe Enrico. Anche se non fu in grado di sfruttare l’esito dei suoi successi che in tarda età (il profitto delle concessioni garantitogli dalla corona), va ricordato che il principe Enrico deteneva il controllo dell’Ordine Militare di Cristo. É quindi lecito supporre che tale Ordine abbia finanziato almeno i primi anni delle sue esplorazioni. L’impiego di fondi di ordini religiosi rendeva imperativo che ogni spedizione fosse giustificata da finalità religiose, come la conversione di nemici della cristianità oppure l’occupazione di territori islamici. Dopo il 1443 si può pensare che l’esplorazione fosse diventata autofinanziata, grazie ai profitti commerciali, come i cospicui guadagni realizzati attraverso il commercio dei tessuti.
Va ricordato che il principe Enrico instituì molte di quelle pratiche che dovevano diventare d’uso comune per l’esplorazione europea. Con l’esplorazione sistematica della costa africana il principe Enrico inaugurò una prassi esplorativa che costituiva la base per l’organizzazione di viaggi successivi. Anziché accontentarsi delle conoscenze acquisite, il principe Enrico usava i traguardi conseguiti con ogni viaggio come punto di partenza per quello seguente. Notevoli ulteriori aspetti sono evidenziati dal sistema adottato dal principe Enrico. Ad esempio l’abitudine portoghese di reclutare membri dell’equipaggio tra la popolazione indigena, che diventavano poi interpreti, fu di grande aiuto per definire i programmi intellettuali e finanziari dei viaggi futuri. Usando così tali interpreti, il principe Enrico potè costruire una fonte effettiva ed affidabile di informazioni sulle aree da esplorare da parte europea. Gli interpreti inoltre contribuirono significativamente alle spedizioni europee d’esplorazione, consentendo di comunicare con popolazioni indigene in modo pacifico. Tale relazioni furono essenziali per instaurare amichevoli rapporti commerciali e raccogliere preziose informazioni.
Forse l’aspetto più importante, e quindi il contributo più significativo, dato ai viaggi dal principe Enrico, fu la sua curiosità. Anche se non si imbarcò su una delle navi nei viaggi effettuati sotto il suo controllo, inviò sempre sul mare capitani in grado di fornire precise risposte alle sue domande. Quindi, mentre resta discutibile se il principe Enrico merita oppure no credito per il coraggio dimostrato da Gil Eanes, è certo che egli fornì gli stimoli intellettuali che sostennero inizialmente l’attività esplorativa.
Le Isole dell’Atlantico
Le isole dell’Atlantico furono il luogo di nascita di tutte le storiche imprese portoghesi di esplorazione, di organizzazione, della conversione culturale ed agricola di territori, dell’istituzione di un valido modello di colonizzazione e dell’instaurazione del nuovo fenomeno della schiavitù africana.
Ceuta: il primo passo verso la conquista dell’Africa
Il primo passo avanti dell’espansione portoghese fu l’assalto al porto saraceno di Ceuta del 1415. Re Giovanni I ed i suoi figli avevano organizzato questa spedizione per conquistare Ceuta, che si trovava lungo lo stretto di Gibilterra, sulla costa del Nord Africa. Fu un’impresa costosa, i cui vantaggi non coprirono il finanziamento della spedizione e meno ancora le 3000 perdite in uomini subite dal principe Pedro durante l’assedio della città. Malgrado il fallimento sul piano finanziario, la caduta di Ceuta aumentò fortemente il prestigio di re Giovanni I, dei suoi figli e del Portogallo. Quest’esperienza nordafricana avrebbe stimolato le menti dei principi Pedro ed Enrico, ciascuno dei quali sarebbe diventato un accanito sostenitore, per tutta la vita, dell’espansione oltremare.
