Esonet

    Il monogramma iniziatico

    AGDGADU

     

    .·.

     

    .·. IL MONOGRAMMA INIZIATICO .·.

    – una riflessione per il 9° Gr.·.?

     

    di

    Alberto Vallini

    Or.·. di Firenze

    Email:    vallini@altavista.it

    giugno/novembre 1998 E.·.V.·.

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    Il monogramma iniziatico non sarebbe altro che quella tripartizione puntiforme (.·.) così familiare e consueta ai LL.·.MM.·., con la quale essi effettuano quelle che, secondo ogni apparenza, dovrebbero essere abbreviazioni intese a cautelare e preservare la natura confidenziale delle terminologie iniziatiche.

    Si riscontrano così cose piuttosto buffe, del tipo[1]:

     

     

    M.·.V.·. per Maestro Venerabile

    Kad.·. ,  per Kadosh

    S.·.G.·.I.·.G.·. , per Sovrano Grande Ispettore Generale

    o addirittura Trip.·. Batt.·.  , per Triplice Batteria

     

     

    Molti autori hanno applicato le proprie capacità ermeneutiche alla decifrazione del senso insito nell’impiegare un simbolo, piuttosto che una abbreviazione tipografica ordinaria, per ottenere un effetto che dopo tutto ha anche obbiettivi ordinarii, e cioè di mera sintesi.

    In tale sforzo interpretativo si è giunti a nebulizzare attorno a questa tripartizione puntiforme una intera e radiosa aureola di possibili significazioni, alcune tanto magniloquenti quanto insipide, che hanno spaziato da suggestioni che vi ravvisavano talora una allusione alla Santa Trinità cattolica (!), talaltra alle Trimurti orientali; talora una allusione alle tre dimensioni temporali (passato, presente, futuro) , talaltra un riferimento alle ascendenze Pitagoriche della Ist.·. e alla sacralità da esse attribuita al numero 3 , oppure una stilizzazione dei tre apici del triangolo nel quale l’occhio del G.·.A.·.D.·.U.·. sarebbe racchiuso.

    Inutile aggiungere che i tre punti sono anche stati visti come la sezione in pianta di tre colonne, donde la inevitabile conclusione che esse sarebbero nientedimeno che le “colonne della Sapienza” : il che non risolve un bel niente perché nessuno sa cosa esse siano. Se infatti seguissimo questa scia, si potrebbe serenamente arrivare a sostenere che i tre punti richiamano i tre colpi battuti dal morto che parla: e si sarebbe ancora nel campo del plausibile, e certamente dell’ esoterico (La Smorfia deriva dalla Kabbalah), ma non del muratorio[2].

    Tutte queste significazioni sono pertanto possibili o vere, epperò sono tutte viziate dal medesimo difetto: non si lasciano credere.

    Rinviano infatti ad una sublimazione e a delle trasfigurazioni così spiccate e remote che nessuno può persuadersene senza provare al contempo un onesto senso di imbarazzo.

    Chi potrebbe infatti convincersi, in perfetta serenità di coscienza, di essere parificabile a un favorito della Santissima Trinità? Inoltre, un dio che avesse dei favoriti non sarebbe più il Dio dell’Universo, ma un feticcio; e pensare di essere un accolito di una élite eletta o un favorito non solo profila, purtroppo, un frainteso massonico, ma costituisce in realtà una idea prettamente controiniziatica e antimassonica che è inaccettabile e che deve essere contrastata.

    Chi potrebbe convincersi di essere investito delle prerogative di una perfettissima e sopraffina Trimurti, quando il miserabile modo in cui moriamo ci convince in maniera roboante dell’esatto contrario?

    Chi potrebbe convincersi di avere raccolto tanti e tali meriti nel modo in cui ha condotto la propria esistenza, guardando sinceramente ai fallimenti, alle viltà, alle debolezze, e ai compromessi più o meno indispensabili che vi ha collezionato, da poter credere di avere titolarità a siffatti salarii?

    Qualcuno di noi uomini sente davvero di appartenere ad una simile apoteosi?

    Io no.

    Perciò direi che, in partenza e prima facie, la tripartizione puntiforme appare davvero chiara nel suo significato recondito sotto un unico risvolto: e cioè che essa non è una mera abbreviazione, ma è qualcosa di più: detiene anche una valenza identificativa, costituendosi come un suggello.

    Essa costituisce un crisma di individuazione, poiché la sua presenza si incarica di tradire apertamente l’affiliazione iniziatica del suo estensore. Siamo sicuramente in presenza di un emblema.

    Perciò non ci si limita con esso ad accorciare ellitticamente un termine, e neppure a garantirne la riservatezza ( poiché in tal caso, ripeto, anche i classici . puntini di sospensione sarebbero abbondantemente bastati ), ma sembra che lo si voglia spedire a convertire il discorso, e quasi a redimerlo e nobilitarlo, poiché la allusività ordinaria e inoffensiva di ogni abbreviazione viene qui smarrita ed avvicendata da un’ altra che sopravanza di tanto la prima da incenerirla sul posto. Vedere il monogramma iniziatico è infatti una esperienza che non rinvia semplicemente alla completezza della parola elisa, ma è una modalità identificativa che rinvia alla presenza di una identità massonica e che pertanto deve fornire indicazioni su cosa essa sia [3], sulla Sua configurazione.

