L’unica cosa incomprensibile dell’universo è la sua comprensibilità
(Einstein)
RIFLESSIONI SULLA SCIENZA
La scienza, intesa nell’accezione moderna del termine, si basa sull’osservazione che la natura è governata da leggi che appaiono universali. Questa osservazione, di vastissima portata filosofica oltre che scientifica, non ha mai trovato smentite, e viene assunta dagli scienziati quale assioma.
La cosa appare così naturale che raramente la si trova enunciata in modo esplicito; ciò nonostante tutto l’edificio scientifico si basa su ciò. Se al posto di una natura benignamente ordinata fossimo in balìa di un universo caotico, in cui le leggi fondamentali possono cambiare da luogo a luogo, da epoca ad epoca, oppure non esistere affatto, lo scienziato sarebbe ridotto al rango di stregone, o meglio non esisterebbe affatto.
Cos’è infatti che differenzia una teoria fisica dalla speculazione filosofica e teologica, o dalle sfrenate fantasie dei maghi televisivi? A ben pensare alla base di tutto c’è proprio l’assunto che le teorie scientifiche abbiano valore, nei limiti dei loro enunciati, sempre e dovunque.
E c’è poi la regola della loro falsificabilità. Karl Popper la enunciò con grande chiarezza: “non posso affermare che una teoria scientifica sia tale se non mi consente di formulare predizioni che possano essere confutate dai fatti qualora fossero errate”.
Lasciando da parte ogni analisi sulla significanza delle quantità fisiche, sull’evoluzione della scienza per paradigmi, ed altre questioni di filosofia della scienza che ci porterebbero troppo lontano, in territori che poco hanno a che vedere con l’argomento di questo articolo, prendiamo per buone, almeno dal punto di vista operativo, le affermazioni sull’universalità e sulla confutabilità delle teorie scientifiche.
Figura 1: Francis Bacon (1561-1626). |
Figura 2: Galileo Galilei (1564-1642), in un ritratto a pastello di Leoni. |
IL DIO OROLOGIAIO
La scienza moderna, cioè basata in modo più o meno esplicito su queste regole, è un’invenzione piuttosto recente dell’umanità: risale a Francis Bacon (1561-1626) e a Galileo Galilei (1564-1642), quindi a circa quattro secoli fa. Fino all’epoca di Newton (1642-1727) si pensava che la scienza non avrebbe mai potuto spiegare tutta la costruzione dell’universo fisico. Ad esempio il grande scienziato inglese era convinto che la legge di gravitazione universale, da lui scoperta, potesse descrivere molto bene il moto dei pianeti e dei satelliti nel sistema solare, ma che alla lunga non garantisse la stabilità necessaria affinché i pianeti non si disperdessero nello spazio infinito o non cozzassero gli uni contro gli altri. Doveva esserci, da qualche parte, un dio che periodicamente registrasse le orbite dei corpi celesti, permettendo loro di mantenersi stabili: una specie di “dio orologiaio”, quindi.
In seguito si dimostrò, ad opera soprattutto di Laplace, che le orbite dei pianeti erano molto più stabili di quanto pensasse Newton: il “dio orologiaio”, ammesso che esistesse, dopo aver creato il suo meccanismo non avrebbe avuto più ragione di intervenire. Forse non c’era nessun bisogno che un meccanismo apparentemente stabile e destinato a durare per l’eternità avesse un creatore, forse stava lì da sempre, il “dio orologiaio” era un’ipotesi inutile. Tutti i fenomeni naturali, persino la vita, erano spiegabili o lo sarebbero stati entro breve, alla luce di poche leggi fondamentali, nei cui confronti un dio creatore od ordinatore dell’universo non era che un’aggiunta, alla quale il singolo scienziato poteva essere portato da convinzioni religiose o filosofiche, ma non certo spinto dalla scienza stessa.