La ricerca di oro e di schiavi
Durante questo periodo vi fu in Europa una scarsità d’oro, che progressivamente limitava lo sviluppo del commercio europeo. Ceuta faceva parte di un secolare traffico dei prodotti trasportati dalle carovane transsahariane, che provvedevano alla fornitura di oro che si diceva avesse origine in un ricco territorio ubicato oltre il deserto del Sahara, conosciuto come Guinea. I Portoghesi non potevano certo resistere alla tentazione nei confronti dell’oro disponibile in questa nuova terra. Perseguirono pertanto l’idea di scoprire un percorso navale, che avrebbe loro consentito di aggirare i percorsi carovanieri controllati dai loro nemici saraceni. Il principe Enrico fu abile nello sfruttare i suoi privilegi a corte per ottenere l’autorizzazione della Corona per numerose spedizioni, focalizzate nell’ottenere profitti immediati grazie a razzie e commerci, normalmente a svantaggio dei mercanti arabi. Questo tipo di spedizione fu usuale fino al 1420, allorché i navigatori portoghesi scoprirono e colonizzarono le isole di Madeira e le Azzorre.
Questi due gruppi di isole furono porti preziosi per le future spedizioni portoghesi, considerato che gli Spagnoli avevano già precedentemente occupato le isole Canarie. Numerosi personaggi comandarono queste spedizioni, tra i quali vi furono capitani stranieri, come Alvise da Cadamosto, che aspirava a navigare sotto l’egida del principe Enrico. Tra i capitani del principe Enrico, quelli che ottennero i maggiori successi erano però alle sue dipendenze od associati, come João GonHalves Zarco, Tristão Vaz, e Bartolemeau Perestrello. Nel 1434 Gil Eanes, alle dipendenze del principe, guidò la prima spedizione che navigò oltre il capo di Bojador. Fu importante perché ebbe il potere di distruggere la preesistente credenza che l’oceano non fosse navigabile oltre quel punto. Eanes venne presto inviato nuovamente in esplorazione, scoprì che la costa era disabitata, e questo fece aumentare le possibilità di razzie e di nuovi commerci. Ogni ulteriore progresso lungo quella costa venne interrotto per quattro anni, a causa del fallimento della spedizione portoghese a Tangeri, per la morte di re Duarte e per la successiva contesa per la reggenza.
Alla morte di re Giovanni I, suo figlio Duarte assumeva il trono, e garantiva al principe Enrico un regale quinto dei profitti di tutti i viaggi, decretando che nessuna spedizione poteva navigare oltre il capo di Bojador senza l’autorizzazione diretta del principe. Re Duarte moriva dopo cinque anni di regno, lasciando come erede suo figlio Afonso di sei anni. Il principe Pedro assumeva il controllo dello Stato diventando tutore e reggente. Egli confermò i privilegi accordati al principe Enrico, dandogli autorizzazione alla colonizzazione delle Azzorre. Sotto la reggenza del principe Pedro, i Portoghesi completarono gli esperimenti segreti sulla progettazione navale avviati da re Duarte, portando all’importante realizzazione di un nuovo tipo di nave noto come caravella.
Nel 1441 venivano nuovamente organizzate le spedizioni, impiegando già quel nuovo tipo di imbarcazione. Il ciambellano del principe Enrico, Antão GonHalves, guidò una spedizione per acquisire un trasporto di pelli di foca e di olio, con l’ordine di procedere verso l’ignoto. In un’occasione GonHalves scoprì un villaggio lungo il Rio de Oro, e portò in Portogallo diversi indigeni. Un episodio che rappresentava l’inizio di quello che sarebbe diventato il traffico di schiavi africani. Un altro capitano di Enrico, Nuno Tristão, avrebbe scoperto la baia di Arguim. Qui Enrico nel 1448 fece costruire un forte, che sarebbe diventato il centro per il commercio con gli stati africani dell’interno. Inoltre Tristão trovò la fine del deserto, e riferì che là c’era l’inizio di un verde territorio lussureggiante. La notizia ispirava Dinis Dias che, radunati fondi sufficienti, otteneva dal principe Enrico una licenza ed una caravella. Egli navigò oltre il fiume Senegal, raggiungendo il Capo Verde, che era il limite occidentale del continente africano.