    Abbiamo qui già segnato un traguardo coerente: il monogramma iniziatico dei LL.·.MM.·. deve racchiudere una istruzione crittografata su cosa un L.·.M.·. sia, cioè su quale ne dovrebbe essere l’ assetto ideale sotto il profilo psicologico.

    Il che sbarazza il campo dalle famigerate “tre colonne della Sapienza”, e risparmia i voli pindarici per spiegare dove sarebbe finita la quarta.

    I tre punti appaiono veicolare una allusione tanto oscura quanto perentoria e lapidaria, della cui autorevolezza però ci sfugge ancora l’ esatta caratura. Se li si immagina impartiti in una cadenzatura di tre tempi distinti, la loro scansione appare folgorante, come se fin dal primo si attendesse di giungere al climax del terzo. Se li si immagina impressi in un movimento unico, quasi fossero un sigillo, esso appare impresso sommariamente in un gesto risolutivo e solo, che impone al discorso il blocco di una allusività al cubo, spedita a risolverlo definitivamente e a ricapitolarvi un senso conclusivo.

    Sembra un decreto principeso: un dixi ribadito ben tre volte, e su queste tre volte, inchiodato, crocifisso e poi incoronato: INRI, come era scritto sulla croce del Cristo (Jesus Nazarenus Rex Judeorum: INRI), e che peraltro è anche la parola sacra di un prestigiosissimo Grado Scozz.·.

    Il che segna un secondo traguardo, se si considera l’ origine templare della Mass.·., poiché il Cristo fu crocifisso con tre chiodi, non con quattro. Si potrebbe cioè ventilare, con maggiore pertinenza di quanto accada ne “le tre colonne della Sapienza”, che i tre punti devono avere qualcosa a che fare con il concetto di corona di spine: con l’ idea di una regalità che non si investe dei copricapo tempestati di diamanti del potere monarchico ( debbo aggiungere che la Mass.·. non ha mai avuto buoni rapporti con le coorti? ), ma che vive addentro ad una contraddizione tra due estremità: valore spirituale e riconoscimento temporale.

    Ancora questo appare unicamente chiaro: i tre (3) punti non possono non alludere ad una posizione terza rispetto ad una situazione originaria la quale, confrontandosi con una posizione “terza“, doveva essere necessariamente di carattere binario. Le collocazioni “terze”  più standard rispetto alle dualità sono:

     

    d       la fusione degli opposti

    d       la mediazione tra le due posizioni

    d       infine: la opzione unilaterale per uno dei due opposti

     

    Ebbene: nessuna di esse può fare al nostro caso, poiché gli standards sono esattamente cioò a cui meno la Libera Muratoria potrebbe somigliare.

    Inoltre, se la fusione degli opposti apparterrebbe alla Tabula Smaragdina e quindi ad una ascendenza iniziatica, tuttavia ci ricondurrebbe a un ruolo incredibile ed improponibile poiché analogo a quelli già respinti all’ inizio di questa trattazione: quello di difensori, e pertanto di detentori, di un segreto così squisito ed elevato da collidere e stridere strenuamente con una realtà di cui invece, alla prova dei fatti, non siamo affatto padroni. La mediazione, dal canto suo, aprirebbe tanti e tali varchi a germi corruttori, nello squallore che spesso accompagna il compromesso, da non potersi ritenere oggetto di una precipitazione così prestigiosa quale quella che dà origine ad un emblema: gli uomini che per scelta si arrangiano sono caricaturali, e hanno bisogno di avvalersi di un’ araldica solo nelle satire.

    Allora la posizione “terza” può alludere solo ad una cosa: ad una scelta tra due possibilità originarie. Questo è un terzo traguardo: il monogramma iniziatico fornisce indicazioni sulla identità del L.·.M.·. stabilendo che essa si connota sulla base del fatto che egli avrebbe, ad un certo punto, fatto una scelta.  Quale? L’autorevolezza dell’emblema deve pertanto risiedere ed alimentarsi nella natura peculiare di questa scelta [4].

    Quale può essere dunque, questa “scelta”? Non una opzione unilaterale a favore dell’uno o dell’altro senso configurato nei due poli originarii , dacchè se così fosse non vi sarebbero più tre punti , bensì uno solo[5]: o il bene o il male, e in un’ ottica disgiuntiva uno dei due poli ne risulterebbe abrogato: si avrebbe un punto solo, addentro al quale l’uomo si distinguerebbe per essere il più santo dei probi o il più luciferino dei reprobi: mezzanotte nel giardino dell’Eden. Né allude ad una sintesi, poiché anche in tal caso i due punti convergerebbero in uno solo. Si avrebbe un punto solo, addentro al quale l’uomo si muoverebbe come il dominatore del bene e del male: mezzogiorno di fuoco, nel giardino dell’Eden!

    Epperciò? Epperciò la scelta cui si allude deve essere una scelta operata in un momento successivo alla consumazione di queste due fasi: i tre momenti infatti appaiono tutti contemporaneamente compresenti. Si dovrebbe cioè immaginare uno spirito inappagato sia da una scelta unilaterale tra bene e male [6], sia dalla gratificazione egoistica sperimentabile nel  nirvana di una loro fusione. Infatti sia il bene sia il male rimangono raffigurati, e la posizione “terza“, cioè il terzo punto del monogramma iniziatico, si disloca in prossimità degli altri due punti, ad indicare un tipo di scelta che non avrebbe affatto eclissato, bensì avrebbe rispettato e preservato le identità e la magnitudo delle due opzioni originarie.