Figura 3: Isaac Newton (1642-1727)
FISICA, RELIGIONE E MASSONERIA
Negli ultimi decenni però le moderne teorie cosmologiche, la conoscenza sempre più spinta del microcosmo delle particelle elementari, le nuove scienze nate assieme ai computer (la cibernetica in particolare), le nuove riflessioni filosofico-scientifiche sul significato della matematica, della scienza di base e della biologia, hanno aperto nuove frontiere che fanno affiorare nuove idee, una sorta di senso del trascendente, in parte estraneo alla scienza quale la si concepiva nel secolo scorso.
Attenzione però: non stiamo parlando di religiosità positiva, né tanto meno di credenza in alcuna religione rivelata. Il senso del divino che molti avvertono nell’avvicinarsi a queste teorie, siano essi scienziati praticanti od uomini di cultura scientifica, è ben distante da ciò, ed ha molti punti in comune piuttosto con ciò che i Massoni chiamano Grande Architetto dell’Universo.
Siamo al confine dunque, al triplice confine fra scienza, filosofia e mistica religiosa, e qui ci terremo senza cadere in nessuna delle tre. È forse proprio su questo confine che la Massoneria ha il suo ruolo di raggruppare tutti gli “uomini liberi e di buoni costumi”. Il Libero Muratore, “se intende rettamente l’Arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso”, forse perché riuscirà a cogliere quelle assonanze che gli fanno intuire il trascendente, indipendentemente da ogni rivelazione. E le nuove idee della scienza sono una delle tante vie che ci pongono di fronte a tali assonanze.
Figura 4: William Blake (1757-1827), “Newton“.
MATEMATICA E SCIENZA
La matematica è alla base di tutta la scienza: già Galileo notava che il gran libro dell’Universo è scritto in linguaggio matematico. Eppure cosa sia di preciso questa disciplina è ancora avvolto dal dubbio. È poco chiaro se la matematica sia una nostra costruzione (punto di vista “formalistico”), oppure consista nel disvelare proprietà logiche che abbiano un’esistenza indipendente, come già si riteneva ai tempi di Platone. D’altra parte l’interpretazione formalistica ha ricevuto un duro colpo nel 1931, con il teorema di Gödel, secondo cui in un sistema di assiomi e deduzioni (qual è la matematica secondo i formalisti) esistono proposizioni indecidibili, cioè che non si può determinare se siano vere o false. Ciò significa che il sistema può contenere delle ambiguità che non si possono risolvere rimanendo all’interno del sistema stesso.
Ma le perplessità non si arrestano qui. I primi computer hanno fatto nascere il problema della computabilità, cioè di determinare se un certo numero è determinabile con l’approssimazione voluta mediante un procedimento di calcolo. Questo è ad esempio il caso del numero trascendente p , rapporto fra il diametro e la circonferenza di un cerchio. La sequenza dei suoi decimali può essere calcolata con la precisione voluta, è solo questione di tempo. Ma Turing, negli anni Quaranta, dimostrò che esistono anche numeri incomputabili. Ora, alcuni fisici matematici (ad esempio David Deutsch) sostengono che la computabilità sia una proprietà empirica della natura, cioè che dipenda da come il mondo è fatto, e non dalla necessità logica. Pensiamo ad un universo in cui la materia non si condensa mai: avrebbe un senso l’aritmetica ? Cosa potremmo contare se le “cose” numerabili non esistessero ? L’astrazione del numero, che sta alla base di tutta la matematica, non è forse resa possibile dal modo in cui l’universo è fatto ?
Ma torniamo al numero p : la sequenza dei suoi decimali appare assolutamente casuale. Qualsiasi indagine statistica non riuscirebbe a trovarci nulla di preordinato. Eppure questa sequenza ha un significato ben preciso, ed esiste un algoritmo per determinarla con la precisione voluta.
Anche ciò che appare casuale può quindi avere un significato profondo. La meccanica quantistica ha introdotto nella fisica una casualità di base: dopo la testarda incredulità di Einstein, che nella sua maturità, quando la meccanica quantistica era ormai patrimonio assodato della fisica, si ostinava a dubitare che Dio giocasse a dadi, ormai nessun fisico se ne stupisce più. Essa spiega in modo mirabile tali e tante proprietà della materia che sarebbe insensato dubitarne.
