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    Capitolo V

    dell’opera: La Vita è l’Arte dell’Incontro

    di Monica Bregola


     

    Ti amo perché ne ho bisogno
    non perché ho bisogno di te“.

    Zucchero

    Amare. Amore. Bisogno d’amore. Dolore. Identità. Sorgente. Autonutrimento. Libertà di amare.

    Questi i passaggi che ci conducono sulla ‘soglia’. Ora, l’amore non fa più rima con dolore. E amore non è più sinonimo di sofferenza inevitabile, né la prospettiva di sicura delusione, né l’ambizione di saccheggiarsi a vicenda.

    Ora l’amore ha perso i connotati dell’illusione. Il velo di maya è caduto. I molti han lasciato posto all’Uno.

    Il bisogno non uccide e la voragine interna che urla a segnalare quel vuoto mai colmato, ora tace. E’ silenzio. Il Silenzio.

    La pace del Sè che penetra in noi e ci spinge al grande servizio. “E’ una delle più belle compensazioni della vita: nessuno può veramente aiutare un altro senza anche aiutare se stesso.”

    La voce del cuore là dove le parole sono inutili.

    Il valore immenso del silenzio

    Nel silenzio avviene il contatto con i meccanismi di autoregolazione e autocreazione.

    Il silenzio allarga lo spazio psichico e crea nuove proporzioni.

    Il silenzio è la voce dello spirito che si esprime nel linguaggio dei saggi. Fonde l’uomo con l’anima della natura e avvicina la polarità umana a quella divina, accendendo la fiamma della creatività. Nasce dall’infinità del Cosmo di cui sintetizza gli echi stellari.”

    Silenzio.

    La personalità tace, con il suo furore, i suoi conflitti, le sue paure; non invoca per sé, non vuole, non desidera.

    L’esperienza della ripolarizzazione della coscienza su un altro livello è di stupore, è come aprire gli occhi e ‘vedere’ per la prima volta la verità: l’Amore è intelligenza attiva, è veicolo, l’amore feconda e vivifica, “l’amor che move il sole e l’altre stelle”, potente, giusto.

    Il regno del “Noi”

    Ma qui, nel regno del “Noi” non è più il tempo dei saccheggi.

    L’incontro è fra esseri umani, non fra ruoli, né subpersonalità.

    L’Amore è un fine da raggiungere. E’ acqua pura che sgorga dalla Sorgente interna, autoalimentantesi, autoricreantesi.

    L’Amore è il passaggio da oggetto a soggetto.

    Nel regno del “Noi” io non sono più io, nè tu sei più tu. E’ compartecipazione alla vita. Il regno del “Noi” è causa, l’effetto viene formalizzato attraverso il cambiamento.

    Essere nel regno del “Noi” significa essere nella realtà, ove chiara consapevolezza è la grande eresia della separazione. Nessuno è separato, nessun io è separato dagli altri io. Colgo l’unità di fondo, l’unità dei regni. Non c’è contrapposizione, né angoscia che l’accompagna. Il “Noi” è la forza della vita.

    Nel “Noi” scompare l’io, c’è un’intelligenza superiore che guida che è forza costantemente nuova che costantemente mi rinnova.

    Il “Noi” è libertà.

    Il “Noi” è scambio vivente che schiude l’ordine del mondo.

    Il ‘punto di contatto’ è nel ‘sapere di non sapere’. No schemi, no immagini interne di te; e lasciare andare il conosciuto è atto di unità e conoscenza costante.

    Solo se lascio andare di te ciò che conosco posso incontrarti e conoscerti.

    L’incontro è rigenerazione. L’incontro è fecondante. Si compie un salto creativo frutto della libertà dal conosciuto.

    Scavalcare i limiti dell’io attraverso l’Io. E’ la centratura alla base che mi permette l’autotrascendenza. Il ‘Noi’ è il frutto della possibilità dell’Io di trascendere i confini dell’Io.

    Che cosa scopro allora?

    Che non esiste nessun Io.