    Dunque la soluzione del simbolo sta nella individuazione di quel tipo di scelta e di rapportazione che possa soddisfare i suddetti requisiti.

    E la sua natura sarà quella che i nostri rituali prescrivono: si sarebbe cioè mass.·. in quanto e poiché si fa questa tipologia di scelta (anche se il contenuto non ne è ancora chiaramente emerso), e non un’ altra.

     

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    Seconda parte

    (Il Monogramma Iniziatico)

     

     

     

    « winner take nothing » (« colui che vince non prende niente »)

    E. Hemingway – The first forty-nine stories

    « la nostra missione è vincere la guerra »

    da:Salvate il soldato Ryan ( Steven Spielberg, 1998 )

     

    ¿Il monogramma iniziatico ci fornisce indicazioni ulteriori che possano agevolarci nella definizione del contenuto della scelta cui allude? Affermativo.

    Basta considerare che le diverse combinazioni possibili nell’ orientamento spaziale dei tre punti potevano essere 4 e solamente 4; e più precisamente [7]:

     

    A

    B

    C

    D

    .·.

    ·.·

    ·:

     

    Poiché la Nostra combinazione è quella che ho contrassegnato come «A», sono le sue valenze quelle che ci forniranno informazioni riguardo al tipo di scelta che il monogramma raccomanda, ed il modo migliore di inferirle consiste nel dedurre in cosa la combinazione A differisca dalle altre.

    Non occorre alcun implausibile sforzo ermeneutico per intuire come A si distingua da B,C,D; appare del tutto evidente, piuttosto, che in A i due punti inferiori sembrano scaturire dal punto superiore, laddove invece in B sembrano riconfluirvi. In C e D invece l’ ambivalenza è totale: i due punti potrebbero tanto derivare quanto volersi riassorbire nel terzo, a seconda della cinesi che si intende ravvisare nel loro orientamento direzionale: in C il terzo punto potrebbe tanto alludere ad un trainamento degli altri due verso destra quanto ad loro dirompervi verso sinistra, oppure ad un suo rincularvi verso sinistra o a un loro ricondurvisi verso destra, e viceversa per D [8].

    Per cui il monogramma A allude ad una situazione che:

    %      si dichiara priva di ambiguità e non in movimento: eterna.

    %      implica un disvelamento e non un occultamento ( i due punti non riconfluiscono nel terzo )

    %      non inerendo ad un movimento dinamico, si impone come vigente in tutte le circostanze: non ci sono oasi

    %      configura una situazione di fatto, non un ordine umano più o meno idealizzabile (vedi nota 8)

     

    I due punti piovono dal terzo, piuttosto che raccogliervisi: non vi convergono, ma se ne dipartono. Il senso rimanda dunque ad una operazione di fissione piuttosto che di fusione. In termini alchemici non è un coagula, è un solve. Il simbolo si sta dischiudendo e rivelando, non si sta chiudendo [9]. Pertanto, allude ad una scelta di intervento. E siccome è intriso di implacabilità, poiché rinuncia alle sue versioni alternative più ambigue (C e D), il suo senso è: in una situazione in cui la scelta è tra intervenire ed astenersi, tra apparire e ritirarsi, la prescrizione è di intervenire senz’ altro: cioè anche se, quando non soprattutto, l’ intervento sia disperato, appaia votato al fallimento, e la missione si dichiari: impossibile. C’è qui qualche motivo per essere orgogliosi. Quando stiliamo il monogramma iniziatico, incarichiamo la carta di rieccheggiare e restituirci questo comandamento: poiché tu hai scelto di essere un L.·.M.·.  tu interverrai in ogni caso .·.[10], anche se ( anzi: soprattutto se ) le forze che ti fronteggiano sono soverchianti, la vittoria invisibile, e la ricompensa risibile [11].

    Perché? Già: poiché deve esistere una motivazione che vada al di là del semplice assunto etico. La Mass.·. non si sta qui incaricando di forgiare ingenuamente una stirpe di improbabili, se non impossibili, titani [12].

    Intanto, l’ indicazione è chiara sotto questo risvolto: ordina di porre l’ esoterico in prospettiva mondana, per cui l’ invito è exoterico, e chiama ad una qualche integrazione tra i due emisferi. L’ esoterismo non può invocare forze per la sua propria gloria, né essere al servizio del nulla o di sé medesimo; né ha senso un esoterismo per la propria salvezza o status ultraterreno, o per il proprio faustiano tornaconto terreno. L’ esoterismo ha un senso solo ed unicamente se si apre alla pragmatica, cioè al mondo esterno: ed è allora al servizio della salvezza e del tornaconto di tutti[13]. Contraddittorio? Niente affatto:

    « Per quanto innumerevoli siano gli esseri viventi – io Giuro di salvarli

    Per quanto indomabili siano le passioni – io Giuro di domarle

    Per quanto sconfinato sia il sapere – io Giuro di apprenderlo

    Per quanto incomparabile sia la verità del Buddha – io Giuro di conseguirla »

    I Quattro Grandi Voti del monaco buddhista

     

    ¿Occorre sottolineare che una scelta iniziatica è simile ad un voto monastico, poiché ci impegna in modo analogo?