Ebbene, la causalità introdotta dalla meccanica quantistica non potrebbe essere solo apparente ? Non potrebbe darsi che, come nella sequenza casuale delle cifre decimali di p si cela una delle proprietà fondamentali della geometria, nel succedersi casuale dei fenomeni quantistici si celi un ordine a noi sconosciuto ? Che Qualcuno si serva di questa casualità solo apparente per indirizzare il cosmo ad un fine ben determinato, senza dover alterare in alcun modo quelle leggi della fisica che forse ci ha donato, quella regolarità senza la quale l’essere umano sarebbe una foglia in balia del caos della natura ?
Figura 5: William Blake (1757-1827), “The Ancient of Days“.
LA SUPERUNIFICAZIONE E LA “TEORIA DI OGNI COSA”
Esistono quattro tipi di forza: la gravità, la forza elettromagnetica, la forza nucleare forte (che tiene assieme i nuclei degli atomi nonostante la repulsione elettromagnetica) e la forza debole (che provoca il decadimento radioattivo). Da anni è già assodato che almeno due di esse (la forza elettromagnetica e quella debole) sono aspetti di un’unica interazione (elettrodebole); oggi si cerca di spingere l’unificazione di tutte e quattro in un’unica teoria (“teoria del campo unificato”).
Perché questi sforzi ? Perché gli scienziati da sempre sono fruttuosamente convinti che l’universo sia retto da leggi non solo universali, ma anche semplici. Dagli inizi della scienza ci si accorse che leggi diverse, applicate ad ambiti diversi, erano poi solo aspetti di una sola legge universale. Si pensi alla legge della caduta dei gravi, scoperta da Galileo, ed a quelle del moto dei pianeti, scoperte da Keplero: Newton mostrò che erano aspetti di un’unica, semplice legge: quella di gravitazione universale (tutti ricorderanno l’aneddoto della mela che cadde sulla testa dello scienziato inglese). A priori nessuno ci dice se i fisici teorici riusciranno mai a raggiungere la superunificazione. Eppure si può esser certi che tutti ne sono pienamente convinti.
Come abbiamo quattro tipi di forze, abbiamo sostanzialmente due grandi teorie complementari, apparentemente indipendenti, che descrivono la natura: la relatività e la meccanica quantistica. Anche su questo fronte gli scienziati pensano che ci si possa ricondurre ad un’unica teoria (la chiameremo teoria di ogni cosa) che le combini assieme. Se riuscissimo mai a formularla, essa spiegherebbe in linea di principio ogni aspetto del cosmo.
Ci sono scienziati che ritengono che una tale teoria potrebbe essere necessaria, cioè essere l’unica teoria auto-consistente, e spiegare anche in modo obbligato le condizioni iniziali da cui l’universo ha avuto origine. La cosa è un po’ agghiacciante: una volta formulata la teoria di ogni cosa la scienza diventerebbe un semplice esercizio matematico, potendo derivare tutte le spiegazioni dalla teoria per pura deduzione. Per fortuna un tale risultato è al momento non solo lontano, ma molto dubbio, in quanto il teorema di Gödel, già citato a proposito della matematica, è applicabile anche in questo caso, e mostra come abbiamo visto l’impossibilità, dall’interno di questo sistema di assiomi, di dimostrare la non contraddittorietà dello stesso.
C’è quindi speranza che le teorie di ogni cosa logicamente possibili siano molte: una sola di esse varrà nel nostro universo. Inoltre non è detto che essa ponga dei vincoli precisi sulle condizioni iniziali a partire dalle quali l’universo si è mosso.
Figure 6-7-8: Insiemi di Mandelbrot. Si tratta di forme geometriche, detta frattali, che vengono generate dall’applicazione iterativa di una regola matematica molto semplice. Ad ogni livello d’ingrandimento si rivelano dettagli sempre nuovi e diversi. Come nel caso di molte altre teorie matematiche risulta difficile pensare che i frattali siano stati “inventati”: sembrano piuttosto una realtà, benché astratta, indipendente dalla loro scoperta. In questo caso, come in molti altri, viene da pensare che il matematico (Benoit Mandelbrot) abbia “posato il piede sull’opera di Dio”.
