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    Azal, il mondo dell’Eternità

     AZAL, IL MONDO DELL’ETERNITA’.

     Tradizione esoterica e misticismo nell’Islam

    Consideri te stesso una forma meschina quando

    dentro di te è riposto l’universo intero?

    Hadith attribuito all’imam Alì.

    Gli occidentali hanno fama di cercare troppo spesso lontano verità e spiegazioni che si potrebbero ritenere ragionevolmente a portata di mano.

    La spiritualità, ad esempio, non è certo prerogativa solo di alcuni popoli orientali ed il riscoprirla nelle nostre antiche tradizioni non è impresa da poco ma anzi è meritevole ed apprezzabile poiché il recupero della nostra memoria storica, del patrimonio culturale che ci contraddistingue e che forma il sostrato sul quale è nata e vissuta la nostra civiltà, dovrebbe essere volto a cogliere quanto più di eterogeneo coesiste da secoli nel nostro stile di vita.

    Noi, popoli del Mediterraneo, abbiamo poi un particolare debito di gratitudine verso le civiltà del vicino medio – oriente, in specie verso quelli di lingua araba.

    Tanti anni di dominazione araba nel nostro meridione non sono passati invano; qualcosa di indelebile, anche dentro di noi, hanno lasciato. Eppure, dopo una secolare convivenza ancora oggi tendiamo a giudicare con tanta superficialità aspetti troppo evidenti e che falsano tutto sommato l’immagine autentica della civiltà araba.

    L’aspetto molto meno conosciuto è quello della spiritualità profonda che caratterizza una religione, l’Islam, troppo spesso equivocata e vilipesa.

    Esiste una vena mistica in essa che sicuramente rappresenta tra le più affascinanti e complesse tradizioni di conoscenze esoteriche. Parlarne in sintesi è un’impresa pressoché impossibile ed il mio scritto vuole essere semplicemente uno stimolo a ricercare ulteriormente idee e concezioni che meritano tutta l’attenzione possibile.

    La mistica islamica, persiana ed araba, è estremamente variegata, profonda di contenuti e straordinariamente legata, per il suo simbolismo alla letteratura, soprattutto alla poesia. Nella letteratura persiana classica, infatti, i grandi nomi dei suoi poeti sono anche nomi dei più grandi mistici.

    Secondo un’antica tradizione Sufi (la corrente mistica più estrema dell’Islam), le dottrine esoteriche sono direttamente derivate dagli insegnamenti che il Profeta avrebbe impartito a pochi e scelti compagni. Addirittura, Egli avrebbe appreso quella Conoscenza in Paradiso dove si ritiene che Mohammed fosse preesistito insieme ad Adamo ed agli altri profeti.

    Lo stesso Corano, da Qur’an, recitazione, fu tramandato per parecchio tempo attraverso la tradizione orale di cui erano depositari gli hàmalat al Qur’an, i recitatori del Corano, e poi messo per iscritto da Zaid Ibn Thabit nel 650 (Mohammed era morto nel 632), e divenne da allora la vulgata del testo sacro in uso nell’Islam.

    In esso vi è contenuto il cosiddetto gruppo delle Sure meccane, le più antiche in assoluto, e che recano titoli nettamente poetici e misteriosi: Il Sole, La Notte, Le Torri Celesti, Il veniente di notte, L’Ora avvolgente, L’ora che batte etc

    Esse racchiudono in una forma desultoria e rapsodica la Verità intorno a Dio ed al suo Creato. Basta ricordare, per esempio, la Sura della Luce, di netto sapore gnostico ed in cui si parla di Allah come di: ”luce sopra luce che risplende ad oriente come ad occidente…” con chiara affinità di significato al Pleroma degli gnostici.

    Tutte alludono comunque ad un sapere riposto nel cuore umano durante l’Azal, ovvero l’eternità pretemporale dove le anime erano preesistenti. Un famoso hadith, dotto, afferma infatti: “ la prima cosa creata da Dio fu l’anima mia”.

    Sicuramente nell’Islam esoterico passarono elementi di antica origine mazdaica e gnostico-cristiana che si evidenziano anche nel culto popolare: la decima, il digiuno, la preghiera canonica sono tutti fattori che ritroviamo anche nella liturgia della chiesa manichea delle origini. Anche per i manichei, ad esempio, la preghiera doveva essere preceduta dall’abluzione ed era costituita da stazioni e posizioni analoghe a quelle della preghiera musulmana. La tradizione manichea, inoltre, prevede una lista di profeti precedenti a Mani come Shetel, Enoch, Abele che hanno anche un riconoscimento importante nella tradizione coranica. Verosimilmente, possiamo affermare che fu soprattutto attraverso l’esperienza gnostica che il manicheismo penetrò nell’islam, andando poi sempre più ad interagire con le correnti mistiche come il sufismo.

    Secondo la tradizione, Mohammed avrebbe avuto uno speciale suggello di profezia fra le spalle ed anche nella leggenda manichea, infatti, si parla di qualcosa di lucente come la fiamma che avrebbe avuto sulle spalle il profeta Mani.

    Abbiamo detto che, come in ogni religione, gli insegnamenti esoterici, differenti rispetto a quelli essoterici destinati al culto pubblico, confluirono nella nascita di correnti, scuole e confraternite che è riduttivo chiamare sette in quanto fondamentalmente non si discostano dai dogmi essenziali dell’Islam.