    Tu interverrai senz’ altro. Non è terribile questo comandamento? Proprio perché impone un intervento inderogabile, lo delibera come incondizionato. Prescinde cioè:

     

    Ô        dal suo esito: non Lo si intraprende in funzione della certezza del successo.

    Ô        dalla competenza: non ci si astiene perché inidonei [14].

     

    Si tratta, in poche parole, di una allusione ad una guerra. E, certamente, deve allora esserci da qualche parte anche un esercito. E si badi: la simbologia è quella di una guerra, ma la realtà cui il simbolo rimanda non è quella di una conflitto di velluto: non è un pic nic, non è una passeggiata, non è una sine cura: è un rinvio alla storia reale dell’ uomo vivo che combatte [15] e che muore sul serio e non sulla carta[16], anche se non c’è una confrontazione dichiarata su di un protocollo ostensibile.

    Ora, poiché nel monogramma iniziatico sia la scelta del massone sia i due poli che si fronteggiano sono compresenti ( .·. ), l’ implicazione è che il polo avverso non è presentato in quanto forza da sconfiggere. Infatti, se così fosse, il fatto che perduri la sua presenza nonostante l’ infuriare della lotta delle diserzioni e delle delazioni, dovrebbe essere letto non tanto come una incertezza di successo, quanto piuttosto come una garanzia e certezza di insuccesso: per quanto si intervenga, nulla lo scalfirebbe. Ma allora perché mai battersi? Certamente, si potrebbe inferire che questo potrebbe demotivare ma non dovrebbe comunque indurre all’ addio alle armi: solo i farisei si impegnano esclusivamente quando la vittoria è certa, e solo i lacchè accorrono in soccorso del vincitore; e la scelta del mass.·. cui il monogramma rimanda è proprio l’ opposto della loro. E così argomentando si rimarrebbe all’ interno della tesi di un male perennemente compresente nel monogramma in quanto invincibile, salvaguardando purtuttavia l’ impegno del mass.·. a intervenire in ogni caso per osteggiarlo.

    Tuttavia il motivo per cui sia il bene che il male restano visibili non attiene a questo ordine di considerazioni. Non si allude, cioè, ad una inanità degli sforzi. Piuttosto ci si riferisce ad un’ altra sfumatura, assai più drammatica: al realismo. Il male, qualunque cosa esso sia, non resta permanentemente presente perché imbattibile, ma perché lo è con tutta la sua statura e forza. Il mass.·., per essere un mass.·., deve sapere che tipo di battaglia è chiamato a combattere: una battaglia dove ciò che domina è il male, il male vero, la follia, e dove nulla è davvero certo e nulla è mai davvero al sicuro, nulla è davvero mitigabile, tutte le medaglie potrebbero essere in memoriam, e niente di meno intenso della desolazione, della ignominia e dell’ abominio si profileranno come i Suoi unici, plausibili, e autentici interlocutori[17].

    La scelta del L.·.M.·. sarà dunque quella che esige il suo intervento in ogni caso, addentro ad una ambientazione i cui connotati sono quelli popolati dai tratti simbolici più violenti che sia stato possibile rinvenire.

    L’ esoterismo può funzionare, e l’ intervento del Massone può svolgere un ruolo utile, solo fintantochè invoca e si rapporta con un’ escatologia [18] realista: cioè fintantochè il Suo scopo non è di diluire la palmare iniquità della vita ritirandosi nella Certosa di Parma[19], bensì di riconoscere le condizioni di un mondo reale e non idealizzato: di un mondo vero, di un mondo proprio così come è: cioè un mondo dove chi si affida alle virtù dottrinali e dovrebbe vincere, non vince niente se non che un canonico calcio in culo [20], e chi dovrebbe perdere è perfettamente inutile che si tenti di renderlo innocuo, poiché ha già sbancato il casinò e si sta sorseggiando dell’ ottimo Pimm’s alle Bahamas. [21]

     

    To the happy few” (Stendhal – La Certosa di Parma)

    AGDGADU

    Alberto Vallini


    [1] L’ utilità di queste formulazioni consiste anche nel fatto che esse consentono a dei FF.·. di poter colloquiare di argomenti massonici in un ambiente affollato ( l’ esempio in proposito era: un locale pubblico ) senza che orecchie indiscrete possano comprendere con chiarezza ( e probabilmente neppure sospettare ) l’ oggetto del discorso.

    Il sottoscritto si è spesso avvalso in tali circostanze della locuzione “MV” o “GM” piuttosto che dire, rispettivamente, “Maestro Venerabile” o “Gran Maestro”, ottenendo non solo l’ effetto di poter affrontare un argomento iniziatico senza che alcuno si avvedesse di nulla, ma ottenendo anche l’ effetto imprevisto di disorientare l’ interlocutore stesso che, benchè Libero Muratore, fu il primo a non comprendere subito che cosa stessi dicendo!!