IL BIG BANG
Ma cosa intendiamo con condizioni iniziali dell’universo ? Le moderne teorie cosmologiche ritengono che l’universo abbia avuto origine in un istante ben preciso del passato (decine di miliardi di anni or sono), da un big bang, prima del quale tutto era compresso in una singolarità. Prima del big bang neppure lo spazio ed il tempo esistevano, e tutto quanto è nato deriva dalla distribuzione della materia nei primi istanti dopo il “grande botto”.
Anche se il profano di scienza dall’idea del big bang può derivare quasi automaticamente quella di un “creatore”, di qualcuno che ci fosse anche “prima” dell’istante iniziale, in realtà lo scienziato a questi argomenti resta abbastanza indifferente: nella singolarità iniziale tempo e spazio si annullano, non ha senso chiedersi cosa ci fosse “prima”. Se un Creatore esiste, in qualsiasi forma, non lo cercheremo dunque “prima” del big bang.
Figura 7: le Pleiadi. Ammasso aperto della costellazione del Toro, composto da alcune centinaia di stelle, situate a circa 400 anni luce dal sistema solare. A occhio nudo se ne vedono sette, da cui il nome delle sette mitiche sorelle Elettra, Maia, Taigete, Alcione, Celeno, Sterope e Merope, figlie di Atlante.
IL PRINCIPIO ANTROPICO
Probabilmente, per quanto detto sopra, il nostro universo ha alcuni margini di libertà: varie teorie possibili, vari insiemi di condizioni iniziali. Dal punto di vista della fisica poteva anche essere diverso da com’è.
Eppure a ben guardare l’universo appare “troppo bello per essere vero”. In particolare l’esistenza degli esseri viventi sembra dipendere da coincidenze fortuite così particolari che fanno nascere il sospetto che “ci sia sotto qualcosa”.
Come abbiamo visto le leggi che governano l’universo godono di assoluta uniformità rispetto al tempo ed al luogo: come affermava David Hume, il corso della natura è sempre ed uniformemente lo stesso. Questa caratteristica potrebbe non essere affatto obbligatoria.
Inoltre le leggi di natura hanno anche, nei nostri confronti, la bontà di essere molto semplici dal punto di vista matematico: si pensi alla legge di gravitazione universale, che dipende dall’inverso del quadrato delle distanze. Nulla forse avrebbe vietato che la funzione che la determina fosse estremamente complicata. Anche laddove erano richiesti sviluppi molto complessi della matematica, come in meccanica quantistica od in relatività generale, spesso questi sviluppi erano già lì belli e pronti, qualche matematico li aveva “trovati” prima ancora che servissero ai fisici: è bastato accorgersene ed applicarli. E comunque il risultato finale, una volta capita la matematica che ci sta sotto, si riconduce sempre a leggi estremamente semplici.
Ma non ci si ferma qui: le leggi di natura, per quanto semplici ed universali, grazie alle condizioni iniziali, sono state capaci di generare un universo dotato di grande varietà e complessità. Questa varietà non è una caratteristica obbligatoria: è emersa dal caos primordiale degli istanti successivi al big bang grazie ad una serie di processi che l’hanno organizzato, rendendo l’universo ricco e complesso come lo vediamo. Non sempre ciò accade: i sistemi caotici, ormai ben studiati dalla scienza, non godono di queste proprietà di organizzazione pur essendo retti dalle stesse leggi della fisica che reggono l’universo nel suo insieme. Eppure a livello cosmico il caos non ha preso il sopravvento.
Tutte le leggi di natura sembrano combinarsi alla perfezione. Pensiamo alle stelle: la gravità, assieme alle caratteristiche termodinamiche e meccaniche del gas d’idrogeno, ha determinato il formarsi di globi di tale gas abbastanza grandi da farli collassare innescando le reazioni nucleari, ma non abbastanza da farli rapidamente diventare buchi neri. Così abbiamo avuto le stelle, sorgenti di energia la cui fase stabile dura alcuni miliardi di anni.