Non tutte le spedizioni furono coronate dal successo. Nuno Tristão morì dopo essere stato ferito da una freccia avvelenata scagliata dagli abitanti di un villaggio, dove lui ed i suoi uomini intendevano razziare degli schiavi. Quell’attacco doveva purtroppo consentire la sopravvivenza di soli cinque superstiti. Nonostante il decesso di Tristão, i viaggi continuarono grazie ai compensi offerti dal reggente Pedro e dal principe Enrico, accettabili vista la potenzialità di un futuro commercio africano. Mercanti come Fernão Gomes condivisero questo punto di vista, e finanziavano attivamente spedizioni in proprio. Nel caso di Gomes, egli richiese alla Corona i diritti esclusivi per l’organizzazione del commercio nell’Africa occidentale, visto che la Corona stessa era distratta dalla guerra di successione in Castiglia, che doveva portare Isabella e Ferdinando al trono di Spagna. Le imprese di Gomes portarono al commercio del pepe, che a sua volta consentì la scoperta della regione della Costa d’Oro produttrice dell’oro, il moderno Ghana. Quando re Giovanni II successe a suo padre, re Afonso V, sul trono del Portogallo, egli rinnovò il supporto della Corona all’esplorazione d’oltremare, che erano decadute sotto l’amministrazione di suo padre. Nel giro di quattro anni re Giovanni II aveva già personalmente sponsorizzato tre diverse spedizioni guidate da Diogo Cão e Bartholomew Dias, accumulando in quel breve lasso di tempo guadagni superiori a quelli registrati dai suoi predecessori in quarant’anni. Questi viaggi riflettevano il cambiamento della politica, da semplicemente espansionistica verso il commercio d’oltremare alla scoperta di una specifica via marittima verso l’India.
Nel 1482 re Giovanni II autorizzò Diogo Cão ad effettuare il primo di due viaggi. Egli scopriva che il continente africano girava verso sud, continuando diritto per migliaia di chilometri prima di girare ancora. Raggiunto il regno del Congo, avviava un vantaggioso rapporto commerciale, che consentiva il totale recupero del costo dei viaggi. Bartholomew Dias proseguiva poi questa esplorazione, raggirando l’estremità meridionale del continente africano fino a scoprire il Capo di Buona Speranza nel 1488. Quattro anni prima (1484) re Giovanni II aveva rifiutato le proposte presentate dal genovese Cristoforo Colombo, che successivamente cercò, ed ottenne. l’appoggio della regina Isabella di Spagna. Con la scoperta di Colombo dei Caraibi e del continente americano, Isabella richiedeva immediatamente al papa Alessandro VI l’emissione di una serie di Bolle che dividessero il mondo in due parti, mediante una linea tracciata da nord a sud, cento leghe ad ovest delle Azzorre. Re Giovanni II respinse l’ubicazione di questa linea, ed avviò immediate negoziazioni con la Spagna, risultate nel Trattato di Tordesilla del 1494. La linea di papa Alessandro venne così spostata a 370 leghe ad occidente delle isole di Capo Verde.
Subito dopo la conclusione del Trattato di Tordesilla, re Giovanni II moriva nel 1495 di polmonite. Suo cugino Manuel il Fortunato assumeva il trono, e continuava ad appoggiare la ricerca di una via di mare verso le Indie. Egli nominò Vasco da Gama a capo della spedizione che, nel 1498, attraverso il Capo di Buona Speranza, avrebbe scoperto la nuova rotta dell’Oceano Indiano. Questa nuova rotta segnò l’inizio di un’era ricca di contatti diretti tra l’Europa e l’Asia. Durante il suo regno re Manuel fu il regolamentatore del più vasto impero del suo tempo, traendo enormi vantaggi dallo sviluppo del commercio africano e dalle dorate messi delle Indie.
Il Principe Enrico detto il Navigatore
Frontespizio della Cattedrale di Lisbona
Internet research and Translation by Riccardo Chissotti
Cirié (Torino), 10/10/1998
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