    A tal proposito ( evenieneza, quest’ ultima, assai frequente ) uno dei migliori modi di usare la parola Loggia senza far comprendere a orecchie profane di cosa si parli, consiste nell’ impiegare il suo sinonimo iniziatico: officina. In tal caso potete salutare un F.·. in un ambiente pubblico dicendogli “ci vediamo domani in Officina”, con l’ assoluta certezza che i “profani” del tavolo accanto, qualora udissero, penseranno tutt’al più che avete l’ automobile dal carrozziere. Sottolineo che i motivi di questa opzione non sono narcisistici ma rivelano unicamente una preferenza per il riserbo, che se soggettivamente può essere niente più di una scelta gratuita, costituisce invece un dovere nei confronti dell’ altro F.·., il quale potrebbe non desiderare affatto che terze persone possano dedurre la sua affiliazione muratoria dal contesto del discorso intrapreso.

    [2] C’è chi vi vede le estremità del compasso. Ma perché evidenziarne gli apici e non tracciare piuttosto due linee sintetiche convergenti verso l’ alto? E perché il compasso e non la squadra? Per ierocratici motivi di mera gerarchia? C’è forse un despota, assiso tra squadra e compasso?

    [3] A meno che, naturalmente, il monogramma non sia stato inventato di sana pianta. A meno che, cioè, esso non custodisca alcuna valenza metaforica ma ne abbia una puramente convenzionale e cibernetica. A tale scopo, allora, si potrebbe impiegare un qualsiasi simbolo ( e peraltro di precostituiti non ne mancano nel sincretismo muratorio ) a condizione che si sia raggiunto formale accordo sul fatto che con esso si allude  alla appartenenza muratoria del suo estensore. Ad esempio, si sarebbe potuto usare: s oppure: t o, magari: n.

    [4] Così posta , la questione si arricchisce di una implicazione : questa scelta costituisce un incarico (missione?). Non sarebbe infatti ragionevole pretendere che essa configuri già una conquista. Tale corollario non è indispensabile al mio impianto, ma offre una maggiore sintonia con il concetto di iniziazione. In Mass.·. non si viene iniziati perché prediletti, ma perché la presenza di una iniziazione evoca tutto questo corteo di implicazioni: non si tratta di un riconoscimento inteso nella accezione di ricompensa ( e per che cosa? ), ma di un riconoscimento come supposta idoneità ad un’ impresa, cioè un’ abilitazione a qualcosa che deve ancora essere portata a termine : non si parla, infatti, di “ultimazione” ! E’ un percorso che comincia e si avvia, non che si conchiude. Come tutti gli avvii, assomiglia molto più alla morte che alle gioie di una improbabile “rinascita“: lo spirito atrabiliare della nostalgia iniziatica è più forte dell’ entusiasmo pioneristico, poiché è assediato su entrambi i versanti: dai ricordi di ciò che lascia e dalla cognizione rassegnata di una meta dove si spegnerà comunque. Non sembra un buon affare, nevvero? E che? Le consolazioni dell’ Oriente Eterno sono forse men dure o più seducenti, confortanti, e realistiche di quelle di tutti gli altri empirei cerulei?

    [5] Magari centralizzato; cioè così (·) ; Allora in luogo di « M.·.V.·. » avremmo avuto: « M·V· » . Il che avrebbe conservato sufficiente singolarità alla abbreviazione da preservarne il connotato emblematico. Tuttavia il fatto che così non sia, significa che le scelte di sintesi o di predilezione unilaterale, che si materializzerebbero condensando un punto solo, sono esattamente quanto qui  si  respinge.

    [6] Come esempio di due polarità impiego bene e male, ma lo faccio a titolo meramente esemplificativo. Il lettore potrebbe benissimo sostituirle con polarità diverse da questa, che mi sembrava semplicemente la più corrente e dozzinale. Amore e odio? Vita e Morte? Ma si noti: certamente, non Montecchi e Capuleti: infatti, in Mass.·. «non ci si può intrattenere in discussioni di religione e di politica».

    [7] Qualsiasi delle seguenti combinazioni è suscettibile di interpretazioni metaforiche suggestive e significative. Pertanto il fatto che la Nostra Tradizione ne abbia prescritta una ( la A ) non significa che le restanti non sarebbero state munite di sufficiente pregnanza e significanza muratoria: significa piuttosto che tra tutti i corredi simbolici di cui ciascuna potrebbe dotarsi, la tradizione Libero Muratoria invita ad attenersi alle implicazioni specifiche di uno solo fra essi.  E’ pur sempre possibile asserire che le simbologie siano scelte su basi arbitrarie, e che quindi ogni esegesi non è che un soliloquio privo di reali interlocutori e anzi quasi un onanismo. Tuttavia quel che intendo perseguire non è una interpretazione qualsiasi, né (come spesso accade in alcune tav.·.) una interpretazione purchè per carità purchessia o perché un passaggio di Gr.·. la esige, bensì io voglio una interpretazione plausibile: una interpretazione per gli uomini, non per le chimere: non si tratta di essere degli Apprendisti stregoni, bensì di essere degli stregoni realisti. In tal caso si può anche osare la tesi che il monogramma sia stato adottato casualmente e che quindi non possegga alcuna intenzionalità metaforica, ma nessuno può realisticamente ipotizzare che a coloro che in una epoca immemore scelsero la simmetria “A”, non sia subito sovvenuta, e anzi sia sfuggita del tutto, la banale opzione speculare “B”. E hanno scelto la “A”. Perché? Magari, anche qui, per caso? Eppure quando le circostanze fortuite si stipano così tanto da diventare statisticamente troppe, si tratta probabilmente di una trama, così come è analogicamente vero che le molte menzogne finiscono per avviarTi proprio sulla strada della verità.