Le nostre conoscenze sul fenomeno vita sono tuttora piuttosto scarse. Se però ammettiamo che il carbonio, a causa delle sue proprietà chimiche, ne debba essere il costituente fondamentale, allora non possiamo non riconoscere che la sua abbondanza, come evidenziato dall’astronomo Fred Hoyle, è dovuta ad una serie di combinazioni apparentemente piuttosto fortuite. La reazione che lo genera, a partire dall’elio, è legata a stati di energia piuttosto ristretti. Il caso (?) vuole che, nelle grandi stelle, l’elio abbia proprio tali energie !
Ma i casi (?) non si fermano qui: si arriva facilmente alla conclusione che vi sono moltissimi aspetti dell’universo che, se di poco differenti, non ne consentirebbero l’abitabilità da parte di forme di vita simile alla nostra.
Insomma, tutta una serie di casi fortuiti. Nel 1938 P.A.M. Dirac (uno dei padri della meccanica quantistica) aveva svolto alcuni studi sui numeri adimensionali che rivestono funzioni importanti in fisica od astronomia. Dirac trovò corrispondenze così strette fra alcuni di essi che sembrava difficile fossero dovute al caso.
Nel 1961 Robert H. Dicke, riprendendo il lavoro di Dirac, formulò il principio antropico: notò che se queste coincidenze non ci fossero state la presenza della vita sarebbe stata impossibile, quindi ribaltando i termini della questione affermò che, dal momento che noi esistiamo, necessariamente ci devono essere le coincidenze trovate.
In questa forma (forma debole) il principio antropico non dice nulla di veramente nuovo, si limita a constatare ciò che avviene in natura, e non lo si può certo mettere in dubbio.
D’altra parte il fatto che piccole variazioni di alcune costanti universali determinerebbero un universo in cui regna il caos, in cui la vita (necessariamente organizzata) non si potrebbe formare, non può non turbarci e farci riflettere.
Esiste infatti poi un’altra formulazione più radicale del principio antropico (forma forte): in essa l’astrofisico Brandon Carter arriva a sostenere che l’universo dev’essere tale da accogliere, in una qualche sua fase, esseri consapevoli. L’universo non ha avuto scelta, la forma attuale, benché forse estremamente improbabile, era l’unica adatta a quello che potremmo considerare lo scopo dell’universo stesso.
CONCLUSIONI
Se un tempo ci si chiedeva chi avesse creato l’universo, forse oggi sarebbe più corretto chiedersi, con Stephen Hawking, “Perché l’universo si dà il disturbo di esistere ? Cos’è che soffia il fuoco nelle equazioni e dà loro un universo da descrivere ?”. E ovviamente, perché proprio questo universo ?
Molti altri capitoli si potrebbero aggiungere: tante sono le altre branche della scienza moderna che sarebbero degne di attenzione. Solo per fare un esempio pensiamo al problema se esistano altri mondi abitati da esseri intelligenti (e poi, cos’è l’intelligenza ?): se ve ne sono, come parrebbe ineluttabile, come mai non si sono ancora messi in contatto con noi ?
Limitiamoci per ora a queste semplici (o semplicisticamente divulgative) annotazioni, giusto per capire come la scienza d’oggi non sia affatto materialista ed arida come talvolta la scuola ed i mass-media ce la dipingono, ma sia capace di indicarci sprazzi di Luce che poi ognuno di noi potrà interpretare a suo modo.
NOTA
Molti degli argomenti citati trovano chiara spiegazione nei libri del fisico inglese Paul Davies, in particolare “Dio e la nuova fisica”, parafrasando il cui titolo abbiamo derivato il titolo del presente articolo, ed il più recente “La mente di Dio”: sono libri divulgativi, accessibili a tutti, e ad essi rimandiamo per ogni approfondimento e per dettagliate indicazioni bibliografiche.