    La totale attenzione produce presenza. Nulla viene dissipato, sono totalmente qui, nel ‘qui ed ora’.

    Il ‘Noi’ è compartecipazione all’eterno.

    Il tempo e lo spazio, dimensioni orizzontali, sono trascesi, i limiti percettivi ampliati. Espansione di coscienza.

    L’unico luogo in cui posso essere: ‘qui ed ora’.

    Libertà dal conosciuto

    Autotrascendenza non è annullamento o annientamento di sè, bensì accettazione e conferma ed espansione.

    No schemi, no punti di riferimento mentali, o agganci alla realtà stereotipata, congestionata dalla consuetudine e dai falsi modelli. Niente, nessun appiglio che accorre con la funzione di aiutarmi a riconoscere qualcosa che ho conosciuto, che ora mi si ripropone e che cerco di riconfezionare allo stesso modo passato.

    Solo presente. Ora sono. Ora conosco. Ora, nel totale distacco interiore, distacco da ogni attaccamento, pretesa, credo, visione, paura.

    Dal distacco nasce una grande quiete interna, una grande pace. Attraverso il distacco si alza il livello della vita.

    Totale attenzione all’altro, autotrascendenza, presenza, per entrare in ‘contatto’.

    Ti vedo per la prima volta, colgo l’essenzialità dell’incontro, la verità che permea l’incontro, colgo la multidimensione, l’unità nella diversità.

    Qual è l’effetto di un simile incontro? La ri-creazione di me, dell’altro, del mondo.

    Ti vedo per la prima volta, non impongo limiti, confini, non proietto, non temo. Sono senza confini perché tu possa espandere i tuoi per incontrarci al di là del limite. Tu non sei più ‘terra straniera’, io non sono più imprigionato nella gabbia dell’io. L’universo è la nostra patria. Siamo cittadini del mondo, compagni di viaggio, compartecipiamo all’umanità.

    Ti vedo per la prima volta: vedo la ‘Realtà Uomo’.

    Ti vedo perché più nulla infligge oscurità e nebbia alla relazione.

    “Formazione è cambiamento.

    Esser formati non è aver imparato delle cose da ripetere, delle risposte per tutte le domande. E’ essere cambiati nel modo di essere e di presentarsi al mondo. Di nuovo, non è una questione di “cosa” ma di “come”. I nuovi “come” sono adattabili a tutte le “cose” e le interpretano senza bisogno di esperienze precedenti. E i nuovi come saranno infiniti.”

    Effetto “pace”

    Un effetto è la nascita della non-violenza, come accettazione dell’altro, e di me, della diversità, di ciò che è, di come la natura ci vuole. E’ possibilità, è divenire. Cadendo il ‘dover essere’ emerge il ‘poter essere’.

    Io e Tu, l’incontro è nel possibile, nel potenziale, nell’amore; lo sforzo è un capirsi, un comprendersi in senso anagogico, portato in alto oltre i bisogni eppure compresi, oltre i personalismi, eppure accolti.

    Il senso anagogico è il significato del possibile, è la speranza che l’opera si attui e l’attesa che si materializzi nel Tu.

    Non sono più importante io, nè il tu è importante; è importante l’opera, il cui senso è colto da chi, in armonia, lo può attuare.

    Il ‘Noi’ è dimensione sovrapersonale. E’ l’essere nelle cose, nella vita. Io e Tu siamo trascinati nei vortici energetici della vita, nella sua danza, e ciò che importa è che io non sono più io, nè tu sei più tu: siamo nella danza.

    Nel ‘Noi’ cade la separatività, nasce l’unione. Il Tu esce dalla dimensione oggettuale, non è più oggetto ma è la vita stessa. Unità come energia autoricreantesi in cui mi percepisco come fenomeno unitario.

    Nasce l’amore oblativo, disinteressato.

    Nasce l’attuazione del ‘progetto originario’, la tensione verso il divenire che è in noi: l’entelechia aristotelica.

    “Amare è far sorgere nell’altro una nuova vita.”

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