    [8] Si può obbiettare che anche in A i due punti potrebbero significare un loro riassorbimento nel terzo, se solo, anziché leggere il monogramma nel consueto e familiare orientamento dall’ alto verso il basso, lo si leggesse dal basso verso l’ alto. Il motivo per cui escludo questa possibilità è di una semplicità sconcertante e al tempo stesso, mi auguro, convincente: il monogramma è un metalinguaggio, cioè un linguaggio che consente di tradurre da una lingua di partenza astrusa ( nel nostro caso: esoterica ) in una lingua di destinazione comprensibile e standard ( quella umana corrente ). Quindi si incarica di mediare tra le capacità cognitive dell’ uomo occidentale medio ( la muratoria non è induista ) e le significazioni esoteriche. Pertanto io credo che esso sia stato ideato per essere compreso dagli esseri umani, non per esserene frainteso: i simboli sono per gli uomini, non gli uomini per i simboli. Dunque la sua lettura deve essere quella occidentale tradizionale: dall’ alto verso il basso. La necessità di interpretarlo non deriva dal fatto che esso intenzionalmente si nasconda, ma semplicemente dal fatto che esso condensa in una rappresentazione sintetica ed ellittica una intera costellazione di sensi che sarebbe stato ben poco pratico dover redigere per esteso ogni volta che si intende riferirVisi. Inoltre: C e D implicano comunque una lettura o verso destra o verso sinistra che presuppone un impulso che ve la indirizzi. In A e B invece la precipitazione avviene per inerzia “gravitazionale”: nessun impulso deve essere impartito. Si allude dunque ad una situazione necessaria che appartiene all’ ordine stesso delle cose e alla forza stessa della natura. Non è un nomos, cioè un insieme di elementi che si prestano sussiegosi ad una norma eteronoma ed arbitraria imposta dall’ esterno, ma è un cosmos: un insieme di elementi che si presentano rispondenti ad un ordine autonomo e spontaneo che sboccia dall’ interno.

    [9] E perché altrimenti la melagrana chs si apre costituisce uno dei pochi simboli universali ( pochi: i simboli universali sono pochi ) della Libera Muratoria, presente in qualsiasi Cam.·. di Lavoro ad adornare stabilmente la colonna J.·.? Non certamente perché Essa raffiguri la vulva che si offre ! Giacchè càpita in tutta serietà di sentire anche queste cose. Bha, vabbè. Non è onesto, laddove non si capisce, dire: non lo capisco?

    [10] Come si vede il concetto di mutuo soccorso tra FF.·. non implica affatto alcuna esclusione del mondo non iniziato ( è vero precisamente il contrario. Che poi alcuni FF.·. non lo sappiano al pari di alcuni “profani”, è un altro paio di maniche: che non riguarda la Mass.·. ), né riflette una impostazione omertosa: nel caso del reciproco soccorso si tratta piuttosto di una implicazione ed espressività parziale di un ordine molto più vasto di prescrizioni, considerazioni, e conseguenze, che attengono a questo contesto, e nelle quali si rispecchia un potente archetipo multidimensionale la cui eco risuona profonda.

    [11] Vi è un altro motivo per cui il monogramma A della diade A-B è preferito ad uno della diade C-D. Esso intende effettivamente stilizzare anche i tre vertici del compasso muratorio. Il motivo per cui non stilizza la squadra è che altrimenti esso si sarebbe configurato con l’ assetto del monogramma B e avrebbe così smarrito il significato di disvelamento. Il motivo per cui non stilizza il compasso con due linee convergenti su una cuspide ( tipo: A ) è che se così avesse fatto, avrebbe smarrito il connotato alludente ad una scelta ( un terzo punto che fronteggia la contrapposizione degli altri due ). Come ogni simbologia fa, si tratta qui di condensare una multistratificazione di sensi e di obbiettivi e di optare quindi per la versione che li concilia con maggiore pertinenza( vedi nota 2 ). Si osservi che il cielo è tradizionalmente raffigurato dal cerchio o dalla sfera ( d’ altra parte la gravitazione celeste ragiona in termini di curve non di rettilinei ), mentre la terra è rappresentata dall’ opposto: il quadrato o il cubo. La L.·.M.·. riprende proprio queste due allegorie solo che, in luogo del cerchio e del quadrato, cosa impiega? Gli strumenti che servono a tracciarli: il compasso e la squadra. C’è quindi poco da fare: che piaccia o non piaccia, che ci se ne avveda o meno, la Tradizione Libero Muratoria esige implicazioni pragmatiche: adottare come simbolo uno strumento in luogo di una astrazione è un chiaro indizio in tal senso. E, peraltro, l’ unico modo per non farsi piacere o per farsi piacere troppo la pragmatica, consiste nel fraintenderla, cioè nel non conoscerla affatto. Quanto segue nella trattazione delucida proprio questo aspetto effettuando ulteriori deduzioni sul monogramma iniziatico, che spazzano via qualsiasi “equìvoco”( “mmmmh, era tutto un equivòco” diceva Ollio a Stanlio scuotendosi la cravatta, no?).