    Soprattutto il Sufismo è il fenomeno più conosciuto e reso famoso dalle opere immortali di poeti e scrittori arabi e persiani che ne furono esponenti di spicco.

    Sembra che il termine “Sufi” sia stato usato per la prima volta da un mistico della scuola di Basra, Jahiz, ad indicare la particolare veste di lana grezza che indossavano gli adepti. Come tutti i movimenti mistici di tendenze anacorete, anche il sufismo si costituisce come reazione alle strutture esteriori della vita religiosa.

    Nel secondo secolo d.C. a Basra ed a Kufa sorsero centri dediti alla ricerca mistica, rifugi solitari per pochi scelti e che sembrano contraddire il presupposto fondamentale dell’islam: non vi è posto in esso per il monachesimo.

    Sinteticamente esistono dei postulati essenziali che formano l’itinerario del mistico sufi, ovvero le tappe del suo viaggio spirituale.

    Innanzitutto le grazie (fawa’d), provenienti dalla pratica assidua.

    Segue la scienza dei cuori (‘ilu al qulub) che procura la Conoscenza ultima.

    La sostanzializzazione dell’anima sotto lo stimolo dell’intelletto attivo, Iraqìya.

    Infine, la coscienza di essere indifferenziati da Dio, wusuliya.

    Tutti questi stati d’animo che raggiunge il mistico sono prove tangibili della sua iniziazione e della grazia divina che trasfigurano l’individuo e lo rendono simile, nel cuore e nell’animo, a Dio; è l’incarnazione della divinità lahùt, nell’umanità, nàsut.

    Nelle opere dei grandi poeti persiani come Attar, Rumì, Al Hallag, Hafiz di Shiraz, Ibn Arabì ed altri ancora, queste idee si ampliano, prendono corpo e sposano alcuni dei più alti versi poetici che siano mai stati prodotti.

    Ma è soprattutto nell’opera del persiano Rumì che ritroviamo tutta l’enfasi mistica profusa nella delicatezza delle immagini allegoriche dei suoi versi. Nel Mathnavi’y’ masnavì, il suo grande poema, Jalalu ‘d’ Din Rumì, paragona la ricerca dell’Assoluto alla ricerca che infiamma l’amante verso l’amata che, alla fine ritrova come essere stata sempre prossima a sé. Egli dice: “Nell’Amore vi sono settantadue pazzie”, intendendo ribadire il “ furore” che muove il mistico all’Amore verso Dio.

    L’intera sua opera è ricca di simbolismi che, secondo Rumì, servono a celare la Realtà ultima.

    Un altro grande mistico, Ibn Arabì, dirà in seguito: “lo schiavo è il Signore ed il Signore è lo schiavo, chi dei due è il debitore?”. Ed ancora afferma: “l’uomo unisce in sé la forma di Dio e quella dell’Universo. Egli soltanto manifesta l’Essenza divina insieme con i suoi nomi ed attributi. La nostra esistenza è una pura oggettivazione dell’esistenza di Dio. Gli siamo necessari perché Egli possa manifestarsi in noi”. L’uomo acquista così le sembianze perfette fino a diventare kalifa, il vicario di Dio nel mondo, la sua copia fedele (mushat al-haqq).

    Molti di questi mistici si spinsero a conclusioni estreme, a volte sfidando l’ortodossia islamica e pagando con la propria vita. E’ il caso di Al Hallag, “il pazzo di Dio”, che venne martirizzato a Baghdad come eretico per le sue affermazioni blasfeme. Egli dice infatti: “Io sono colui che amo e colui che amo è me, siamo due spiriti scesi ad abitare un solo corpo. Quando tu vedi me vedi anche lui, quando vedi lui vedi anche me…”

    Un’antica leggenda vuole che egli morì crocifisso e che aveva il potere di resuscitare i morti, di parlare con i Ginn (gli spiriti), e che faceva miracoli come i grandi profeti.

    Ma accanto agli estremi dei mistici, altri illustri nomi si sono preoccupati a legittimare la cosiddetta via mistica dei santi, degli illuminati, accanto a quella più tradizionale degli eruditi, di coloro i quali usano il ragionamento e la dialettica.

    Primo fra tutti il grande Avicenna, che scrisse nelle sue opere di una doppia verità, in cui ciò che secondo la fede è vero, può apparire falso secondo la ragione, ma aggiunge: “acquista la conoscenza di te stesso e conoscerai il tuo Fattore”.

    Certamente è vastissima e difficile da sintetizzare la tradizione mistica islamica che naturalmente non si esaurisce con il Sufismo ma che si arricchisce degli innumerevoli contributi di vari movimenti, dai dervish agli Ismailiti, e che esprimono parimenti le istanze più profonde di tutta la tradizione esoterica orientale ed occidentale a testimonianza del fatto che molteplici dottrine del passato sono giunte a noi attraverso il filtro della cultura araba ma anche che nella varietà delle tradizioni, delle pratiche, delle fedi, un’unica luce, un unico significato continua a percorrere, una volta come oggi, accanto all’uomo, quale compagno assorto e silenzioso, la via verso la Conoscenza.

    Tecla Squillaci.

    Nata a Catania, Italia,il 6/11/1967, laureata in filosofia teoretica, laureanda in giurisprudenza, dopo alcuni anni di giornalismo a tempo pieno dal 1996 è insegnante di lettere.Collabora con diverse pubblicazioni sia online che cartacee di filosofia, diritto e letteratura. Segnalata ed insignita di diversi riconoscimenti e premi in i letterari in Italia ed all’estero.

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