    [12] Gli uomini sono creature deboli. Non si può caricarli di un fardello prometeico con l’ unico scopo di umiliarli. A tal proposito, ed anche in relazione ai fraintesi citati nella nota precedente, ricordo una barzelletta che concerne le bizzarrie che possono venir fuori quando si traduce pedissequamente, cioè o senza grano salis o senza buonafede, da una lingua all’ altra: un americano dice “La carne è debole ma lo Spirito è forte”, ma il russo non lo capisce. Allora inserisce la frase in un computer che restituisce la traduzione al russo, il quale scoppia a ridere. La traduzione era: “La carne è marcia ma il Liquore è delizioso”. Il senso è corrotto: lo si potrebbe preservare e quindi recuperare solo se si persevera in una lettura simbolica. Se invece ci si ostinasse in una lettura letterale, il senso ne risulterebbe smarrito per sempre. E pensare che sono entrambe forme di tenacia.

    [13] Si può aggiungere che nel monogramma A il tentativo è quello di esplicitare delle forze e delle risorse per porle a disposizione del mondo, laddove un invito a requisirle dal mondo per porle a disposizione propria si sarebbe piuttosto ravvisato in un monogramma con le simmetrie del tipo B. Ci si imbatte qui in una ulteriore conferma della validità dell’ analisi espletata. La Mass.·. non può essere una roccaforte di uomini nascosti e nulla più: né di uomini nascosti per il proprio vantaggio.

    [14] C’è un modo più anedottico di dirlo. Esiste un film pressochè sconvolgente di Steven Spielberg intitolato: Salvate il soldato Ryan. Durante lo sbarco in Normandia ( i venti minuti di guerra più spaventosi mai visti su uno schermo: che spettacolo, vero? ) il Comando di Stato Maggiore statunitense si accorge che dei quattro figli di una certa famiglia Ryan, tutti e quattro arruolati, tre sono morti durante lo sbarco. Viene allora incaricata una pattuglia di trovare, dovunque si sia paracadutato in Normandia, il quarto fratello Ryan e “tirarlo fuori di lì”, per lasciare ad una famiglia già distrutta e ad una madre già vedova, almeno un figlio. La pattuglia inizierà questa ricerca disperata, e tra le varie vicende ve n’è una che qui rammento: passerà davanti ad una pianura dove una postazione tedesca d’ agguato ha lasciato sul campo una precedente pattuglia americana di transito, i loro corpi in decomposizione. Il capitano decide di ingaggiare per distruggerla e impedire che altri americani possano subire la stessa sorte. I soldati non sono affatto d’accordo: “potremmo aggirarla e nemmeno saprebbero che siamo stati qui”. Vero. Il capitano insiste: no, occorre ingaggiare. I soldati obbiettano: “Ma questa non è la nostra missione! La nostra missione è di salvare il soldato Ryan“. Al che il capitano replica: “La nostra missione è di vincere la guerra“. E per vincerla e per trovare Ryan, moriranno tutti. Ma il soldato Ryan sarà salvato, e prima di spirare il capitano gli dirà all’ orecchio una cosa che non èmelodrammatica ma che risuona della lapidaria verità della Storia universale, poiché non è rivolta solo a “Ryan”: «Ryan: meritatelo. Meritatelo.»

    Sì: la Nostra Missione è vincere la guerra, non importa quale tipo di contributo possiamo dare davanti alla inderogabilità di questo obbiettivo prioritario. Nè stupisca il paragone con un film di guerra commovente nella sua cruda cruenza e verità: esso è totalmente pertinente. E’ proprio per questo, infatti, che c’è il sangue nel Nostro mito: “Forse un giorno Questa Istituzione potrà chiederVi di versare il Vostro sangue per Lei. Se Vi esporrete a versare il Vostro sangue, che sia sempre per una causa nobile e giusta”. Sangue. Se si colloca fuori dal contesto simbolico questo giuramento, esso non solo si configura come un’ eresia intellettuale o una obbiettiva follia penale (il che a molti può apparire la cosa più grave mentre a me appare la meno rilevante, poiché non si dovrebbe neppur giungere a siffatte allusioni) ma soprattutto appare completamente privo di senso: il che è ciò che più propiamente dovrebbe impressionare, e bloccare con ciò la dialettica prima ancora che da premesse sbagliate si sospinga sul liminare di conclusioni incredibili. Capire questo giuramento significa riconoscerNe l’ appartenenza alle coordinate simboliche qui trattate. Non capirlo, significa ignorarNe questo quadro simbolico. E’ per questo che i rituali non dovrebbero essere modificati solo per compiacere le prassi profane: per il semplicissimo motivo che non v’è in Essi assolutamente nulla che Le contraddica, per cui in che senso occorrerebbe riconciliarVeLi? Pensarlo significa non comprendere nulla della funzione della Massoneria e del mito simbolico che La ispira, e che è profondissimamente il mito di questo mondo, cioè esattamente del mondo profano dove c’è da darsi da fare per vincere una mostruosa guerra: non di un altro mondo, un eldorado “massonico” che come tale non c’è, non è nulla. Ciò che qui più rattrista non è a tal punto che i profani fraintendano la Mass.·., né che i Mass.·. non sappiano spiegarGlieLa, e neppure che alcuni Massoni stessi non La capiscano, e che per questo non riescano a spiegarGlieLa in modo convincente, ma che, arrivati fin qui e in mancanza di meglio, piuttosto che a comprendere si accaniscano a modificare rituali altrimenti di una bellezza fulgente e pressochè perfetta nella Loro intatta originalità e densità simbolica, onde garantire un’ ortodossia che già c’è. Così si elimina la Promessa Solenne dalla Chiusura: come se qualcuno promettesse un segreto perché ci sarebbe un segreto oggettivo; o come se qualcuno promettesse il segreto contro il mondo profano e non per il mondo profano! Ma, sapete, AGDGADU e “per il bene dell’ Umanità” non sono solo parole sfuggite di mano al vento, ma è in quanto elementi di un mosaico complessivo e coerente che la Tradizione ce Le ha tramandate. Io posso anche essere uno squallido ipocrita, e convincermi ottusamente che siano solo parole, ma chi ha redatto un rituale come il Nostro non poteva esserlo poiché gli intrecci di cui Lo ha intessuto sono tanti e tali da garantire almeno per Lui.

    [15] «Maestro Venerabile, il secondo viaggio del profano è compiuto».

    [16] «Davvero, la morte?» diceva Ivan Il’iç in un celebre romanzo di Tolstoj ( “La morte di Ivan Il’iç” ). «Sì, davvero» si rispondeva. Davvero c’è una guerra, potremmo chiederci? Sì, davvero, sarebbe la risposta. Ma dove si svolgerebbe? Dovunque. E’ una guerra mondiale, è una guerra senza quartiere. Infatti: davvero, la vita? Sì, davvero la vita.

    [17] Ignominia ed abominio. La tempestosità e la accelerazione stilistica che in questi ultimi paragrafi sono state guadagnate a scapito della risoluzione e focalizzazione cognitiva, non sono dettate dalla sola necessità di contenere le dimensioni della trattazione. Occorre anche ricordare che quando ci si confronta con ritratti metafisici così cospicui, le parole tendono ad impallidire e a farsi pudiche. Soprattutto, c’è da dire che le conclusioni a cui mi sono sospinto (che non ho la presunzione di ritenere incontestabili bensì semplicemente argomentate) costituiscono una innovazione ed un arricchimento della fisionomia massonica tali da indurmi finalmente a tacere, ad affrettarmi a lasciare la parola ad altri, e a restare in attonita contemplazione dell’ incredibile e imprevisto reperto che è emerso e salito sull’ orizzonte degli scavi di questa analisi.

    [18] Escatologia: da escatos, l’ altrove, l’ aldilà; e logos, discorso. Perciò: escatologia = un dialogo sull’ oltretomba.

    [19] Si sarà (  forse ) riconosciuto il titolo dell’ opera di Stendhal: « La Certosa di Parma ». Ovviamente ogni Certosa, in quanto edificio religioso, rinvia alla contemplazione di un aldilà dove le ingiustizie terrene dovranno essere finalmente emendate. Occorrerà tuttavia segnalare al lettore che non avesse letto quel libro, due sue caratteristiche: nonostante il romanzo sia intitolato alla Certosa, nessun accenno viene fatto ad essa nell’ intero tragitto della trama. Mai. Essa compare solo nell’ ultima pagina, e vieppiù nelle ultimissime righe, dove improvvisamente si forniscono delle indicazioni topografiche piuttosto puntuali su dove essa si situi: Stendhal dice infatti che il protagonista ( un italiano, Fabrizio ) «si ritirò nella Certosa di Parma, a due leghe da Sacca, nei boschi vicino al Po». A tal punto occorrerà ricordare questo: nei boschi vicino al Po, a due leghe da Sacca, e più in generale a Parma, non esiste, né è mai esistita, alcuna Certosa. Di cosa sta parlando Stendhal? Vaneggia?

    Domanda questa ( lo aggiungo per i palati più esigenti ) che un taoista, al fine di trovarle la risposta più pertinente, suggerirebbe di non porsi: non è forse vero che «il tao di cui si può parlare non è il vero tao», cioè che solo quel che ti emoziona ti avvilisce o ti entusiasma è davvero autentico, e non quello di cui chiaccheri o in merito al quale coltivi un’ opinione? E non è forse vero che «solo le signorine hanno una opinione» (N.Mailer)?

    [20] Quando non peggio. Alludo al fatto, per esempio, che Albert Camus conclude così il suo romanzo “Lo straniero“: «Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, non mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio

    [21] Blasfemia? Ma: ” La Mia ira si è accesa contro di voi, poiché voi non avete parlato rettamente di Me come il Mio servo Giobbe: infatti egli ha detto su di Me cose vere” ( Giobbe 42,7 ). Lo si può fraintendere quanto si vuole, ma il concetto di mutuo soccorso nella Fratellanza deriva, nella sua accezione simbolica corretta, dall’ enorme pericolo cui il F.·. si espone nella Sua missione, poiché è proprio nella natura di siffatte Missioni di finire sistematicamente male per qualcuno che non lo meritava. E quando in certe riunioni il Mass.·. si siede nella penombra dell’ ultima fila e nella concentrata mestizia del suo silenzio Ti guarda o ad occhi bassi immobile ascolta, non è il vezzo dell’ uomo enigmatico ed ermetico che ve lo costringe, ma l’ urgenza inavvertita di questo mito inconscio che purtuttavia vive, che purtuttavia palpita, e che dalla mezzanotte dell’ anima lo chiama alla Sua Missione disperata e necessariamente clandestina.

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